Concordato fallimentare: il diritto di voto del creditore proponente

Luciano Castelli
11 Luglio 2018

Con la recente sentenza n. 17186 del 28 giugno 2018, le Sezioni Unite hanno affrontato la questione relativa alla spettanza del diritto di voto, in sede di concordato fallimentare, al creditore proponente e ai soggetti ad esso collegati.

Con la recente sentenza n. 17186 del 28 giugno 2018, le Sezioni Unite hanno affrontato la questione relativa alla spettanza del diritto di voto, in sede di concordato fallimentare, al creditore proponente e ai soggetti ad esso collegati.

Sul punto, la Suprema Corte, nell'unico precedente rinvenibile (Cass. 10 febbraio 2011 n. 3274), aveva dichiarato la tassatività delle ipotesi di conflitto d'interesse disciplinate dall'art. 127, comma 5 e 6, l.fall., sottolineando la “natura eccezionale ed insuscettibile di applicazione analogica” della predetta norma.

Secondo il precedente orientamento, infatti, il legislatore, nell'optare per il non inserimento di una norma generale sul conflitto di interessi tra il creditore proponente e le società ad esso correlate, ne avrebbe di fatto escluso la sussistenza, limitandosi a disciplinare specificatamente i casi di rilevanza del conflitto (art. 37-bis, comma 2, l.fall.; art. 40, comma 4, l.fall.; art. 127, comma 5 e 6, l.fall. ed art. 177, ultimo comma, l.fall.).

Le Sezioni Unite, di contro, hanno rilevato che, pur essendo vero che l'art. 127 l.fall. individua solo alcune ipotesi particolari di conflitto d'interessi, ciò non autorizza a concludere che non rilevino anche ipotesi di conflitto non previste espressamente dalla legge, ma che risultano comunque implicite nella disposizione normativa e in tutto il sistema.

Sulla scorta del principio generale sopra enunciato, del tutto correttamente, le Sezioni Unite sono pervenute alla conclusione secondo cui l'ambito di applicazione dell'art. 127 l.fall. deve essere esteso, rilevando che una simile interpretazione non solo non trova ostacoli nel testo normativo, ma è altresì “raccomandata da persuasive ragioni di carattere logico-sistematico”.

L'estensione delle ipotesi di esclusione del diritto di voto in sede di concordato fallimentare anche alle società collegate, secondo la recente pronuncia, è, infatti, giustificata dal fatto che la volontà delle stesse può essere efficacemente condizionata dai soggetti che direttamente versano in una situazione di conflitto, non essendovi alcuna ragione per ritenere che una simile logica “valga esclusivamente quanto al confitto d'interesse dei creditori congiunti del fallito (previsto espressamente dall'art. 127, comma 6, l.fall.), e non anche quanto a quello del creditore proponente”.

Tanto che, chiosano le Sezioni Unite, “propendere per un'interpretazione non estensiva del sesto comma dell'art. 127 l. fall. comporterebbe ingiustificabili lacune e contraddizioni nella disciplina del conflitto d'interesse nel voto concordatario”.

Sulla scorta di ciò, la Suprema Corte ha, quindi, cassato il provvedimento con il quale era stata negata la sussistenza del conflitto d'interessi tra proponente e società ad essa correlate, ed ha enunciato il seguente principio di diritto: “sono escluse dal voto sulla proposta di concordato fallimentare e dal calcolo delle maggioranze le società che controllano la società proponente o sono da essa controllate o sono sottoposte a comune controllo”.

L'importanza della decisione resa dalle Sezioni Unite è data dal fatto che il principio espresso dal massimo consesso supera i confini della legge fallimentare per affermare la sostanziale immanenza nel nostro sistema giuridico del principio che vieta l'espressione di un voto in conflitto di interessi laddove vi sia un corpo deliberante secondo il principio di maggioranza, indipendentemente da una espressa previsione normativa al riguardo.