Regolamento assembleare (contenuto e modifica)

Alberto Celeste
03 Luglio 2018

Ogni regolamento, sotto il profilo contenutistico, può ritenersi costituito da tre gruppi principali di norme: a) le prime rappresentate dalle norme di legge vere e proprie - ossia, gli articoli del codice civile e le disposizioni di attuazione allo stesso, dichiarati espressamente inderogabili dalla legge, inserite automaticamente quand'anche non espressamente specificate né richiamate; b) le seconde riguardanti l'organizzazione interna del condominio, per agevolare la convivenza all'interno dell'edificio - in particolare, l'utilizzazione dei beni comuni...
Inquadramento

Nella Relazione al Re si è ritenuta «l'opportunità del regolamento, perché la legge, per quanto dettagliata, non può prevedere tutte le particolari situazioni di ogni condominio, e, d'altro canto, hanno non poca efficacia al riguardo le consuetudini locali», stabilendo che il medesimo regolamento «può derogare anche alle disposizioni del codice, salvo quelle che siano d'ordine pubblico o che dalla legge speciale siano state espressamente dichiarate inderogabili».

Nello specifico, l'art. 1138 c.c. - invariato anche a seguito dell'intervento riformatore di cui alla l. n. 220/2012 - esordisce nel senso che, «quando in un edificio il numero dei condomini è superiore a dieci, deve essere formato un regolamento, il quale contenga le norme circa l'uso delle cose comuni e la ripartizione delle spese secondo i diritti e gli obblighi spettanti a ciascun condomino, nonché le norme per la tutela del decoro dell'edificio e quelle relative all'amministrazione».

In quest'ottica, il comma 1 disegna il contenuto, per così dire, minimo del regolamento; ciò non esclude che lo stesso possa comprendere anche la disciplina di rapporti non compresi nell'elencazione di cui sopra, salvo trattarsi sempre di precetti generali ed astratti concernenti rapporti inerenti alla disciplina delle parti (o degli interessi) “comuni” dell'edificio, senza pregiudicare le posizioni soggettive dei singoli condomini.

Un'attenta dottrina (Salciarini) parla di “contenitore totipotente”, al cui interno sono comprese tutte le possibili regole relative all'amministrazione delle parti comuni e alla loro utilizzazione pratica. Dalla sostanziale identità delle materie comprese nelle competenze dell'assemblea, sia che approvi singole delibere con riferimento a questioni concrete (v., ad esempio, gli artt. 1120, 1129 e 1135 c.c.), sia che emani con il regolamento norme di carattere generale (v. l'uso delle cose comuni, la ripartizione delle spese, la tutela del decoro e l'amministrazione elencati nel comma 1 dell'art. 1138 c.c.), non dovrebbe precludersi la possibilità di adottare norme regolamentari che fuoriescano la gestione in senso stretto delle cose comuni, ma pur sempre utili alla configurazione materiale di quel peculiare stabile in condominio ed alle esigenze abitative dei condomini che lo compongono.

Si ritiene, quindi, il carattere meramente esemplificativo, e non tassativo, delle materie indicate nel comma 1 dell'art. 1138 c.c., poiché l'assemblea, (approvando le statuizioni o) emanando il regolamento, può deliberare, quale organo destinato ad imprimere la volontà collettiva dei partecipanti, qualunque provvedimento, anche non previsto dalla legge, sempre che non si tratti di provvedimenti volti a perseguire una finalità extracondominiale; in quest'ottica, il regolamento “personalizzato” si pone come uno strumento fondamentale per l'amministrazione dello stabile condominiale, per tentare di raggiungere risultati di certezza nell'attività di gestione e, al contempo, conformare le regole interne del fabbricato a quelle che sono le peculiari esigenze dei suoi abitanti.

L'uso delle cose comuni

I regolamenti assembleari possono contenere solo norme che disciplinano l'uso e le modalità di godimento delle cose/servizi/impianti comuni (v., ex multis, Cass. civ., sez. II, 17 ottobre 1998, n. 10289, sulla destinazione di aree condominiali scoperte a sosta di autovetture dei singoli partecipanti al condominio; Cass. civ., sez. II, 26 settembre 1998, n. 9649, circa il parcheggio di roulottes in un'area esterna comune adibita a parcheggio delle autovetture dei condomini; Cass. civ., sez. II, 3 agosto 1990, n. 7825, in ordine all'installazione di singole antenne ricetrasmittenti sul tetto comune; Cass. civ., sez. II, 27 giugno 1978, n. 3169, riguardo all'attribuzione ad un condomino dell'uso esclusivo di determinate parti comuni del fabbricato).

Il tutto, in modo il più possibile idoneo a soddisfare l'utilità del singolo contemperando con il diritto di pari natura degli altri partecipanti, mentre la misura e l'intensità del godimento stesso devono risultare unicamente dalla legge, dal titolo di acquisto o dalla volontà negoziale unanime dei partecipanti.

Entro questi confini, il regolamento votato a maggioranza è idoneo a “regolamentare” (e non “limitare”) l'utilizzo delle parti comuni dell'edificio (Cass. civ., sez. II, 6 febbraio 1999, n. 1057; Cass. civ., sez. II, 9 novembre 1998, n. 11268), e tale regolamentazione sarà operativa anche nei confronti di chiunque entrerà a far parte del condominio, senza bisogno di trascrizione, per l'evidenziata natura “normativa” delle disposizioni regolamentari, restando onere di ogni acquirente farsi parte diligente per conoscere le regole di vita di quella compagine condominiale.

Il regolamento assembleare, però, non è legittimato ad imporre limitazioni ai poteri dominicali che al condomino spettano sulle cose di comproprietà pro indiviso, a meno che le suddette limitazioni non risultino imprescindibili per la funzionalità stessa del condominio; in quest'ottica, il medesimo regolamento può far divieto di utilizzare la cosa comune in modo da pregiudicare la sicurezza o la stabilità del fabbricato, ma non sembra legittimo un divieto specifico di determinate destinazioni d'uso in sé e per sé considerate.

Così, ad esempio, si può prevedere un uso turnario delle cose/servizi/impianti di cui sopra (ad esempio, per stendere i panni o per usufruire della lavanderia), o consentire l'uso solo in determinate ore del giorno (si pensi all'orario di riscaldamento, illuminazione, irrigazione, o alla regolazione dei giochi dei bambini negli spazi condominiali), quando esso risulti funzionale al godimento, ma non si può limitare tale godimento ad una soltanto delle forme di uso di cui la cosa comune sia suscettibile secondo la sua destinazione; qualora, poi, sia impossibile l'uso promiscuo della cosa comune, il regolamento assembleare può contemplarne l'uso indiretto, specie mediante la locazione.

Mancando invece una disposizione regolamentare ad hoc, il principio sancito dall'art. 1102 c.c. - applicabile anche in àmbito condominiale in forza del rinvio di cui all'art. 1139 c.c. - che permette al singolo condomino di usare la cosa comune anche per un suo fine particolare, con possibilità di ritrarre dalla stessa una specifica utilità aggiuntiva rispetto a quelle generali a favore dei partecipanti, con il duplice limite del divieto di alterarne la destinazione e di impedire il pari uso dei condomini, da norma residuale, riprende in pieno la sua operatività (Cass. civ., sez. II, 6 febbraio 1999, n. 1057; Cass. civ., sez. II, 9 novembre 1998, n. 11268).

A fortiori, il regolamento assembleare approvato a maggioranza non può contenere nemmeno disposizioni che limitino il godimento delle proprietà “esclusive” dei singoli, traducendosi in una compressione delle facoltà inerenti al diritto dominicale (Cass. civ., sez. II, 9 luglio 1994, n. 6501; Cass. civ., sez. II, 15 giugno 1991, n. 6768; Cass. civ., sez. II, 30 luglio 1990, n. 7654; Cass. civ., sez. II, 28 luglio 1990, n. 7630), ciò non tanto per il disposto del comma 1 dell'art. 1138 c.c. che limita la potestà regolamentare all'uso delle “cose comuni”, quanto piuttosto per il comma 4 che impedisce di «menomare i diritti di ciascun condomino».

Più precisamente, il godimento delle unità immobiliari di proprietà esclusiva può essere disciplinato, secondo la giurisprudenza, con l'unico fine di regolare meglio l'uso delle parti comuni, e di impedire che qualcuno, come conseguenza dell'utilizzazione delle cose proprie, pregiudichi l'altrui utilizzo delle cose comuni, o implichi un uso eccessivo o sproporzionato di queste ultime, sì da compromettere il concorrente diritto di uso spettante agli altri partecipanti.

Al contempo, solo il regolamento contrattuale - spingendosi oltre la mera specificazione ed integrazione delle norme del codice civile in ordine all'uso - può sottoporre a limitazioni l'esercizio dei poteri e delle facoltà che caratterizzano il contenuto del diritto dominicale sulle cose comuni, ed anche giungere ad attribuire ad uno o più condomini l'uso esclusivo di determinate parti comuni dell'edificio (v., tra le altre, Cass. civ., sez. II, 16 ottobre 1999, n. 11692; Cass. civ., sez. II, 6 ottobre 1999, n. 11121; Cass. civ., sez. II, 6 giugno 1988, n. 3819); parimenti, può vincolare “in positivo” una data destinazione del bene comune (Cass. civ., sez. II, 25 ottobre 2010, n. 21841).

La ripartizione delle spese

Il regolamento assembleare deve, altresì, contenere «le norme circa …. la ripartizione delle spese, secondo i diritti e gli obblighi spettanti a ciascun condomino»; essendo la misura proporzionale del contributo di ciascuno, di regola, predeterminata per legge, la disciplina riguarda prevalentemente la specificazione più puntuale della ripartizione delle spese di ordinaria gestione - riscaldamento, portierato, pulizia, illuminazione, ecc. - spettando, poi, all'assemblea solo il vaglio aritmetico della relativa distribuzione, nonché le modalità di erogazione e di riscossione.

In realtà, i criteri di riparto delle spese condominiali trovano la loro espressione nelle tabelle millesimali, allegate al regolamento (art. 68 disp. att. c.c., sostanzialmente invariato anche a seguito della Riforma del 2013), laddove si precisa in millesimi, per gli effetti indicati negli artt. 1123, 1124, 1126 e 1136 c.c., «il valore proporzionale di ciascuna unità immobiliare»; in tal modo, indicando a priori, nello stesso contesto del regolamento, la misura dei valori delle singole unità immobiliari di proprietà esclusiva rapportati al valore dell'intero edificio si evitano complicati calcoli in sede di riparto di ogni singola spesa, prevenendo anche potenziali controversie in sede giudiziaria.

Nello specifico, secondo quanto stabilito nel comma 1 dell'art. 1123 c.c., le spese relative alle parti ed ai servizi comuni sono distribuite tra i partecipanti in proporzione al valore economico delle rispettive unità immobiliari, mentre i commi 2 e 3, avuto riguardo a cose o impianti destinati a servire i condomini in misura diversa, oppure solo una parte dell'intero fabbricato, addossano, invece, il carico delle spese ai soli condomini che ne facciano uso o ne traggano utilità; dunque, posto che ogni condomino ha il dovere di contribuire alle spese necessarie per mantenere in funzione il condominio di cui fa parte, il legislatore ha optato per un criterio che tenesse conto sia del rapporto di comproprietà che lega i condomini tra di loro (come è per la comunione), sia in base al vantaggio e all'utilità che ciascun proprietario di unità immobiliari può trarre dalle cose comuni (che è una caratteristica del condominio).

Orbene, il regolamento assembleare deve uniformarsi ai dettami di legge nella determinazione dei summenzionati criteri di riparto, nel senso che non può introdurre criteri del tutto differenti, salvo che anche il nuovo criterio, che si vorrebbe adottare, rientri tra quelli “legali”, ossia configurati dagli artt. 1123 ss. c.c., e allora in tal caso la modifica può essere adottata a maggioranza (nel senso che i poteri assembleari al riguardo si rivelano alquanto ridotti, v. Cass. civ., sez. II, 15 marzo 1995, n. 3042; Cass. civ., sez. II, 3 maggio 1993, n. 5125; Cass. civ., sez. II, 19 novembre 1992, n. 12375).

Si pensi alla suddivisione delle spese di riscaldamento, che può effettuarsi con il sistema della superficie irradiata, o della cubatura dei locali, oppure degli elementi radianti, o alla suddivisione delle spese di pulizia delle scale, alle quali i condomini sono tenuti a contribuire in ragione dell'utilità che la cosa comune è destinata a dare a ciascuno (Cass. civ., sez. II, 19 febbraio 1993, n. 2018); si pensi, altresì, alle spese relative all'impianto di ascensore - stessa cosa può dirsi per le spese di manutenzione, pulizia ed illuminazione delle scale - il cui contributo può essere maggiore a carico di un'unità immobiliare adibita ad uso non abitativo (ad esempio, uno studio professionale), in linea con il disposto del comma 2 dell'art. 1123 c.c., che ripartisce le spese in ragione dell'uso allorché si tratti di cose/servizi/impianti suscettibili di utilizzazione separata o differenziata, e lo stesso dicasi per l'adozione di un sistema secondo cui le spese di esercizio siano ripartite mediante schede magnetiche in grado di registrare la frequenza dell'uso dell'ascensore.

Invero, i metodi di spesa indicati dal codice civile incidono direttamente nella sfera individuale del condomino, sicché un mutamento di essi, coincidendo con una modifica del valore della parte di edificio di proprietà del singolo partecipante, richiede necessariamente il consenso espresso del soggetto interessato; al contempo, il criterio di riparto in deroga contenuto in un regolamento contrattuale non può essere modificato anche dall'assemblea richiedendosi il consenso di tutti i condomini (Cass. civ., sez. II, 23 dicembre 2011, n. 28679; Cass. civ., sez. II, 28 gennaio 2004, n. 1558, in tema di spese per la sostituzione della caldaia; Cass. civ., sez. II, 8 gennaio 2000, n. 126; Cass. civ., sez. II, 6 dicembre 1978, n. 5769; Cass. civ., sez. II, 22 gennaio 1968, n. 154).

Il decoro dell'edificio

Il regolamento assembleare deve, poi, contenere “le norme per la tutela del decoro dell'edificio”, ma sono incerti sul punto i limiti della potestà regolamentare.

Va precisato che il disposto in esame si riferisce al decoro in generale, riguardando non solo l'estetica e l'aspetto “architettonico”, ma anche tutta quella autoregolamentazione della vita condominiale avente ad oggetto, ad esempio, modalità di sciorinatura dei panni, tempi di battitura dei tappeti, divieto di rumori molesti e di ingombro di parti comuni (atrio, portone, cortile, ecc.); non sono, quindi, interessate solo l'armonia e la bellezza dell'edificio, ma le disposizioni regolamentari che possono essere dirette anche a proteggere l'edificio contro ogni utilizzazione che possa deprezzarne il valore o l'estimazione generale (c.d. decoro morale), tutelando così la dignitosa coesistenza dei singoli e delle famiglie nello stesso stabile.

Con specifico riferimento al decoro architettonico, la giurisprudenza ritiene che una norma del regolamento che vieti le innovazioni che modificano l'architettura in generale dello stabile, non solo contribuisce a definire la nozione del medesimo decoro, ma recepisce anche un autonomo valore, nel senso che quest'ultimo viene qualificato da elementi attinenti alla simmetria e all'estetica, impressi dal costruttore o comunque esistenti al momento di esecuzione dell'innovazione (Cass. civ., sez. II, 28 novembre 1987, n. 8861; l'accertamento della contrarietà con il decoro dello stabile ad opera di interventi effettuati dal condomino su parti comuni o esclusive, ad avviso di Cass. civ., sez. II, 11 agosto 1982, n. 4542, può essere demandato dal regolamento all'assemblea, conseguendone che l'impugnativa del condomino avverso la delibera assembleare che abbia ritenuto lesivi del decoro dell'edificio detti interventi debba proporsi nei termini stabiliti dall'art. 1137 c.c.)

Ci si chiede se anche un regolamento assembleare possa vietare quegli interventi modificatori delle porzioni di proprietà individuale che, riflettendosi su strutture comuni, siano passibili di comportare un pregiudizio al decoro architettonico dell'edificio.

Dando una risposta positiva al quesito, in pratica, si riconosce l'attitudine di un regolamento non contrattuale a contenere norme recanti imposizioni o divieti ai condomini di determinati comportamenti in ordine all'uso, alla manutenzione e alla modifica delle porzioni di proprietà esclusiva, «nella misura in cui tali prescrizioni si rendano necessarie per tutelare interessi generali della collettività condominiale» (così Cass. civ., sez. II, 18 agosto 1986, n. 5065), tra cui il decoro architettonico dell'edificio.

Orbene, una clausola del regolamento assembleare, che inibisca ai singoli di apportare modifiche alle parti esclusive comportanti pregiudizi all'estetica dello stabile, deve ritenersi una mera clausola di stile, perché riproducente in modo apodittico il dettato del comma 4 dell'art. 1120 citato, che appunto vieta «innovazioni ... che ne alterino il decoro architettonico»; se, invece, la prescrizione del regolamento abbia ad oggetto specificatamente la conservazione dell'originaria facies architettonica dell'edificio, così si dispone una tutela pattizia ben più intensa e rigorosa di quella apprestata al mero “decoro architettonico” di cui ai summenzionati artt. 1120 e 1138 (Cass. civ., sez. II, 24 gennaio 2013, n. 1748; Cass. civ., sez. II, 6 ottobre 1999, n. 11121), con la conseguenza che, in presenza di opere esterne, persino migliorative, la loro realizzazione integra di per sé una vietata modificazione dell'originario assetto dello stabile (Cass. civ. sez. II, 29 aprile 2005, n. 8883; Cass. civ., sez. II, 14 gennaio 1999, n. 312; Cass. civ., sez. II, 21 maggio 1997, n. 4509; Cass. civ., sez. II, 12 dicembre 1986, n. 7398; Cass. 21 maggio 1997, n. 4509; Cass. civ., sez. II, 18 luglio 1984, n. 4195).

In quest'ottica, contrariamente a quanto affermato da quella parte della giurisprudenza sopra richiamata, appare corretto ritenere che una tale compressione del diritto di proprietà dei singoli mediante il divieto di qualsiasi opera modificatrice, pur ispirato dalla considerazione di peculiari valori stilistici di un determinato immobile, debba inserirsi in un regolamento contrattuale (Cass. civ., sez. II, 3 settembre 1998, n. 8731).

Si deve, dunque, escludere che la maggioranza dei condomini, attraverso l'approvazione del regolamento assembleare, possa imporre una norma diretta a limitare l'uso - inteso sia come opere che come attività di godimento - dei singoli appartamenti, sia pure al fine ulteriore di impedirne una destinazione non conforme all'interesse della collettività, nel caso concreto, relativo all'estetica dell'edificio.

L'amministrazione

Il regolamento assembleare deve, infine, contenere le norme relative alla “amministrazione”, da intendersi tutte le disposizioni concernenti la gestione delle cose/servizi/impianti comuni: rientrano in questa categoria le clausole che riguardano la figura dell'amministratore (requisiti, compenso, ecc.), i tempi e luoghi di convocazione (anno solare o altri periodi, sala parrocchiale o androne) e le modalità di comunicazione dell'avviso (lettera raccomandata, foglio fatto “girare” dal portiere, ecc.), il funzionamento dell'assemblea con sistema di votazione (a scrutinio segreto, per alzata di mano, ecc.), la rappresentanza in assemblea (numero delle deleghe e persone delegate), le attribuzioni di quest'ultima, la designazione del presidente e del segretario, l'istituzione di ulteriori organi amministrativi e di controllo, la compilazione e la tenuta dei verbali, la manutenzione delle parti comuni, l'assicurazione dell'edificio, l'assunzione e il contratto di lavoro dei dipendenti (portiere, lavascale, giardiniere, ecc. con relativa retribuzione), la formazione e la redazione del bilancio preventivo e consuntivo, la tenuta dei registri necessari alla gestione amministrativa e contabile, la costituzione di eventuali fondi, i tempi di riscossione dei contributi (mensili, trimestrali, semestrali), gli orari (dell'impianto di riscaldamento, del servizio di portierato, di chiusura del portone, ecc.) e quant'altro (In argomento, Cass. civ., sez. II, 21 agosto 2003, n. 12298, sulla legittimità della previsione del regolamento, che imponeva ai condomini l'obbligo di comunicare i mutamenti dei loro indirizzi ed i trasferimenti delle unità immobiliari, in quanto finalizzata ad una più corretta e spedita gestione dell'amministrazione condominiale, anche se tale obbligo è oggi espressamente contemplato dall'art. 1130, n. 6), c.c. nell'ottica del nuovo registro della c.d. anagrafe condominiale).

In evidenza

Il tutto pur sempre nel rispetto delle norme inderogabili di cui all'art. 1138, comma 4, c.c., come, ad esempio, degli artt. 1129 e 1136 c.c., inerenti, rispettivamente, alla figura dell'amministratore (si pensi alla nomina e alla revoca) e allo svolgimento dell'assemblea (si pensi alle maggioranze delle delibere).

La modifica

È intuitivo che il regolamento di condominio non può avere un contenuto statico e immutabile, per cui ben può essere oggetto di modifiche nel tempo in relazione ai nuovi interessi di gestione (si pensi all'acquisto di un'area che occorre regolamentare o ad un'innovazione tecnologica che accresca il patrimonio comune); tuttavia, anche per quanto concerne la modifica del suddetto regolamento, è opportuno operare una distinzione tra le possibili tipologie.

Infatti, il regolamento assembleare può essere modificato, integrato o abrogato in parte, dalla stessa assemblea, con la maggioranza richiesta per la sua approvazione - ossia con «un numero di voti che rappresenti la maggioranza degli intervenuti e almeno la metà del valore dell'edificio», come dispone il comma 2 dell'art. 1136 c.c. richiamato dal comma 3 dell'art. 1138 c.c. - e con i medesimi quorum possono essere approvate, di volta in volta, delibere in deroga, ossia disattendendo il precetto per un caso concreto, o in contrasto, ossia fissando un nuovo canone regolamentare, con le clausole originariamente statuite (Cass. civ., sez. II, 18 aprile 2002, n. 5626; Cass. civ., sez. II, 6 febbraio 1999, n. 1057).

Anche se, per ipotesi, fosse stato approvato in assemblea dall'unanimità dei consensi, il regolamento assembleare può essere modificato a maggioranza purché sia quella prescritta dalla legge, a meno che non contenga clausole di natura “convenzionale”, che incidano sui diritti e sugli obblighi dei condomini, che dovranno essere modificate solo con il consenso di tutti i partecipanti.

Sebbene il comma 3 dell'art. 1138 c.c. prevede solo la “approvazione” e non menziona la modifica (o l'abrogazione), è ovvio che una norma regolamentare può essere modificata (o abrogata) da un'altra norma adottata con lo stesso quorum: del resto, vale il principio logico della necessaria corrispondenza tra i poteri necessari sia per la costituzione di un rapporto giuridico sia per la sua modifica (o estinzione), senza contare che l'art. 1136, commi 2 e 4, c.c. prescrive la maggioranza qualificata per qualsiasi delibera riguardante le materie ivi contemplate.

Casistica

CASISTICA

Limiti più rigorosi nell'uso delle parti comuni dell'edificio

L'art. 1102 c.c., nel prescrivere che ciascun partecipante può servirsi della cosa comune purché non ne alteri la destinazione e non impedisca agli altri partecipanti di farne lo stesso uso secondo il loro diritto, non pone una norma inderogabile, ragion per cui i suoi limiti possono essere resi più rigorosi dal regolamento condominiale o dalle apposite delibere assembleari adottate con i quorum prescritti dalla legge; l'unico limite della legittima “autodisciplina condominiale” è rappresentato dalla previsione del divieto sostanziale di utilizzazione generalizzata delle parti comuni; nel caso in cui, invece, l'assemblea condominiale (con le prescritte maggioranze) adotti una delibera che vieti soltanto un uso specifico (nella fattispecie, apertura di nuovi accessi nel muro comune), la stessa delibera deve ritenersi legittima (Cass. civ., sez. II, 4 dicembre 2013, n. 27233).

Diversa convenzione e supercondominio

In tema di spese condominiali, il regolamento di un condominio non integra, rispetto ad altro condominio facente parte del medesimo supercondominio, la “diversa convenzione” di cui all'art. 1123, comma 1, ultima parte, c.c., che si riferisce esclusivamente ad una ripartizione convenzionale tra gli interessati, diversa da quella legale, delle spese che i condomini di un edificio sono tenuti a sopportare, sicché è nulla la delibera che accolli ai condomini gli oneri relativi ad un altro fabbricato sul solo fondamento delle disposizioni regolamentari di quest'ultimo in assenza di espressa adesione (Cass. civ., sez. II, 6 novembre 2014, n. 23688).

Interventi modificatori delle porzioni esclusive

Il regolamento di condominio, quali che ne siano l'origine ed il procedimento di formazione e, quindi, anche quando non abbia natura contrattuale, a mente dell'art. 1138, comma 1, c.c., può ben contenere norme intese a tutelare il decoro architettonico dell'edificio condominiale che, a tale fine, siano suscettibili di incidere anche sulla sfera del dominio personale esclusivo dei singoli partecipanti, nei limiti in cui ciò si riveli necessario in funzione della salvaguardia del bene comune protetto; più in particolare, può, ad esempio, vietare quegli interventi modificatori delle porzioni di proprietà individuale che, riflettendosi su strutture comuni, siano passibili di comportare pregiudizio per il decoro anzidetto (nella fattispecie si controverteva in ordine ad un tipo di serramenti installati, da un condomino, in sostituzione di quelli originari, alle finestre della sua unità immobiliare aperte sulla facciata del fabbricato condominiale) (Cass. civ., sez. II, 3 settembre 1998, n. 8731).

Destinazione del cortile a parcheggio di auto

La delibera assembleare di destinazione del cortile condominiale a parcheggio di autovetture dei singoli condomini, in quanto disciplina le modalità di uso e di godimento del bene comune, è validamente approvata con la maggioranza prevista dall'art. 1136, 5 comma, c.c., non essendo all'uopo necessaria l'unanimità dei consensi, ed è idonea a comportare la modifica delle disposizioni del regolamento di condominio, di natura non contrattuale, relative all'utilizzazione e ai modi di fruizione delle parti comuni (Cass. civ., sez. II, 15 giugno 2012, n. 9877).

Guida all'approfondimento

Salciarini, Il regolamento e le tabelle millesimali, in La riforma del condominio, Milano, 2013, 4;

De Tilla, Condominio di edifici e decoro architettonico, in Arch. loc. e cond., 2000, 432;

Barbanera, Sulla validità di una clausola regolamentare che prevede la riduzione delle spese di riscaldamento, in Riv. giur. edil., 1999, I, 292;

De Tilla, Modifica di regolamento di condominio e pari uso delle cose comuni, in Giust. civ., 1999, I, 3369;

Vitiello, Norme di regolamento di condominio e diritti di proprietà esclusiva, in Arch. loc. e cond., 1987, 165;

Salis, Poteri dell'assemblea nella regolamentazione dell'uso delle cose comuni, in Riv. giur. edil., 1973, I, 16;

Salis, Regolamento di condominio e modifica della maggioranza ex art. 1136 c.c., in Foro pad., 1971, I, 187.

Visco, La modificabilità dei regolamenti condominiali, in Nuovo dir., 1965, 119.

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