Nuovo art. 570-bis c.p.: è penalmente responsabile l'ex convivente che non versa il mantenimento per il figlio?
25 Luglio 2018
Massima
È tuttora penalmente responsabile ai sensi dell' art. 570, comma 1, c.p., l'ex convivente che non versi il contributo al mantenimento in favore del figlio nato fuori dal matrimonio. Il caso
Il Giudice di primo grado del Tribunale penale di Treviso con la sentenza depositata l'8 maggio scorso ha condannato ai sensi dell'art. 570, comma 1, c.p., l'ex convivente resosi inadempiente al pagamento dell'assegno di mantenimento in favore del figlio minore affidato in via condivisa a entrambi i genitori, con collocazione prevalente presso la madre, quantificato nella somma mensile di € 200,00. La pronuncia rappresenta uno dei primissimi interventi dopo l'entrata in vigore del d.lgs. n. 21/2018 sulla “riserva di codice”, essendo stata emessa a seguito dell'abrogazione delle precedenti norme incriminatrici in materia, sia l'art. 12-sexies l. n. 898/1970, sia l'art. 3 l. n. 54/2006, quest'ultimo originariamente contestato nella fattispecie. Il Tribunale, richiamata la nuova norma del codice penale, art. 570-bis c.p. («Violazione degli obblighi di assistenza familiare in caso di separazione o di scioglimento del matrimonio»), ha evidenziato come la formulazione -che si sarebbe invero dovuta limitare ad attuare il principio della riserva di codice in materia penale attraverso l'inserimento nel codice penale di tutte le fattispecie criminose previste da disposizioni di legge in vigore aventi ad oggetto diretto beni di rilevanza costituzionale– parrebbe avere limitato l'area delle condotte penalmente rilevanti relative all'omesso versamento dell'assegno, condotta che sembrerebbe punibile di per sé solo se posta in essere dal coniuge. Ha ritenuto, inoltre, attraverso una ricostruzione sistematica degli interventi legislativi in materia di famiglia e in particolare sulla scorta della giurisprudenza formatasi successivamente all'entrata in vigore della l. n. 54/2006, che la condotta del genitore non coniugato che non corrisponda l'assegno di mantenimento a favore del figlio minore nato fuori dal matrimonio sia attualmente sussumibile nella fattispecie di cui all'art. 570, comma 1, c.p., in particolare quando non sia contestata anche la circostanza di avere fatto mancare i mezzi di sussistenza che potrebbe portare a configurare il delitto di cui all'art. 570, comma 2, c.p.. Ciò in base alla considerazione secondo la quale, non potendosi estendere l'area della punibilità nei confronti del genitore inadempiente non coniugato, trattandosi di un'estensione analogica in malam partem in materia penale, la condotta omissiva rientrerebbe nella fattispecie di cui all'art. 570, comma 1, c.p., che punisce «chiunque, abbandonando il domicilio domestico, o comunque serbando una condotta contraria all'ordine o alla morale della famiglia, si sottrae agli obblighi di assistenza inerenti alla responsabilità genitoriale». La questione
La questione esaminata nella specie dalla decisione in commento affronta l'incertezza normativa determinatasi sulla conservazione nel perimetro penale della condotta dell'ex convivente che si rifiuta di pagare il mantenimento del figlio, poiché la nuova norma penale fa riferimento solo ed espressamente al coniuge che si sottrae all'obbligo di corresponsione di ogni tipo di assegno o che infrange gli obblighi di natura economica in materia di affidamento dei figli, senza alcun riferimento a soggetti diversi da quelli coniugati. Le soluzioni giuridiche
La fattispecie in esame configura un reato proprio, in quanto non può essere commesso da “chiunque”, ma soltanto da colui che rivesta una determinata qualifica o abbia uno status precisato dalla norma, o possieda un requisito necessario per la commissione dell'illecito. Tale assetto normativo discende dall'abrogazione di due leggi speciali, quella stabilita dall'art. 12-sexies l. n. 898/1970, in tema di disciplina dei casi di scioglimento del matrimonio (la quale sanzionava il coniuge divorziato che si sottraeva all'obbligo di corresponsione dell'assegno dovuto a norma dei precedenti artt. 5 e 6 l. n. 898/1970), e quella stabilita dall'art. 3 l. 8 febbraio 2006, n. 54, con la quale era stata parificata la violazione degli obblighi di mantenimento previsti dalle sentenze di divorzio alla violazione dei medesimi obblighi previsti nelle sentenze di separazione personale. È proprio a questa fattispecie che il legislatore, con il nuovo art. 570-bis c.p., si riferisce laddove indica «viola gli obblighi di natura economica in materia di separazione dei coniugi e di affidamento condiviso dei figli». Il riferimento al coniuge e a ogni tipologia di assegno lascia, di fatto, scoperta l'ipotesi di assegno previsto per il mantenimento del figlio nato fuori dal matrimonio, non essendo i genitori legati da vincolo coniugale. A tal riguardo, la decisione in commento ha apprezzabilmente rimarcato come il legislatore abbia completamente omesso gli ultimi approdi della giurisprudenza della Suprema Corte che, proprio a partire dal 2017, avevano stabilito come in tema di reati contro la famiglia, fosse ormai acclarata una nozione di famiglia ampia «comprensiva di forme alternative a quella derivante dal matrimonio ma destinate ad assumere identica dignità e tutela» (Cass. pen., sez. VI, sent., 20 aprile 2017, n. 25498). Si aggiunge, più nello specifico, che l'omesso versamento dell'assegno periodico previsto dell'art. 12-sexies l. 1 dicembre 1970, n. 898, richiamato dall'art. 3 l. 8 febbraio 2006, n. 54, non è stato ritenuto configurabile esclusivamente nel caso di separazione dei genitori coniugati, ovvero di scioglimento, di cessazione degli effetti civili o di nullità del matrimonio, ma anche nel caso di violazione degli obblighi di natura economica derivanti dalla cessazione del rapporto di convivenza (cfr. Cass. pen., sez. VI , sent., 19 maggio 2017, n. 25267). Oggi, il recupero dell'area della punibilità, limitato al solo coniuge dal “nuovo” art. 570-bis c.p., non potrebbe dunque che avvenire attraverso la sussunzione della condotta omissiva del convivente nell'ipotesi di cui al comma 1 dell'art. 570 c.p.. Giova, tuttavia, ricordare, al fine di una completa ricostruzione degli istituti e di una prima valutazione della soluzione adottata nella decisione in commento che la Suprema Corte aveva più volte precisato che il delitto previsto dall'art. 12-sexies l. 1 dicembre 1970, n. 898 si configurava per il semplice inadempimento dell'obbligo di corresponsione dell'assegno nella misura disposta dal giudice in sede di divorzio, prescindendo dalla verifica degli altri elementi previsti nella fattispecie ex art. 570 c.p. e in particolare dalla prova dello stato di bisogno dell'avente diritto, diversa essendo la materialità del primo illecito rispetto a quella del secondo in quanto solo nel primo la condotta è rappresentata dal mero inadempimento dell'obbligazione civile, costituita dal mancato versamento dell'assegno fissato dal giudice in sede di separazione o divorzio. Tali affermazioni hanno condotto nel tempo a ritenere configurabile il reato di cui all'abrogato art. 12-sexies l. 1 dicembre 1970, n. 898 anche nei casi di versamento saltuario e irregolare di somme di danaro, poiché lo stato del soggetto passivo, specie quando l'importo dell'assegno fissato dal giudice civile sia a stento sufficiente all'assicurazione dei mezzi di sussistenza all'alimentando o addirittura a essa inadeguato, esige la più rigorosa regolarità e la più stretta puntualità nella corresponsione, determinando altrimenti un insopportabile disagio e un gravissimo danno (cfr. Cass. pen.,sez. VI, sent., 11 novembre 2014, n. 49543). Netta quindi la soluzione adottata dal Tribunale di Treviso: l'art. 570-bis c.p. non può applicarsi all'ex convivente che non fa fronte ai suoi obblighi familiari, ma ciò non conduce a una conseguente depenalizzazione, scongiurata dall'art. 570 c.p., che punisce chi «abbandonando il domicilio domestico, o comunque serbando una condotta contraria all'ordine o alla morale delle famiglie, si sottrae agli obblighi di assistenza inerenti alla responsabilità genitoriale». Osservazioni
La nuova formulazione legislativa dell'art. 570-bis c.p. appare con evidenza riproporre la legittimazione di una diversità di trattamento che nel tempo la giurisprudenza della Suprema Corte e lo stesso legislatore avevano contribuito a superare in ossequio al principio costituzionale di uguaglianza sancito dall'art. 3 Cost. e, specificamente per i figli nati fuori dal matrimonio, dall'art. 30, comma 3, Cost. (cfr., da ultimo, Cass.pen., sez. VI, 22 febbraio 2018, n. 14731). Il nuovo sistema sanzionatorio appare infatti poco rispondente alla necessità di una formale e sostanziale equiparazione di tutele tra figli nati fuori dal matrimonio e figli di genitori coniugati, cui si è giunti grazie anche alla d.lgs. n. 154/2013, che nella riscrittura della disciplina dettata dagli artt. 155-155-sexies c.c., frutto della l. n. 54/2006, ha titolato il capo II del libro IX del codice civile «Esercizio della responsabilità genitoriale a seguito di separazione, scioglimento, cessazione degli effetti civili, annullamento, nullità del matrimonio ovvero all'esito di procedimenti relativi a figli nati fuori del matrimonio», senza dimenticare che l'art. 337-bis c.c., dalla stessa legge del 2013 prevede l'applicazione delle disposizioni contenute nel detto capo «in caso di separazione, cessazione degli effetti civili, annullamento, nullità del matrimonio e nei procedimenti relativi a figli nati fuori del matrimonio». Ebbene, il superamento della disparità oggi rilevata ad una lettura dell'art. 570-bis c.p. (da una parte, la più ampia e severa tutela penale prevista per i figli di genitori coniugati, punibili per il mero inadempimento dell'obbligazione e, dall'altra, una ben minore tutela per i figli nati fuori del matrimonio i cui genitori sarebbero punibili ai sensi dell'art. 570 c.p.) non pare garantito nemmeno dal richiamo al solo comma 1 della previsione di cui all'art. 570 c.p.. È, infatti, evidente che nel momento in cui si dovesse sottolineare che la copertura per i figli nati fuori dal matrimonio sarebbe assicurata sul piano penale dall'art. 570, cpv. n. 2, c.p., la disparità di trattamento sarebbe macroscopica, essendo tale ultima fattispecie notoriamente ancorata a presupposti -lo stato di bisogno dell'avente diritto, la dimostrazione del venir meno dei mezzi di sussistenza di quest'ultimo per effetto dell'inadempimento civilistico– del tutto estranei alla previsione della nuova norma incriminatrice. Tuttavia, anche il richiamo al solo comma 1 dell'art. 570 c.p. non soddisfa, per quanto sia apprezzabile nell'ottica di un'interpretazione costituzionalmente orientata l'equiparazione operata dalla decisione in commento tra la violazione dell'obbligo di corresponsione dell'assegno e la condotta «contraria all'ordine e alla morale delle famiglie», permanendo un alveo di incertezza nell'individuazione del fatto tipico (di difficile definizione già da tempo segnalata in dottrina e in giurisprudenza, dove il fatto era prima limitato alle violazioni relative all'assistenza morale -Cass., sez. VI, 28 marzo 2012, n. 12516- e poi esteso anche alla violazioni di ordine materiale, Cass., S.U., 31 gennaio 2013, n. 23866), e dovendosi in ogni caso discutere della punibilità delle violazioni parziali nonché del regime di procedibilità del reato (a querela di parte nelle ipotesi di cui al comma 1 dell'art. 570 c.p., d'ufficio nelle ipotesi richiamate dal comma 3 in relazione al n. 2 del comma 2 per le violazioni in danno dei minori, d'ufficio nell'ipotesi di cui all'art. 570-bis c.p.). Non resta che auspicare o un nuovo intervento normativo sulla scia delle molteplici sollecitazioni a una complessiva sistemazione della materia, comprendendovi, ad esempio, anche le considerazioni della giurisprudenza in merito agli aspetti economici relativi alle spese straordinarie che assumono con la crescita della prole una sempre maggiore rilevanza, o in ogni caso il coinvolgimento della Corte costituzionale mediante l'immediata rimessione della questione per la violazione, da parte della nuova norma di cui all'art. 570-bis c.p. degli artt. 3 e 30 Cost.. |