La posizione del socio moroso nelle deliberazioni della società

Francesco Prisco
25 Luglio 2018

Qual è la posizione del socio moroso nelle deliberazioni di una società? Le sue azioni vanno calcolate nel quorum deliberativo?

Qual è la posizione del socio moroso nelle deliberazioni di una società? Le sue azioni vanno calcolate nel quorum deliberativo?

Come riportato dalla lettera dell'art. 2466 c.c., nell'ipotesi in cui un socio di una società di capitali non effettua il conferimento, cui è obbligato, nei termini prescritti dagli amministratori, lo stesso organo amministrativo è tenuto ad attuare il procedimento compiutamente descritto dalla citata disposizione, che si instaura con la trasmissione di una diffida e termina con l'esclusione del socio moroso dalla compagine sociale.

Lo status di morosità è dunque inscindibilmente collegato al presupposto del mancato pagamento nel termine assegnato dall'amministratore, dallo statuto o dalla delibera di aumento di capitale.

Al verificarsi di tale condizione, il comma secondo dell'art. 2466 c.c., impone agli amministratori la trasmissione di una diffida al soggetto moroso, intimando allo stesso l'esecuzione dei conferimenti nel termine di trenta giorni, a cui segue, in caso di inerzia, la perdita del diritto di voto.

La norma, seppur chiara nel suo tenore letterale, ha acceso un vivace dibattito tra gli operatori del diritto in ordine, dapprima, alla propedeuticità dell'intimazione ad adempiere e, successivamente, in merito all'inderogabilità della sanzione sospensiva.

Quanto alla prima questione, si è discusso in dottrina e giurisprudenza se la diffida ad adempiere prescritta dall'art. 2466 c.c. debba essere considerata conditio sine qua non al fine della suddetta esclusione del socio dal diritto di voto.

Un primo filone, caldeggiato dalle Corti di merito e dalla dottrina prevalente, ritiene che la formale costituzione in mora del socio integri un presupposto indefettibile al fine di comminare la conseguente sanzione inibitoria (cfr. Trib. S.M. Capua Vetere, 06 ottobre 1998 e Trib. Teramo, 07 giugno 1966).

Tale orientamento risulta però superato da un recente arresto della Suprema Corte, la quale, allineandosi ai propri precedenti, ha statuito che “il socio che non abbia eseguito il versamento dei conferimenti in denaro nel termine fissato dagli amministratori non può esercitare il diritto di voto, indipendentemente dalla ricezione di una diffida ad eseguire il pagamento nel termine di trenta giorni”; tale atto, infatti, assumerebbe un diverso fine, orientato ad avviare l'eventuale procedura di vendita della partecipazione in danno del socio (Cass., SS.UU., n. 585 del 15 gennaio 2015).

La formale intimazione prescritta dall'art. 2466 c.c. non avrebbe, pertanto, carattere propedeutico all'esercizio (o meno) del diritto di voto.

Si è discusso, poi, se la sanzione sospensiva debba essere applicata inderogabilmente. Sul punto l'orientamento assolutamente prevalente ritiene che lo statuto sociale possa prescrivere a carico del socio moroso talune aggravanti (ad esempio una penale), ovvero attenuare la sanzione sino ad eliderla del tutto ed eliminare anche la possibilità di procedere con la citata sospensione (per chiarezza espositiva si consiglia Pisani Massamormile, Il Codice Civile. Commentario fondato da Schlesinger, Milano, Giuffrè, 1994, 331 e ss).

Analizzati i profili giuridici inerenti la sospensione del voto, occorre ora chiarire la posizione del socio moroso nell'assemblea sociale e, più in particolare, se la partecipazione del socio “interdetto” debba essere conteggiata nel quorum costitutivo.

Per rispondere a tale quesito si ritiene opportuno prendere le mosse dal tenore letterale del più volte menzionato art. 2466, comma 4, c.c. a mente del quale “il socio moroso non può partecipare alle decisioni dei soci”. La norma è abbastanza chiara nel precisare che il soggetto moroso non può partecipare alle decisioni dei soci mediante l'espressione del voto, ma nulla dispone in ordine al diritto dello stesso di intervenire in assemblea e, una volta comparso, di essere contato tra i presenti.

Dunque non paiono esserci dubbi in ordine al fatto che la partecipazione del socio moroso debba essere considerata per la determinazione del quorum assembleare.

Del resto tale conclusione è la logica conseguenza ad un duplice ordine di argomentazioni; la prima di carattere squisitamente giuridico: quando il legislatore è intervenuto novellando l'enunciato del previgente art. 2477 c.c. (“il socio in mora con i versamenti non può esercitare il voto”), lo ha fatto solo per adeguare la formulazione della norma, ribadendo che è unicamente l'espressione del voto ad essere preclusa (cfr. cit. art. 2466 c.c.).

In secondo luogo, v'è da rilevare che un quorum costitutivo che consideri anche i soci morosi è a tutela dell'interesse sociale, sia per scongiurare un deleterio immobilismo della persona giuridica, sia per garantire un proficuo ed allargato scambio di opinioni tra l'intera compagine sociale.

Orbene, alla luce di quanto sin qui ritenuto e con il conforto della giurisprudenza di legittimità, è possibile concludere che:

- la diffida ad adempiere non è propedeutica alla sospensione del diritto di voto del socio moroso;

- la menzionata sospensione non è sanzione inderogabile;

- la partecipazione del socio moroso deve essere conteggiata per il quorum costitutivo.