Sull’annullamento d’ufficio di una gara di appalto se la stazione appaltante ha “fondati sospetti” sulla sussistenza della turbativa d’asta

09 Luglio 2018

Il TAR ritiene legittimo l'annullamento in autotutela di una gara di appalto ante Codice del 2016, adottato a distanza di meno di diciotto mesi dalla scoperta del presunto vizio di legittimità, ma dopo circa tre anni e mezzo dall'indizione della procedura di evidenza pubblica e due anni e mezzo dalla stipula del contratto, in presenza di “fondati sospetti” in ordine alla sussistenza della turbativa d'asta, ex art. 353 c.p.

Il caso. Il TAR è chiamato a pronunciarsi sulla legittimità dell'annullamento in autotutela di una gara di appalto (antecedente al nuovo Codice), adottato a distanza di meno di diciotto mesi dalla scoperta del vizio di legittimità, ma dopo circa quattro anni dall'indizione della procedura di evidenza pubblica e tre dalla stipula del contratto, in presenza di “fondati sospetti” in ordine alla sussistenza della turbativa d'asta, ex art. 353 c.p.

La soluzione. Il nuovo termine di diciotto mesi – introdotto dall'art. 6, co. 1, lett. d), l. n. 124/2015 (c.d. Riforma Madia) – si applica solo ai provvedimenti di annullamento in autotutela aventi ad oggetto provvedimenti successivi all'entrata in vigore della nuova disposizione. Per i provvedimenti anteriori, invece, il riferimento ai diciotto mesi, pur non potendo avere applicazione diretta, costituisce un parametro esegetico per valutare la “ragionevolezza del termine”. A tal proposito, il TAR ha osservato che il nuovo termine legislativamente predeterminato non sostituisce in toto il “termine ragionevole” (e indeterminato) che, presente fin dalla formulazione originaria dell'art. 21-nonies, l. n. 241/1990, continua a costituire il parametro di riferimento qualora il nuovo termine di diciotto mesi non sia applicabile ratione temporis.

Al contempo, secondo il TAR, non rileva che il contratto di appalto sia successivo alla data di entrata in vigore della l. n. 124/2015, perché in caso di annullamento d'ufficio dell'aggiudicazione, il contratto eventualmente stipulato tra la p.a. e la ditta aggiudicataria è nullo, e non annullabile (cfr. TAR Piemonte, II, 24 novembre 2014, n. 1906), con la conseguente inapplicabilità dell'art. 21-nonies, co. 1, l. n. 241/1990.

Esclusa l'applicabilità del termine di diciotto mesi al caso di specie, il TAR ha verificato la conformità dell'annullamento in autotutela al canone del “termine ragionevole”.

A tal fine, dopo aver affermato che “il mero decorso del tempo, di per sé solo, non consuma il potere di adozione dell'annullamento d'ufficio”, il Collegio ha soggiunto che, in ogni caso, il termine “ragionevole” decorre solo “dal momento della scoperta, da parte dell'amministrazione, dei fatti e delle circostanze posti a fondamento dell'atto di ritiro” (Cons. Stato, ad. plen., 17 ottobre 2017, n. 8; TAR Molise, I, 5 marzo 2018, n. 111).

Con riferimento all'asserita inconfigurabilità di vizi di legittimità nella procedura di gara in esame, il Collegio ha precisato che “la presenza di fondati sospetti in ordine alla sussistenza della turbativa d'asta ex art. 353 c.p., costituisce presupposto sufficiente a giustificare l'annullamento in autotutela degli atti di gara da parte della stazione appaltante”.

A tal fine, a nulla rileva che l'unico soggetto riconducibile alla società del ricorrente sia risultato destinatario di un provvedimento di archiviazione, mentre il rinvio a giudizio e la sentenza di condanna posti a fondamento della determinazione impugnata riguardino soggetti del tutto estranei all'organizzazione societaria.

Secondo il TAR, infatti, “il giudizio sotteso all'annullamento d'ufficio, avendo ad oggetto la legittimità degli atti da rimuovere, prescinde dall'imputabilità soggettiva del vizio in concreto riscontrato”.

Del pari, non rileva che la sentenza penale di condanna non sia passata in giudicato, in quanto il g.a. “ben può utilizzare come fonte anche esclusiva del proprio convincimento le prove raccolte nel giudizio penale conclusosi con sentenza, ancorché non esplicante autorità di giudicato, e ricavare gli elementi di fatto dalla sentenza e dagli altri atti del processo penale, purché le risultanze probatorie siano sottoposte ad un autonomo vaglio critico”. Sebbene la giurisprudenza richiamata dal TAR faccia riferimento al g.a. e non all'Autorità amministrativa, “se una sentenza non passata in giudicato è rilevante ai fini probatori in sede giurisdizionale, a fortiori lo sarà in sede amministrativa”.

Secondo il TAR, inoltre, il provvedimento impugnato non è viziato in punto di motivazione, perché in caso di interesse “particolarmente qualificato” (o “autoevidente”), “quale la tutela della concorrenza in materia di appalti pubblici”, che ha “rango costituzionale e sovranazionale, l'onere motivazionale gravante sull'Amministrazione deve ritenersi pertanto attenuato (Cons. Stato, ad. plen., 17 ottobre 2017, n. 8).

Sulla natura (endoprocedimentale) delle segnalazioni all'ANAC si rinvia alla sentenza.

Per un approfondimento del tema relativo ai limiti all'annullamento d'ufficio, si segnala il focus di M.A. Sandulli, Autoannullamento dei provvedimenti ampliativi e falsa rappresentazione dei fatti: è superabile il termine di 18 mesi a prescindere dal giudicato penale? e il T.A.R. Lombardia, Milano, I, 2 luglio 2018, n. 1637, in questo Portale.