Revisione dell'assegno di divorzio: quid novi e rivalutazione delle condizioni economiche
22 Giugno 2018
Massima
Presupposto per disporre la revisione dell'assegno di divorzio ai sensi dell'art. 9, comma 1, legge n. 898/1970 è costituito dal sopraggiungere di un giustificato motivo, da intendersi come fatto nuovo sopravvenuto modificativo della situazione economica delle parti. Il caso
Con ricorso ex art. 9 l. n. 898/1970 un marito si è rivolto al Tribunale di Mantova chiedendo che venisse revocato o comunque ridotto l'assegno di mantenimento per la moglie posto a suo carico in sede di sentenza di divorzio nel 2005. La motivazione posta alla base della sua richiesta consisteva nel fatto che l'importo dovuto a tale titolo era stato determinato sulla base di un tenore di vita goduto dalla moglie in costanza di matrimonio molto superiore a quello esistente al momento del divorzio. Adduceva a tal proposito di percepire una pensione di € 2.500,00 dal 2004, di essere usufruttuario dell'immobile dove viveva con l'attuale coniuge, aggiungendo che la ex moglie sarebbe economicamente autosufficiente grazie alla pensione dalla medesima percepita dal 2008: in virtù dell'orientamento giurisprudenziale inaugurato con la sentenza Cass. n. 11504/2017, questa circostanza sarebbe sufficiente per ritenere venuti meno i presupposti per la attribuzione di qualsivoglia assegno divorzile a suo favore. Il ricorrente rafforzava la propria istanza rilevando che l'ex coniuge aveva ricevuto entro il 2010 la somma di € 25.183,70 quale quota parte del TFR e che la stessa era anche proprietaria dell'immobile in cui viveva. Nel costituirsi in giudizio, la convenuta chiedeva il rigetto della domanda di cui al ricorso, adducendo di percepire una pensione di soli € 850,00, di dovere pagare le rate del mutuo gravanti sulla propria abitazione, rilevando altresì che l'intestazione della nuda proprietà della casa dove l'ex marito viveva con la sua attuale moglie era frutto di operazione finalizzata al non fare apparire il ricorrente titolare di alcun cespite. In ogni caso, la convenuta non era di certo da considerarsi economicamente autosufficiente sia in virtù delle spese che la stessa doveva affrontare, sia in quanto, per ragioni anagrafiche (69 anni), non sarebbe stata più in grado di dedicarsi ad alcuna attività lavorativa. La questione
La questione sottesa alla decisione in esame riguarda la valutazione della sussistenza dei presupposti che l'art. 9 legge n. 898/1970 richiede per ottenere la revisione e la modifica delle condizioni stabilite in sede di divorzio. Nella fattispecie, il Tribunale di Mantova è stato chiamato ad esaminare, ai fini dell'applicazione della legge, l'incidenza e la relazione dell'avanzato principio della autosufficienza economica con il requisito del sopraggiunto giustificato motivo imposto dal citato art. 9 l. div.. Le soluzioni giuridiche
Davvero interessante e rigorosamente tecnica la motivazione svolta dal giudice con la sentenza quivi in esame ed in virtù della quale il Tribunale non ha ritenuto degno di accoglimento il ricorso avanzato dall'ex marito. Il primo principio evidenziato è quello che trae il fondamento dal dato normativo. L'art. 9 l. div. stabilisce che il tribunale può, su istanza di parte, disporre la revisione delle disposizioni relative alla misura e alle modalità dei contributi da corrispondere ai sensi degli artt. 5 e 6 l. div. qualora sopravvengano giustificati motivi dopo la sentenza che pronuncia lo scioglimento o la cessazione degli effetti civili del matrimonio. Questo presupposto è da intendersi come fatto nuovo sopravvenuto e modificativo della situazione economica in relazione alla quale erano stati adottati i provvedimenti riguardanti il mantenimento del coniuge. Anche secondo unanime e costante giurisprudenza di legittimità, non è dunque consentito, nel giudizio in questione, addurre fatti pregressi o addirittura ragioni che nel divorzio non erano state avanzate né prospettate. Ciò in virtù del principio secondo cui il giudicato copre il dedotto ed il deducibile. Sulla base di queste premesse, il Tribunale di Mantova ha rilevato che il ricorrente non avesse dimostrato un peggioramento delle proprie condizioni economiche successivamente alla sentenza di divorzio e che, al contempo, non fossero migliorate quelle della resistente. A nulla valendo, tra l'altro, l'invocata percezione da parte della ex moglie della quota di TFR in quanto l'erogazione di detto importo era avvenuta in esecuzione di accordi tra le parti intervenuti al momento del divorzio e pertanto non può essere considerata quale circostanza sopravvenuta. Il presupposto necessario costituito dal giustificato motivo ex art. 9 l. n. 898/1970 non può, poi, considerarsi integrato dal mutamento di giurisprudenza in ordine ai criteri con cui si deve commisurare, oggi, l'assegno divorzile. In altre parole, sottolinea il Tribunale di Mantova, l'orientamento della recente giurisprudenza secondo cui il tenore di vita goduto in costanza di matrimonio non rappresenta più un criterio in base al quale valutare il diritto alla percezione dell'assegno in capo al coniuge richiedente, non può qualificarsi come giustificato motivo. In caso contrario, infatti, si arriverebbe ad estendere a rapporti esauriti, in quanto coperti da giudicato, una interpretazione diversa da quella prevista dalla norma e per di più con efficacia retroattiva, con la conseguenza che si realizzerebbe un evento da una parte non consentito dalla legge (art. 11 disp. att. c.c.), dall'altra si verificherebbe un risultato valutato come irragionevole dalla stessa giurisprudenza della Suprema Corte (v. Cass., S.U., 11 luglio 2011, n. 15144). Poiché inoltre il mutamento di indirizzo della Suprema Corte ha riguardato una norma di diritto sostanziale (art. 5 l. div.) e non una norma di carattere processuale, quale quella oggetto del ricorso avanzato dal marito (art. 9 l. div.), secondo il Tribunale di Mantova non può nemmeno essere invocato in questa sede il principio della c.d. prospective overruling. Sulla base di tutte le suddette considerazioni, i giudici mantovani hanno respinto le domande avanzate dal ricorrente con una ulteriore motivazione riguardante le spese di lite processuali. Poiché, infatti, il recente mutamento dell'indirizzo interpretativo in tema di assegno divorzile da parte della Corte di Cassazione non ha ancora ottenuto un consolidamento circa le conseguenti questioni applicative, il Tribunale di Mantova, vista la natura della controversia, ha stabilito di disporre l'integrale compensazione delle spese legali. Osservazioni
Ancora una volta al centro delle argomentazioni inerenti l'assegno divorzile si trova la nota sentenza della Suprema Corte di Cassazione (10 maggio 2017, n. 11504) intervenuta a modificare, rispetto al passato, i criteri in base ai quali il Giudice è tenuto a valutare se sussistono i presupposti per la concessione o meno in favore di un coniuge di un assegno in sede di divorzio. È altrettanto noto che il principio cardine sul quale la Suprema Corte ha focalizzato l'attenzione a tal fine è quello della autosufficienza economica dell'ex coniuge. Data la genericità e la assenza di parametri giuridici, normativi e sostanziali riferibili al criterio invocato dalla Suprema Corte, che comunque deve coordinarsi con i presupposti e le indicazioni di cui all'art. 5 l. n. 898/1970, si sono susseguite numerose sentenze di legittimità e di merito che, se da una parte hanno confermato il nuovo orientamento della Suprema Corte, dall'altra si sono discostate da tale indirizzo provvedendo a interpretare la sentenza Cass. n. 11504/2017 in modo approfondito attraverso la valutazione di tutti i criteri normativi inerenti alle due fasi in cui è suddiviso l'esame del giudice (quella dell'an e quella del quantum) cui è conseguito sia il riconoscimento del diritto alla percezione dell'assegno divorzile a prescindere dalla apparente rigidità della nota pronuncia, sia una pletora di disomogenee e diverse interpretazioni che hanno contribuito alla poca e pregiudizievole chiarezza in materia. È altrettanto noto che, attualmente, si è ancora in attesa della pronuncia delle Sezioni Unite della Corte di Cassazione in punto assegno divorzile. È proprio l'attesa del consolidamento di un orientamento giurisprudenziale di legittimità in tema di orientamento sull'assegno divorzile, che ha indotto il Giudice Mantovano, nel provvedimento quivi in esame, a compensare tra le parti le spese di lite del processo. Il Tribunale di Mantova, infatti, ha dimostrato di essere sensibile allo stato di incertezza che la sentenza Cass. n. 11504/2017 ha creato in ordine alle questioni applicative inerenti al mutato orientamento giurisprudenziale attraverso la decisione di compensare le spese legali tra le parti. A fondamento di questa decisione, a parere di chi scrive discutibile, il Giudice richiama la sentenza della Corte Costituzionale che ha dichiarato l'illegittimità costituzionale dell'art. 92, comma 2, c.p.c. nella parte in cui non prevede che il giudice possa compensare le spese tra le parti, parzialmente o per intero, finanche qualora sussistano altre analoghe gravi ed eccezionali ragioni. Anche in questa causa, infatti, il ricorrente ha invocato il principio della autosufficienza economica enunciato dalla citata sentenza c.d. Lamorgese, per ottenere dal Giudice la revoca o la riduzione dell'assegno divorzile stabilito a favore della moglie in sede, appunto, di divorzio. A questo proposito, la decisione del Tribunale di Mantova si distingue per avere focalizzato, in primis, l'attenzione sulla applicazione normativa dell'art. 9 l. n. 898/1970 sulla base dei suoi presupposti processuali e sostanziali. È risaputo che, ai sensi e per gli effetti dell'art. 9 l. div., un ex coniuge può avanzare domanda di revisioni delle condizioni economiche stabilite in sede di divorzio qualora sopraggiungano giustificati motivi. Sottolinea correttamente il Tribunale di Mantova che questo presupposto deve intendersi come fatto nuovo e sopravvenuto effettivamente modificativo della situazione economica sulla base della quale erano stati assunti i provvedimenti in sede di divorzio. A nulla valendo, a questo proposito, fatti pregressi o motivazioni e ragioni che non erano state fatte valere nel precedente processo divorzile che, nel frattempo, ha per di più assunto il carattere del giudicato. Basandosi, dunque, sul dato normativo/processuale, il Tribunale di Mantova ha rilevato la destituzione probatoria della difesa del ricorrente il quale, non avendo provato il peggioramento delle proprie condizioni economiche e, tanto meno, il miglioramento di quelle della ex moglie, si è visto respingere la domanda di revoca e/o riduzione dell'assegno divorzile stabilito a favore della stessa. Ciò che rileva e che costituisce la peculiarità del provvedimento in esame è l'avere sottolineato che, nell'ambito del giudizio di modifica dei provvedimenti divorzili, l'intervenuto mutamento dell'orientamento giurisprudenziale secondo il quale deve oggi essere determinato l'assegno di divorzio (ovvero che il tenore di vita avuto in costanza di matrimonio non è più criterio rilevante ai fini della sussistenza del diritto alla percezione di assegno divorzile) non può integrare il presupposto del giustificato motivo richiesto dall'art. 9 l. div. per la revisione delle disposizioni economiche assunte in sede di divorzio. Giustamente, dunque, la irrilevanza del tenore di vita sancita dalla Suprema Corte non può costituire un sopraggiunto fatto nuovo idoneo a legittimare una decisione modificativa da parte del Tribunale. Il giudice mantovano, applicando con estrema chiarezza e tecnicità il dato normativo/processuale, non è conseguentemente nemmeno entrato nel merito del concetto di autosufficienza economica né dell'incidenza o meno del pregresso tenore di vita dei coniugi in costanza di matrimonio in quanto la mancata prova da parte del ricorrente del «giustificato motivo costituito da fatto nuovo sopraggiunto dopo il divorzio» è stato ritenuto elemento più che sufficiente per respingere la domanda di revoca/riduzione dell'assegno divorzile posto a favore della ex moglie.
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