Agente provocatore e operatività della scriminante dell’adempimento di un dovere

Catello Vitiello
10 Luglio 2018

L'agente di polizia giudiziaria che si serva illecitamente di un confidente per l'arresto degli spacciatori, con il consenso implicito e di fatto dei superiori, può invocare l'esimente di cui all'art. 51 c.p. quando agisce nel convincimento che sta svolgendo una attività lecita? La questione non è di semplicissima risoluzione perché entrano in gioco più criticità.

L'agente di polizia giudiziaria che si serva illecitamente di un confidente per l'arresto degli spacciatori, con il consenso implicito e di fatto dei superiori, può invocare l'esimente di cui all'art. 51 c.p. quando agisce nel convincimento che sta svolgendo una attività lecita?

La questione non è di semplicissima risoluzione perché entrano in gioco più criticità.

Innanzitutto, occorre verificare se il contributo del confidente possa ricondursi a quello di un mero osservatore, integrando così l'ipotesi della fonte confidenziale con tutte le conseguenze giuridiche rappresentate dall'art. 195 c.p.p., oppure a quello dell'infiltrato. Il richiamo alla causa di giustificazione per legittimare l'operato della polizia giudiziaria lascia pensare che ci si riferisca all'evenienza che il privato abbia operato da agente provocatore, magari come falsus emptor. Ebbene, per la polizia giudiziaria la scriminante di cui all'art. 51 c.p. opera allorché la condotta sia posta in essere in adempimento del dovere di cui all'art. 55 c.p.p., atteso l'obbligo di assicurare le prove dei reati e di ricercare i colpevoli. Naturalmente, secondo la giurisprudenza, la condotta deve tradursi in una forma di indiretto e marginale intervento nell'ideazione e nell'esecuzione del reato, esaurendosi prevalentemente in un'attività di osservazione, controllo e contenimento delle azioni illecite altrui perché, qualora la condotta dell'agente provocatore dovesse inserirsi all'interno dell'iter criminis con rilevanza causale, la punibilità non può essere esclusa. Le scelte legislative in materia avallano siffatta soluzione: l'art. 9 l. 146/2006, come modificato dalla l. 136/2010 ha, infatti, previsto una speciale causa di giustificazione che opera (fermo quanto disposto dall'articolo 51 del codice penale) nei confronti degli ufficiali, agenti di polizia giudiziaria e ausiliari “sotto copertura”, nonché dei “privati collaboratori della polizia giudiziaria” quando le attività siano condotte in attuazione di operazioni autorizzate e documentate. Non va, poi, dimenticato che, se l'agente provocatore è un agente di polizia giudiziaria, si ritiene – come detto – operante la scriminante dell'art. 51 c.p. in considerazione dell'adempimento del dovere di cui al citato art. 55 c.p.p.; qualora sia un privato cittadino, invece, si pretende che l'intervento sia giustificato da un ordine legittimo della pubblica autorità e sia posto in essere dal privato in fedele esecuzione dell'ordine ricevuto (deve evitare il reato o farne cessare le conseguenze e consentire l'arresto dei complici e non avere fini o obiettivi diversi e personali).

In secondo luogo, gli ordini che possono giustificare l'attività del falsus emptor sono – come detto – esclusivamente quelli legittimi, cioè conformi alla normativa che li disciplina: il fatto commesso in esecuzione di un ordine contra jus, di certo,non è giustificato (salvo che per gli ordini insindacabili e limitatamente al solo esecutore) e l'eventuale non punibilità dell'agente non dovrà ricercarsi sul terreno della giustificazione, bensì su quello dell'assenza di colpevolezza. Nel caso specifico, l'ordine sembra essere illegittimo perché viziato da incompetenza, eccesso di potere o violazione di legge (“si serve illecitamente di un confidente”). Il fatto commesso in esecuzione di tale ordine, pur col “consenso implicito e di fatto dei superiori”, è inficiato da uno dei vizi amministrativi e sarà antigiuridico, non potendosi quindi reputare perfezionata la fattispecie giustificatrice (il fatto sarà, pertanto, impedibile nelle forme della legittima difesa e della reazione ad atti arbitrari del pubblico ufficiale; se il fatto giungerà a compimento sarà addirittura possibile richiedere il risarcimento dei danni, ex artt. 2043 ss. c.c.). In base alle regole generali sul concorso nei reati, chi riceve un mandato criminoso e lo esegue è penalmente responsabile. Cosicché il confidente, destinatario dell'ordine illegittimo, qualora ubbidendovi perfezioni un reato, non potrà ricorrere all'esimente di cui all'art. 51 c.p., a meno che non ricorrano le ipotesi di cui ai commi 3 e 4 dell'art. 51 c.p.: che egli abbia ritenuto l'ordine legittimo per errore di fatto o che la legge non gli consenta alcun sindacato sulla legittimità dell'ordine.

Allo stesso modo, l'agente di polizia giudiziaria – autore dell'ordine illegittimo impartito al confidente a seguito di un consenso implicito – non potrà invocare l'esimente perché non sembra emergere la possibilità di un errore di fatto e perché può di certo escludersi, nel caso di specie, l'illogica, improbabile e – forse – paradossale insindacabilità di un “consenso implicito e di fatto dei superiori”, che non potrà mai ritenersi vincolante!

Qualora non si condividesse la tesi prospettata, sarà utile ricordare che la giurisprudenza sovranazionale impone, oggi, una reinterpretazione convenzionalmente conforme di tutte le fattispecie di agenti provocatori, sia quelle oggetto di dettagliata disciplina legislativa, sia quelle riconducibili alla clausola generale ex art. 51 c.p., a meno che non si voglia dar luogo a un'ipotesi di illegittimità costituzionale ai sensi dell'art. 117 Cost. Ne discende che si avranno figure di agenti provocatori legittime e, pertanto, dotate di efficacia scriminante solo allorché l'agente abbia ricevuto ordini chiari, certi e documentabili e, di conseguenza, interloquisca con soggetti già criminalmente attivi, inserendosi in attività penalmente illecite già in svolgimento.

L'agente provocatore è, in Italia, un tema “sensibile” che non consente facilmente deroghe e compromessi, anche in virtù della compatibilità di tale figura con la Cedu: la Corte di Strasburgo ritiene, infatti, incompatibile con l'art. 6 della Convenzione la figura di agente provocatore che si rivela essere condicio sine qua non di qualsivoglia illecito penale emerso a seguito della sua attività.

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