Terrorismo “domestico”: i problemi interpretativi connessi all'aggravante della finalità terroristica

Ferdinando Brizzi
28 Giugno 2018

Quanti si siano recentemente occupati del fenomeno terroristico hanno potuto constatare come l'attenzione della giurisprudenza e dottrina sia stata attirata soprattutto dalle vicende delle cellule islamiche operanti in Italia che si richiamano all'Isis: si è così “accantonata” l'attenzione al terrorismo “domestico”, tutt'ora attivo ed estremamente pericoloso.
Abstract

Quanti si siano recentemente occupati del fenomeno terroristico hanno potuto constatare come l'attenzione della giurisprudenza e dottrina sia stata attirata soprattutto dalle vicende delle cellule islamiche operanti in Italia che si richiamano all'Isis: si è così “accantonata” l'attenzione al terrorismo “domestico”, tutt'ora attivo ed estremamente pericoloso.

Ad avviso chi scrive la risposta dell'ordinamento giuridico mostra alcuni profili di incoerenza: ciò emerge con palmare evidenza dalla lettura di una recente sentenza del Supremo Collegio, alquanto prudente nell'applicazione dell'aggravante della finalità di terrorismo.

Si tratta di Cass. pen. Sez. I, 28 giugno 2017 (dep. 14 febbraio 2018), n. 7203.

Gli imputati erano tratti a giudizio per rispondere (tutti) del delitto di cui all'art. 112, n. 1 c.p., art. 270-bis, commi 1 e 2, c.p., e art. 1 d.l. 625/1979 per costituzione, organizzazione e comunque partecipazione ad associazione sovversiva di ispirazione anarco-insurrezionalista, caratterizzata da doppio livello e con finalità di terrorismo ed eversione dell'ordine democratico (capo A); uno solo degli imputati, del delitto di cui all'art. 624 c.p., art. 625 nn. 2 e 5, c.p., art. 61 n. 2, c.p., e art. 1 d.l. 625 del 1979, (capo B); due imputati, del delitto di cui all'art. 81 cpv. c.p., art. 110 c.p., art. 432 n. 1 c.p., art. 4, l. 110 del 1975, per avere, in concorso fra loro e perseguendo finalità di terrorismo ed eversione dell'ordine democratico, al fine di commettere il reato di cui al capo A), attentato alla sicurezza dei trasporti pubblici ponendo in essere atti idonei diretti a sabotare una linea ferroviaria, con l'utilizzo di ganci in ferro di fabbricazione artigianale, seguendo fedelmente le modalità illustrate in un manuale anarco-insurrezionalista, da collocare sui fili elettrici della linea ferroviaria (capo C); altri imputati del delitto di cui all'art. 81 cpv. c.p., art. 110 c.p., art. 112,n. 1, c.p., art. 302 c.p. e art. 1, d.l. 625 del 1979, per avere, in concorso fra loro e perseguendo finalità di terrorismo ed eversione dell'ordine democratico, al fine di commettere il reato di cui al capo A), elaborato, redatto e comunque divulgato un manifesto clandestino, nel cui testo erano espressi concetti in cui si istigava alla commissione di delitti non colposi contro la personalità dello Stato, al fine di sovvertire, con la violenza, il suo ordinamento politico, economico e sociale, (capo D).

Il terrorismo di matrice anarchica

Entrambi i giudici di merito hanno assolto tutti gli imputati dall'accusa più grave, ossia quella di associazione con finalità di terrorismo ed eversione dell'ordine democratico, di cui all'art. 270-bis c.p.: la Corte territoriale ha condiviso l'analisi del materiale probatorio già compiuta in primo grado, dal momento che le emergenze istruttorie avevano confermato l'esistenza di costanti contatti tra gli imputati e anche altri soggetti ma questi erano risultati non tali da dimostrare un comune intento criminoso.

È emersa una rete di contatti tra soggetti che organizzavano manifestazioni, dibattiti, studi, librerie anarchiche e che si accordavano per partecipare a manifestazioni: attività che si collocavano, tutte, nell'ottica di una pubblica, e lecita, attività di proselitismo e divulgazione dell'ideologia anarchica.

La sentenza di appello ha sottolineato che il compiuto accertamento dei due episodi criminosi rubricati sub C) e D) non poteva essere considerata, se non a livello di ipotesi investigativa restata priva di riscontri, quale emersione, parziale, di reati-fine saldati da una unitaria strategia criminosa, atteso che si era trattato di condotte autonome poste in essere, fra l'altro, da due distinti gruppi criminali, senza la dimostrazione di un coordinamento tra loro.

Inoltre, per la Corte di assise di appello non è stata provata l'esistenza di un programma comune elaborato e condiviso dagli appartenenti ai due diversi livelli dell'organizzazione prospettati come creati (in attuazione della teoria di Alfredo Maria Bonanno), certo non bastando al riguardo il contenuto del manifesto oggetto del reato sub D), e nemmeno è stata dimostrata l'esistenza di gestori della propaganda, di fonti di finanziamento e di “gruppi di affinità” tali da recepire il programma e da metterlo in pratica: in definitiva, è mancata la prova di un'organizzazione con ruoli ben definiti finalizzata a mettere in atto un programma criminoso; organizzazione effettivamente enucleata in alcune pronunzie emesse in fase cautelare con riferimento alla Federazione Anarchica Informale ma nell'ambito del giudizio all'attenzione dei giudici di merito non suffragata, all'esito del pieno contraddittorio, da riscontri adeguati.

La circostanza aggravante di cui all'art. 1 d.l. 625/1979

A fronte dell'assoluzione rispetto al reato associativo, viceversa quanto al reato di attentato per la sicurezza dei trasporti di cui all'art. 432 c.p., aggravato dalla finalità di terrorismo ed eversione dell'ordine democratico, era intervenuta condanna in secondo grado a seguito di ricorso del pubblico ministero.

I giudici di legittimità, nell'affrontare i specifici ricorsi sul punto, hanno premesso la valutazione della ricorrenza, o meno, della circostanza aggravante, in quanto l'esclusione di essa avrebbe determinato la decisiva constatazione che era maturato, prima della decisione, il termine massimo di prescrizione del reato in esame.

La circostanza aggravante di cui si tratta è stata introdotta dall'art. 1 d.l. 625/1979, conv. l. 15/1980 (con successive modifiche, ultima fra le quali quella apportata dall'art. 4 l. 34/2003), secondo cui «per i reati commessi per finalità di terrorismo o di eversione dell'ordine democratico, punibili con pena diversa dall'ergastolo, la pena è sempre aumentata della metà, salvo che la circostanza sia elemento costitutivo del reato».

L'interpretazione di tale disposto ha consentito di puntualizzare che la circostanza aggravante della finalità di terrorismo e di eversione dell'ordine democratico può inerire a qualunque condotta illecita, sempre che il fine perseguito dall'agente sia quello di destare panico nella popolazione, senza che essa debba ritenersi collegata all'appartenenza dell'agente ad associazione sovversiva, dovendo invece riscontrarsi per la sua sussistenza l'accertamento che il reato sia strumentalmente rivolto a perseguire la conservazione dei fini di terrorismo o di eversione.

Essa è stata, dunque, originariamente riconnessa a una particolare connotazione del dolo e, quindi, non può dissociarsi dalla specifica finalità perseguita dall'autore del reato, anche quando l'illecito penale, nella sua struttura fisiologica, non esprime il pericolo dell'eversione dell'ordine democratico, né un'ontologica e naturale propensione a suscitare terrore tra le persone (Cass. pen., Sez. I, 2 marzo 2006, n. 10283, Lioce, nell'ambito delle affermazioni già svolte da Cass. pen., Sez. unite, 23 novembre 1995, n. 2110, Fachini).

Si è anche specificato che la nozione di eversione dell'ordine democratico va riferita all'ordinamento costituzionale, ossia a quei principi fondamentali che formano il nucleo intangibile destinato a contrassegnare la specie di organizzazione statale, secondo la Costituzione, per cui essa non può essere limitata al solo concetto di azione politica violenta, ma deve necessariamente identificarsi nel sovvertimento dell'assetto costituzionale esistente, o anche nell'uso di ogni mezzo di lotta politica che tenda a rovesciare il sistema democratico previsto dalla Costituzione nella disarticolazione delle strutture dello Stato, oppure ancora nella deviazione dai principi fondamentali che lo governano (Cass. pen., Sez. II, 17 settembre 2008, n. 39504, Morobianco).

(Segue). La circostanza aggravante di cui all'art. 270-sexies c.p.

Tuttavia, la tematica in discorso deve essere affrontata anche con riferimento al disposto dell'art. 270-sexies c.p., disposizione (introdotta dall'art. 15, comma 1, d.l. 144/2005 conv. l. 155/2005) che, rubricata con riferimento alle condotte con finalità di terrorismo stabilisce che «sono considerate con finalità di terrorismo le condotte che, per la loro natura o contesto, possono arrecare grave danno a un Paese o a un'organizzazione internazionale e sono compiute allo scopo di intimidire la popolazione o costringere i poteri pubblici o un'organizzazione internazionale a compiere o astenersi dal compiere un qualsiasi atto o destabilizzare o distruggere le strutture politiche fondamentali, costituzionali, economiche e sociali di un Paese o di un'organizzazione internazionale, nonché le altre condotte definite terroristiche o commesse con finalità di terrorismo da convenzioni o altre norme di diritto internazionale vincolanti per l'Italia».

Sulla base di tale specifica disciplina, tesa a qualificare la finalità di terrorismo, si è ritenuto, con riferimento ad esempio al reato di cui all'art. 280 c.p., che per la configurabilità del delitto di attentato per finalità terroristiche o di eversione sanzionato dalla norma incriminatrice ora citata è necessario che la condotta di chi attenta alla vita o alla incolumità di una persona, finalizzata al terrorismo secondo le definizioni di cui all'art. 270-sexies c.p., possa – per natura o contesto – arrecare grave danno al Paese ovvero che la stessa, tenuto conto del contesto oggettivo e soggettivo in cui si inserisce, sia volta alla sostanziale deviazione dai principi che regolano l'essenza della vita democratica (Cass. pen., Sez. VI, 30 aprile 2015, n. 34782, Gai).

(Segue). Rapporti tra la circostanza aggravante di cui all'art. 1 d.l. 625/1979 e l'art. 270-sexies c.p.
La sopravvenienza costituita dall'art. 270-sexies c.p. ha, in definitiva, inciso sulla portata applicativa della circostanza aggravante di cui al d.l. 625/1979, richiedendo per la relativa integrazione, non soltanto il profilo dell'intenzione terroristica ma anche e necessariamente l'idoneità della condotta allo – divisato in thesiscopo di intimidire la popolazione oppure di ingenerare effetti riflessi nell'ordinamento istituzionale o a esporre a pericolo le strutture di un Paese o di un organismo internazionale.

Quindi l'idoneità a produrre l'effetto di intimidazione della popolazione o gli altri succitati effetti concorre all'integrazione del profilo strutturale della fattispecie (sull'argomento, in motivazione, Cass. pen., n. 29480/2011, Farris; pone l'accento, in altro ambito, ossia per l'integrazione della fattispecie di cui all'art. 270-bis c.p., sulla primaria rilevanza, nonostante la formulazione letterale della norma, non dello scopo che caratterizza l'associazione, bensì della modalità adottata per realizzare la finalità eversiva che la stessa si prefigge, vale a dire il proposito di intimidire indiscriminatamente la popolazione, l'intenzione di esercitare costrizione sui pubblici poteri, la volontà di distruggere, o quantomeno di destabilizzare, gli assetti istituzionali nel Paese, Cass. pen., Sez. V, 23 febbraio 2012, n. 12252, Bortolato; ancora con riguardo al discrimen tra le fattispecie di cui all'art. 270 c.p. e di cui all'art. 270-bis c.p. costituito dalla natura della violenza utilizzata per perseguire il fine per il quale l'associazione sia costituita, sussistendo la violenza generica nell'associazione ex art. 270 c.p. e la violenza terroristica in quella ex art. 270-bis c.p., Cass. pen., Sez. V, 4 luglio 2013, n. 46340, S.S.M., ha ribadito che il terrorismo, ancorché qualificato come finalità dall'art. 270-bis c.p., non costituisce, in genere, un obiettivo ma un mezzo o una strategia che si caratterizza per l'uso indiscriminato della violenza, non solo perché accetta gli effetti collaterali della violenza diretta ma anche perché essa può essere rivolta in incertam personam, allo scopo di generare panico, terrore, insicurezza e costringere chi ha il potere di prendere decisioni a fare o tollerare soluzioni che non avrebbe accettato in condizioni normali).

Per converso, una volta che i suddetti effetti ricorrano come esito della condotta, la circostanza aggravante della finalità di terrorismo o di eversione dell'ordinamento costituzionale è configurabile anche se si connette con azioni dimostrative e non necessariamente cruente (Cass. pen., Sez. I, 11 febbraio 2001, n. 8069, Fadda).

In modo corrispondente, pur se concettualmente distinto, è anche da specificare che la circostanza aggravante dell'eversione dell'ordine democratico non può identificarsi nel concetto di una qualsiasi azione politica violenta, non potendo essa, d'altro canto, rappresentare un'endiadi della finalità di terrorismo ma va necessariamente identificata nel sovvertimento del basilare assetto istituzionale e nello sconvolgimento del suo funzionamento, ovvero nell'uso di ogni mezzo di lotta politica - caratterizzato o meno dall'uso della tradizionale violenza - che sia in grado di rovesciare il sistema democratico previsto dalla Carta costituzionale, destabilizzando i pubblici poteri e minando le comuni regole di civile convivenza, sul piano strutturale e funzionale, anche qui con la rilevante precisazione che la finalizzazione dell'azione verso l'obiettivo eversivo risulti perseguita con mezzi oggettivamente idonei a mettere in pericolo la vita della democrazia e a ledere l'effettiva vigenza dei suoi principi (in questo senso, in particolare, Cass. pen., Sez. V, 13 marzo 2012, n. 25428, Bonetti).

(Segue). La critica alla sentenza di merito

Sulla scorta di tali premesse, nella sentenza che si commenta si è affermato che la contestata circostanza aggravante, per essere comprovatamente sussistente, avrebbe dovuto essere ancorata a una condotta caratterizzata, anche per modalità attuative, dalla percepibile finalizzazione al terrorismo, ossia palesarsi come tale da poter arrecare, per la natura dell'azione e/o per il contesto in cui essa si inscriveva, grave danno al Paese, ovvero essere volta, sempre considerato il contesto oggettivo e soggettivo in cui si inseriva, alla sostanziale deviazione eversiva dai principi regolatori dell'essenza della vita democratica.

Secondo i giudici di legittimità, la conclusione raggiunta sul punto dalla Corte di assise di appello, essendosi basata sulla, data per presupposta, strumentalità del reato di cui all'art. 432 c.p. al perseguimento della finalità di terrorismo o di eversione, non ha fornito dimostrazione effettiva e coerente dell'avvenuto riscontro, anche in relazione alla natura dell'azione, alle modalità adottate dagli agenti ed al contesto in cui la loro condotta si è inscritta, degli elementi costitutivi della circostanza aggravante: le obiettive connotazioni e modalità del reato ascritto ai due ricorrenti non si profilavano tali da poter ordinariamente determinare – quand'anche l'attentato fosse arrivato alle volute conseguenze pregiudizievoli per la linea ferroviaria – il percepibile effetto di inverare lo scopo di intimidazione della popolazione, oppure di ingenerare conseguenze eversive dell'ordinamento democratico interno o di esporre a pericolo le strutture istituzionali del Paese.

Orbene, in questo quadro, si legge nella sentenza, deve concludersi che il danno alla linea ferroviaria divisato dagli autori del delitto sarebbe stato verosimilmente effettivo «ma nei limiti di quanto descritto nella sentenza impugnata» e, in carenza di ulteriori approfondimenti fattuali, «non risulta che esso avrebbe potuto essere percepito come idoneo a perseguire l'effetto intimidatorio della collettività o determinatore di fattori eversivi dell'ordinamento democratico o di una situazione di messa in pericolo delle strutture istituzionali del Paese».

Pertanto, nella situazione data, la circostanza aggravante ad effetto speciale di cui all'art. 1 d.l. 625/1979 è stata esclusa con conseguente declaratoria di prescrizione del reato di cui all'art. 432 c.p.

La condotta istigatoria: la sentenza impugnata

Viceversa, la sentenza di merito è stata confermata quanto al capo D) per avere i giudici di appello, in riforma della sentenza di primo grado, a seguito di ricorso del pubblico ministero, analizzato in modo specifico e logicamente coerente il contenuto del manifesto, con partita descrizione dei vari articoli e del rispettivo contenuto, sottolineando che esso costituiva un documento da prendere in considerazione nel suo insieme, quale fonte unitaria di ispirazione di lotta violenta e armata, indirizzato ai militanti anarchici.

A chiarificazione del metro di valutazione adottato, la Corte di merito ha precisato che la mera redazione di un testo dal contenuto istigatore non veniva reputata adeguata a costituire condotta idonea a integrare il reato di istigazione ma occorreva il susseguente concorso dell'attività di divulgazione: quid pluris che è stato ritenuto specificamente sussistente per gli imputati, due dei quali anche autori dell'assemblaggio e uno di essi, comunque, distributore del manifesto di cui aveva avuto la materiale disponibilità e la conoscenza dell'intero contenuto.

Circa l'illiceità penale di tale contenuto, poi, è stato specificato che la sua prima pagina aveva una concreta capacità di provocare immediati fatti delittuosi o, quanto meno, determinava la probabilità che essi venissero commessi: secondo la compiuta analisi svolta dalla sentenza impugnata, l'esaltazione del pregresso cammino di violenza era evidentemente svolta in funzione della sua prosecuzione.

Sotto il profilo qualificatorio, la sentenza impugnata ha affermato che nella condotta contestata ed accertata risulta integrata la fattispecie delittuosa di cui all'art. 414, ult. comma, c.p., non il delitto di cui all'art. 302 c.p., oggetto di contestazione, giacché l'istigazione era stata rivolta ad una pluralità indeterminata di persone, non a taluna, specifica persona: sicché, una volta abrogato l'art. 303 c.p. ed introdotto il suddetto comma nell'art. 414 c.p., in virtù della l. 155/2005, la condotta serbata dagli imputati aveva integrato il delitto previsto e punito da quest'ultima norma.

(Segue). I rapporti tra artt. 302 e 414 c.p.

Secondo i giudici di legittimità, questa prospettazione fa leva soprattutto sulla diversità dei destinatari dell'istigazione, in quanto l'art. 302 c.p. esige l'individuazione da parte dell'autore dei soggetti a cui rivolgere l'istigazione privata, mentre l'art. 414 c.p. prevede che l'istigazione avvenga in luogo pubblico o aperto al pubblico e debba rivolgersi nei confronti di un numero indeterminato di persone.

In realtà, la configurazione del fatto originario, al di là dell'“etichetta” giuridica privilegiata dall'originaria imputazione, si è caratterizzata per il suo carattere abbastanza lato e generale: l'accusa è stata di avere elaborato, redatto e divulgato il manifesto clandestino dal titolo “Foglio anarchico rivoluzionario 0 Numero 0”, con la contestazione che nel testo dello scritto in questione erano espressi concetti in cui si istigava alla commissione di delitti non colposi contro la personalità internazionale ed interna dello Stato, al fine di sovvertirne l'ordinamento politico, economico e sociale attraverso la pratica della violenza. L'ampiezza dell'imputazione è stata ritenuta tale da sorreggere senz'altro la contestazione di cui all'art. 414 c.p., attagliandosi, l'articolazione del libello accusatorio, al fatto dell'istigazione rivolta ad un numero indeterminato di persone.

Come, d'altronde, si evince dal rapporto evidenziato dall'art. 414, ult. comma, c.p. («Fuori dei casi di cui all'art. 302, se l'istigazione o l'apologia di cui ai commi precedenti riguarda delitti di terrorismo o crimini contro l'umanità la pena è aumentata della metà [...]»), la fondamentale differenza fra le due fattispecie incriminatrici, riguardate per il profilo fattuale dell'istigazione, è che il connotato peculiare dell'istigazione a commettere uno dei delitti contro la personalità internazionale o la personalità interna dello Stato di cui all'art. 302 c.p. consiste nel fatto che l'istigazione deve essere rivolta verso una o più persone determinate, mentre l'istigazione a delinquere di cui all'art. 414 c.p., oltre ad avere un oggetto più ampio, ossia uno, dei delitti categorizzati al suo comma 1, nn. 1 e 2, deve caratterizzarsi per il carattere pubblico (pubblicamente) della condotta istigatrice.

Posto ciò, i giudici di legittimità hanno constatato che l'approdo raggiunto dalla Corte territoriale – in base a cui il capo di imputazione articolato fin dall'avvio del processo, al di là del richiamo normativo, risultava strutturato in modo tale da ricomprendere anche gli elementi costitutivi della fattispecie di cui all'art. 414 c.p. – si è profilato correttamente motivato e non contrastato dalla disamina del succitato atto di accusa, così da rendere nota e senz'altro prevedibile per gli imputati la diversa qualificazione, senza lesione alcuna dei loro diritti.

Nell'imputazione risultano, in particolare, indicati come oggetto della condotta censurata le attività di elaborazione, redazione e divulgazione dello stampato di cui si tratta: ossia tutte le attività in concreto risultate messe in essere, nei termini inoppugnabilmente accertati dalla Corte di merito, a rispettivo carico degli imputati.

Il carattere pubblico della contestata istigazione risulta pienamente affermato nel capo di accusa, con riferimento alla divulgazione di uno stampato in plurimi esemplari, pur definito manifesto clandestino.

La pubblicazione, poi, è stata indicata come strumento di istigazione tout court, senza alcuna limitazione (al contenuto degli articoli, con esclusione della prima facciata) nel senso prospettato dai ricorrenti (i quali apoditticamente hanno sostenuto che la contestazione individuasse il contenuto istigatore solo nel testo degli articoli, non nei frammenti degli articoli di giornale formanti un collage): è stata, piuttosto, diversa l'interconnessione fra le parti del manifesto valorizzata dai giudici di secondo grado, rispetto all'impostazione, invece concentrata sugli articoli, privilegiata dai giudici di primo grado.

Ma tale differente inquadramento è stato ritenuto afferire al ragionamento probatorio, alle conseguenti implicazioni valutative e alla verifica di merito della fattispecie contestata, senza alcun vulnus per l'obiettiva capacità contenitiva dell'originario atto di accusa.

Infine, il riferimento ai delitti contro la personalità interna e internazionale dello Stato quale obiettivo della condotta istigatrice imputata è restato fermo, quale limite della contestazione, anche nella verifica ridefinitoria compiuta dai giudici di appello, sotto questo profilo attagliandosi l'accusa in modo senz'altro più aderente al modello incriminatore di approdo (quello di cui all'art. 414 c.p.) rispetto al modello incriminatore genetico, fermo restando che poi il viraggio di natura qualificatoria si è comunque inscritto in una completa esplicazione dei diritti di difesa, all'esito di un contraddittorio adeguato.

(Segue). L'idoneità della condotta istigatoria

Medesima sorte è stata riservata al secondo motivo delle impugnazioni, con cui i tre ricorrenti hanno censurato la motivazione della sentenza impugnata ritenendola viziata per aver ritenuto il manifesto concretamente idoneo a provocare l'immediata esecuzione di delitti.

Nella sentenza che si commenta non è posto in dubbio che il requisito fondante la fattispecie dell'istigazione a delinquere sia costituito dall'idoneità della condotta a turbare l'ordine pubblico, elemento che garantisce che il modello incriminatore in parola non determini un vulnus alla libertà di manifestazione del pensiero.

D'altronde, il percorso della giurisprudenza costituzionale e della giurisprudenza di legittimità si è dipanato nel segno della chiara e specifica sottolineatura del discrimen fra istigazione concreta e tangibile a compiere i delitti oggetto della tutela stabilita dall'art. 414 cit. e libertà di espressione.

Invero, la pronuncia della Corte costituzionale n. 65 del 1970 ha chiarito che l'art. 414 c.p., anche nella parte in cui vieta la pubblica apologia di ogni delitto, non può costituire impedimento alla libertà di manifestare il proprio pensiero, garantito dall'art. 21 della Carta fondamentale, se l'interpretazione della norma suddetta incriminatrice si indirizza a ritenere esclusa dal comportamento antigiuridico la semplice critica della legislazione e della giurisprudenza, l'attività di propaganda diretta al mutamento del quadro normativo, l'affermazione che determinati fatti previsti come delitti possono anche avere positivo contenuto morale e sociale, mentre l'apologia del delitto come strumento lodevole per raggiungere l'obiettivo dell'abrogazione della legge che lo prevede come tale integra l'istigazione.

Dal che si trae il chiaro corollario che, pure sotto l'aspetto apologetico, la condotta punibile non è quella che si risolve nella manifestazione di pensiero, bensì quella che sia concretamente idonea a provocare la commissione di delitti (anche la precisa fissazione della linea di demarcazione succitata ha poi indotto Cass. pen., Sez. I, 18 marzo 1983, n. 8236, Bonanno, a ritenere manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale, in riferimento agli artt. 21 e 23 Cost., dell'art. 414 c.p. nella parte in cui prevede due distinte figure di reato, l'istigazione a delinquere e l'apologia di reato; così anche Cass. pen., Sez. I, 16 ottobre 1973, n. 4506, D'Ali).

Il percorso logico della giurisprudenza pure è stato tracciato sulla base del risalente convincimento (espresso a suo tempo da Cass. pen., Sez. I, n. 967/1964, Balducci) che il pluralismo culturale, ideologico e politico che connota l'ordinamento giuridico interno, tale da contemplare l'espressione di posizioni apertamente antagoniste, ossia radicalmente contrapposte fra loro e anche rispetto ai valori fondanti l'ordinamento stesso, non può tuttavia comportare il superamento dell'invalicabile limite che, nell'esercizio del diritto di libertà sancito dall'art. 21 Cost., è rappresentato dal dovere di rispettare l'ordinamento giuridico costituito, per quanto qui rileva, dalle norme penali incriminatrici, le quali, anche per quanto concerne il profilo apologetico sanzionato dall'art. 414 c.p., contemplano il dispiegarsi della potestà punitiva dello Stato – non con riferimento all'opera di pensiero del soggetto, libera e legittima anche nelle sue più avanzate posizioni di critica, bensì – a quella parte ulteriore della sua attività espressiva trasmodante nell'illecito, in quanto consapevolmente e direttamente finalizzata alla violazione del precetto formalmente stabilito a difesa dell'ordine giuridico vigente.

Il proprium della condotta antigiuridica, quindi, si rinviene nella rievocazione pubblica di un episodio criminoso diretta e idonea a provocare la nuova violazione delle norme penali, di guisa che l'azione deve avere la concreta capacità di provocare l'immediata esecuzione di delitti o, quanto meno, la probabilità che essi vengano commessi in un futuro più o meno prossimo (Cass. pen., Sez. I, n. 11578/1997, Gizzo).

L'attenzione nel tener fermo il ricordato criterio discretivo si è mantenuta costante nell'elaborazione pratica, sicché anche in tempi recenti è stato coerentemente ribadito, in tema di reato di apologia riguardante delitti di terrorismo, previsto dall'art. 414 c.p., comma 4, che la sua integrazione esige il pericolo concreto derivante dalla condotta dell'agente di consumazione di altri reati lesivi di interessi omologhi a quelli offesi dal reato esaltato e si è, in pari tempo, specificato che tale pericolo può concernere – non soltanto la commissione di specifici atti di terrorismo ma anche – l'adesione di taluno ad un'associazione terroristica (così Cass. pen., Sez. I, 6 ottobre 2015, n. 47489, Halili).

In senso corrispondente il delitto di istigazione a delinquere va ritenuto reato di pericolo concreto, per modo che la mera esaltazione di un fatto di reato o del suo autore finalizzata a spronare altri all'imitazione o almeno ad eliminare la riprovazione verso il suo autore non è, di per sé, punibile, se non quando, per le sue modalità, essa integri un comportamento concretamente idoneo a provocare la commissione di delitti.

Ed è conseguente ribadire che l'accertamento del superamento di tale soglia, riservato al giudice di merito, diviene incensurabile in sede di legittimità quando esso sia correttamente motivato (Cass. pen., Sez. I, 23 aprile 2012, n. 25833, Testi; Cass. pen., Sez. I, 5 giugno 2001, n. 26907, Vencato).

(Segue). La valutazione della sentenza impugnata

In questa cornice, contrariamente a quanto hanno sostenuto i ricorrenti, la Corte di assise di appello ha articolato una motivazione ritenuta dai giudici di legittimità congrua e non contraddittoria evidenziando, sulla base della specifica descrizione e della correlativa analisi del manifesto elaborato, redatto e divulgato anche dai tre ricorrenti, le ragioni per le quali gli articoli scritti dai medesimi, interconnessi finalisticamente al collage di una serie di gravissimi episodi criminosi, con le susseguenti attività di diffusione, hanno integrato atti diretti in modo specifico ed idoneo a provocare l'immediata violazione delle norme penali.

I giudici di secondo grado hanno evidenziato che gli scritti che hanno composto il manifesto, lungi dall'evocare una generica e futura insurrezione, che si risolvesse nella lecita rappresentazione delle idee portanti dell'anarchia, sono stati invece finalizzati verso un duplice obiettivo.

Tali scritti sono stati volti a censurare quella parte del movimento anarchico che aveva perso fiducia nella violenza rivoluzionaria e nella reale e concreta prospettiva dell'insurrezione, con la connessa critica rivolta a quegli anarchici di pratica movimentista inclini ad una politica pragmatica, meramente attendista, ridottasi ad organizzare presidi, manifestazioni, assemblee e dibattiti. Ma sono stati anche finalizzati a incitare in modo immediato la platea degli adepti e simpatizzanti dell'anarchia insurrezionale – al contempo specifica (quanto al settore ideologico di riferimento) ed estesa (relativamente al numero di soggetti sollecitati) – alla pratica della lotta rivoluzionaria e dell'insurrezione, da realizzarsi in concreto attraverso azioni dirette e sabotaggi, ribellioni per incitare alla rivolta e “soffiare sul fuoco”. Dunque, non “disperata” ricerca del contatto con il sociale ma concreti sabotaggi; non vano studio degli atti, anche giudiziari ma evocazione degli appositi “manuali”, concretamente volta a mettere a punto i “vari modi per colpire nel vero senso della parola” (secondo le espressioni tratte dai giudici di merito dai menzionati scritti).

È su tale snodo che il discorso giustificativo espresso dalla Corte territoriale enuclea con chiarezza il nesso inscindibile delle chiare esortazioni ad azioni violente organizzate e immediate con la cornice di pregressi atti criminali in cui essi devono andare ad inserirsi, cornice in modo evidente disegnata dal collage di prima pagina, non meramente descrittivo, bensì esplicitamente evocativo di patenti riferimenti a specifici attentati, anche dinamitardi e incendiari, univocamente percepiti come terroristici, compiuti da esponenti dall'anarchismo in luoghi diversi, anche per finalità terroristiche, nei quali erano state lanciate bombe, alle volte pacchi-bomba e bombe erano esplosi, pure in correlazione all'emersione dell'allestimento di arsenali di armi, in attuazione immediata delle istruzioni diffuse attraverso manuali del tipo di quello che, pur per ambito distinto, aveva guidato l'azione degli imputati di sabotaggio.

Secondo le considerazioni dei giudici di appello, quindi, l'attività posta in essere dagli imputati, come sopra descritta, si è connotata per precisa e concreta efficienza istigatrice, siccome specificamente idonea a suscitare consensi nella platea degli adepti e simpatizzanti anarco-insurrezionalisti con il concreto pericolo della loro adesione, espressamente sollecitata, al surricordato programma illecito avente ad oggetto in via immediata e diretta azioni delittuose anche di matrice terroristica.

(Segue). La finalizzazione della condotta al compimento di fatti di terrorismo

Non è stata accolta nemmeno la critica svolta con il terzo motivo secondo cui l'istigazione posta in essere dagli imputati non era comprovatamente associabile a concrete fattispecie delittuose, per essere del tutto generico lo sprone alla commissione di determinati reati rinvenuto dalla Corte di merito.

Invero, il rilevato effetto concretamente istigatore di delitti riconnesso a tale complessiva condotta è stato dai giudici di appello concatenato in modo stringente, fra i reati a cui la contestazione si è richiamata (i delitti contro la personalità internazionale ed interna dello Stato), specialmente alle fattispecie di cui all'art. 280 c.p. (attentato per finalità terroristiche e di eversione) e art. 280-bis c.p. (atto di terrorismo con ordigni micidiali o esplosivi): e con particolare riguardo alla fattispecie di cui all'art. 280 c.p. (che punisce chiunque per finalità di terrorismo o di eversione dell'ordine democratico attenta alla vita od alla incolumità di una persona) il carattere concretamente istigatore delle condotte complessivamente ascritte ai tre ricorrenti è risultato coordinato dalla sentenza impugnata in modo ritenuto congruo, oltre che logicamente ineccepibile, dai giudici di legittimità.

In definitiva, le condotte evocate per sollecitare l'azione diretta e immediata degli adepti a cui il messaggio insurrezionale era diretto a mezzo dello stampato erano certamente, per natura o contesto, sussumibili nel concetto di attività terroristica, come puntualizzato normativamente dall'art. 270-sexies c.p., trattandosi di attentati finalizzati anche alla generalizzata soppressione di vite umane, tali arrecare grave danno al Paese e da vulnerare in modo incisivo e sostanziale i principi regolatori della vita democratica.

È vero, dunque, che per l'integrazione del delitto di cui all'art. 280 c.p. non è sufficiente la sola rappresentazione ed accettazione del rischio dell'evento lesivo, ma è necessario che la condotta dell'agente sia intenzionalmente diretta a ledere la vita o l'incolumità di una persona, quali beni protetti dalla norma, con il compimento, per finalità di terrorismo o di eversione dell'ordine democratico, di atti diretti in modo non equivoco a provocare morte o lesioni, in danno - peraltro - anche di una sola persona, essendo l'incolumità e la vita del singolo individuo beni giuridici primari ed essenziali per lo Stato-istituzione (Cass. pen., Sez. I, 16 luglio 2015, n. 47479, Alberti; Cass. pen., Sez. VI, 30 aprile 2015, n. 34782, Gai).

Ma è del pari certo che il corto circuito evocativo-istigatore che gli imputati hanno innescato con l'associazione fra il florilegio di gravissimi episodi dinamitardi e criminali, anche di matrice apertamente terroristica, rappresentato nella prima pagina e le specifiche esortazioni a non indulgere in politiche temporeggiatrici, ma a passare all'azione diretta ed a colpire, coordinato con l'ulteriore attività di assemblaggio e redazione dello stampato (nel caso di due imputati) e, poi, della sua materiale diffusione (messa in essere da tutti e tre i ricorrenti), è stato ritenuto dall'analisi dei giudici di appello avere integrato condotta del tutto idonea ad istigare in modo concreto il pubblico specifico costituito dagli adepti e dai simpatizzanti dell'ideologia anarchica a commettere delitti del tipo contestato, anche e soprattutto atti criminali che, per natura o contesto, vanno collocati nel concetto di attività terroristica.

(Segue). I rapporti tra art. 414, ultimo comma, c.p. e l'aggravante di cui all'art. 1 d.l. 625/1979

Un ulteriore motivo di impugnazione ha prospettato l'erroneità della decisione impugnata nella parte in cui ha ulteriormente aggravato il reato di cui all'art. 414 c.p. – già ritenuto nella forma aggravata dal fatto che l'azione di istigazione aveva riguardato delitti di terrorismo – dalla circostanza speciale di cui all'art. 1d.l. 625 del 1979: la doglianza è stata ritenuta fondata, in virtù della censura mossa alla duplicazione delle circostanze aggravanti così applicata dalla Corte territoriale.

Nel caso in esame – in forza dell'integrazione all'art. 414 c.p. determinata dall'art. 15,comma 1-bis, d.l. 144/2005, conv. dalla l. 155/2005 (secondo cui fuori dei casi di cui all'art. 302 c.p., se l'istigazione o l'apologia riguarda delitti di terrorismo, o crimini contro l'umanità, la pena è aumentata della metà) – la condotta istigatrice od apologetica, risultata finalizzata ad obiettivi terroristici, è stata già ritenuta aggravata per l'applicazione dell'ultimo comma della disposizione.

Tale più grave sanzione inserita nella norma incriminatrice – causativa dell'identico aumento di pena della metà - rende, però, inapplicabile in concreto la circostanza aggravante speciale di cui all'art. 1d.l.625/1979, che pure incrementa la pena quante volte il comportamento sanzionato sia, come lo è stato nel caso in esame, finalizzato ad incitare al compimento di atti sussumibili nel concetto terrorismo.

L'integrazione dell'art. 414 c.p. è avvenuta mediante la stesso atto normativo (art. 15, d.l. 144/2005) che, con l'introduzione dell'art. 270-sexies c.p., ha ridefinito le condotte con finalità di terrorismo.

Di conseguenza, la disposizione integratrice dell'art. 414 c.p. ha determinato l'introduzione di un'aggravante specifica interna alla norma in dipendenza della quale – per la sfera in cui l'obiettivo risulta identico (ossia quando l'istigazione è rivolta ad atti di terrorismo) – il comportamento più severamente penalizzato è lo stesso che prende in considerazione la circostanza aggravante di cui all'art. 1 d.l. 625 del 1979. Quest'ultima, a sua volta, si applica salvo che la circostanza sia elemento costitutivo del reato; sicché esso ne resta assorbito.

D'altronde, non potrebbe annettersi senso giuridico ulteriore all'aggravante di cui all'art. 1d.l. 625/1979 da applicarsi in via cumulativa all'ipotesi aggravata di cui all'art. 414, ult. comma, c.p., in quanto apparirebbe, a contrariis, incongruo concepire l'istigazione a compiere delitti concernenti atti di terrorismo che non sia già compiuta per finalità di terrorismo.

Con riferimento al fatto ascritto ai tre ricorrenti, si è accertato che l'istigazione è stata certamente coordinata alla commissione del reato di cui all'art. 280 c.p.: e non si dubita che per l'integrazione di questo delitto sia necessario il compimento di atti idonei diretti in modo non equivoco a provocare morte o lesioni in danno di una persona per finalità di terrorismo o di eversione dell'ordine democratico (v. anche le riflessioni articolate da Cass. pen., Sez. V, 15 maggio 2014, n. 28009, Alberto).

Conseguenza di questa considerazione è che, sanzionato il comportamento dei tre imputati ai sensi dell'art. 414, ultimo comma, c.p., non è da applicarsi l'ulteriore aumento di pena previsto dall'art. 1d.l. 625/1979; sicché la relativa aggravante è stata esclusa.

(Segue). La natura pubblica dell'istigazione

È stato, infine, disatteso il motivo che contestava l'evenienza del requisito della natura pubblica dell'istigazione sanzionata dall'art. 414 c.p.: nella nozione di stampa vanno ricomprese tutte le riproduzioni grafiche, ivi inclusi i manifesti e i volantini, ottenute con qualsiasi mezzo meccanico, sia esso un ciclostile, una fotocopiatrice o un computer, atteso che per la configurabilità del reato è sufficiente che la riproduzione sia destinata alla diffusione ad una indifferenziata cerchia di persone, mentre è del tutto irrilevante lo strumento utilizzato per ottenerla o il numero di copie ottenuto (in tema di diffamazione a mezzo stampa – circa la puntualizzazione del concetto di stampa, che rinviene nell'art. 1l. 47/1948 in relazione all'art. 595, comma 3, c.p, il suo riferimento - cfr. Cass. pen., Sez. II, 25 marzo 2011, n. 26133, Inferrera).

Questo concetto – riferito dalla art. 1, l. 47/1948 cit. a «tutte le riproduzioni tipografiche o comunque ottenute con mezzi meccanici o fisico-chimici, in qualsiasi modo destinate alla pubblicazione» – ovviamente deve adattarsi al mutamento delle tecnologie che contrassegna in modo continuo il settore della comunicazione ed, in specie, della libera manifestazione del pensiero, e non risulta in nessuna misura incrinato dagli altri arresti che si sono dedicati a specificare l'assimilazione alla nozione classica di stampa di altri strumenti di diffusione delle opinioni introdotti in virtù di nuove tecnologia (il riferimento è anche a Cass. pen., Sez. unite, n. 31022/2015, Fazzo, la quale, in tema di sequestro di giornali e di altre pubblicazioni, ha affermato che la testata giornalistica telematica, funzionalmente assimilabile a quella tradizionale in formato cartaceo, rientra nella nozione di stampa di cui alla L. 8 febbraio 1948, n. 47, art. 1; ciò, per trarne la conseguenza che essa non può essere oggetto di sequestro preventivo in caso di commissione del reato di diffamazione a mezzo stampa, in quanto si tratta di prodotto editoriale sottoposto alla normativa di rango costituzionale e di livello ordinario, che disciplina l'attività di informazione professionale diretta al pubblico).

Pertanto – in modo coerente con la nozione di pubblicità accolta dai giudici di appello, da ritenersi corretta secondo i giudici di legittimità – su versante in certo modo opposto per qualità tecnologica a quello qui scrutinato, si è affermato (da Cass. pen., Sez. I, n. 47489/2015, Halili, Rv. 265265, cit.) che integra il reato di apologia di uno o più delitti, previsto dall'art. 414 c.p. (nel testo ancora non integrato con la succitata modificazione di cui al d.l. 7 del 2015), la diffusione di un documento di contenuto apologetico mediante il suo inserimento su un sito internet privo di vincoli di accesso, in quanto tale modalità ha una potenzialità diffusiva indefinita.

In conclusione

La lettura della sentenza commentata, in particolare laddove si sofferma sulla condotta istigatrice di gravi delitti connotati da finalità di terrorismo, evoca alla memoria di chi scrive il documento con cui l'associazione eversiva denominata Prima Linea rivendicò l'omicidio, avvenuto il 29 gennaio 1979, del magistrato Emilio Alessandrini: «Oggi, 29 gennaio 1979 alle ore 8,30 il gruppo di fuoco Romano Tognini “Valerio” dell'organizzazione comunista Prima Linea, ha giustiziato il sostituto procuratore della repubblica Emilio Alessandrini. Era una delle figure centrali che il comando capitalistico usa per rifondarsi come macchina militare o giudiziaria efficiente e come controllore dei comportamenti sociali e proletari sui quali intervenire quando la lotta operaia e proletaria si determina come antagonista ed eversiva».

Ancora oggi vi sono dunque tristi epigoni di quella lunga stagione di sangue.

Eppure la riposta dell'ordinamento giuridico non pare soddisfacente: la finalità di terrorismo viene ritenuta sussistente rispetto alla condotta istigatoria pubblica e non rispetto al sabotaggio – quanto meno tentato – di una linea ferroviaria.

Può, in un paese come l'Italia già sconvolto da sabotaggi ed attentati alle linee ferroviarie, ragionevolmente affermarsi che il danno alla linea ferroviaria perseguito dagli autori del delitto non avrebbe potuto essere percepito come idoneo a perseguire l'effetto intimidatorio della collettività o determinatore di fattori eversivi dell'ordinamento democratico o di una situazione di messa in pericolo delle strutture istituzionali del Paese?

No, se poi, nel medesimo contesto, si afferma che è finalizzata al terrorismo l'istigazione alla commissione di tali fatti.

Allora appare opportuno avviare un ripensamento dell'aggravante di cui all'art. 270-sexies c.p., concepita per una risposta al terrorismo prevalentemente internazionale, per evitare che rimangano impuniti, sia pur “solo” per prescrizione, condotte gravi quali il sabotaggio delle linee ferroviarie.

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