Gestione del servizio bar all’interno di un ospedale pubblico: concessione o locazione?

30 Luglio 2018

Qualora una ASL abbia affidato ad un privato la gestione del servizio di bar all'interno di un ospedale pubblico, il rapporto tra p.A. e privato può trovare titolo solo in un atto concessorio.

La vicenda. La società incaricata della gestione di un bar all'interno di un ospedale pubblico in forza di “contratto di locazione ad uso commerciale” impugnava il provvedimento con cui la ASL ha proceduto a rideterminare il corrispettivo dovuto – preannunciando che la gestione del servizio sarebbe cessata in esito all'aggiudicazione dello stesso con procedura di evidenza pubblica e comunque entro data ivi prefissata in caso di mancato adeguamento del canone – e la conseguente intimazione al rilascio, determinata dalla scadenza del termine di durata e dall'impossibilità di proroga tacita del rapporto, nonché dalla mancata corresponsione del canone rideterminato, posta come condizione per la temporanea prosecuzione del rapporto nelle more di svolgimento della nuova gara per la concessione.

Sulla qualificazione del rapporto in termini di concessione. La pronuncia, aderendo a quanto più volte affermato dalle Sezioni unite della Cassazione e dal giudice amministrativo, ha preliminarmente chiarito che nell'ipotesi in cui una ASL abbia affidato ad un privato la gestione del servizio di bar all'interno di un ospedale pubblico, il rapporto tra p.A. e privato, avendo ad oggetto un'attività da svolgersi all'interno di locali facenti parte della struttura immobiliare ospedaliera – destinata come tale a pubblico servizio e rientrante tra i beni patrimoniali indisponibili – può trovare titolo solo in un atto concessorio, potendo tali beni essere trasferiti nella disponibilità di privati per usi determinati solo mediante concessioni amministrative (così Cass., Sez. un., 1° luglio 2009, n. 15381; Id., 10 marzo 2014, n. 5487; Cons. Stato, Sez. V, 12 maggio 2011, n, 2823). Non si potrebbe, pertanto, aderire alla prospettazione della ricorrente, secondo la quale nella fattispecie sussisterebbe una locazione, dovendosi prescindere dal diverso nomen iuris che le parti abbiano utilizzato per qualificare il rapporto nei loro atti. La riconducibilità del rapporto in essere tra le parti alla concessione anziché alla locazione non consentirebbe, pertanto, di ritenere ammissibile un tacito rinnovo alla scadenza del medesimo, apparendo al contrario apprezzabile l'interesse pubblico a tornare nella disponibilità del bene, una volta scaduto il termine di ordinaria durata del rapporto stesso, al fine di farne oggetto di confronto concorrenziale secondo le regole dell'evidenza pubblica.

Sulla giurisdizione. Tanto premesso, il TAR ha riconosciuto la giurisdizione del giudice ordinario sulle questioni inerenti l'adeguamento del corrispettivo, a fronte dell'inquadramento in termini concessori del rapporto in esame, evidenziando che l'art. 133, comma 1, c.p.a. (d.lgs. 2 luglio 2010, n. 104), attribuendo alla giurisdizione esclusiva del g.a. i rapporti di concessione di beni pubblici e di servizi pubblici (lett. b e c), lascia al g.o. la giurisdizione sulle controversie aventi ad oggetto indennità, canoni e altri corrispettivi.

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