Il concetto di "fraudolenza" nelle operazioni economiche atte a sottrarre i beni al pagamento delle imposte

Simone Bonfante
26 Luglio 2018

Quali sono gli atti fraudolenti, compiuti sui propri o sugli altrui beni, penalmente rilevanti ai sensi dall'art. 11 d.lgs. 74/2000? Può dirsi sufficiente la mera alienazione di beni da parte del debitore che ha ricevuto un avviso di accertamento da parte della Agenzia delle Entrate?
Massima

Nella nozione di atti fraudolenti, rilevante ai fini della configurabilità del delitto di sottrazione fraudolenta al pagamento delle imposte, rientrano tutti quei comportamenti che, anche se formalmente leciti, risultino connotati da elementi di inganno o di artificio dovendosi ravvisare l'esistenza di uno stratagemma tendente a sottrarre le garanzie patrimoniali all'esecuzione.

Il caso

La Corte di appello di trieste confermava la sentenza di condanna emessa nei confronti di A.M. per il reato di cui all'art. 11 d.lgs. 74/2000 per essersi sottratto al pagamento delle imposte sui redditi – per un ammontare superiore alla soglia dei 50.000 Euro previsti dalla norma – mediante atti considerati fraudolenti rappresentati nel caso di specie dalla vendita di talune proprietà immobiliari, di beni mobili registrati (2 motoveicoli) a terzi e dalla cessione della nuda proprietà di un appartamento alla figlia (acquistato con il ricavato delle precedenti vendite).

L'imputato ricorreva per Cassazione per mezzo del proprio difensore sostenendo, con il motivo di gravame che in questa sede rileva, la violazione degli artt. 125 e 666 c.p.p. per carenza di motivazione, atteso che i giudici della Corte territoriale non avevano in alcun modo dato conto della sussistenza dell'elemento oggettivo del reato contestato. Non avevano in particolare spiegato la ragione per cui semplici atti di vendita, reali e non simulati, che aveva disposto il prevenuto in favore di un individuo – che per di più era rimasto estraneo alla vicenda processuale – e della propria figlia, dovessero essere ritenuti atti fraudolenti.

La Suprema Corte di cassazione nell'accogliere sotto questo profilo il ricorso ha riconosciuto in particolare che «nella descrizione degli elementi costituitivi del reato, la motivazione della sentenza impugnata, al pari di quella di primo grado, si rivela oggettivamente carente».

La questione

La questione di cui, seppur in via incidentale, si è dovuta occupare la Cassazione con la pronuncia in esame è la seguente: quali sono gli atti fraudolenti, compiuti sui propri o sugli altrui beni, penalmente rilevanti ai sensi dall'art. 11 d.lgs. 74/2000? Può dirsi sufficiente la mera alienazione di beni da parte del debitore che ha ricevuto un avviso di accertamento da parte della Agenzia delle Entrate?

Le soluzioni giuridiche

La Suprema Corte, nel censurare la carenza di motivazione delle sentenze di merito, ha puntualizzato come la fattispecie in commento possa configurarsi, sotto il profilo oggettivo, sia mediante una vendita simulata sia attraverso il compimento di altri atti fraudolenti.

Secondo la previsione normativa questi ultimi (come del resto in modo implicito anche il negozio simulato) debbono essere «idonei a rendere in tutto o in parte inefficace la procedura di riscossione coattiva». E ciò anche in ossequio all'interesse protetto dalla norma a rendere possibile la riscossione nei confronti del contribuente (bene giuridico peraltro protetto a livello costituzionale dall'art. 53 Cost).

Ebbene la sentenza in commento ricorda come la definizione di atto fraudolento sia stata negli anni mutuata perlopiù dalla giurisprudenza formatasi in materia di mancata esecuzione dolosa di un provvedimento del giudice (art. 388 c.p.) e di turbata libertà degli incanti (art. 353 c.p.).

Sotto questo profilo viene richiamata una recente pronuncia delle Sezioni unite secondo cui: «Ai fini della configurabilità del reato di mancata esecuzione dolosa di un provvedimento del giudice di cui all'art. 388, comma 1, c.p. non è sufficiente che gli atti dispositivi compiuti dall'obbligato sui propri o altrui beni siano oggettivamente finalizzati a consentirgli di sottrarsi agli adempimenti indicati nel provvedimento, rendendo così inefficaci gli obblighi da esso derivanti ma è necessario che tali atti abbiano natura simulata o fraudolenta, siano cioè connotati da una componente di artificio, inganno o menzogna concretamente idonea a vulnerare le legittime pretese del creditore. (In applicazione del suddetto principio, la S.C. ha ritenuto priva di offensività, perché non fraudolenta, la vendita di una parte di beni immobili effettuata, con atto pubblico regolarmente trascritto, dal debitore intimato successivamente alla notifica dell'atto di precetto)» (Cass. pen., Sez. unite, 21 dicembre 2017, 12213)

Sempre con riferimento alla stessa fattispecie la Suprema Corte ha affermato che il mezzo fraudolentoconsiste in«qualsiasi artificio, inganno o menzogna concretamente idoneo a conseguire l'evento del reato" ovvero in "comportamenti improntati ad astuzia o scaltrezza, tali da eludere le cautele e gli accorgimenti predisposti dalla persona offesa a tutela delle proprie cose» (Cass. pen., Sez. VI, 7 aprile 2011, n. 26809, Rivela e a., mentre con riferimento alla fattispecie di cui all'art. 353 c.p. si veda anche Cass. pen., Sez. VI, 8 giugno 2010 n. 40831, Dell'Aquila e a). E ancora, stavolta in materia proprio di sottrazione fraudolenta:«In tema di reati tributari, ai fini della configurabilità del delitto di sottrazione fraudolenta al pagamento di imposta di cui all'art. 11 del d.lgs. 10 marzo 2000, n. 74, la natura fraudolenta degli atti dispositivi presuppone non soltanto la lesione di un diritto altrui, per effetto della riduzione del patrimonio del debitore che rende più difficoltosa l'azione di recupero dell'erario, ma anche che il pregiudizio arrecato non sia immediatamente percepibile»(Cass. pen., Sez. III, 16 maggio 2017,n. 10161).

Specificata in tal modo la nozione di atti fraudolenti, deve rilevarsi come per vendita simulata debba invece intendersi una «alienazione finalizzata a creare una situazione giuridica apparentemente diversa da quella reale, sicché l'alienazione è simulata quando il programma contrattuale non corrisponde deliberatamente in tutto (simulazione assoluta) o in parte (simulazione relativa) alla effettiva volontà dei contraenti» (Cass. pen., Sez. III, 5 luglio 2016, n. 3011); ancora, il negozio può essere simulato sotto il profilo “oggettivo” o “soggettivo” a seconda che gli artifici riguardino gli elementi afferenti il bene compravenduto ovvero le parti che vi sono coinvolte (ex plurimis Cass. pen., Sez. III, 06 marzo 2008, n. 14720).

Nel caso di specie la Suprema Corte ha rilevato come la condotta dell'imputato non potesse di certo rientrare nell'alveo della vendita simulata, poiché i trasferimenti della proprietà dei beni sono avvenuti conformemente alla volontà dei contraenti e non sono emersi elementi tali da non farli ritenere nella piena disponibilità di questi ultimi.

La Corte si è chiesta pertanto se anche la condotta dell'imputato potesse rientrare nella categoria degli atti fraudolenti e, muovendo dai principi sopra richiamati, ha statuito che: «ai fini della configurabilità del reato, non è sufficiente la semplice idoneità dell'atto a ostacolare l'azione di recupero del bene da parte dell'Erario, essendo invece necessario il compimento di atti che, nell'essere diretti a questo fine, si caratterizzino per la loro natura simulatoria o fraudolenta».

La Suprema Corte ritiene infatti sul punto carente la motivazione della sentenza della Corte di Appello territoriale non avendo la stessa accertato se sussistesse nel caso di specie quello «stratagemma tendente a sottrarre le garanzie patrimoniali all'esecuzione», ossia quel quid pluris rispetto alla mera sottrazione di beni a patrimonio mediante atti leciti.

Osservazioni

Con la sentenza in commento i giudici di legittimità hanno colto l'occasione per (ri)delimitare il perimetro dell'elemento materiale della fattispecie di cui all'art. 11 d.lgs. 74/2000.

Come si è detto pocanzi, quest'ultimo non può dirsi integrato dalla mera sottrazione del patrimonio aggredibile poiché si finirebbe per violare il principio di legalità e creare una «evidente commistione tra il piano oggettivo della condotta e quello soggettivo della volontà con conseguente spostamento del giudizio dal disvalore dell'evento (offensività) a quello della volontà (mera disubbidienza)» (Cass. pen., Sez. III, n. 3011/2016).

La verifica dei giudici di merito, dopo avere appurato che nessuno degli atti dispositivi dei beni dell'imputato si era rivelato illegittimo, avrebbe allora dovuto vertere sull'esistenza o meno di elementi che potessero comprovare la esistenza di un quid pluris rispetto alla sola «azione sottrattiva».

La Suprema Corte in particolare stigmatizza l'assenza di indici della oggettiva fraudolenza delle operazioni compiute: difetterebbe ad esempio la compiacenza della controparte rispetto alle stesse, così come la sproporzione del prezzo pattuito rispetto ai valori di mercato del bene.

Ma c'è di più: talune condotte a parere dello scrivente non sarebbero nemmeno idonee a frustrare la procedura di riscossione in quanto è evidente come il corrispettivo dei beni alienati fosse stato effettivamente incassato dall'imputato. Prova ne è che con parte di quel denaro lo stesso avrebbe acquistato altro immobile (altrettanto facilmente aggredibile). Sia consentito richiamare quanto di recente affermato dalla Suprema Corte sul punto:«Il reato di sottrazione fraudolenta al pagamento di imposte non ricorre ogni volta in cui la condotta distrattiva non è tale da rendere inefficace la procedura di riscossione coattiva ovvero quando tale procedura non risulti azionabile per mancanza di presupposti normativi». (Cass. pen., Sez. III, 5 luglio 2016,n. 3011)

Ci pare pertanto che quello ribadito dalla Suprema Corte con la sentenza in commento sia un orientamento assolutamente rispettoso non solo del principio di tipicità ma anche del diritto penale come extrema ratio.

Deve tuttavia rilevarsi come muovendo dalla natura di reato di pericolo concreto della fattispecie in parola (in tal senso in dottrina si confronti anche, E. MUSCO – F. ARDITO, Diritto Penale Tributario, Bologna, 2016, 331) la giurisprudenza di legittimità tenda ad ampliare l'ambito applicativo della stessa stabilendo che il pregiudizio rispetto alla procedura di riscossione non debba essere accertato rigorosamente e che il reato si configuri «indipendentemente dalla realizzazione del fine programmato dal debitore o dal successivo pagamento dell'imposta». (Cass. pen., Sez. III, n. 3881/2015). Nel caso di specie la Corte aveva confermato la sussistenza del reato pur essendo il bene oggetto di alienazione in precedenza ipotecato per un valore superiore al prezzo di mercato, sulla base della natura di reato di pericolo della fattispecie in esame e, dunque, a prescindere dal concreto verificarsi di un danno a carico dell'Erario.