La confisca senza condanna nel caso di sentenze di proscioglimento per prescrizione e di confisca urbanistica

Cristina Ingrao
27 Giugno 2018

Il nostro ordinamento conosce diverse forme di confisca. In particolare, alla previsione codicistica di cui all'art. 240 c.p. ha fatto seguito, nel tempo, una proliferazione di ipotesi speciali di confisca tale da far venir meno l'unitarietà dell'istituto. A tal proposito, sempre più spesso si parla di “confische”, piuttosto che di “confisca al singolare” ...
Abstract

Il nostro ordinamento conosce diverse forme di confisca. In particolare, alla previsione codicistica di cui all'art. 240 c.p. ha fatto seguito, nel tempo, una proliferazione di ipotesi speciali di confisca tale da far venir meno l'unitarietà dell'istituto. A tal proposito, sempre più spesso si parla di “confische”, piuttosto che di “confisca al singolare”, perché di unitario tra le diverse forme dell'istituto vi è solo l'effetto ablatorio conseguente all'espropriazione ed all'acquisto di un bene da parte dello Stato.

Particolare interesse suscita la confisca senza condanna, ipotesi che si rinviene nel caso di confisca comminata a fronte di una sentenza di proscioglimento per prescrizione o nel caso della c.d. confisca urbanistica.

La misura di sicurezza patrimoniale ex art. 240 c.p. e le ipotesi speciali di confisca

La confisca definita dall'art. 236 c.p. come misura di sicurezza patrimoniale consiste, in prima approssimazione, nell'espropriazione da parte dello Stato di singoli beni variamente collegati alla commissione di un reato.

La qualificazione giuridica impressa alla confisca ordinaria delinea uno strumento preventivo, mirato a sottrarre al reo la disponibilità di cose che servirono o furono destinate a commettere reato o comunque ne rappresentano il prodotto, il profitto o il prezzo.

Per prodotto deve intendersi il risultato empirico dell'attività criminosa (come, ad esempio, le sostanze alcoliche illecitamente distillate o la moneta falsa ottenuta con il procedimento di contraffazione); le cose che costituiscono il profitto del reato sono state tradizionalmente intese quelle che costituiscono l'utilità economica derivante dall'avvenuto compimento del reato (ad esempio, il denaro ricavato dalla vendita delle cose rubate o le somme di denaro ottenute con l'attività di spaccio di sostanze stupefacenti); il “prezzo” del reato, infine, consiste nelle cose che vennero date per determinare o istigare il delinquente al reato stesso (quali, ad esempio, denaro o altre utilità economiche).

Tale confisca è "generale", nel senso che è applicabile a tutti i reati, ma al contempo ha un oggetto speciale, in quanto applicabile non a tutto il patrimonio del reo indistintamente, ma solo a determinate cose direttamente e variamente collegate alla commissione del reato: gli instrumenta delicti, appunto, le cose che servirono o furono destinate a commettere il delitto.

La confisca ex art. 240 c.p. può essere facoltativa o obbligatoria.

La regola generale è quella dettata dal comma 1 dell'art. 240 c.p., che disciplina la confisca facoltativa. Tale facoltatività implica necessariamente l'esercizio di un potere discrezionale da parte del giudice. Possono essere oggetto di confisca facoltativa le cose che servirono o furono destinate a commettere il reato, i c.d. mezzi di esecuzione del reato, e le cose che ne sono il prodotto o il profitto. Tali cose sono tutte legate al fatto di reato da un nesso teleologico diretto ed essenziale.

La confisca obbligatoria, invece, è prevista dal comma 2 dell'art. 240 c.p., ai sensi del quale è sempre ordinata la confisca delle cose che costituiscono il prezzo del reato e delle cose la cui fabbricazione, uso, porto, detenzione o alienazione costituisce reato, anche se non è stata pronunciata condanna. In tali casi, la pericolosità è presunta, essendo considerata dal legislatore in re ipsa.

Nell'ottica della repressione di fenomenologie delittuose per loro natura produttrici di arricchimento illecito, negli ultimi anni si è realizzato un notevole incremento delle ipotesi di confisca obbligatoria, nel tentativo di affiancare alla pena uno strumento più efficace nell'aggredire il patrimonio del trasgressore. Il riferimento è fra gli altri all'art. 446 c.p. (in materia di sostanze alimentari); all'art. 722 c.p. (in ordine al gioco d'azzardo); all'art. 12 d.lgs. 286/1998 (in tema di reati in materia di immigrazione clandestina) o all'art. 19, comma 1, d.lgs. 231/2001 (in punto di responsabilità degli enti); agli artt. 416-bis, comma 7, e 270 bis, comma 4, c.p. (in materia di associazione di tipo mafioso e per finalità di terrorismo), nonché alle ipotesi previste dall'art. 11 legge 146/2006, in rapporto al reato “transazionale”, e dall'art. 259 d.lgs. 152/2006, in relazione al mezzo di trasporto coinvolto nel traffico illecito di rifiuti.

Anche in materia di stupefacenti, sebbene il d.P.R. 309/1990 non preveda esplicite ipotesi di confisca obbligatoria per i reati di cui agli artt. 73 (produzione, traffico e detenzione illeciti di sostanze stupefacenti) e 74 (associazione finalizzata al traffico illecito di sostanze stupefacenti o psicotrope), è possibile evincere la possibilità di applicare a questi reati la disciplina sulla confisca prevista dall'art. 240 c.p. dalla lettura degli artt. 100 e 101 dello stesso testo unico, che disciplinano la destinazione dei beni sequestrati e confiscati in operazioni antidroga.

Infine, è opportuno ricordare come sia prevista la confisca obbligatoria (art. 600-septies c.p.) dei beni che costituiscono il profitto o il prezzo del reato in caso di condanna o di applicazione della pena ex art. 444 c.p.p. per i delitti di: riduzione in schiavitù (art. 600 c.p.); prostituzione minorile (art. 600-bis c.p.); pornografia minorile (art. 600-ter c.p.); detenzione di materiale pornografico (art. 600-quater c.p.); iniziative turistiche volte allo sfruttamento della prostituzione minorile (art. 600-quinquies c.p.); tratta di persone (art. 601 c.p.); acquisto e alienazione di schiavi (art. 602 c.p.).

Da ultimo occorre segnalare che in forza della legge 12 del 2012, recante misure per il contrasto ai fenomeni di criminalità informatica, è stato aggiunto all'art. 240 c.p. un comma 1-bis, con cui è stata estesa la confisca obbligatoria ai beni informatici utilizzati per la commissione dei reati informatici ed è stata prevista la destinazione di tali beni a particolari esigenze di ordine pubblico.

La confisca per equivalente

A partire dalla metà degli anni ‘90 il Legislatore italiano, anche a seguito di sollecitazioni provenienti da fonti sovranazionali, ha fatto ricorso sempre più frequente a nuove figure di confisca dei proventi da reato (profitto e prezzo) caratterizzate da un importante ampliamento del potenziale oggetto della misura ablativa, il riferimento è alla applicabilità della misura anche nella forma per equivalente. In particolare, nel caso di impossibilità di reperimento dei beni costituenti provento diretto del reato o loro immediato reimpiego, la confisca può colpire somme di denaro, beni o altre utilità di valore equivalente, che si trovino nella disponibilità del reo, in misura proporzionale al prezzo o al profitto del reato.

Su tale forma di misura ablatoria la giurisprudenza ha, poi, precisato che non è necessario provare il nesso di pertinenzialità tra reato e provvedimento ablatorio dei proventi illeciti, che caratterizza, invece, la misura ex art. 240 c.p. Cioè, fermo restando il presupposto della consumazione di un reato, non è più richiesto alcun rapporto tra il reato e i beni da confiscare, potendo essere detti beni diversi dal provento del reato (Cass. pen., Sez. VI, 27 gennaio 2005, n. 11902). Inoltre, costituendo una forma di prelievo pubblico diretto a compensare i proventi illeciti, ha carattere preminentemente sanzionatorio (Cass. pen., Sez. unite, 22 novembre 2005, n. 41936). Infine, richiede, oltre alla ravvisabilità di uno dei reati per i quali è consentita e alla non appartenenza dei beni a un terzo estraneo, che nella sfera giuridico-patrimoniale del responsabile non sia stato rinvenuto, per qualsivoglia ragione, il prezzo o profitto del reato, di cui sia, però, certa l'esistenza (Cass. pen., Sez. V, 6 gennaio 2004, n. 15445).

La confisca per equivalente è stata introdotta, per la prima volta, nel nostro ordinamento, dalla legge 108/1996, con riguardo al reato di usura, di cui all'art. 644 c.p. Altra ipotesi di confisca per equivalente è quella disposta dall'art. 322-ter c.p., rubricato appunto Confisca, come conseguenza della commissione di alcuni delitti contro la pubblica amministrazione.

Confisca senza condanna nel caso di sentenze di proscioglimento per prescrizione

Ci si è chiesti se la confisca del prezzo del reato possa essere disposta in caso di estinzione del reato. La questione è stata oggetto di un vivace dibattito, tant'è che sul punto si riscontrano più interventi delle Sezioni unite.

In particolare, con una prima sentenza (Cass. pen., Sez. unite, 15 ottobre 2008, n. 38834), la Suprema Corte aveva escluso che la confisca delle cose che costituiscono il prezzo del reato, prevista obbligatoriamente dall'art. 240, comma 2, c.p. potesse essere disposta nel caso di estinzione del reato. Ciò in quanto l'avverbio sempre, con cui si apre il comma 2 dell'art. 240 c.p., secondo quella pronuncia della Cassazione, è diretto solo a rendere obbligatoria, a differenza di quanto previsto dal comma 1, una confisca che altrimenti sarebbe stata facoltativa, non a riconoscere la possibilità di far luogo alla confisca anche nel caso di estinzione del reato. Inoltre, solo per i casi di cui al n. 2 del comma 2 dell'art. 240 c.p. l'obbligatorietà è destinata ad operare anche in assenza di sentenza di condanna, come espressamente previsto dal testo della norma.

Di recente, però, le Sezioni unite sono nuovamente intervenute in materia, con la sentenza del 21 luglio 2015, n. 31617, mutando il proprio orientamento. In tale pronuncia la Suprema Corte fissa degli importanti principi di diritto, fra cui quello concernente l'ammissibilità del provvedimento ablatorio, nei casi in cui sia prescritto obbligatoriamente dalla legge, mediante la sentenza che dispone non doversi procedere a fronte dell'intervenuta prescrizione del reato. Sul punto si afferma che il Gup, ex art. 425 c.p., nel dichiarare l'estinzione del reato per intervenuta prescrizione, può disporre, exart. 240, comma 2, n. 1, c.p., la confisca del prezzo e, exart. 322-ter c.p., la confisca diretta del prezzo o del profitto del reato, a condizione che vi sia stata una precedente pronuncia di condanna e che l'accertamento relativo alla sussistenza del reato, alla penale responsabilità dell'imputato e alla qualificazione del bene da confiscare come prezzo o profitto rimanga inalterato nel merito nei successivi gradi di giudizio.

(Segue). La posizione della Corte di cassazione in una recente sentenza a sezioni semplici

La questione dell'ammissibilità della confisca in caso di sentenza di proscioglimento per intervenuta prescrizione del reato è stata recentemente affrontata dalla Suprema Corte, a sezioni semplici (Cass. pen., Sez. II, 5 aprile 2018, n. 17723); in tale occasione è stata ribadita tale possibilità, in conformità con quanto statuito dalle Sezioni unite nel 2015.

Il caso, in particolare, traeva origine da una sentenza del Gip del tribunale di Padova che dichiarava non luogo a provvedere per estinzione dei reati per prescrizione e contestualmente disponeva la confisca di alcuni beni dell'imputato.

Avverso detta sentenza proponeva impugnazione la difesa dell'imputato, lamentando violazione di legge e difetto di motivazione in relazione alla disposta confisca. Sul punto deduceva che la sentenza emessa non consentiva l'applicazione della misura di sicurezza disposta.

La Suprema Corte ritiene fondato il ricorso.

In particolare, nella motivazione si richiama la citata sentenza delle Sezioni unite del luglio del 2015, che ha affermato che il giudice, nel dichiarare l'estinzione del reato per intervenuta prescrizione, può disporre, exart. 240, comma 2, n. 1, c.p., la confisca del prezzo e, ex art. 322-ter c.p., la confisca diretta del prezzo o del profitto del reato, a condizione che vi sia stata una precedente pronuncia di condanna e che l'accertamento relativo alla sussistenza del reato, alla penale responsabilità dell'imputato e alla qualificazione del bene da confiscare come prezzo o profitto rimanga inalterato nel merito nei successivi gradi di giudizio (Cass. pen., Sez. unite, 26 luglio 2015,n. 31617).

Nella motivazione si legge che l'attrazione, accanto al prezzo, anche del profitto del reato, all'interno di un nucleo unitario di finalità ripristinatoria dello status quo ante, si spiega secondo la prospettiva diretta a sterilizzare, in funzione preventiva, tutte le utilità che il reato, a prescindere dalle relative forme e dal relativo titolo, può aver prodotto in capo al suo autore.

Orbene, tale orientamento deve essere coordinato con quanto disposto dall'art. 425, comma 4, c.p.p., rubricato Sentenza di non luogo a procedere, da cui emerge la possibilità per il Gup di emettere la sentenza di non luogo a procedere pur accompagnata dalla confisca. Tuttavia, l'orientamento in precedenza esposto impone di ritenere che presupposto della confisca del profitto del reato in caso di declaratoria di prescrizione deve essere sempre un accertamento di condanna, e, perciò, deve essere escluso che la misura di sicurezza patrimoniale possa essere disposta con la sentenza di non luogo a procedere (ex art. 425 c.p.p.) che dichiari l'estinzione del reato senza una adeguata motivazione che accerti la responsabilità dell'imputato per il fatto contestato nei termine di una pronuncia di condanna.

Alla luce di quanto esposto, secondo la Suprema Corte, deve, pertanto, essere affermato che il giudice che dichiari il non luogo a procedere per prescrizione può disporre la confisca solo quando accerti, anche incidentalmente, la responsabilità dell'imputato e la derivazione del bene, oggetto materiale del provvedimento di ablazione, da quella condotta illecita non più punibile per decorso del tempo. Circostanza che non si era verificata nel caso sottoposto alla sua attenzione.

Un'altra ipotesi di confisca senza condanna: la c.d. confisca urbanistica

Il nostro ordinamento prevede, accanto alla confisca disposta in presenza di sentenza di assoluzione per intervenuta prescrizione, un'altra ipotesi di confisca senza condanna: la c.d. confisca urbanistica. Essa è prevista dall'art. 44, comma 2, del testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia edilizia (d.P.R. 380/2001), in forza del quale «la sentenza definitiva del giudice penale che accerta che vi è stata lottizzazione abusiva, dispone la confisca dei terreni abusivamente lottizzati e delle opere abusivamente costruite. Per effetto della confisca i terreni sono acquisiti di diritto e gratuitamente al patrimonio del Comune nel cui territorio è avvenuta la lottizzazione. La sentenza definitiva è titolo per la immediata trascrizione nei registri immobiliari».

Si tratta di una figura ablativa speciale, da sempre oggetto di un vivace dibattito.

Per lungo tempo questa confisca è stata disposta, con il benestare della giurisprudenza di legittimità, oltre che in caso di condanna, anche in caso di proscioglimento e di mancato accertamento di responsabilità. Questa applicazione della norma si fondava sul dato testuale, che sembrava riferirsi solo ad una sentenza di accertamento dell'abusiva lottizzazione, senza richiedere necessariamente la forma della condanna. Si affermava che l'assenza di un accertamento di responsabilità non era impeditiva, tenuto conto della natura di sanzione amministrativa di carattere reale della misura, essendo, come chiarito, applicabile obbligatoriamente in caso di accertata lottizzazione abusiva, e, pertanto, non solo a seguito di condanna per il reatosuddetto, ma anche in ipotesi di assoluzione o proscioglimento per motivi diversi dall'insussistenza del fatto, quali l'estinzione del reato per prescrizione o amnistia, o anche l'assenza di elemento soggettivo.

In materia di confisca urbanistica è intervenuta anche la Corte Edu, la quale, con la sentenza 20 gennaio 2009, Sud Fondi c. Italia, ha avuto il merito di avere richiesto per la confisca urbanistica l'accertamento, oltre che della lottizzazione abusiva, anche della colpevolezza del suo autore.

La Corte di Strasburgo, in particolare, ha escluso che alla confisca urbanistica possa riconoscersi natura amministrativa, ciò in quanto la sanzione prevista dall'art. 19 della legge 47 del 1985 (oggi art. 44 T.U. edilizia) non ha come obiettivo il risarcimento pecuniario di un pregiudizio, ma mira essenzialmente a punire, per impedire la reiterazione delle violazioni di disposizioni previste dalla legge. Per la Corte tale misura è sanzione penale, in quanto si presenta al contempo preventiva e repressiva, e la compresenza di entrambe le finalità è caratteristica distintiva delle sanzioni penali. Inoltre, la Corte, nel delineare tale qualificazione, valorizza l'indice della gravità della sanzione e la rubrica Sanzioni penali dell'art. 44 T.U. edilizia, che disciplina oggi detto istituto.

Alla luce delle considerazioni svolte dalla Corte, pertanto, la confisca urbanistica, in quanto “pena”, va assoggettata al regime garantista dell'art. 7 Cedu, il quale «esige, per punire, un legame di natura intellettuale (coscienza e volontà) che permetta di rilevare un elemento di responsabilità nella condotta dell'autore materiale del reato».

Con la pronuncia in esame, la Corte sovranazionale consolida il proprio orientamento funzionalista, in relazione alla ricostruzione dell'essenza di un provvedimento sanzionatorio in senso lato, secondo cui «natura e scopo della sanzione indicano il discrimen sostanziale tra misure eventualmente punitive e misure esclusivamente preventive».

Le statuizioni della Corte di Strasburgo, nella giurisprudenza interna, hanno condotto alla rimessione di una questione di legittimità costituzionale dell'art. 44, comma 2, citato, in quanto, una volta riconosciuta la natura penale della confisca urbanistica, secondo l'interpretazione fornita dalla Corte Edu, appariva di dubbia legittimità costituzionale che essa potesse essere disposta a prescindere da un giudizio di responsabilità e nei confronti di terzi estranei al reato, in contrasto con i principi di uguaglianza, riserva penale di legge e di personalità della responsabilità penale. Tuttavia, con la sentenza 239 del 2009, la Consulta, dichiarando inammissibile la questione, ha sposato l'orientamento affermato dalla Corte Edu ed ha invitato i giudici nazionali a fornire una interpretazione adeguatrice dell'art. 44, comma 2, T.U. edilizia, in modo da renderlo compatibile con la giurisprudenza della Corte di Strasburgo.

L'invito è stato accolto dalla Suprema Corte, che ha modificato il proprio precedente orientamento, affermando la possibilità di disporre la confisca dei terreni abusivamente lottizzati e delle opere abusivamente costruite, anche in presenza di una causa estintiva del reato, nel caso in cui, però, sia accertata la sussistenza del reato sotto il profilo sia oggettivo, che soggettivo, e nell'ambito di un giudizio che garantisca il contraddittorio tra le parti (Cass. pen.,Sez. III, 4 febbraio 2013, n. 17066).

La necessità di un accertamento di responsabilità è stata poi ribadita dalla Corte Edu con la successiva sentenza Varvara c. Italia, del 29 settembre 2013. In quell'occasione la Corte si è trovata a giudicare un caso di confisca urbanistica applicata in sede di declaratoria di estinzione del reato per prescrizione.

I giudici europei hanno ritenuto nuovamente violato l'art. 7 Cedu e disattesi i principi affermati nella precedente sentenza Sud Fondi c. Italia, mancando, nel caso di specie, un accertamento di responsabilità. Tuttavia, dalla motivazione non emergeva chiaramente se la Corte Edu considerasse sufficiente un accertamento di responsabilità o richiedesse una sentenza di condanna. La risoluzione di tale dubbio non era priva di conseguenze, in quanto, nel caso in cui fosse stata richiesta una sentenza di condanna, al giudice che pronuncia un proscioglimento per prescrizione non sarebbe stato consentito di disporre la confisca della lottizzazione abusiva.

Gli interpreti hanno ritenuto che la sentenza Varvara debba essere interpretata nel senso che fosse necessaria una condanna. Sulla base di questo presupposto, sono state sollevate due questioni di legittimità costituzionale dell'art. 44, comma 2, d.P.R. n. 380/2001, che, però, la Consulta, con la sentenza 49/2015, ha dichiarato inammissibili per varie ragioni, tra le quali spicca quella relativa all'erroneità del presupposto interpretativo.

Il giudice delle leggi, in particolare, ha osservato che la sentenza della Corte Edu va letta nel senso che la confisca urbanistica non esige una sentenza di condanna da parte del giudice penale, posto che il rispetto delle garanzie previste dalla Convenzione richiede solo un pieno accertamento della responsabilità personale di chi è soggetto alla misura ablativa, e che i canoni dell'interpretazione costituzionalmente e convenzionalmente conforme avrebbero dovuto orientare il giudice a quo verso tale soluzione. Di qui la ritenuta erroneità del presupposto interpretativo dal quale avevano preso le mosse le questioni di legittimità costituzionale.

Esigere la condanna penale per l'applicazione di una sanzione di carattere amministrativo (quale la confisca urbanistica), per quanto assistita dalle garanzie della “pena”, ex art. 7 Cedu, avrebbe determinato, secondo la Corte costituzionale, l'integrale assorbimento della misura nell'ambito del diritto penale, e, dunque, una soluzione di dubbia compatibilità con il principio di sussidiarietà, per il quale la criminalizzazione, rappresentando l'estrema ratio, deve intervenire solo quando, da altri rami dell'ordinamento, non venga offerta adeguata tutela ai beni da garantire (Corte costituzionale, sentenza n. 49 del 2015).

Ai fini dell'osservanza della Cedu dovrebbe rilevare, più che la forma della pronuncia con cui è applicata una misura sanzionatoria, la pienezza dell'accertamento di responsabilità. Posto che tale accertamento è compatibile con una pronuncia di proscioglimento per estinzione del reato per prescrizione, i giudici rimettenti, a parere della Consulta, avevano sollevato le questioni di legittimità costituzionale sulla base di un presupposto erroneo, relativo al significato da attribuire alla sentenza Varvara.

Osservazioni

Alla luce di quanto esposto emerge come la confisca sia ormai un istituto proteiforme ed eclettico e, proprio per tale ragione, sia fucina di interrogativi e questioni che la giurisprudenza e la dottrina sono costantemente chiamate a risolvere. Le principali problematicità derivano dalle evoluzioni che ha subito nel tempo, tanto che oggi, come accennato, sempre più spesso si parla di “confische” al plurale, piuttosto che di “confisca” al singolare, ma è proprio la sua capacità di mutamento che la rende uno strumento moderno e capace di rispondere alle istanze avanzate dall'ordinamento di uno Stato moderno.

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