27 Giugno 2018

Con la comunicazione eseguita dal curatore ai sensi dell'art. 92 l.fall., si realizza una provocatio ad agendum rivolta a coloro che risultino creditori in base alle scritture contabili del fallito e alle altre notizie reperite e che siano stati perciò inseriti negli elenchi di cui all'art. 89 l.fall.; lo scopo è quello di informarli della pendenza della procedura fallimentare e del fatto che, entro il termine loro assegnato, possono fare valere i propri diritti nel concorso mediante proposizione di apposita istanza che deve rivestire la forma del ricorso.

Inquadramento

Con la comunicazione eseguita dal curatore ai sensi dell'art. 92 l.fall., si realizza una provocatio ad agendum rivolta a coloro che risultino creditori in base alle scritture contabili del fallito e alle altre notizie reperite e che siano stati perciò inseriti negli elenchi di cui all'art. 89 l.fall.; lo scopo è quello di informarli della pendenza della procedura fallimentare e del fatto che, entro il termine loro assegnato, possono fare valere i propri diritti nel concorso mediante proposizione di apposita istanza che deve rivestire la forma del ricorso.

Al pari della domanda di insinuazione tempestiva allo stato passivo di un fallimento, la presentazione dell'insinuazione tardiva è finalizzata, quindi, alla soddisfazione di crediti (o alla richiesta di restituzione o rivendicazione di beni mobili e immobili) che si assumono vantati nei confronti del fallimento.

Per espresso rinvio operato dall'art. 101 l.fall., rubricato “domande tardive di crediti”, agli artt. 93 – 99 l.fall. il procedimento di accertamento si svolge nelle stesse forme previste per le domande tempestive.

La domanda di insinuazione tardiva

La domanda di insinuazione al passivo di un credito, di restituzione o rivendicazione di beni mobili e immobili, disciplinata dall'art. 101 l.fall., è definita tardiva quando è presentata oltre il termine di trenta giorni prima dell'udienza fissata per la verifica del passivo e non oltre quello di dodici mesi dal deposito del decreto di esecutività dello stato passivo. Tale ultimo termine può essere prorogato a 18 mesi dal Tribunale che, in fase di dichiarazione di fallimento, ritenga la procedura di particolare complessità.

Decorso il termine di cui al primo comma dell'art. 101 l.fall. e comunque fino a quando non siano esaurite tutte le ripartizioni dell'attivo fallimentare, è ancora possibile presentare domande di ammissione allo stato passivo, le quali prendono il nome di domande ultratardive, ma la loro ammissibilità è condizionata alla dimostrazione che il ritardo è dipeso da causa non imputabile al creditore.

In evidenza: Cass. civ., Sez. I, 31 luglio 2017, n. 19017

In caso di domanda tardiva di ammissione al passivo ai sensi dell'ultimo comma dell'art. 101 l.fall., la valutazione della sussistenza di una causa non imputabile, che giustifichi il ritardo del creditore, implica un accertamento di fatto, rimesso alla valutazione del giudice di merito, che, se congruamente e logicamente motivato, sfugge al sindacato di legittimità.

E' ormai pacifico in dottrina e giurisprudenza che il mancato invio della comunicazione di cui all'art. 92 l.fall. da parte del Curatore, con cui quest'ultimo informa i creditori della pendenza della procedura fallimentare e della possibilità di proporre domanda di insinuazione, integri causa di non imputabilità del ritardo. Resta ferma, in capo al Curatore, la facoltà di dimostrare che il creditore abbia avuto aliunde notizia dell'avvenuta dichiarazione di fallimento.

In evidenza: Cass. civ., Sez. I – VI, 13 luglio 2017, n. 17416

A conferma di tale assunto, in un caso recentemente deciso dalla Suprema Corte, si è ritenuta non integrata la prova della non imputabilità del ritardo al creditore dalla circostanza che il Curatore avesse trasmesso la comunicazione di cui all'art. 92 l.fall. alla direzione generale anziché alla sede legale della società creditrice, trattandosi, quindi, di mera irregolarità essendo l'atto comunque pervenuto nella sfera di conoscenza del destinatario.

La novità dei crediti insinuati

L'art. 101 l.fall., nel testo contenuto nel r.d. n. 267/1942, prevedeva espressamente che il credito insinuato in via tardiva dovesse essere “nuovo” rispetto ad altri precedentemente ammessi ma, nel riformato art. 101, non si ritrova tale precisazione e ciò ha sollevato dubbi circa la possibilità di ritenere ammissibile una istanza tardiva per far valere titoli inerenti crediti già ammessi in via tempestiva.

Secondo la giurisprudenza ormai consolidata della Corte di cassazione, non v'è dubbio circa il valore di giudicato interno che assume una precedente pronuncia relativa ad un credito, rispetto alle domande tardive successivamente presentate, con effetto preclusivo sia del dedotto che del deducibile, posto che la procedura di accertamento del passivo è unica anche se si sviluppa attraverso più fasi.

Ne deriva, pertanto, la necessità che il credito che si intende insinuare tardivamente sia diverso rispetto all'istanza tempestiva o ad altre tardive, in base ai criteri del petitum e della causa petendi, pena la sua inammissibilità.

Deve considerarsi nuova una domanda e, pertanto, ammissibile, quando risulta fondata su presupposti di fatto e situazioni giuridiche non prospettate né prospettabili in precedenza, così da importare il mutamento dei fatti costitutivi del diritto azionato in giudizio e da introdurre, nella nuova fase di accertamento dei crediti, un diverso tema di indagine e di decisione.

In una recente decisione assunta dalla Suprema Corte (Cass. Civ., Sez. I, 11 maggio 2016, n. 9618), si è avuta l'occasione di chiarire quando ed in quali casi possa dirsi ammissibile una domanda tardiva che tragga origine da uno stesso titolo o situazione giuridica.

In particolare si è precisato che, quando si è dato ingresso a domande tardive inerenti lo stesso credito già ammesso in via tempestiva, si è consentito perché intervenuti, successivamente alla ammissione, fatti idonei a connotare diversamente il credito posto alla base della pretesa creditoria, potendosi fare applicazione analogica del principio secondo il quale, in presenza di una legge retroattiva che introduca nuove ipotesi di crediti privilegiati, questi assistono anche i crediti sorti anteriormente all'entrata in vigore, a prescindere dal tempo in cui sono azionati.

In evidenza: Cass. civ., Sez. Un., 26 marzo 2015, n. 6060

La proposizione tardiva della domanda di ammissione al passivo fallimentare del credito accessorio agli interessi moratori, in quanto fondata sul ritardo nell'adempimento, non è preclusa, stante la diversità della rispettiva "causa petendi", dalla definitiva ammissione in via tempestiva del credito relativo al capitale (nella specie, a titolo di compenso per attività professionale), salvo che gli interessi costituiscano una mera componente della pretesa già azionata, come nel caso del credito risarcitorio da illecito aquiliano.

Dopo l'adozione del decreto di esecutività dello stato passivo, pertanto, non è più possibile sollevare questioni inerenti l'esistenza del credito, la sua entità o l'esistenza di cause di prelazione che lo assistono, se non attraverso i rimedi previsti dagli artt. 98 e 99 l. fall. e nei limiti da questi consentiti.

In evidenza: Cass. civ., Sez. I, 24 giugno 2015, n. 13090

ha ritenuto ammissibile la domanda tardiva con la quale il cessionario di un credito garantito da ipoteca, ceduto unitamente all'azienda con accollo non liberatorio del cedente e già ammesso al passivo del fallimento di quest'ultimo in via chirografaria, chieda l'ammissione dello stesso credito in privilegio ipotecario a seguito della risoluzione del contratto di cessione dell'azienda e della conseguente retrocessione del bene immobile su cui grava il diritto di prelazione nel patrimonio dell'imprenditore fallito. Invero, secondo la S.C., deve trovare applicazione in via analogica il principio secondo cui, in presenza di una legge retroattiva che introduca nuove ipotesi di crediti privilegiati, questi ultimi assistono anche i crediti sorti anteriormente alla sua entrata in vigore, a prescindere dal tempo in cui siano stati azionati in sede concorsuale e, quindi, anche i crediti prima chirografari, e come tali ammessi al passivo fallimentare, con la conseguenza che tale privilegio può esercitarsi anche dopo l'approvazione dello stato passivo e fino a quando il riparto non sia divenuto definitivo, con le forme dell'insinuazione ex art. 101 l. fall.

Secondo Cass. 19 ottobre 2007, n. 22013, la domanda avente ad oggetto la prededucibilità di un credito può essere dedotta per la prima volta con lo strumento dell'insinuazione tardiva al passivo, laddove i necessari presupposti fattuali siano maturati solo successivamente al decreto con cui il giudice delegato ha dichiarato esecutivo lo stato passivo. Nella specie, la S.C. ha cassato la decisione del giudice di merito che aveva ritenuto inammissibile la questione del grado del credito, insinuato in prededuzione ai sensi dell'art. 101 l. fall., in quanto tale qualità era sorta in conseguenza dell'esercizio da parte del curatore della facoltà di subentro nel contratto di locazione finanziaria in corso, esercizio comunicato al creditore solo dopo l'adunanza di verifica dello stato passivo; la preclusione del giudicato interno non è di ostacolo all'esercizio da parte del curatore della facoltà di subentro nel contratto e quindi essa neppure può essere invocata per negare l'accertamento di un diritto del creditore, che su quel medesimo atto trovi il prospettato fondamento.

Il procedimento

Nel sistema previgente, in vigore fino alla riforma operata dal D.Lgs. 5/2006, le domande proposte dopo l'adunanza dei creditori per la verifica dello stato passivo, erano considerate tardive e sottoposte a verifica, differentemente da quanto accadeva per le domande tempestive, secondo un procedimento a struttura bifasica: la fase c.d. amministrativa necessaria si svolgeva davanti al G.D. il quale, in assenza di contestazioni da parte del Curatore, poteva ammettere il credito con decreto; la seconda fase, c.d. contenziosa eventuale, si svolgeva secondo le regole del giudizio ordinario di cognizione e si instaurava in presenza di contestazioni all'ammissione del credito.

Dopo le modifiche apportate all'intera disciplina fallimentare, il procedimento di accertamento dello stato passivo è stato unificato per effetto dell'esplicito richiamo delle forme di cui all'art. 95 l.fall. contenuto nell'art. 101, comma 2, l.fall. Nel sistema oggi vigente, quindi, le domande di insinuazione tardive seguono lo stesso iter di quelle tempestive, sia per quanto attiene alle forme di presentazione (ricorso da trasmettere a mezzo posta elettronica certificata all'indirizzo del curatore o della procedura) sia per quanto riguarda il loro esame (predisposizione del progetto di stato passivo delle tardive da parte del curatore, invio dello stesso a creditori e titolari di diritti sui beni almeno quindici giorni prima dell'udienza di verifica, possibilità di presentare osservazioni al progetto entro i successivi dieci giorni, emissione di un decreto di esecutività contro il quale è possibile proporre le impugnazioni di cui agli artt. 98 e 99 l.fall.).

A fare la differenza tra le due insinuazioni, con tutte le conseguenze che ne derivano e che saranno esaminate nel prosieguo, è il tempo di presentazione: a far data dal ventinovesimo giorno precedente l'udienza fissata con la sentenza di fallimento per l'esame dello stato passivo, sono da considerarsi tardive le eventuali istanze pervenute al curatore (redatte nelle forme di cui all'art. 93 l.fall.), anche se formalmente identiche alle altre pervenute nei tempi previsti per le domande considerate tempestive.

Il comma 2 dell'art. 101 l.fall. sancisce che per l'esame delle domande di ammissione tardive il giudice delegato fissa una udienza ogni quattro mesi (salvo che sussistano motivi di urgenza), affidando al curatore il compito di dare comunicazione delle date ai creditori che “hanno presentato la domanda”.

Quest'ultimo inciso ha generato dubbi circa i destinatari della comunicazione. In particolare, ci si è chiesti se dovessero rientrarvi solo i creditori tardivi o anche quelli tempestivi. Una parte della dottrina (A. SALETTI, La formazione dello stato passivo: un tema in evoluzione, in Giur. It., 2006, 436; G.U. TEDESCHI, L'accertamento del passivo, in Le riforme delle procedure concorsuali, Antonio DIDONE (a cura di), Milano, 2016, I, 986; V. ZANICHELLI, La nuova disciplina del fallimento e delle altre procedure concorsuali, Torino, 2008, 273, secondo il quale la decisione del legislatore di non coinvolgere anche i creditori tempestivi nella fase di verifica delle insinuazioni tardive “perpetua la discutibile situazione, già presente nel vecchio rito, che vede i creditori controllarsi reciprocamente nel procedimento per l'esame delle domande tempestive e che invece consente ai creditori tardivi di sfuggire a tale controllo e agli eventuali rilievi che ne potrebbero derivare, non essendo in concreto plausibile che i creditori non avvisati dell'udienza verifichino sistematicamente in cancelleria l'avvenuta fissazione”) ha offerto una soluzione, coerente con l'intero sistema della legge fallimentare, che vuole l'integrazione del c.d. contraddittorio incrociato nelle fasi di verifica dei crediti facendone derivare la necessità di notiziare della fissazione delle udienza per l'esame delle domande tardive anche i creditori già ammessi.

D'altro canto, l'introduzione della gestione delle procedure concorsuali mediante strumenti telematici (posta elettronica certificata e sistemi di gestione), rende più agevole al curatore e meno oneroso per il creditori (i quali non devono sopportare i costi relativi all'invio di lettere raccomandate che fanno lievitare le spese di procedura) informare anche i creditori tempestivi della avvenuta fissazione delle date di udienza per l'esame delle domande tardive, anche a mezzo pubblicazione in appositi portali dedicati e consultabili dagli stessi.

Infine, anche se ai creditori tempestivi si riconosce la possibilità di proporre impugnazione dei crediti tardivi eventualmente ammessi, così consentendo loro di operare un controllo sullo stato passivo delle tardive, è pur vero che li si costringerebbe ad instaurare un giudizio con tutto ciò che comporta (in termini di spese legali e tempi di svolgimento della causa) che si potrebbe evitare facendoli presenziare all'udienza di verifica.

A ben vedere, con la modifica dell'art. 101 l.fall. il legislatore ha inteso rendere unico il procedimento di verifica dei crediti operando un rinvio sic et simpliciter al procedimento previsto dall'art. 95 l.fall. e, quindi, a quello applicabile alle domande tempestive con poca attenzione per la diversa tempistica che si pretende di dover applicare.

Infatti, la previsione della fissazione di una udienza ogni quattro mesi per l'esame delle domande tardive ha generato non poche difficoltà in punto di individuazione del momento in cui devono essere fissate le udienze (in taluni tribunali fallimentari provvede il Giudice Delegato al termine dell'esame delle domande tempestive ed in fase di dichiarazione di esecutività dello stato passivo, in altri si provvede già nel corso dell'udienza di verifica delle tempestive stabilita nella sentenza che dichiara il fallimento) ed in relazione alla unicità o frazionabilità della decisione, in ragione di quanto espresso nella Relazione Illustrativa al Decreto Legislativo 12 Settembre 2007, n. 169 e, quindi, che “la cadenza quadrimestrale è in parallelo con quella, pure quadrimestrale, stabilita per i riparti parziali dall'art. 110, primo comma”.

Individuandosi uno dei motivi di urgenza che consente di fissare l'udienza di verifica in tempi diversi dalla prevista cadenza quadrimestrale, nella imminente approvazione di un piano di riparto parziale, si è suggerito di procedere all'esame delle istanze “il più presto possibile” (G.U. Tedeschi, L'accertamento del passivo, in Le riforme delle procedure concorsuali, Antonio DIDONE (a cura di), Milano, 2016, I, 985), così da non pregiudicare oltremodo il creditore tardivo che partecipa alle ripartizioni posteriori alla sua ammissione in forza di quanto previsto dall'art. 112 l.fall.

Una tale soluzione è confortata da parte della giurisprudenza (Cass. civ., Sez. I, 10 agosto 2015, n. 16633) la quale, affermando che “in tema di fallimento, alla luce della nuova disciplina del subprocedimento di riparto dell'attivo prevista dall'art. 110 l.fall. (come modificato dal d.lgs. n. 169 del 2007), il giudice delegato deve ordinare il deposito in cancelleria del progetto di riparto delle somme disponibili predisposto dal curatore ed inoltre, al fine di un eventuale reclamo, la sua comunicazione non solo ai creditori ammessi al passivo fallimentare e a quelli che abbiano proposto impugnazione allo stato passivo, ma anche ai creditori ammessi tardivamente prima del decreto di esecutività del progetto di riparto”, ha implicitamente ammesso la possibilità che delle domande tardive siano esaminate positivamente anche prima del termine di quattro mesi previsto per la fissazione delle relative udienze.

Altri in dottrina, hanno messo in evidenza le ricadute negative nell'applicazione pratica di una disciplina carente di coordinamento (S. Bonfatti, in AA.VV., Il fallimento e le altre procedure concorsuali, L. Panzani (a cura di), Torino, 2014, III, 497, stigmatizza: “l'affermazione del principio secondo il quale la verificazione delle domande tardive deve avvenire nella stessa forma dell'accertamento delle domande tempestive, e con una cadenza quadrimestrale, è concettualmente chiara, ma non esente da effetti pratici discussi e discutibili”) ed hanno proposto una soluzione al “problema” suggerendo di operare con modalità flessibili a garanzia della migliore soddisfazione per tutti i creditori ed auspicando un ritorno alla disciplina vigente prima della riforma (A. Didone – V. Didone, L'insinuazione tardiva nel nuovo accertamento del passivo, Milano, 2017, 171 ss., ha segnalato la difficoltà di seguire, nella pratica, le prescrizioni contenute negli articoli della legge fallimentare in tema di accertamento dei crediti insinuati in via tardiva evidenziando la presenza di lacune e la mancanza di coordinamento tra le norme che, se pedissequamente applicate, potrebbero (e, per vero, un caso anomalo si è già registrato: Cass., sez. I, 26 marzo 2012, n. 4792) dare vita ad uno scenario nel quale una insinuazione tardiva sia decisa con precedenza rispetto alle verosimilmente numerose domande tempestive, in ragione della diversa tempistica prevista).

Come detto, ai sensi dell'art. 101 l.fall. sono considerate tardive le domande di insinuazione trasmesse al curatore oltre il termine di trenta giorni prima dell'udienza fissata per la verifica del passivo e non oltre quello di dodici mesi dal deposito del decreto di esecutività dello stato passivo.

Si è reso più volte necessario, in giurisprudenza, chiarire quale sia il dies a quo di decorrenza del termine decadenziale per la presentazione delle domande tardive di ammissione al passivo stante la prassi invalsa in alcuni tribunali di dichiarare inammissibili insinuazioni presentate oltre l'anno decorrente da decreti di esecutività di stati passivi aventi ad oggetto l'esame di una parte delle domande tempestive depositate.

In un recente caso deciso dalla Suprema Corte (Cass. civ., Sez. I, 27 marzo 2018, n. 1179), nel quale il tribunale aveva emesso un provvedimento di inammissibilità relativamente ad una domanda tardiva depositata dopo il decorso dell'anno dal decreto del giudice delegato, che aveva dichiarato l'esecutività dello stato passivo limitatamente alle domande tempestive sulle quali aveva deciso in udienza, rinviando l'esame delle altre ad una udienza successiva, si è affermato che “poichè il giudice delegato può formare lo stato passivo e renderlo esecutivo con decreto depositato in cancelleria solo dopo aver terminato l'esame di tutte le domande presentate tempestivamente, deve escludersi che nel caso in cui il procedimento di verifica si protragga per più udienze, il giudice possa adottare all'esito di ciascuna di esse altrettanti decreti di esecutività, i quali, ove erroneamente emessi, devono ritenersi “tamquam non esset” e perciò privi di effetti ai fini della scadenza del termine per il deposito delle domande tardive di cui all'art. 101 l.fall.”.

Le conseguenze della tardività dell'insinuazione

Dal combinato disposto degli artt. 101 e 112 l.fall., per l'espresso reciproco richiamo contenuto negli stessi, si individua il trattamento riservato ai creditori ammessi tardivamente e, quindi, che hanno diritto di concorrere esclusivamente alle ripartizioni posteriori alla loro ammissione, in proporzione del rispettivo credito; viene fatto salvo il caso in cui i relativi crediti sono assistiti da cause di prelazione o il ritardo dell'insinuazione non è dovuta a fatto a loro addebitabile.

Nell'ipotesi di ricorrenza di una di queste circostanze, si riconosce il diritto di prelevare le quote che sarebbero loro spettate nelle ripartizioni precedenti alla ammissione.

La prova del ritardo incolpevole favorisce anche il creditore tardivo titolare di diritti su beni mobili o immobili il quale può chiedere che siano sospese le attività di liquidazione del bene sino all'accertamento del diritto.

La disciplina attuale ricalca quella vigente ante riforma ma, in aggiunta, a norma dell'ultimo comma dell'art. 101 l.fall., il creditore tardivo era tenuto a sopportare le spese conseguenti al ritardo della domanda, fatto sempre salvo il caso di tardività incolpevole.

Tra le spese imputabili al creditore tardivo si annoveravano anche quelle derivanti dal giudizio di opposizione al passivo, ricorrendone la stessa ratio e, quindi, evitare che il ritardo potesse risolversi in pregiudizio per la massa dei creditori.

In un caso recentemente deciso dalla Corte di cassazione (Cass. civ., Sez. I, 19 febbraio 2018, n. 3956), si pretendeva l'applicazione del principio suddetto chiedendo che le spese del giudizio di opposizione fossero addebitate al creditore tardivo per avere lo stesso depositato solo in tale fase il titolo giustificativo del credito fatto valere, pur se il gravame era stato accolto.

Nel ritenere infondato il motivo di ricorso, il Collegio ha sancito che “in tema di spese processuali, a seguito delle modifiche apportate all'art. 101 l.fall. dall'art. 86 del d.lgs. n. 5 del 2006, non si pone più il problema dell'estensione ai giudizi di opposizione allo stato passivo del principio desumibile dal previgente art. 101, comma 4, l. fall. (non riproposto nella nuova formulazione della norma)”.

Ne deriva che, anche nei giudizi di cui all'art. 98 l.fall., si applica la regola generale di cui all'art. 91 c.p.c. e, pertanto, le spese seguono la soccombenza.

Decisione e sue impugnazioni

Come per le domande tempestive, il giudice delegato, con decreto succintamente motivato, accoglie in tutto o in parte ovvero respinge o dichiara inammissibile la domanda proposta.

Ai sensi del comma 2 dell'art. 96 l.fall., oltre che nei casi previsti dalla legge, i crediti condizionati e quelli indicati all'ultimo comma dell'art. 55 l. fall. (crediti che non possono farsi valere contro il fallito se non previa escussione di un obbligato principale), i crediti che per causa non imputabile al creditore non possono essere documentati (salva la produzione degli stessi nel termine assegnato dal giudice) ed i crediti accertati con sentenza del giudice ordinario o speciale non passata in giudicato, pronunciata prima della dichiarazione di fallimento, sono ammessi al passivo con riserva.

Il giudice delegato forma lo stato passivo e lo rende esecutivo con decreto depositato in cancelleria (anche con modalità telematiche) del quale deve essere data comunicazione ad opera del curatore a tutti i ricorrenti, informandoli del diritto di proporre opposizione ex art. 98 l.fall., in caso di mancato accoglimento della domanda.

Come già precisato da attenta dottrina (S. AMBROSINI – G. CAVALLI – A. JORIO, L'accertamento del passivo, Il fallimento, Padova, 2009, 591), nella comunicazione che il curatore deve inviare, ex art. 97 l.fall., per dare conto delle risultanze del procedimento di verifica, non si fa cenno all'esperibilità della impugnazione di domande ammesse, ma solo alla possibilità di proporre opposizione al passivo in caso di esclusione. Di tutta evidenza la disparità di trattamento che ne deriverebbe ma che sembra potersi addebitare ad una mera dimenticanza del legislatore e, come suggerito, pare ragionevole rimuoverla in via interpretativa.

Ai sensi del primo comma del novellato art. 99 l. fall., le opposizioni al passivo e le impugnazioni dei crediti ammessi si propongono mediante ricorso depositato presso la cancelleria del tribunale fallimentare entro trenta giorni dalla comunicazione dell'esito del procedimento di accertamento dello stato passivo, inviato dal curatore ex art. 97 l. fall.

In caso di revocazione il termine di trenta giorni decorre, invece, dalla scoperta della falsità, del dolo, dell'errore essenziale di fatto o di documenti che non sono stati prodotti tempestivamente per causa non imputabile, per effetto dei quali sono stati emessi provvedimenti di accoglimento o rigetto.

L'art. 98 indica con esattezza quali sono i soggetti legittimati, sia dal lato passivo che da quello attivo, distinguendo di volta in volta a seconda del mezzo di impugnazione. La legittimazione attiva a proporre opposizione allo stato passivo spetta al creditore o al titolare di diritti su beni mobili o immobili che contestino il rigetto o l'accoglimento solo parziale della loro domanda ovvero l'esclusione del privilegio o della prededuzione richiesti ed è avanzata nei confronti del Curatore.

Con l'impugnazione dei crediti ammessi il curatore, il creditore o il titolare di diritti su beni mobili o immobili possono contestare che la domanda di un creditore o di altro concorrente sia stata accolta. Quando il gravame è proposto da un creditore nei confronti di un altro, al procedimento partecipa anche il curatore.

Decorsi i termini per la proposizione della opposizione o della impugnazione, il curatore, il creditore o il titolare di diritti su beni mobili o immobili, possono chiedere che il provvedimento di accoglimento o di rigetto vengano revocati, mediante deposito di ricorso per revocazione “se si scopre che essi sono stati determinati da falsità, dolo, errore essenziale di fatto o dalla mancata conoscenza di documenti decisivi che non sono stati prodotti tempestivamente per causa non imputabile”. La legittimazione passiva spetta al Curatore nel caso in cui sia chiesta la revocazione di un provvedimento di esclusione di un credito, mentre si individua in capo al creditore concorrente in caso di impugnativa di un provvedimento di ammissione (il Curatore partecipa, comunque, al procedimento).

Il termine breve di trenta giorni per la presentazione del ricorso inizia a decorrere, per l'opposizione e l'impugnazione, dalla data di ricezione della comunicazione inviata dal curatore e risulta perciò diverso per ogni creditore. Per la revocazione il dies a quo è individuato, ragionevolmente e conformemente a quanto previso dall'art. 326 c.p.c., nel momento in cui viene scoperto il fatto o il documento.

La dottrina (B. SASSANI – R. TISCINI, L'accertamento del passivo, in judicium) ha rilevato che la nuova disciplina ha confermato quella previgente, a seguito della dichiarazione di incostituzionalità dell'art. 98, “nella parte in cui faceva decorrere il termine per proporre opposizione dalla affissione dello stato passivo, piuttosto che dal momento in cui l'interessato avesse avuto conoscenza dell'emanazione dello stato passivo (rectius, dalla ricezione della raccomandata con avviso di ricevimento con la quale il curatore ha informato i creditori opponenti)”.

Anche se la norma nulla dice circa il termine lungo, esso deve ritenersi operante, in conformità ad un orientamento invalso sotto il previgente regime, nell'ipotesi di eventuale omessa comunicazione ex art. 97 l. fall. da parte del curatore e la sua durata è di sei mesi, decorrenti dal deposito del decreto di esecutività del passivo, come recentemente confermato dalla Suprema Corte (Cass. civ., Sez. I, 5 aprile 2017, n. 8869) la quale ha sancito l'applicabilità in via analogica dell'art. 327 c.p.c. anziché del termine più breve di novanta giorni previsto dall'art. 26, comma 4, l.fall., come paventato da alcuni.

Fa eccezione, in virtù della pronuncia da ultimo citata, l'ipotesi in cui il creditore tardivo che intenda impugnare taluni crediti ammessi, provi la mancata conoscenza della pendenza della procedura concorsuale, nel qual caso, non opera il termine decadenziale di cui all'art. 327 c.p.c. ma può in ogni momento proporsi il mezzo di gravame.

Al secondo comma dell'art. 99 l. fall. riformato, sono precisati i requisiti minimi che deve contenere il ricorso e, nello specifico:

1) l'indicazione del tribunale, del giudice delegato e del fallimento;

2) le generalità dell'impugnante e l'elezione del domicilio nel comune ove ha sede il tribunale che ha dichiarato il fallimento;

3) l'esposizione dei fatti e degli elementi di diritto su cui si basa l'impugnazione e le relative conclusioni;

4) a pena di decadenza, le eccezioni processuali e di merito non rilevabili d'ufficio, nonché l'indicazione specifica dei mezzi di prova di cui il ricorrente intende avvalersi e dei documenti prodotti.

Il Presidente del tribunale, “nei cinque giorni successivi al deposito del ricorso”, designa il giudice relatore, che può essere delegato alla trattazione del procedimento, e fissa con decreto l'udienza di comparizione che deve avere luogo nei sessanta giorni seguenti il deposito del ricorso.

Spetta, poi, al ricorrente il compito di notificare il ricorso ed il decreto di fissazione dell'udienza (non più anche “al fallito” come disciplinato dallo stesso comma dell'art. 99, prima dell'intervento del correttivo, ma) al curatore, entro dieci giorni dalla comunicazione del decreto.

Il quinto comma stabilisce che, tra la data della notificazione e quella fissata per l'udienza di comparizione, deve intercorrere un lasso di tempo non inferiore a trenta giorni, non più necessariamente “liberi”, come disponeva la norma dell'art. 99 l. fall. prima del decreto correttivo.

I commi sesto e settimo di tale ultima disposizione, poi, disciplinano le modalità di costituzione delle parti resistenti e prevedono, a tal proposito, che questa deve avvenire mediante deposito, presso la cancelleria del tribunale fallimentare, di una memoria difensiva almeno dieci giorni prima dell'udienza.

Nella memoria difensiva, come previsto anche in relazione al contenuto del ricorso introduttivo, devono includersi le eccezioni processuali e di merito non rilevabili d'ufficio, a pena di decadenza, oltre che l'indicazione specifica dei mezzi di prova e dei documenti prodotti.

Nello stesso termine e con le stesse modalità previste per la costituzione delle parti resistenti, devono costituirsi gli altri eventuali interessati.

L'art. 99 l. fall., come modificato dal decreto legislativo correttivo, prevede che il collegio (del quale non può far parte il Giudice Delegato) provveda in via definitiva sull'opposizione, impugnazione o revocazione con decreto motivato da adottarsi entro sessanta giorni dall'udienza o dalla scadenza del termine eventualmente assegnato per il deposito di memorie.

Il decreto è comunicato dalla cancelleria alle parti che, nei successivi trenta giorni, possono proporre ricorso per cassazione.

In evidenza: Cass. civ., Sez. I, 5 aprile 2017, n. 8869

L'impugnazione del credito ammesso a favore di un terzo può essere proposta dal creditore tardivo contestualmente alla dichiarazione tardiva del suo credito ove si sia in presenza di situazioni soggettive tra loro in conflitto entro 6 mesi dalla chiusura dello stato passivo, unica eccezione essendo rappresentata dalla non conoscenza del processo fallimentare, della cui prova è onerato il creditore.

In evidenza: Cass. civ., Sez. I, 15 febbraio 2017, n. 4021

A seguito della riforma della legge fallimentare di cui al d.lgs. n. 5 del 2006 ed al d.lgs. n. 169 del 2007, l'art. 118, comma 1, n. 1, l.fall. va interpretato nel senso che il fallimento non può essere chiuso in presenza di domande, tempestive o tardive, che, una volta presentate, siano destinate ad un'utile collocazione.

Riferimenti

Riferimenti Normativi:

  • Art. 101 l.fall.
  • Art. 112 l.fall.
  • Art. 98 l.fall.
  • Art. 99 l.fall.

Giurisprudenza:

  • Cass. Civ., Sez. I, 11 maggio 2016, n. 9618
  • Cass. civ., Sez. I, 10 agosto 2015, n. 16633
  • Cass. civ., Sez. I, 27 marzo 2018, n. 1179
  • Cass. civ., Sez. I, 19 febbraio 2018, n. 3956
  • Cass. civ., Sez. I, 5 aprile 2017, n. 8869
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