Gravi illeciti professionali: l'esclusione è legittima anche se la risoluzione è sub iudice?

Paola Martiello
13 Giugno 2018

La questione affrontata dalla sentenza in commento attiene alla valutazione circa il potere in capo alla stazione appaltante di escludere un operatore economico – già suo contraente in precedente contratto di appalto conclusosi con la risoluzione anticipata – nel caso in cui la risoluzione sia stata oggetto di contestazione in giudizio e prima che il giudizio sia definito.
Massima

Deve essere rimessa alla Corte di Giustizia Europea la questione circa l'interpretazione dell'art. 57, par. 4, Direttiva 2014/24/UE, unitamente al Considerando 101 della medesima Direttiva in relazione alla normativa nazionale che, definita quale causa di esclusione obbligatoria di un operatore economico il “grave illecito professionale”, stabilisce che, nel caso in cui l'illecito professionale abbia causato la risoluzione anticipata di un contratto d'appalto, l'operatore possa essere escluso solo se la risoluzione non è contestata o è confermata all'esito di un giudizio.

In caso di valutazione circa la ammissione alla gara di soggetto già inadempiente, la necessaria subordinazione dell'azione amministrativa agli esiti del giudizio di accertamento dell'inadempimento è astrattamente possibile, essendo comprensibile che la scelta dell'amministrazione sia vincolata alla decisione giudiziale, ma è incompatibile con i tempi dell'azione amministrativa.

Difatti risolto un contratto per grave inadempimento dell'operatore economico, mentre l'amministrazione dovrà indire una nuova procedura di gara per concludere un nuovo contratto , all'operatore economico inadempiente potrebbe essere sufficiente contestare in giudizio la risoluzione per ottenere l'ingresso nella nuova procedura, dovendo l'amministrazione attendere l'esito di questo per poter procedere legittimamente alla sua esclusione con la conseguenza per l'amministrazione di trovarsi a dover valutare in maniera imparziale un operatore economico che aveva già giudicato inaffidabile.

Il caso

Il caso. La vicenda posta all'attenzione del Collegio trae origine da una procedura di gara - avente ad oggetto l'affidamento del servizio di manutenzione ordinaria del verde pubblico di un'amministrazione comunale - indetta a causa della risoluzione contrattuale per grave inadempimento ex art. 136, d.lgs. 12 aprile 2006 n. 163, intervenuta con il precedente gestore.

Quest'ultimo presentava nuovamente offerta alla nuova procedura dichiarando di non incorrere nella causa di esclusione di cui all'art. 80,comma 5, lett. c) , d.lgs. 18 aprile 2016, n. 50 - che non ammette alla gara l'operatore economico colpevole di significative carenze nell'esecuzione di un precedente contratto di appalto che ne hanno causato la risoluzione anticipata, non contestata in giudizio, ovvero confermata all'esito di un giudizio - in quanto la precedente risoluzione era stata contestata in sede civile con giudizio ancora pendente.

La stazione appaltante escludeva tuttavia il concorrente precisando che l'esclusione era giustificata sulla base del disposto della norma sopra richiamata nonché di quanto previsto dalla lett.a) del medesimo comma, essendo stata dimostratala sussistenza di gravi infrazioni delle norme in materia di sicurezza sul lavoro.

L'operatore economico presentava dunque ricorso avverso l'esclusione sostenendo che il provvedimento di risoluzione di un precedente contratto concluso con la medesima stazione appaltante, se oggetto di tempestiva contestazione in giudizio ancora pendente, non possa comportare l'automatica esclusione dalla nuova procedura di gara.

Il TAR Lombardia – sez. staccata di Brescia, con la sentenza 17 ottobre 2017, n. 1246 rigettava il ricorso.

La questione

La questione affrontata dalla sentenza in epigrafe attiene alla valutazione circa il potere in capo alla stazione appaltante di escludere un operatore economico – già suo contraente in precedente contratto di appalto conclusosi con la risoluzione anticipata – nel caso in cui la risoluzione sia stata oggetto di contestazione in giudizio e prima che il giudizio sia definito.

La questione assume rilevanza anche con riferimento alla nozione euro-unitaria di “grave illecito professionale” contenta all'art. 57 par. 4 della Direttiva 2014/24/UE sugli appalti pubblici letta unitamente al Considerando 101 della medesima Direttiva, in particolare in merito alla interpretazione data alla condizione di “definitività” dei motivi di esclusione, che appare essere in contrasto con quanto previsto dal legislatore nazionale.

Le soluzioni giuridiche

Il Collegio ha preliminarmente ribadito la possibilità - prevista dall'art. 80, d.lgs. 18 aprile 2016, n. 50 - per le stazioni appaltanti di escludere un operatore economico che si sia reso colpevole di gravi illeciti professionali nell'esecuzione di un precedente contratto precisando che per grave illecito professionale debba intendersi anche «la significativa carenza nell'esecuzione di un precedente contratto di appalto o di concessione che ne ha causato la risoluzione anticipata, non contestata in giudizio, ovvero confermata all'esito di un giudizio, ovvero che abbia dato luogo ad una condanna al risarcimento del danno o ad altre sanzioni».

In seguito il Collegio prendendo le mosse innanzitutto da quanto previsto dalla giurisprudenza precedente ha evidenziato le oscillazioni interpretative creatasi nel tempo in punto di esclusione per grave illecito professionale.

In una precedente decisione (sentenza Cons. St., Sez. V, 27 aprile 2017, n. 1955), osserva la Corte, era stato , infatti, affermato che l'interpretazione letterale della lettera c) del comma 8 dell'art. 80 imponeva che solo una risoluzione contrattuale per la quale fosse stata prestata acquiescenza o confermata in sede giurisdizionale avrebbe potuto dar luogo ad esclusione (cfr. TAR Sicilia, 10 novembre 2017, n. 2548; TAR Sicilia, 3 novembre 2017, n. 2511; TAR Puglia, sez. III 18 luglio 2017, n. 828). Tuttavia, sempre la sezione V, con successiva pronuncia (sentenza, sez. V, 2 marzo 2018, n. 1299) aveva invece affermato - seppur in riferimento ad una vicenda non analoga a quella presentata dal caso di specie per l'assenza di un provvedimento di risoluzione del precedente contratto di appalto intercorso con l'operatore economico - che l'elencazione dei gravi illeciti professionali contenuta nella lettera c) dovesse considerarsi meramente esemplificativa e quindi potesse costituire mezzo adeguato di dimostrazione dell'illecito anche un provvedimento esecutivo di risoluzione non passato in giudicato.

A questo punto il Collegio, ravvisa una disomogeneità tra la norma interna e quella euro-unitaria, con particolare riferimento all'art. 57, par. 4. Direttiva 2014/24/UE, il quale stabilisce che le amministrazioni appaltanti possono escludere gli operatori economici «se l'amministrazione aggiudicatrice può dimostrare con mezzi adeguati che l'operatore economico si è reso colpevole di gravi illeciti professionali, il che rende dubbia la sua integrità».

Tale norma, osserva il Collegio, deve essere analizzata in combinato disposto con quanto previsto dal Considerando 101 della Direttiva dalla cui lettura si evince che è consentita l'esclusione dell'operatore economico se la stazione appaltante è in condizione di dimostrare la sussistenza di un grave illecito professionale «anche prima che sia adottata una decisione definitiva e vincolante sulla presenza di motivi di esclusione obbligatori», in netto contrasto con quanto invece, previsto dal legislatore nazionale, il quale al contrario, ha stabilito che l'errore professionale, passibile di risoluzione anticipata (per definizione “grave” ex art. 1455 C.c. nonché ex art. 108, comma 3, d.lgs. 18 aprile 2016, n. 50) non comporta l'esclusione dell'operatore in caso di contestazione in giudizio.

Tale previsione, come puntualizzato dal Consiglio di Stato, produce, l'inevitabile conseguenza di subordinare l'azione amministrativa agli esiti del giudizio eventualmente instaurato, determinando, da un lato, un'evidente incompatibilità con i tempi concisi dell'azione amministrativa, e dall'altro, un evidente escamotage per l'operatore economico.

Il Consiglio, infatti, osserva che, risolto il contratto per grave inadempimento dell'operatore economico, l'amministrazione dovrà indire una nuova procedura di gara per concludere un nuovo contratto, mentre all'operatore economico inadempiente sarà sufficiente contestare in giudizio la risoluzione per ottenere l'ingresso nella nuova procedura, dovendo l'amministrazione attendere l'esito del giudizio per poter procedere legittimamente alla sua esclusione.

Il Collegio non manca quindi di evidenziare che se da un lato l'obiettivo del legislatore nazionale è quello di alleggerire l'onere probatorio a carico dell'amministrazione per rendere più efficiente l'azione amministrativa attraverso l'elencazione di casi che possono condurre all'esclusione dell'operatore economico dalla gara, dall'altra si deve rilevare l'inadeguatezza dello strumento in quanto l'azione amministrativa è arrestata dall'instaurazione di altro giudizio in cui è contestato il grave illecito professionale.

In questa ipotesi, sottolinea il Collegio, sarebbero inoltre violati i principi di proporzionalità e parità di trattamento in quanto la norma interna farebbe così dipendere dalla scelta dell'operatore economico - di impugnare o meno la risoluzione in sede giurisdizionale – la decisione dell'amministrazione, con la conseguenza che a fronte di “gravi illeciti professionali” identici, l'operatore che non ha proposto impugnazione giurisdizionale della risoluzione dovrebbe essere escluso mentre l'altro, per il sol fatto di averla proposta, non sarebbe soggetto ad esclusione.

Alla luce di tali considerazioni e della non omogeneità fra le due discipline de quibus il Collegio, ha rimesso, dunque, la questione alla Corte di Giustizia Europea interrogandosi sulla interpretazione dell'art. 57 par. 4 Direttiva 2014/24/UE, unitamente al Considerando 101 della medesima Direttiva in relazione alla normativa nazionale che, definita quale causa di esclusione obbligatoria di un operatore economico il “grave illecito professionale”, come già evidenziato, stabilisce che, nel caso in cui l'illecito professionale abbia causato la risoluzione anticipata di un contratto d'appalto, l'operatore possa essere escluso solo se la risoluzione non è contestata o è confermata all'esito di un giudizio.

Osservazioni

L'ordinanza in commento è l'ultima in ordine di tempo tra quelle pronunce che hanno interessato la portata applicativa dell'art. 80, comma 5, lett. c), d.lgs. n. 50 del 2016 nella parte in cui sembra escludere la discrezionalità delle stazioni appaltanti nella valutazione dell'affidabilità degli operatori economici, imponendone l'esclusione dalla gara qualora una precedente risoluzione contrattuale-integrante ipotesi di grave illecito professionale - non sia stata contestata ovvero sia stata confermata in giudizio.

Si tratta, invero, di una questione alquanto discussa nella giurisprudenza amministrativa, la cui compatibilità comunitaria è stata peraltro sottoposta già all'attenzione dei giudici europei ed oggetto di rinvio pregiudiziale (TAR Campania ord. 13 dicembre 2017, n. 5893). Infatti già in quell'occasione era stato chiesto alla Corte di Giustizia di vagliare, rispetto ai principi europei e all'art. 57, comma 4 della Direttiva 2014/24/UE , l'art. 80, comma 5 lett. c) del Codice degli appalti che, in presenza della contestazione giudiziale della risoluzione anticipata disposta dalla Stazione appaltante per significative carenze in un pregresso appalto, impedisce all'amministrazione di effettuare valutazioni sull'affidabilità del concorrente fino alla definitiva decisione del giudizio.

In quella sede i giudici campani sottolineavano come tale disciplina, vincolando la stazione appaltante, con preclusione di ogni valutazione sull'affidabilità del concorrente, per effetto della mera contestazione in un giudizio civile della risoluzione contrattuale (decisione, peraltro, di esclusivo dominio dell'operatore economico), non risultasse conforme ai principi dell'Unione ritenendo che la decisione di esclusione per “deficit di fiducia” avrebbe dovuto essere valutata, in maniera proporzionata ma discrezionale, dalla stazione appaltante, a prescindere dall'accertamento giurisdizionale, attraverso un'ispezione dei rapporti contrattuali precedenti.

La suddetta interpretazione evidenzia l'esigenza di conservare un margine di valutazione discrezionale della Stazione appaltante, a fronte di comportamenti professionali che possono assumere le più varie forme, al fine di escludere qualsivoglia automatismo nei confronti di quest'ultima, consentendole di esercitare, sia pure entro limiti definiti, i propri poteri nella valutazione della sussistenza dell'elemento fiduciario nella controparte contrattuale.

Da notare che la Corte europea non ha ancora dato risposta sull'identica questione sollevata dal Tar Campania.

Tale linea interpretativa, peraltro, era stata fatta propria anche dalla stessa V sezione del Consiglio di Stato che con la pronuncia n. 1299 del 2 marzo 2018 aveva ribadito la possibilità di considerare legittima l'esclusione per gravi illeciti professionali a prescindere dalla circostanza che la risoluzione contrattuale fosse sub iudice, ritenendo meramente esemplificativa l'elencazione di cui all'art. 80, comma 5, lett. c), e valorizzando la motivazione della stazione appaltante sull'effettività, sulla gravità e sull'inescusabilità dell'inadempimento in questione. ( cfr sentenza del C.g.a., 30 aprile 2018 n. 252).

Coerente con questa interpretazione sarebbero anche le linee guida ANAC n. 6/2016 le quali , ai fini della valutazione dei gravi illeciti professionali a portata escludente da parte delle stazioni appaltanti, riconducono al grave illecito professionale talune condanne penali non esecutive (diverse da quelle automaticamente escludenti contenute nel comma 1 dell'art. 80), che tuttavia non sono oggettivamente riportate nella lett. c) del comma 5. E invero le stesse linee guida ribadiscono anche che «Le stazioni appaltanti possono attribuire rilevanza a situazioni non espressamente individuate dalle Linee guida, purchè le stesse siano oggettivamente riconducibili alla fattispecie astratta indicata dall'art 80, comma 5, lett. c) Codice e sempre che ne ricorrano i presupposti oggettivi e soggettivi».

In senso opposto si colloca l'interpretazione “restrittiva” prospettata, ex multis , già in precedenza anche dalla stessa sezione V del Consiglio Statocon sentenza sez. V, 27 aprile 2017, n. 1955 (cfr dal T.a.r. Lazio, sez. III-quater, con sentenza del 2 maggio 2017 n. 4793, ( T.a.r. Sardegna Sez. I, 23 febbraio 2017, n. 124; Tar Campania Napoli, sez. I, 28 marzo 2018, n. 455) che esclude che l'art. 80, comma 5, lett. c), possa essere oggetto di interpretazioni estensive, dovendo ritenersi che l'elencazione ivi contenuta sia tassativa e non integrabile.

Il Consiglio di Stato nella pronuncia in commento sembra aderire alla interpretazione estensiva e alla visione di chi ritiene tale motivo di esclusione di difficile applicazione.

Secondo il Consiglio di Stato, la necessaria subordinazione dell'azione amministrativa agli esiti del giudizio, seppur in parte comprensibile, è incompatibile con i tempi dell'azione amministrativa, perché permette all'operatore economico inadempiente di ottenere l'ingresso nella nuova procedura, solo contestando in giudizio la risoluzione del precedente contratto da cui è derivato il possibile errore professionale. Ed infatti, l'amministrazione dovrebbe necessariamente attendere l'esito del giudizio per poter procedere legittimamente alla esclusione dell'operatore economico inadempiente.

L'illogicità della norma interna, ad avviso del Collegio, sta nel fatto che fa dipendere dalla scelta dell'operatore economico - di impugnare o meno la risoluzione in sede giurisdizionale - la decisione dell'amministrazione. A fronte di “gravi illeciti professionali” identici, potrebbe essere escluso un operatore in quanto non ha proposto impugnazione giurisdizionale della risoluzione, ed un altro no, solo per averla proposta.

Ciò si porrebbe, peraltro, secondo il Collegio, in possibile contrasto con i principi di proporzionalità e di parità di trattamento che costituiscono principi dei quali gli Stati membri devono tener conto nell'aggiudicazione degli appalti pubblici (si veda il Considerando n. 1 e 2 della Direttiva 2014/24/UE).

Alla luce dello stato d'incertezza giurisprudenziale sopra descritto non resta, dunque, che attendere la definitiva pronuncia della Corte europea a chiarimento definitivo ( si spera) della compatibilità della norma nazionale con i principi eurounitari.

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