La prova del diritto di proprietà nei procedimenti relativi a domande di rivendica e restituzione

Andrea Rosati
20 Giugno 2018

“Un creditore ha depositato domanda di rivendica per «tettoie in legno» costruite su terreno di proprietà della società fallita ed inserite nell'inventario fallimentare; a tale istanza sono state allegate copia fatture, copia scrittura privata con società fallita (ante sentenza di fallimento) priva di data certa e copia SCIA presentata al comune. L'amministratore della società fallita...

“Un creditore ha depositato domanda di rivendica per «tettoie in legno» costruite su terreno di proprietà della società fallita ed inserite nell'inventario fallimentare; a tale istanza sono state allegate copia fatture, copia scrittura privata con società fallita (ante sentenza di fallimento) priva di data certa e copia SCIA presentata al comune. L'amministratore della società fallita, interrogato sul punto, ha dichiarato che le tettoie sono state costruite direttamente dal rivendicante e non appartengono al patrimonio della società fallita. Ora, in qualità di curatore, in fase di predisposizione del progetto di stato passivo è corretto proporre il rigetto dell'istanza in quanto non assolta completamente la prova documentale, stante la mancanza di documenti aventi data certa (copia bonifici relativi al pagamento delle fatture, copia registri contabili del rivendicante con evidenza la contabilizzazione delle fatture.....)? Oppure, la documentazione allegata è sufficiente a provare il diritto sul bene da parte del rivendicante?"

Spetta al rivendicante dare prova del diritto di proprietà con la produzione di documenti aventi data certa.

Riferimenti normativi -Artt. 93, 95, 103 l.fall., artt. 2704, 2709 e 2710 Codice Civile.

Premessa - Ai sensi dell'art. 103 l.fall. tutti i diritti nei confronti del fallimento, anche di natura personale e reale, sia mobiliare che immobiliare, devono essere accertati nell'ambito del procedimento di accertamento del passivo.

Si applica però il regime probatorio di cui all'art. 621 c.p.c., il quale vieta il ricorso alla prova testimoniale per dimostrare la proprietà dei mobili pignorati.

Come noto, l'attività istruttoria nel giudizio di verificazione dello stato passivo ha natura essenzialmente documentale. L'onere della prova sulla fondatezza del credito (ovvero del diritto di chi chiede la restituzione o rivendica del bene) incombe al ricorrente. La prova è costituita esclusivamente dai documenti allegati al ricorso.

Sono stati temi molto dibattuti: (i) se l'efficacia probatoria riconosciuta dalla legge, nei rapporti fra imprenditori, alle scritture contabili ed ai libri contabili regolarmente tenuti (art. 2710 c.c.), possa valere anche a favore dell'imprenditore che chiede l'ammissione al passivo fallimentare; (ii) se, stante il contenuto dell'art. 2709 c.c., il creditore possa giovarsi, ai fini dell'ammissione al passivo, delle scritture contabili del fallito; (iii) se l'art. 2704 c.c. abbia valenza nei rapporti tra curatore e gli atti posti in essere dal fallito prima della sentenza dichiarativa di fallimento (questo con particolare riferimento al requisito della data certa riferibile alla scrittura contabile su cui si fonda la domanda di ammissione al passivo).

Tutte queste questioni sono state risolte dalla Sentenza delle Sezioni Unite n. 4213 (20.02.2013), che ha affermato la terzietà del curatore rispetto al rapporto fallito/creditore, con due principali conseguenze: (i) l'inapplicabilità delle norme che agevolano la prova dei diritti nei rapporti tra imprenditori, ed in particolare dell'art. 2710 c.c.; e (ii) l'applicabilità del principio posto dall'art. 2704 c.c., in forza del quale non possono essere opposte al terzo scritture private prive di data certa che ne attesti l'anteriorità rispetto alla sentenza di fallimento.

La risposta al quesito -Venendo al caso oggetto del quesito, appare evidente, alla luce di quanto sopra esposto, che l'onere della prova ricada esclusivamente sul rivendicante.

Il rivendicante non è stato in grado di provare con un documento avente data certa né il titolo di proprietà del bene, né il motivo per cui tali beni (di cui il rivendicante si afferma proprietario) si trovino sul terreno della società fallita.

Si tratta della c.d. “doppia prova”, richiamata anche dalla giurisprudenza di legittimità (Cass., Sez. I, 20 luglio 2007, n. 16158). La prova che il rivendicante è chiamato a dare non ha ad oggetto solo l'originario acquisto della proprietà, ma anche il titolo (o diritto reale) per il quale il bene è stato affidato al fallito.

A parere dello scrivente, la fattura di acquisto non è sufficiente a dimostrare la proprietà del bene; essa potrebbe dimostrare, tutt'al più, che il rivendicante ne era proprietario al momento dell'emissione della fattura, appunto, ma non esclude che il bene possa essere stato poi successivamente rivenduto alla società fallita prima della sua dichiarazione di fallimento.

Parimenti non hanno valore probatorio le scritture contabili del rivendicante, stante la posizione di terzietà del curatore fallimentare.