Lavoro autonomo, libertà di inizio e di svolgimento concreto della prestazione

20 Luglio 2018

La non obbligatorietà della prestazione lavorativa esclude in radice la subordinazione perché la configurabilità della eterodirezione contrasta con l'assunto secondo cui la parte che deve rendere la prestazione può, a suo titolo, interrompere il tramite attraverso il quale si estrinseca il potere direttivo dell'imprenditore.Può esserci coordinamento senza subordinazione.
Il caso

Diversi lavoratori operanti mediante contratto di collaborazione coordinata e continuativa con una nota società di consegna a domicilio hanno adito il Tribunale Lavoro di Torino per sentir riconoscere la sussistenza di un rapporto di lavoro subordinato in ragione della presenza di indici rivelatori di un potere direttivo, organizzativo e disciplinare da parte del committente.

Le questioni

Le questioni trattate dalla sentenza sono le seguenti: a) può ritenersi subordinato un rapporto di lavoro nel quale il prestatore è libero di scegliere se lavorare o meno a fronte della richiesta del datore di lavoro? b) qual è il confine tra il coordinamento proprio del contratto di collaborazione coordinata e continuativa e l'eterodirezione propria invece del rapporto di lavoro subordinato?

Le soluzioni giuridiche

La Corte di cassazione è oramai unanime e categorica nell'individuazione degli elementi che contraddistinguono il rapporto di lavoro subordinato rispetto al lavoro autonomo. Ed in particolare: “L'elemento che contraddistingue il rapporto di lavoro subordinato rispetto al rapporto di lavoro autonomo è il vincolo di soggezione personale del lavoratore al potere organizzativo, direttivo e disciplinare del datore di lavoro, con conseguente limitazione della sua autonomia ed inserimento nell'organizzazione aziendale, mentre altri elementi, quali l'assenza di rischio, la continuità della prestazione, l'osservanza di un orario e la forma della retribuzione, pur avendo natura meramente sussidiaria e non decisiva, possono costituire indici rivelatori della subordinazione, idonei anche a prevalere sull'eventuale volontà contraria manifestata dalle parti, ove incompatibili con l'assetto previsto dalle stesse”. (Cass. lav., n. 15631 del 2018).

Tale vincolo di soggezione personale porta a ritenere che il lavoratore subordinato sia tale solo allorquando la sua prestazione sia rimessa integralmente alle disposizioni e determinazioni del datore di lavoro a fronte delle cui direttive non può far altro che eseguire. Al contrario laddove un rapporto si caratterizzi per una gestione autonoma della prestazione da parte del lavoratore (in assenza di direttive, di orari di procedimenti disciplinari), pur nell'ambito dei confini contrattuali stabiliti con il Committente, non potrà parlarsi di lavoro subordinato ma di lavoro autonomo.

Ed è proprio sotto tale profilo che va ad innescarsi la distinzione tra eterodirezione propria del lavoro subordinato e coordinamento nell'ambito di un rapporto di lavoro autonomo. Secondo la Suprema Corte di Cassazione Lavoro: “In tema di distinzione tra rapporto di lavoro subordinato ed autonomo, l'organizzazione del lavoro attraverso disposizioni o direttive - ove le stesse non siano assolutamente pregnanti ed assidue, traducendosi in un'attività di direzione costante e cogente atta a privare il lavoratore di qualsiasi autonomia - costituisce una modalità di coordinamento e di eterodirezione propria di qualsiasi organizzazione aziendale e si configura quale semplice potere di sovraordinazione e di coordinamento, di per sé compatibile con altri tipi di rapporto, e non già quale potere direttivo e disciplinare, dovendosi ritenere che quest'ultimo debba manifestarsi con ordini specifici, reiterati ed intrinsecamente inerenti alla prestazione lavorativa e non in mere direttive di carattere generale, mentre, a sua volta, la potestà organizzativa deve concretizzarsi in un effettivo inserimento del lavoratore nell'organizzazione aziendale e non in un mero coordinamento della sua attività”. (Cass. lav., n. 26986 del 2009).

In buona sostanza laddove gli interventi del committente siano sporadici e non continuativi o tali da annullare l'autonomia del lavoratore, non potrà parlarsi di subordinazione ma di quella sovraordinazione e coordinamento propria di ogni struttura aziendale apicale.

E pertanto, laddove non solo il prestatore abbia la facoltà di non rendere la prestazione sebbene richiesta dal datore di lavoro, ma inoltre gli interventi di quest'ultimo siano di carattere sporadico e non così pregnante da delimitare l'autonomia del collaboratore, allora potrà parlarsi di lavoro autonomo e non più di subordinazione.

Osservazioni

La sentenza in commento si pone certamente come una delle più discusse degli ultimi mesi vuoi perché trattasi della prima pronuncia relativamente a categorie di lavoratori appartenenti alla cosiddetta Gig Economy, vuoi per il profondo dibattito che sta attraversando il mondo del diritto del lavoro, da ultimo con l'emanazione del Decreto Dignità.

Certamente la pronuncia in commento si caratterizza per una analisi estremamente dettagliata del caso specifico in uno con una disamina puntuale e precisa degli indici stabiliti da legge e giurisprudenza per stabilire se e quando un rapporto di lavoro autonomo (in tal caso di collaborazione coordinata e continuativa) possa tramutarsi in rapporto di lavoro subordinato.

Quanto emerge da tale opera interpretativa appare certamente in linea con gli ultimi arresti sul punto. Ed infatti, per quanto la pronuncia possa avere avuto una eco estremamente forte, in realtà va ad affrontare un tema, quello della subordinazione, applicando in maniera rigorosa e corretta i principi noti a tutti sul tema in virtù dei quali devono sussistere, o meglio devono esser provati da parte del lavoratore, l'esercizio del potere direttivo e disciplinare da parte del Committente. Nel caso odierno il Giudice ha dedotto l'inesistenza di tali elementi sulla base sia di considerazioni emerse dall'istruttoria sia dalle generali modalità di svolgimento della prestazione. Tutto infatti ruota attorno a due concetti fondamentali:

a) la possibilità del prestatore di scegliere se lavorare o meno;

b) la natura del rapporto una volta optato per lo svolgimento dell'opera.

Procediamo con ordine.

Ed infatti l'elemento essenziale del rapporto di lavoro con i cosiddetti riders è l'assenza di un obbligo in capo agli stessi di lavorare o meno una volta che il committente abbia richiesto la prestazione lavorativa e, di converso, l'assenza di un obbligo da parte del committente di ricevere la prestazione qualora offerta.

Ora a differenza della similare (all'apparenza) fattispecie del lavoro a chiamata o intermittente (rapporto di lavoro subordinato dove però tra una prestazione e l'altra il lavoratore resta a disposizione del datore di lavoro), nel caso dei riders vi è una assoluta libertà degli stessi di aderire alla offerta di lavoro promossa da parte del committente, offerta peraltro rivolta indistintamente alla platea dei vari soggetti legati allo stesso come riders ed iscritti alla relativa piattaforma. Pertanto risulta esser mancante l'elemento che di base contraddistingue il rapporto di lavoro subordinato ossia la possibilità del datore di lavoro di obbligare il dipendente a prestare la propria opera. Questo è un dato che è pacificamente emerso dalla sentenza e solo laddove si riesca concettualmente ad ammettere la possibilità che un lavoratore subordinato, a fronte della richiesta del datore di prestare attività lavorativa, possa scegliere liberamente se e quando lavorare, allora potrà dirsi che la sentenza in commento è errata. Ma tale conclusione non potrebbe mai apparire sostenibile in quanto è ontologicamente impossibile che un lavoratore subordinato possa rifiutare la prestazione o addirittura a fronte di una richiesta del proprio datore possa scegliere di non operare in quanto, oltre alla sussistenza di evidenti profili disciplinari, verrebbe a mancare il potere del datore di lavoro di disporre della prestazione lavorativa del proprio dipendente.

Su tale punto la pronuncia in commento appare ineccepibile.

Del pari è a dirsi per l'annosa distinzione tra coordinamento e subordinazione nonché per il profilo relativo alla sussistenza del potere disciplinare, anche questi affrontati dalla sentenza sulla scorta però non di un principio generale, come sopra, ma sulla base di quanto emerso dall'istruttoria.

E questo è un profilo di estremo interesse in quanto dimostra come il Giudice, mentre a priori abbia escluso la sussistenza di potere direttivo nella fase del rapporto concernente la mera disponibilità del lavoratore alla prestazione, lo stesso non ha fatto per la fase successiva ossia quella nella quale, una volta, data la propria disponibilità ad effettuare la corsa il rider si sia trovato ad operare nell'ambito del sistema informatico predisposto dalla Società.

Pertanto in tal caso si è riportata la vicenda nell'ambito dei binari della prova, ossia sottolineando come solo dall'esame delle risultanze istruttorie possa definirsi sussistente o meno un vincolo di subordinazione. Nel caso specifico è stato escluso tale qualifica del rapporto sulla base di diversi elementi emersi dalle testimonianze, quali la mancata imposizione dell'orario di lavoro da parte della società, la libertà per i riders di scegliersi il percorso migliore per la consegna, la possibilità di non rendere la prestazione e senza alcuna comunicazione una volta inserito nel turno. In particolare indice espresso del coordinamento è stato individuato nel sollecito che la società poteva effettuare al rider al fine di far rispettare i tempi di consegna. Ed infatti i tempi di consegna rappresentando l'elemento qualificante della prestazione richiesta erano il perno su cui incardinare l'attività di coordinamento da parte del committente il quale, lasciando libero il rider di espletare come meglio credeva la prestazione, interveniva semplicemente sullo stesso perché rispettasse l'oggetto sostanziale e finale del contratto.

In buona sostanza il Giudice ha correttamente fatto proprio quell'orientamento della giurisprudenza di legittimità sopra richiamato che esclude la subordinazione allorquando gli interventi del committente non siano continuativi e siano comunque tali da non elidere e comprimere l'autonomia del collaboratore.

Del pari è a dirsi per il potere disciplinare. Anche in tal caso il Giudice ha rilevato l'assenza del requisito non solo sulla base delle testimonianze rese, che non hanno individuato alcuna ipotesi di sanzione disciplinare per come prevista dall'art. 7, l. n. 300 del 1970, ma anche nella stessa facoltà contrattualmente riconosciuta ai riders di revocare la disponibilità anche senza preavviso mediante una funzione della piattaforma a cui non conseguiva né è mai conseguito alcun provvedimento da parte dell'azienda.

In conclusione può ritenersi come la sentenza in commento, nonostante lo scalpore mediatico che ha destato, si vada a collocare nel solco di quella unanime giurisprudenza che ravvede la subordinazione solo alla rigida ed obbligatoria sussistenza di determinati e ben definiti presupposti, l'assenza dei quali impedirà di poter definire diversamente un rapporto autonomo.

E nel caso di specie, appare indubbio come se da un lato la stessa natura e conformazione del rapporto impedisce di poter parlare di subordinazione, dall'altro a medesima conclusione ha condotto lo svolgimento dell'istruttoria che ha confermato come la specifica modalità di svolgimento del rapporto sia tale da escludere l'esercizio di un potere direttivo e disciplinare da parte del committente.