DAT: quando si nomina l'amministratore di sostegno?

19 Giugno 2018

In ipotesi di omessa nomina di fiduciario ad opera del disponente (ovvero laddove lo stesso non possa essere sostituito da altri nell'incarico cui ha rinunciato), le DAT mantengono efficacia in merito alle volontà del disponente stesso mentre, in caso di necessità, il giudice tutelare provvede alla nomina di un amministratore di sostegno.
Pazienti capaci e incapaci

Il principio secondo cui il consenso informato del paziente si pone come legittimazione e fondamento di ogni trattamento medico sanitario viene solennemente proclamato in esordio della l. 22 dicembre 2017, n. 219: «nessun trattamento sanitario può essere iniziato o proseguito se privo del consenso libero ed informato della persona interessata, tranne nei casi espressamente previsti dalla legge». Il principio è misura di attuazione dell'art. 32, comma 2, Cost. («nessuno può essere obbligato ad un determinato trattamento sanitario se non per disposizione di legge») e si pone in piena continuità rispetto al disposto affidato all'art. 1 l. n. 180/1978 («gli accertamenti e i trattamenti sono volontari»).

Paziente capace di agire (art. 1, comma 5, l. n. 219/2017)

Può manifestare consenso o dissenso ai trattamenti medici o agli accertamenti diagnostici ed il medico è tenuto a rispettarne la volontà, andando con ciò esente da ogni forma di responsabilità, civile e penale (comma 6).

Paziente incapace (minore degli anni 18, interdetto o inabilitato o sottoposto alla misura di amministrazione di sostegno)

Il consenso/dissenso in materia sanitaria è espresso dal rappresentante legale (art. 3, l. n. 219/2017), in consonanza a quanto dispone l'art. 6 della Convenzione di Oviedo del 1997 (ratificata dall'Italia con l. 28 marzo 2001, n. 145, che però non ha ancora depositato lo strumento di adesione) e come aveva insegnato larga parte della giurisprudenza di merito formatasi in materia di ads

Paziente divenuto incapace di autodeterminarsi

La sua volontà in materia di trattamenti potrebbe essere stata antecedentemente espressa, in modo previdente, in apposito documento contenente disposizioni anticipate di trattamento (DAT) (art. 4 l. n. 219/2017), ovvero, tramite pianificazione condivisa di cure (PCC) (art. 5 l. n. 219/2017)

Terminologia normativa

La l. 22 dicembre 2017, n. 219, tramite l'art. 4, ha finalmente introdotto nell'ordinamento il c.d. testamento biologico, una delle più significative novità apportate dalla novella.

Se i primi commentatori, almeno in larga maggioranza, hanno valutato in modo complessivamente positivo l'articolato normativo, in verità, qualche criticità interpretativa il nuovo testo suscita nella parte in cui disciplina appunto le DAT, come emergerà infra.

Da un punto di vista terminologico, appare, anzitutto, cruciale fare chiarezza nei concetti e precisare i termini del discorso, dato che le parole hanno un preciso significato. Al riguardo appare assai utile il parallelismo tra il nuovo testo normativo ed il testo c.d. Calabrò.

Il d.d.l. c.d. Calabrò (recante «Disposizioni in materia di alleanza terapeutica, di consenso informato e dichiarazioni anticipate di trattamento», approvato dal Senato in data 26 marzo 2009 ma mai ratificato dalla Camera), significativamente, qualificava tale atto di previdenza, posto in essere da persona capace, alla stregua di una meradichiarazione espressa dal paziente. Come aveva cura di precisare l'art. 3, comma 1, dell'articolato, lo stesso era qualificato alla stregua di un atto diorientamento” in merito ai trattamenti sanitari, che il medico poteva decidere di seguire oppure no, in quanto disposizione non vincolante. Proseguiva l'art. 7 del testo disponendo che le DAT erano «prese in considerazione dal medico curante», che poteva decidere di «seguirle o meno».

Viceversa, la l. n. 219/2017 rende le DAT vincolanti per il medico, il quale è «tenuto al rispetto di esse» (art. 4, comma 5, l. n. 219/2017). Con ciò ben si spiega il mutamento terminologico subito dalle DAT che non è puramente formale, ma di natura sostanziale. Nel nuovo testo normativo le stesse sono qualificate «disposizioni anticipate di trattamento» (come recita la rubrica dell'art. 4), ossia, atti dispositivi e volitivi, espressione delle intenzioni, dei desideri e delle profonde convinzioni, etiche, morali e/o religiose del paziente, come tali manifestazione di autonomia negoziale in materia di trattamenti sanitari.

Da questo punto di vista, l'assonanza tra disposizioni anticipate di trattamento (o, altrimenti qualificato, testamento biologico) ed il testamento inteso quale atto mortis causa, non è casuale. Anche tale ultimo negozio è un atto col quale il de cuius «dispone, per il tempo in cui avrà cessato di vivere, di tutte le proprie sostanze o di parte di esse» (art. 587 c.c.).

Come nel testamento, quale atto mortis causa, così anche nel c.d. testamento biologico o, testamento di vita (DAT), la persona “dispone” dei trattamenti medici che intende ricevere o non ricevere. Ed assai significativo, dal punto di vista lessicale, per entrambi gli atti negoziali, appare l'utilizzo del verbo “disporre”.

L'assonanza terminologica rispetto al testamento (stricto sensu) si ferma qui.

Dato che il primo è un atto mortis causa, destinato a produrre effetto solo a seguito della morte del disponente, mentre, nel c.d. testamento biologico, le disposizioni sui trattamenti sanitari hanno efficacia quando il paziente è vivo, al subentrare di «un'incapacità di autodeterminarsi».

In sostanza, le disposizioni anticipate di trattamento permettono di «decidere quando si è ancora in tempo, evitando che altri (la legge, il medico, i parenti) decidano per noi».

Capacità

La capacità di confezionare la DAT è riconosciuta ad ogni «persona maggiorenne e capace di intendere e volere» (art. 4, comma 1, l. n. 219/2017), conformemente ai principi generali applicabili in materia negoziale (art. 1425, comma 1 e 2, c.c.).

Non possono “disporre” in materia di trattamenti medici quindi gli incapaci legali (interdetti giudiziali e legali, come pure soggetti sottoposti ad amministrazione di sostegno, in relazione al grado di disabilità) e gli incapaci naturali (incapaci di intendere e volere: art. 428 c.c.).

Si è dubitato se la capacità di redazione delle DAT possa riconoscersi anche ai soggetti sani in previsione dell'insorgenza della malattia, ovvero, unicamente alle persone già malate, con patologia in atto, al momento del compimento dell'atto (come è previsto, ad es., per la pianificazione condivisa delle cure, su cui infra: art. 5 l. n. 219/2017).

Diversa è la condizione degli uni e degli altri, dato che solo l'ammalato, per esperienza diretta, ha potuto conoscere, riflettere ed approfondire sugli effetti che la patologia induce sulla sua condizione personale. Potrebbe però obiettarsi che questa maggiore ponderazione sui possibili esiti della patologia, per quanto in termini astratti, sia acquisibile, tramite un serio confronto col medico curante, anche da parte del paziente pienamente in salute.

In ogni caso, pur a fronte del rischio che la volontà espressa dalla persona sana al momento del bisogno possa non essere del tutto attinente rispetto al suo stato patologico, sembra preferibile, in difetto di limitazioni normative di sorta, ritenere cheanche quest'ultimo possa dettare disposizioni di trattamento.

Attraverso le DAT la persona, maggiorenne e capace di intendere e volere, può «esprimere le proprie volontà in materia di trattamenti sanitaria», oltreché «il consenso o il rifiuto rispetto ad accertamenti diagnostici o scelte terapeutiche o a singoli trattamenti sanitari» (art. 4, comma 1, l. n. 219/2017).

Come si vede, quanto dichiarato dal paziente capace di intendere e volere costituisce manifestazione di “volontà” (non un semplice “orientamento”, come disponeva il c.d. testo Calabrò), che il medico è tenuto a rispettare, pena il compimento di un atto illecito.

Limiti contenutistici

Nel c.d. testo Calabrò, sempre utile agli effetti di un raffronto, alle DAT venivano fissate precise limitazioni di oggetto.

In particolare, si precisava che alimentazione ed idratazione (artificiale) non potevano «formare oggetto di dichiarazione anticipata di trattamento», in quanto «forme di sostegno vitale e fisiologicamente finalizzate ad alleviare le sofferenze fino alla fine della vita» (art. 3, comma 5, l. n. 219/2017).

Nessun limitazione di contenuto è ripetuta nell'art. 4 della nuova legge, che al comma 5 dell'art. 1, per converso, legittima il paziente cosciente a rifiutare alimentazione ed idratazione artificiale; col ché, anche tramite DAT, identica opzione sembra legittima in quanto validata dalla nuova legge, pena un ingiustificato e diversificato trattamento di analoghe situazioni, dato che la stessa intende garantire il principio di autodeterminazione in materia sanitaria in ogni situazione in cui il paziente venga a trovarsi.

Le DAT sarebbero viceversa invalide laddove si esigesse, da parte del medico, a tenore dell'art. 1, comma 6, l. n. 219/2017, «trattamenti sanitari contrari a norme di legge, alla deontologia professionale e alle buone pratiche clinico-assistenziali». Il riferimento testuale pare richiamare il divieto di eutanasia attiva e del suicidio assistito.

Per quanto attiene al momento formativo, la facoltà di manifestazione delle proprie volontà in materia sanitaria in ipotesi di un'eventuale futura incapacità suppone (condizione necessaria e sufficiente) che il disponente abbia «acquisito adeguate informazioni mediche in materia» (comma 1). Pertanto, la novella non ha previsto l'obbligatoria compartecipazione attiva da parte del medico agli effetti della redazione delle DAT, con ciò discostandosi dal testo c.d. Calabrò che disponeva che le stesse fossero redatte «dopo una compiuta e puntuale informazione medico-clinica, e raccolte esclusivamente dal medico di medicina generale che contestualmente le sottoscrive» (art. 4, comma 1, l. n. 219/2017).

Nel testo della l. n. 219/2017 inoltre il legislatore ha omesso di precisare quale figura di medico sia tenuto a fornire «l'adeguata informazione» sanitaria richiesta al riguardo (medico curante, medico specialista, etc.). Sul punto specifico la novella è stata criticata, dato che in tal modo le DAT sarebbero sottratte alle «opportune e utilissime garanzie di affidabilità» del medico. In effetti, la scelta legislativa rende concreto il rischio che vengano confezionate DAT imprecise, non adeguatamente ponderate, poco comprensibili, eccessivamente generiche, non redatte in modo tecnicamente corretto, ovvero, prive di adeguata informazione clinico-sanitaria. Col concreto rischio che, agli effetti della loro interpretazione ed applicazione, si renda necessario il ricorso all'intervento giudiziale (art. 4, commi 4 e 5, l. n. 219/2017).

Come è stato evidenziato, tale scelta, se non rende l'atto di disposizione nullo o annullabile, tuttavia, a fronte di una scrittura dal tenore generico o impreciso, la sanzione ipotizzabile potrebbe essere la disapplicazione da parte del medico o il tentativo di disapplicazione (su cui infra). Potrebbe allora assumere rilievo il ruolo esplicato dal notaio in sede di redazione delle DAT, in quanto diretto alla verifica che la disposizione venga redatta a seguito di adeguata informazione medica e che sia espressione di una volontà cosciente e consapevole da parte del disponente.

Resta il fatto che le scelte sanitarie e di fine vita, in quanto caratterizzate, data l'estrema rilevanza dei valori in gioco, quali sono la vita, la dignità di essa, la morte e la tipologia di cure cui assoggettarsi, valori sensibili ed assai delicati, dovrebbero essere frutto di scelta personale e consapevole da parte del disponente, assai ponderata, oltreché meditata, assunta assieme al proprio clinico di fiducia; non potendosi giammai tradurre nella sottoscrizione distratta di moduli e/o prestampati.

Forma

Con riguardo alla forma del documento contenente le DAT, dispone l'art. 4, comma 6, l. n. 219/2017: «le DAT devono essere redatte per atto pubblico o per scrittura privata autenticata ovvero per scrittura privata consegnata personalmente dal disponente presso l'ufficio dello stato civile del comune di residenza del disponente medesimo, che provvede all'annotazione in apposito registro, ove istituito, oppure presso le strutture sanitarie, qualora ricorrano i presupposti di cui al comma 7».

Consta che varie siano le formalità che il disponente può decidere di adottare.

In primis, le DAT possono essere redatte per atto pubblico o per scrittura privata autenticata. In tal caso, il ruolo notarile risulta valorizzato, agli effetti della redazione dell'atto, per effetto della verifiche cui è tenuto il pubblico ufficiale: riguardanti le condizioni di capacità del disponente, l'informazione sanitaria ricevuta, come pure la successiva conservazione dell'atto, con facoltà di rilasciarne copia.

In alternativa, le DAT possono assumere forma di scrittura privata (con sottoscrizione non autenticata), consegnata personalmente dal disponente all'ufficio dello stato civile del comune di residenza (art. 4, comma 6, l. n. 219/2017).

In forza della Circolare del Ministero dell'Interno in data 8 febbraio 2018, n. 1, l'ufficiale dello stato civile esplica un ruolo assai poco conformativo sulle DAT che riceve; dato che lo stesso non partecipa alla redazione delle stesse, né fornisce informazioni o avvisi in merito al contenuto di esse, «limitandosi a verificare prima di riceverla l'identità del dichiarante e la residenza del consegnante nel comune». All'atto della consegna del plico l'ufficio ne rilascia ricevuta.

Come è trasparente, l'ufficiale di stato civile ricevente non riscontra né la capacità di agire del disponente e neppure che lo stesso abbia ricevuto «adeguata informazione medica». In tal caso, l'ufficio si limita a registrare le DAT secondo l'ordine cronologico di presentazione (senza che neppure sia stata prevista l'istituzione di un apposito registro dello stato civile, conformemente al principio di “invarianza finanziaria” della legge; art. 7 l. n. 219/2017), assicurandone adeguata conservazione in modo conforme ai principi di riservatezza dei dati personali, di cui al d.lgs. n. 196/2003.

In alternativa, la novella ammette la possibilità di consegnare il documento «presso le strutture sanitarie» che abbiano adottato modalità informatiche di gestione dei dati del singolo paziente. Allo stato questa modalità non risulta ancora attuata, in attesa della definizione di tali specifiche telematiche da parte delle regioni.

Infine, qualche rovello interpretativo suscita il comma 6 della norma, in assenza di disciplina normativa delle previsioni, solo abbozzate, ivi previste.

La norma, riferendosi a pazienti già gravemente malati, dispone, in termini eccessivamente generici: «nel caso in cui le condizioni fisiche del paziente non lo consentano, le DAT possono essere espresse attraverso videoregistrazione o dispositivi che consentano alla persona con disabilità di comunicare». Come si vede, la legge non precisa chi debba raccogliere questa volontà, chi sia tenuto alla conservazione ed in che modo tale modalità siano attuabili.

Durata ed efficacia

Il d.d.l. Calabrò prevedeva un'efficacia a tempo determinato delle DAT, disponendo che le stesse perdessero efficacia una volta decorsi cinque anni dalla redazione (art. 4, comma 3, l. n. 219/2017).

Sulla scorta di esperienze straniere, il legislatore aveva posto un limite di efficacia alle DAT sul presupposto che, decorso un certo tempo, le stesse non avrebbero più rispecchiato le profonde ed interiori convinzioni del testatore o potessero mutare le sue condizioni psico-fisiche, con ciò divenendo obsolete ed inattuali.

Come emerge dal trasparente dato testuale, la novella non ha posto alcun espresso limite di validità temporale al riguardo. Ciò significa che le DAT potrebbero rimanere in vigore sine die.

Tuttavia, quando sia decorso un considerevole lasso temporale dal momento della loro redazione all'insorgenza della patologia gravemente invalidante, potrebbe emergere concreto il rischio che il medico possa disattenderle, ritenendole non più attuali; in particolare, valendosi della facoltà prevista dal comma 5 dell'art. 4, che suppone DAT non più attuali («il medico è tenuto al rispetto delle DAT, le quali possono essere disattese, in tutto o in parte, dal medico stesso, in accordo con il fiduciario, qualora esse appaiano palesemente incongrue o non corrispondenti alla condizione clinica attuale del paziente ovvero sussistano terapie non prevedibili all'atto della sottoscrizione, capaci di offrire concrete possibilità di miglioramento delle condizioni di vita»).

Onde evitare il rischio dell'obsolescenza delle disposizioni e della disapplicazione da parte del medico, può essere utile procedere ad un loro periodica “rinnovazione”, come espressamente ammette il comma 6, seconda parte.

Le DAT diventano efficaci (e vincolanti per il medico ex comma 5) nel momento in cui subentri in capo al disponente «una futura incapacità di autodeterminarsi» (comma 1), ossia un evento futuro e incerto, dedotto quale condizione sospensiva di efficacia delle stesse.

Con maggiore precisione, seppur per altra via criticabile, il c.d. testo Calabrò disponeva che le DAT assumessero “rilievo” quando fosse stato accertato che «il soggetto in stato vegetativo non fosse più in grado di comprendere le informazioni circa il trattamento sanitario e le sue conseguenze (e) per questo motivo non può assumere decisioni che lo riguardano» (art. 3, comma 6, l. n. 219/2017). In tal caso, la valutazione della condizione clinica del paziente doveva essere formulata da parte di un collegio medico.

Analogamente, potrebbe essere inteso il testo normativo vigente, col subentro della piena operatività delle disposizioni sui trattamenti sanitari, laddove l'incapacità di autodeterminazione del paziente sia divenuta irreversibile, quando cioè lo stesso non sia in grado, a causa delle condizioni patologiche che l'affliggono, di comprendere l'informazione medica che lo concerne, oltre che di assumere decisioni competenti.

In difetto di alcuna precisazione normativa contenuta nel lacunoso testo normativo, l'accertamento del subentro della condizione di incapacità del paziente ad esprimere il consenso appare indispensabile venga accertata da parte del medico di reparto, eventualmente con l'ausilio dei servizi psichiatrici.

Qualificazione giuridica

Le disposizioni anticipate di trattamento sono state qualificate alla stregua di «negozi giuridici unilaterali inter vivos aventi ad oggetto la vita stessa del disponente, la cui efficacia è differita ad un momento successivo coincidente con il verificarsi si un evento determinato, vale a dire il prodursi di uno stato di incapacità psichica, antecedente alla morte» (G. Capozzi, Successioni e donazioni, Giuffrè, II ed., 2002).

A tale atto, espressione dell'autonomia privata dell'individuo e come tale volto a regolare interessi meritevoli di tutela secondo l'ordinamento giuridico (art. 1322 c.c.), appaiono analogicamente applicabili, nei limiti di compatibilità, le norme dettate dal codice civile in tema di contratti in generale (art. 1324 c.c.). Quali, ad es, quelle dettate in tema di vizi del volere (artt. 1427 ss. c.c.), condizione del negozio, nella specie sottoposto a condizione sospensiva (art. 1353 c.c.) ed interpretazione dell'atto (artt. 1362 ss. c.c.). In modo particolare, con riguardo a quest'ultimo profilo, alla ricerca della volontà del disponente, avuto riguardo al suo «comportamento complessivo» mantenuto (art. 1362, comma 1 e 2, c.c.), all'interpretazione complessiva delle clausole contenute nelle DAT (art. 1363 c.c.) ed al principio di conservazione delle stesse, in caso di dubbio (art. 1367 c.c.).

Il fiduciario

Un contenuto eventuale delle DAT, già riscontrabile nel testo c.d. Calabrò, per quanto in quel testo normativo dotato di maggiore ampiezza di contenuto e sulla scorta di esperienze straniere, è dato dall'indicazione della figura del fiduciario; ovvero, «una persona di fiducia» del disponente, capace di intendere e volere, oltrechè maggiorenne (art. 4, commi 1 e 2, l. n. 219/2017).

L'istituto del rappresentante in caso di malattia era già previsto dall'art. 1, comma 40, l. 20 maggio 2016, n. 76, in tema di unioni civili, con una previsione che oggi pare superata da una disposizione successiva dotata del carattere di specialità.

Il legislatore non ha previsto cause di incompatibilità nella scelta del fiduciario, come invece è, opportunamente, riscontrabile nella legislazione nord americana.

Come precisa la norma, il fiduciario «fa le veci» e svolge la funzione di «rappresenta(re)» il paziente «nelle relazioni con il medico e con le strutture sanitarie».

La legge espressamente richiede l'accettazione dell'incarico da parte del fiduciario (cui va consegnata copia delle DAT). Quest'ultimo potrebbe rinunciare all'incarico, non accettarlo, decedere o divenire incapace, tutti eventi preclusivi l'esplicazione del mandato.

È ipotizzabile che, laddove il fiduciario non possa espletare il mandato, il disponente, possa prevederne la sostituzione con altra persona di fiducia.

L'accettazione dell'incarico può avvenire contestualmente alla confezione delle DAT mediante «sottoscrizione delle stesse», oppure, mediante atto successivo, ad esso allegato.

In sostanza, il fiduciario, titolare di un ufficio di diritto privato, è tenuto ad interagire con i sanitari rendendosi portavoce delle volontà espresse dal disponente nelle DAT, così fornendo l'interpretazione autentica della volontà del paziente, ormai non più in grado di interloquire con essi, nell'ottica di far emergere l'universo valoriale dello stesso, le sue concezioni di vita, dei limiti di essa, come pure, in tema di fine vita.

In particolare, egli è il custode della volontà antecedentemente espresse dal paziente, cosicché, laddove il medico intenda disattenderne i contenuti (ovvero, «qualora esse appaiano palesemente incongrue o non corrispondenti alla condizione clinica attuale del paziente ovvero sussistano terapie non prevedibili all'atto della sottoscrizione, capaci di offrire concrete possibilità di miglioramento delle condizioni di vita»: comma 5), quest'ultimo è tenuto a ricercare «l'accordo con il fiduciario».

Laddove l'accordo non si raggiunga ed insorga un “conflitto” tra medico e fiduciario sull'attuazione della volontà del paziente, la novella dispone che si proceda ai sensi del comma 5 dell'articolo 3. In tal caso, il conflitto è rimesso al giudice tutelare, il quale decide con decreto motivato (art. 43 disp. att. c.c.), provvedimento sempre reclamabile al collegio (art. 45 disp. att. c.c.).

Al riguardo, non appare chiaro quale soggetto sia legittimato ad innescare la parentesi contenziosa.

L'art. 3, comma 5, l. n. 219/2017 (richiamato dall'art. 4, comma 5, parte finale), dettato in tema di pazienti incapaci, rimette la legittimazione alla presentazione del ricorso al rappresentante legale, ai soggetti di cui all'art. 406 ss. c.c. (e perciò anche all'art. 417 c.c.), al medico ed al rappresentante legale della struttura sanitaria.

Nel caso di specie, in presenza di DAT, pare imporsi un'interpretazione correttiva del lacunoso testo di nuovo conio.

Sicuramente legittimati sono il medico (di reparto) ed il rappresentante legale dell'ospedale. Il primo, laddove intenda disattendere le DAT ed il secondo in quanto gerarchicamente sovraordinato rispetto al primo.

Pur a fronte del silenzio della legge, pare legittimato anche il fiduciario, interessato ad innescare la decisione giurisdizionale, in quanto istituzionalmente preposto a garantire attuazione alla volontà espressa dal paziente nelle DAT.

Non sembrano, invece, legittimati attivi i familiari del paziente, in quanto le funzioni in materia di rappresentanza sanitaria sono state rimesse al fiduciario.

Sicuramente legittimato attivo è il PM, nella sua qualità di difensore dei diritti degli incapaci (art. 73 R.D. 30 gennaio 1941, n. 12).

Nel telegrafico testo normativo, la legge non precisa la tipologia di istruttoria rimessa al GT per il superamento del conflitto.

Sembra con ciò ipotizzabile che, così facendo, il legislatore non abbia inteso limitare il libero convincimento del giudice, mediante ricorso ad una specifica griglia di mezzi di prova.

Il giudice potrebbe non solo disporre CTU, ma pure assumere sommarie informazioni da parenti ed amici del paziente, nell'ottica di chiarire la recondita volontà del paziente, soprattutto a fronte di DAT «palesemente incongrue».

Negli altri due casi, invece, la norma richiama la possibilità di disattendere le disposizioni anticipate tenuto conto del tempo trascorso dalla confezione, in presenza quindi di una volontà del paziente divenuta, dato il tempo trascorso, non più attuale.

(segue) Qualificazione giuridica del rapporto con il fiduciario

Il legislatore ha omesso di fornire alcuna qualificazione giuridica della figura del fiduciario, con ciò, implicitamente, rimettendone ogni valutazione alla scienza giuridica.

I primi studiosi dell'istituto del testamento biologico hanno assimilato la figura del fiduciario a quella dell'esecutore testamentario; ovvero, la persona che, per volontà del testatore, «deve curare che siano esattamente eseguite le disposizioni di ultima volontà del defunto» (art. 703, comma 1, c.c.). Dato che, anche in tema di DAT, il soggetto affida a terzi il compito di attuare le proprie volontà per il tempo in cui egli sarà impossibilitato a farlo personalmente.

Parte della dottrina ha escluso che il fiduciario possa venire ricondotto alla figura del mandatario con rappresentanza ex art. 1704 c.c., ovvero a colui che, nell'interesse altrui, compie atti giuridici, nella specie di natura non patrimoniale, i cui effetti si riverberano sulla sfera giuridica del rappresentato.

Tale inquadramento interpretativo è stato escluso sul presupposto che la sopravvenuta incapacità del mandante determinerebbe l'estinzione del mandato, a norma dell'art. 1722, n. 4, c.c..

In realtà, la norma testé richiamata suppone l'estinzione del mandato al sopravvenire dell'interdizione o dell'inabilitazione, ossia a fronte di un provvedimento che privi la persona, in tutto o in parte, della capacità di agire.

Invece, il sopravvenire della perdita di capacità di autodeterminazione in capo al paziente, non determina, ipso facto, l'instaurazione del procedimento di interdizione o di inabilitazione con la connessa pronunzia incapacitativa. In particolare, secondo la communis opinio, il sopraggiungere dell'incapacità naturale (o incapacità di fatto) del paziente (art. 428 c.c.), come si constata nella specie, non costituisce causa di scioglimento del mandato o di invalidità dei suoi atti esecutivi, quanto, eventualmente, ragione di annullabilità del negozio gestorio (artt. 428, 1425 e 1389 c.c.).

La soluzione, che qualifica il fiduciario alla stregua di un mandatario con rappresentanza , consentirebbe di inquadrare la relazione intercorrente tra paziente e fiduciario, nei termini trasparenti del rapporto contrattuale (di natura obbligatoria) di mandato, con susseguente applicabilità di taluni principi concernenti tale figura tipica, seppur nei limiti di compatibilità, determinata dalla peculiarità della tipologia di mandato, avente carattere non patrimoniale.

Ci riferiamo, ad es., alla tendenziale gratuità del mandato, alla conseguente responsabilità del mandatario tenuto ad agire con la diligenza del buon padre di famiglia e responsabile per colpa (art. 1710 c.c.); come pure, al principio generale della non sostituibilità del mandatario nell'espletamento dell'incarico (art. 1717 c.c.).

Conformemente alla disciplina codicistica dettata in tema di estinzione del mandato (art. 1722, nn. 2 e 3, c.c.), la novella, ammette la rinuncia all'incarico da parte del fiduciario (comma 2), come pure la revoca dell'incarico da parte del disponente, «in ogni momento» (comma 3).

(segue) Assenza di fiduciario

In ipotesi di omessa nomina di fiduciario ad opera del disponente (ovvero laddove lo stesso non possa essere sostituito da altri nell'incarico cui ha rinunciato), il comma 4 recita: «nel caso in cui le DAT non contengano l'indicazione del fiduciario o questi vi abbia rinunciato o sia deceduto o sia divenuto incapace, le DAT mantengono efficacia in merito alle volontà del disponente. In caso di necessità, il giudice tutelare provvede alla nomina di un amministratore di sostegno, ai sensi del capo I del titolo XII del libro I del codice civile».

La facoltatività della nomina del fiduciario, evidentemente, non tocca le DAT che mantengono piena cogenza ed efficacia.

Rilevante è la parte terminale del comma, laddove consente la nomina, non già di un fiduciario, che trova titolo unicamente in un libero atto di autonomia privata del disponente, ma di un eventuale amministratore di sostegno da parte del GT, laddove se ne ravvisi la necessità.

L'ampia formula lessicale sembra richiamare le più variegate situazioni; situazioni che possono esemplificarsi e che solo la prassi potrà definire: quali, ad es., la non attinenza delle DAT rispetto alla situazione clinico-sanitaria del paziente, l'incomprensibilità del tenore delle stesse anche per eccesso di genericità, come pure la difficoltà di interpretazione, il contrasto tra previsione della disposizione e trattamento medico specificamente ed in concreto proposto.

In tale eventualità è prevista l'apertura di una parentesi giudiziaria.

Il GT viene chiamato a nominare un amministratore di sostegno, «ai sensi del capo I del titolo XII del libro I del c.c.».

Il riferimento al capo I, titolo XII del libro primo del codice, intitolato «dell'amministrazione di sostegno», evidenzia che la nomina suppone la richiesta di parte, non essendo ammessa alcuna iniziativa officiosa.

Oltre ai familiari ed al convivente del paziente, l'iniziativa potrebbe essere assunta dal PM(eventualmente su sollecitazione di parte), dai familiari, dal convivente, come pure dai «responsabili dei servizi sanitari direttamente impegnati nella cura della persona» (art. 406, comma 3, c.c.). Ciò ulteriormente significa che la legittimazione attiva non compete al medico del reparto, ma unicamente al «responsabile del servizio di cura».

In tal caso è ipotizzabile che il GT possa provvedere alla nomina inaudita altera parte, riscontrando la sussistenza di una situazione di urgenza avente ad oggetto la cura dell'interessato, con la nomina di un ads provvisorio (art. 405, comma 4, c.c.).

In tale ipotesi, il ruolo che l'ads è chiamato ad espletare appare sui generis, rispetto alla comune attività svolta dall'organo, consistente nella rappresentanza o assistenza del disabile, fisico o psichico, impossibilitato a provvedere ai propri interessi ex art. 404 c.c..

Nell'ipotesi prevista dal comma 4 dell'art. 4 l. n. 219/2017, la volontà del malato con riguardo ai trattamenti che lo concernono è già stata manifestata in precedenza, mediante redazione delle DAT.

In tal caso, l'ads non è tenuto a sostituirsi al malato nell'effettuazione di scelte di natura esistenziale e personali, ovvero nel compimento di atti che lo stesso non è più in grado di compiere. Egli è piuttosto chiamato a rapportarsi ed interagire col medico sulla scorta e sulla base di questo essenziale testo di fonte negoziale, garantendo il rispetto della volontà del disponente ed operando nell'ottica del perseguimento del suo best interest. nella cura dei suoi bisogni ed aspirazioni (art. 410, comma 1, c.c.), manifestati antecedentemente tramite le DAT.

In questo frangente, l'ads è chiamato ad esplicare un'attività assimilabile a quella svolta dal fiduciario nominato in forza delle DAT, quale nuncius, tenuto a farsi portavoce ed attuare la volontà del disponente.

Pur nella parziale diversità del ruolo esplicato, l'ads, anche in tal caso, è tenuto all'espletamento degli adempimenti previsti dall'art. 411 c.c., ad es., in tema di giuramento, rendiconto annuale e finale, come pure a richiedere le autorizzazioni ex artt. 374, 375 e 376 c.c., soggiacendo alle connesse responsabilità, civile (art. 382 c.c.) e penale.

Guida all'approfondimento

G. Ferrando, voce Testamento biologico, in Enc. Dir., Annali, Giuffrè, 2014, 987 ss.;

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