Vizio di menteFonte: Cod. Pen Articolo 88
12 Luglio 2018
Inquadramento
Nessuno è punibile se non è colpevole, nessuno è colpevole se non è imputabile.
Non è imputabile chi, al momento in cui ha commesso il fatto, non era capace d'intendere e di volere (art. 85 c.p.): il vizio di mente interrompe la catena della responsabilità penale. Quando chi «nel momento in cui ha commesso il fatto» si trova «per infermità, in tale stato di menteda escludere la capacità d'intendere e di volere» (art. 88 c.p.), non è imputabile e, quindi, non è punibile ma laddove se ne accerti la pericolosità sociale vanno adottate nei suoi confronti misure di sicurezza personali. Per escludere la responsabilità penale (personale) non è sufficiente, in tema di imputabilità, accertare l'esistenza di una malattia mentale dell'imputato ma occorre verificare la, concreta e rilevante, incidenza della stessa sulla capacità di intendere e di volere.
Imputabilità, intesa come capacità d'intendere e di volere, e colpevolezza, intesa come coscienza e volontà di porre in essere il fatto penalmente illecito, non si sovrappongono e agiscono su piani concorrenti e potenzialmente complementari, sebbene la prima, intesa come primo anello della responsabilità (personale) penale, va accertata propedeuticamente alla seconda, di cui ne costituisce “accesso”. Gli articoli 88 e 89 c.p. altro non rappresentano che la specifica puntualizzazione del più generale principio della imputabilità in quanto, unitamente ad altri, ne fondano e ne circoscrivono la portata normativa ed empirica: se, da un lato, è affidato alle scienze il compito di individuare il requisito bio-psicologico a mezzo del quale il soggetto può ritenersi comprenda e recepisca il precetto normativo e la connessa sanzione punitiva, dall'altro, sarà il Legislatore a tradurre i dati forniti dalle prime per fissarne i contenuti di rilevanza giuridica. Tra le cause di esclusione, o diminuzione, della imputabilità, il vizio di mente (totale/parziale) costituisce una delle condizioni di natura patologica da non confondere, anche per le diverse conseguenze che ne derivano, con quelle di natura fisiologica (v. art. 97 c.p.: infraquattordicenni; art. 98 c.p.: infradiciottenni) e quelle di natura tossica (v. artt. 91 e ss. c.p.: intossicazione da alcool o da sostanze stupefacenti). Prima ancora della valutazione dell'incidenza sulla capacità di intendere e di volere va affrontata la questione interpretativa sul se la definizione di infermità, utilizzata dall'art. 88 c.p., equivalga, ovvero no, a quella di malattia. A un primo orientamento, di natura giurisprudenziale, rigorosamente restrittivo e rassicurante – secondo cui l'infermità deve essere sempre riconducibile a una patologia clinica oggettivamente riscontrabile e classificata per tale sotto il profilo medico – se ne contrappone altro, (poi fatto proprio, da Cass. pen., Sez. unite, n. 9163/2005) che considera rilevanti, sotto il profilo dell'imputabilità, non solo le rigide classificazioni medico-psichiatriche bensì anche tutti quei disturbi della personalità non inquadrabili “canonicamente” in parametri scientifici predeterminati ma tali da incidere, per consistenza, gravità ed intensità, sulla capacità d'intendere e di volere del soggetto, sempre che venga verificato il nesso eziologico tra gli stessi e la condotta posta in essere. Secondo questa impostazione, la malattia mentale non racchiude integralmente il concetto di infermità, che assume connotazioni più ampie, bensì va oltre il perimetro di tale categoria. Può dirsi, quindi, senz'altro, superata una concezione unitaria della malattia essendosi affermata una definizione integrata della stessa che comporta, come diretta conseguenza, una metodologia necessariamente mirata a calare tale concetto nel caso specifico. È, del resto, la stessa definizione codicistica a non menzionare il concetto di malattia riconducendo ogni ragionamento in merito a essa all'alterazione dello stato di mente: è su quest'ultimo, (in tale stato di mente), quindi, che va misurata l'imputabilità. Non è, quindi, l'infermità in sé a rilevare bensì lo stato di mente dalla stessa determinato a incidere sulla capacità di intendere e di volere dell'agente, tanto da escluderla ovvero farla scemare grandemente. Il concetto di infermità, in definitiva, non è del tutto sovrapponibile a quello di malattia risultando oggettivamente più ampio e comportando, anche, che non sono alla stessa riconducibili solo le manifestazioni morbose aventi basi anatomiche e/o organiche. Del resto, in dottrina, si è avuto modo di sottolineare che «non interessa tanto che la condizione del soggetto sia esattamente catalogabile nel novero delle malattie elencate nei trattati di medicina, quanto che il disturbo abbia in concreto l'attitudine a compromettere gravemente la capacità sia di percepire il disvalore del fatto commesso, sia di recepire il significato del trattamento punitivo». La rilevanza scientifica delle malattie mentali: i manuali diagnostici
Le due grandi classificazioni delle malattie mentali riconducono al Manuale Diagnostico e statistico dei disturbi mentali (DSM-IV) – redatto dall'American Psychiatric Association – e all'ICD-10 – adottato dagli Stati membri dell'Organizzazione Mondiale della Sanità. I principali disturbi mentali vengono catalogati in diciassette classi diagnostiche, tra cui quella avente a oggetto l'autonoma categoria dei disturbi della personalità. Anche a questi ultimi può essere riconosciuta la natura di infermità purchè venga accertato, in una «necessaria collaborazione tra giustizia penale e scienza», che essi incidano significativamente sul funzionamento dei meccanismi intellettivi o volitivi del soggetto tanto da proporsi come cause idonee ad escluderne, o grandemente scemarne, la capacità di intendere e di volere. Le conseguenze del vizio di mente
Se il reato è stato commesso da soggetto che, al momento del fatto, non era imputabile, il giudice, stante il totale vizio di mente, pronuncia sentenza di assoluzione (art. 530, comma 1, c.p.p.) e nei casi previsti dalla legge applica le misure di sicurezza (comma 4). Se il reato è stato, invece, commesso da soggetto la cui capacità, al momento del fatto, era grandemente scemata il giudice, stante il parziale vizio di mente, pronuncia sentenza di condanna e «applica la pena e le eventuali misure di sicurezza» (art. 533, comma 1, c.p.p.). Nell'applicare la pena, in caso di vizio parziale di mente, il giudice tiene conto del disposto di cui all'art. 65 c.p. che sancisce la sostituzione della pena dell'ergastolo con quella della reclusione da venti a ventiquattro anni e, in tutti gli altri casi, la diminuzione della sanzione ritenuta in misura non eccedente il terzo. Il parametro generale, dettato dall'art. 533, comma 1, c.p.p. ai fini della pronuncia di condanna, e compendiato nella formula al di là di ogni ragionevole dubbio, ha a oggetto tutte le componenti del giudizio e, «pertanto, anche la capacità di intendere e di volere dell'imputato, il cui onere probatorio non è attribuito all'imputato, quale prova di una eccezione, bensì alla pubblica accusa» (Cass. pen., Sez. I, n. 9638/2016). L'applicabilità delle misure di sicurezza personali – richiamata espressamente dalle, rispettive, formule di cui agli artt. 530 e 533 c.p.p. – è strettamente connessa alla sussistenza della (accertata) pericolosità sociale del soggetto e alla rigorosa valutazione della intensità della stessa: a quest'ultima corrisponde una gradualità applicativa di cui il giudice deve tenere conto al di fori di ogni automatismo di scelta e di durata. In sede di udienza preliminare – sempre che in quest'ultima il giudizio non trovi definizione a mezzo di un rito alternativo – «a seguito della modifica dell'art. 425 c.p.p., introdotta con l'art. 23 della legge 479 del 1999, deve ritenersi ricompresa nella disposizione normativa secondo cui il giudice può pronunciare sentenza di proscioglimento nei confronti di persona non punibile per qualsiasi causa anche l'ipotesi di difetto di imputabilità per incapacità di intendere e di volere, a condizione che non debba essere applicata una misura di sicurezza personale, in considerazione dell'assenza di pericolosità sociale». Le misure di sicurezza personali possono essere detentive o non detentive: quelle detentive trovano esecuzione presso apposite strutture residenziali socio-sanitarie – ora in sostituzione dell'ospedale psichiatrico giudiziario e della casa di cura e custodia – denominate Residenza per l'esecuzione della misura di sicurezza (Rems).
Aspetti processuali
Nel corso del processo tutte le volte in cui il soggetto non è capace di parteciparvi coscientemente il giudice, previo specifico accertamento peritale – artt. 70 e 71 c.p.p. – lo sospende con ordinanza sempre che non debba essere pronunciata sentenza di proscioglimento o di non luogo a procedere. Di recente, - a mezzo della legge 103/2017 -, l'intera materia della capacità dell'imputato di partecipare coscientemente al processo è stata rivisitata. Mentre, in precedenza le sospensioni del processo nei confronti di soggetti non in grado di parteciparvi coscientemente entravano, tutte, in un limbo processuale sine die, – con la creazione dei cd. eterni giudicabili e le perizie che venivano rinnovate, periodicamente, ogni sei mesi –, ora la sospensione del processo è stata subordinata alla sussistenza della ulteriore condizione della reversibilità della patologia. Con l'introduzione dell'art. 72-bisc.p.p., difatti, quando, a seguito degli accertamenti peritali previsti dall'art. 70 c.p.p., viene certificata la irreversibilità della incapacità dell'imputato di partecipare coscientemente al processo, il giudice, – eventualmente revocando la precedente ordinanza di sospensione –, “pronuncia sentenza di non luogo a procedere o di non luogo a procedere”, fatti salvi i casi in cui, in presenza della pericolosità sociale, debba provvedersi all'applicazione di una misura di sicurezza personale. Vizio di mente e provvedimenti cautelari
Nei confronti di un soggetto capace di partecipare coscientemente al processo ma il cui stato di mente appare tale da rendere necessaria la cura nell'ambito del servizio psichiatrico – art. 73 c.p.p. –, è previsto che il giudice (o nei casi di urgenza il pubblico ministero) informi l'autorità amministrativa competente per l'adozione delle misure previste dalle leggi sul trattamento sanitario ovvero, laddove necessario, provveda direttamente al ricovero provvisorio “in idonea struttura del servizio psichiatrico ospedaliero”.
Per i soggetti che, al momento della constatazione di tale situazione, si trovino già in stato di custodia cautelare quest'ultima deve trovare necessaria trasformazione nelle forme di cui all'art. 286 c.p.p. - (custodia cautelare in luogo di cura). Le misure di sicurezza personali trovano applicazione anche in via provvisoria (artt. 312 e ss. c.p.p.) in qualunque stato e grado del procedimento: vi provvede il giudice, (con ordinanza), su richiesta dell'ufficio del pubblico ministero. A differenza di quanto accadeva in precedenza anche le misure di sicurezza personali sono ora soggette a limiti di durata in quanto, a seguito dell'entrata in vigore della legge 81 del 30/5/2014, esse, pur restando avulse dal regime di fase previsto per le misure cautelari perosnali, non possono superare quale durata la pena sancita per il reato in relazione al quale hanno trovato applicazione, pena da calcolare nella sua massima estensione edittale. Casistica
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