Inammissibile la richiesta di mantenimento dei figli a carico dei nonni se pende tra i coniugi il giudizio di separazione

Emanuela Ravot
06 Luglio 2018

Il Tribunale di Asti ha dichiarato inammissibile il ricorso ex art. 148 c.c. presentato dal coniuge per ottenere direttamente dagli ascendenti del marito il versamento dell'assegno, già stabilito in sede di ordinanza presidenziale, a titolo di contributo al mantenimento delle figlie minori, pendente tra le parti il procedimento di separazione giudiziale.
Massima

Pendente tra coniugi giudizio di separazione, l'obbligazione sussidiaria degli ascendenti degli stessi coniugi, invocata ex artt. 148 e 316-bis c.c., non opera risultando inammissibile la condanna sostitutiva per un'obbligazione la cui fonte è in corso di accertamento nel procedimento separativo, ricomprendente la domanda relativa al mantenimento della prole.

Il caso

La fattispecie, oggetto della pronuncia in esame, riguarda una coppia di genitori tra i quali è in corso un procedimento di separazione personale. Uno dei coniugi agisce ex art. 148 c.c. per ottenere direttamente dagli ascendenti del marito, inadempiente, il versamento dell'assegno, già stabilito in sede di ordinanza presidenziale, a titolo di contributo al mantenimento delle due figlie minori. La donna allega, all'uopo, documentazione comprovante il pagamento da parte degli ascendenti medesimi di somme disposte in assegnazione ed in distrazione per importi dovuti ex art. 156, comma 6, c.c., nonché attestante la propria condizione di disoccupata, a seguito di licenziamento dall'azienda di famiglia del marito; indica altresì l'insussistenza di sostegni da parte di propri familiari, le spese che sostiene per l'educazione delle figlie, e segnala le potenzialità reddituali del marito. Insta quindi per l'ordine di versamento diretto da parte dei nonni paterni del contributo al mantenimento delle minori, oltre al 50% delle spese straordinarie e gli arretrati.

Nel costituirsi in giudizio, i genitori del marito domandano la sospensione del procedimento sino all'esito della separazione e, in ogni caso, il rigetto di ogni pretesa della ricorrente. Argomentano le loro difese evidenziando come il loro figlio goda di una retribuzione inferiore a quanto disposto, in sede di ordinanza presidenziale, per il mantenimento delle figlie; fanno presente la chiusura dell'azienda di famiglia, ad eccezione di un unico ramo concesso in affitto, nonché il sacrificio personale, operato con la sostituzione al proprio figlio, nel versamento di quanto richiesto a beneficio delle nipoti, per la loro situazione di modesti pensionati. Indicano altresì che la casa familiare in cui la ricorrente abita con le minori è degli stessi resistenti e che la donna risulta lavorare in nero e avere anche altri familiari.

Il Giudice, a scioglimento della riserva sulle istanze prospettate, dichiara inammissibile il ricorso, in considerazione del già instaurato giudizio di separazione, pendente fra le parti, di oggetto più ampio e ricomprendente la domanda relativa al mantenimento della prole.

La questione

Il tema attiene a questioni sostanziali e procedurali, incentrate sugli obblighi di mantenimento nei confronti dei figli in coppie, tra le quali è in corso il procedimento di separazione giudiziale. In discussione, è l'operatività dell'azione ex art. 148 c.c. nei confronti dei nonni, in una fattispecie in cui, considerata la procedura di separazione instaurata tra le parti, il meccanismo di cui all'art. 156, comma 6, c.c., relativo agli effetti della separazione sui rapporti patrimoniali tra i coniugi, prevede l'efficacia delle misure provvisorie assunte in sede di ordinanza presidenziale, ex artt. 708 c.p.c. e 189 disp. att. c.p.c..

Le soluzioni giuridiche

Il dato normativo, cui rinvia il Giudice astigiano, è fornito dal combinato disposto degli artt. 148 e 316-bis c.c.. A tal proposito, come noto, il matrimonio impone ex art. 147 c.c. ad ambedue i coniugi l'obbligo di mantenere, istruire, educare e assistere moralmente i figli; il successivo art. 148 c.c., precisa che i coniugi devono adempiere a tale obbligo, ai sensi di «quanto previsto dall'art. 316-bis c.c.», ossia, per la norma aggiunta dall'art. 40, comma 1, d.lgs. 28 dicembre 2013, n. 154, con l'effetto di estendere la disciplina di cui già al previgente art. 148 c.c. ai rapporti tra genitori e figli nati anche fuori dal matrimonio, «in proporzione alle rispettive sostanze e secondo le capacità di lavoro professionale o casalingo». Il comma 1 della disposizione richiamata prevede che «quando i genitori non hanno mezzi sufficienti, gli altri ascendenti, in ordine di prossimità, sono tenuti a fornire ai genitori stessi i mezzi necessari affinchè possano adempiere i loro doveri nei confronti dei figli». I nonni, dunque, secondo il dettato normativo, sono chiamati a provvedere al mantenimento dei nipoti in via sussidiaria e residuale rispetto ai genitori, nei casi di accertata impossibilità oggettiva di questi ultimi a provvedervi, in ipotesi di omissione volontaria, anche rifiuto, da parte di entrambi e di omissione anche solo di uno dei due, qualora l'altro genitore da solo non abbia i mezzi. Il dovere, legislativamente previsto, di mantenimento dei figli rimane comunque obbligo principale dei genitori, unici responsabili della crescita e dei bisogni della prole.

Il Giudice individua nell'art. 148 c.c. uno strumento di tutela sommaria, non cautelare, che opera in costanza di unione, nella fattispecie in esame il matrimonio, ma il cui ricorso è di regola precluso dall'instaurazione del giudizio ordinario di separazione. Soccorre, al riguardo, la pronuncia citata nel decreto in esame, Trib. Napoli, 17 luglio 2003, secondo la quale, dal punto di vista processuale, va dichiarata la continenza del procedimento introdotto su proposta di un coniuge nei confronti dell'altro per il mantenimento dei figli minori, ai sensi dell'art. 148 c.c., rispetto al giudizio di separazione tra gli stessi coniugi successivamente introdotto dall'altro coniuge, in quanto quest'ultimo giudizio comprende, oltre ad altri profili, quello relativo al mantenimento della prole; conformemente, si veda Trib. Roma 3 gennaio 1986.

Premesso quanto viene rilevato nel decreto de quo, in ordine alla natura dello strumento di tutela ex art. 148 c.c., la pronuncia annotata chiarisce come il giudice della separazione sia già chiamato a pronunciarsi e a statuire, complessivamente, anche in tema di contributo al mantenimento. Si osserva, da parte del giudicante, come già si svolgano, nel più articolato procedimento di separazione, in corso di istruttoria nella fattispecie esaminata, le valutazioni relative alla situazione familiare generale ed alle differenti problematiche connesse; tra le altre, quelle attinenti all'assegnazione della casa, all'affido e al collocamento, alle spese per la prole e al mantenimento dell'altro coniuge. Con la consequenziale incoerenza procedurale che si verrebbe a determinare, secondo il medesimo giudicante, a seguito dell'emissione di un decreto ex art. 148 c.c., in pendenza di separazione, decreto opponibile autonomamente secondo lo schema del procedimento monitorio.

Si evidenzia altresì come, nel giudizio di separazione, in sede di ordinanza presidenziale pronunciata ex art. 708 c.p.c., sia già prevista la relativa impugnazione, nonché come l'eventuale garanzia cautelare venga fornita ex artt. 342-bis ss. c.c. e sia presente, per la tutela privilegiata accordata ai contributi al mantenimento, nella crisi separativa della famiglia, l'art. 156, comma 6, c.c., nella fattispecie in esame indicato e azionato; oltre, infine, ove ammissibile, all'art. 671 c.p.c., relativo al sequestro conservativo; salva comunque la possibilità di agire contro il coniuge inadempiente per ottenere un contributo proporzionale alle sue condizioni economiche (Cass. 22 luglio 2014, n. 16657; Cass. 6 novembre 2006, n. 23668; al proposito, cfr., in tema di decreto del Presidente del Tribunale reso agli effetti degli artt. 315-bis e 316-bis c.c., App. Bologna, sez. I, 20 febbraio 2015; in relazione specificamente all'art. 148 c.c. e ad eventuali questioni di litispendenza e/o continenza, si v. Cass. civ, 22 luglio 2013, n. 17831).

Viene dato altresì risalto, nella pronuncia in esame, alla funzione che assolve il decreto ex art. 148 c.c. di ingiungere al terzo il pagamento di una quota del debito dell'obbligato a chi sopporta le spese per il mantenimento della prole. Ma il riferimento al predetto mantenimento, nonché il conseguente obbligo di rimborsare pro quota il genitore che abbia provveduto integralmente al quantum sostenuto per il figlio, riguardando la definizione di rapporti pregressi tra condebitori solidali, quali i genitori tenuti ex artt. 147 e 148 c.c., suscettibile di liquidazione in via equitativa, risultano, nel caso di specie (ove già presenti provvedimenti di distrazione emessi a tutela dell'assegno di mantenimento) essere al vaglio del giudice, nel procedimento separativo, in corso di istruttoria (cfr. talune sentenze citate in motivazione, Cass. 16 luglio 2005, n. 15100; Cass. 3 novembre 2006, n. 23596; Cass. 11 luglio 2006, n. 15756, per il cenno alle risultanze processuali correlate alle circostanze di fatto, nelle ipotesi in considerazione).

Nel merito, si evidenzia come la giurisprudenza di legittimità abbia avuto modo di affermare che lo strumento previsto dall'ex art. 148 c.c. determina un procedimento utilizzabile limitatamente ai casi in cui si intende ottenere la condanna in giudizio degli ascendenti dei genitori, privi entrambi, dei mezzi economici necessari ad adempiere i loro doveri legislativamente previsti, nei confronti dei figli. Al riguardo, Cass. 23 marzo 1995, n. 3402 ha precisato che l'obbligo di mantenimento dei figli minori spetta primariamente e integralmente ai genitori sicché, se uno dei due non possa o non voglia adempiere al proprio dovere, l'altro, nel preminente interesse dei figli, deve far fronte per intero alle loro esigenze con tutte le sostanze patrimoniali e sfruttando la propria capacità di lavoro, salva la possibilità di convenire in giudizio l'inadempiente per ottenere un contributo proporzionale alle condizioni economiche globali di costui. E ciò in quanto la solidarietà familiare, nel nostro ordinamento, comporta solo l'obbligo del mantenimento o degli alimenti, ma non mai «una responsabilità patrimoniale sussidiaria di carattere generale per i debiti dei propri discendenti». L'istituto degli alimenti, disciplinato dagli artt. 433-448 c.c. fornisce la dimostrazione del riconoscimento di ben precisi limiti che detta solidarietà incontra. E come al mantenimento dei figli sono tenuti entrambi i coniugi, così analogamente, al medesimo mantenimento, ove ne sussistano i presupposti, sono tenuti tutti e quattro i nonni (in generale, tutti gli ascendenti di pari grado), sempre secondo il criterio di ripartizione basato sulla proporzionalità delle condizioni economiche, proprie di ciascuna delle due coppie di nonni (cfr. anche Cass. 30 settembre 2010, n. 20509, ove in rilievo la regola della sussidiarietà).

Anche nella giurisprudenza di merito, si ribadisce che qualora uno dei coniugi non possa o non voglia adempiere al mantenimento nei confronti dei propri figli, il coniuge adempiente è obbligato a tentare di rimediare all'inerzia dell'altro coniuge innanzitutto con proprie risorse reddituali e patrimoniali, ed eventualmente anche a tentare di reperire coattivamente le risorse economiche dal coniuge inadempiente, essendo il minore il bene oggetto di tutela immediata; viene così a insorgere l'obbligazione ex art. 148 c.c., in presenza di oggettiva inadeguatezza dell'apporto da parte dei genitori (cfr. Trib. Milano, sez. IX, sent., 18 novembre 2015, n. 12965). In senso sostanzialmente analogo, si veda Trib. Messina, sez. I, 26 aprile 2017; Trib. Messina, sez. I, 24 marzo 2017; Trib. Lecce, sez. II, 3 marzo 2017, ove, tra l'altro, si osserva che il rimedio di cui all'attuale art. 316-bis c.c. è utilizzabile anche dopo la separazione, sussistendo l'obbligo primario dei genitori, e sussidiario degli ascendenti, di contribuire al mantenimento dei figli fino al raggiungimento della indipendenza economica degli stessi; Trib. Messina, sez. I, 25 febbraio 2016, secondo cui l'obbligo degli ascendenti di cui all'art. 316-bis c.c. non costituisce un vero e proprio obbligo di mantenere i nipoti e non ha, pertanto, come beneficiari diretti questi ultimi; Trib. Vicenza, decr., 4 settembre 2009; cfr. Trib. Parma 26 maggio 2014, per l'interpretazione del riferimento legislativo riferito ai genitori che «non hanno mezzi sufficienti» al mantenimento dei figli, nel senso che l'insufficienza di detti mezzi ammette anche una integrazione parziale e non la sola sostituzione di una categoria all'altra, posto che il fine della norma in parola è «quello di salvaguardare con la necessaria celerità e in modo assoluto i minori».

Osservazioni

Vale la pena rilevare che, in alcune pronunce attuali, si richiama quanto osservato sul tema. In riferimento all'obbligazione alimentare degli ascendenti, Cass., sez. VI - 1, ord., 2 maggio 2018, n. 10419 ribadisce che «l'obbligazione degli ascendenti è subordinata e, quindi, sussidiaria rispetto a quella, primaria, dei genitori, ma anche nel senso che agli ascendenti non ci si possa rivolgere per un aiuto economico per il solo fatto che uno dei due genitori non dia il proprio contributo al mantenimento dei figli, se l'altro genitore è in grado di mantenerli; così come il diritto agli alimenti ex art. 433 c.c., legato alla prova dello stato di bisogno e dell'impossibilità di reperire attività lavorativa, sorge solo qualora i genitori non siano in grado di adempiere al loro diretto e personale obbligo…».

Risulta pertanto all'evidenza come l'onere di mantenimento imposto ai nonni, previsto nel dettato normativo, trovi sì il suo caposaldo nei principi di solidarietà familiare, quale aiuto e sostegno alla famiglia e tutela dei minori, ma, allo stesso tempo, non possa determinare una deroga alla responsabilità genitoriale.

Per completezza, può essere di interesse segnalare, in questa sede, l'art. 570-bis c.p., inserito dall'art. 2, comma 1, lett. c), d.lgs. 1 marzo 2018, n. 21 ed in vigore dal 6 aprile 2018, norma che attua la riserva di codice nella materia penale applicata alla violazione degli obblighi economici all'interno della famiglia in crisi; riserva circoscritta, per il legislatore delegato con legge n. 103/2017, tra le altre, alle norme che tutelano, «valori della persona umana, e tra questi il principio di uguaglianza, di non discriminazione e di divieto assoluto di ogni forma di sfruttamento a fini di profitto della persona medesima…». L'art. 570-bis c.p., introdotto per farvi confluire le ipotesi criminose di cui all'art. 12 sexies l. n. 898/1970 e all'art. 3 l. n. 54/2006, dispone che «le pene previste dall'art. 570 c.p. si applicano al coniuge che si sottrae all'obbligo di corresponsione di ogni tipo di assegno dovuto in caso di scioglimento, di cessazione degli effetti civili o di nullità del matrimonio ovvero viola gli obblighi di natura economica in materia di separazione dei coniugi e di affidamento condiviso dei figli».