Natura extracontrattuale dei danni riflessi da violazione dei doveri di informazione del paziente
03 Agosto 2018
Massima
Soggiace al termine di prescrizione decennale il diritto del danneggiato che agisce per il danno da lesione dell'autodeterminazione subito a seguito di un intervento chirurgico nei confronti della struttura sanitaria; viceversa, il diritto che i congiunti vantano, autonomamente, sebbene in via riflessa, ad essere risarciti dalla medesima struttura dei danni da loro direttamente subiti a causa dell'esito sfavorevole di una operazione subita dal danneggiato principale si colloca nell'ambito della responsabilità extracontrattuale e, pertanto, è soggetto al termine di prescrizione quinquennale.
Il caso
Il caso C.M., in proprio e quale madre del minore B.L. evocava in giudizio la Regione Emilia-Romagna, il professore G.C. e il professore S.A. chiedendo al Tribunale di Parma il risarcimento dei danni subiti in conseguenza di un intervento chirurgico sulla persona del minore, affetto dalla nascita da "agenesia ano-rettale", eseguito presso la divisione di chirurgia pediatrica, senza un'adeguata informazione, nonostante si trattasse di una operazione ad alto rischio. Deduceva che, in considerazione della storia clinica pregressa di L., che aveva subito ben sette interventi e aveva stabilizzato la propria malattia, se alla stessa fossero stati adeguatamente rappresentati i rischi dell'operazione, il ragazzo non si sarebbe sottoposto all'intervento, aggiungendo ulteriori profili di colpa rappresentati dall'insufficiente preparazione preoperatoria, mancante di alcuni importanti accertamenti ed esami preliminari e gravi carenze nell'assistenza postoperatoria. In conseguenza dell'attività medica si era verificato un peggioramento oggettivo del quadro clinico del ragazzo, rendendo irrecuperabile la condizione anatomica e funzionale, con privazione della efficienza psicofisica del paziente. Secondo la prospettazione attorea la struttura presso cui l'operazione era stata eseguita, il chirurgo svizzero, chiamato ad effettuare l'intervento al suo interno e gli altri sanitari rispondevano per responsabilità "da contatto" ed erano responsabili del danno subito dal paziente e di quello, sia biologico che morale, subito dalla madre, oltre che per le spese future da sostenere per il figlio. Il Tribunale di Parma accertava che l'intervento era avvenuto in mancanza di consenso informato e condannava i convenuti al risarcimento dei danni in favore degli attori. La Corte d'Appello di Bologna confermava la mancanza di adeguata informazione ai fini del successivo consenso consapevole, con onere della prova a carico del medico e della struttura, riteneva che la mancanza di adeguato consapevole consenso non poteva essere confinata nei soli aspetti morali del danno non patrimoniale, trattandosi di intervento non strettamente necessario, ma certamente utile e funzionale alla soluzione del problema. In accoglimento dell'appello incidentale dei danneggiati, attraverso opportuna personalizzazione, rideterminava in aumento il danno riconosciuto agli attori originari, anche con riferimento alle spese Avverso tale decisione propone ricorso per cassazione il prof. S.A.
La questione
La questione della quale è investita la Suprema Corte con il primo motivo di ricorso principale è se, in caso di violazione del dovere di informazione del paziente, le regole della responsabilità contrattuale si estendano anche ai danni riflessi dei prossimi congiunti. Le soluzioni giuridiche
Nel dare risposta negativa alla questione, la Suprema Corte coglie l'occasione per un inquadramento giuridico del tema del consenso informato. Secondo l'orientamento ormai consolidato (Cass. civ., sez. III, 13 febbraio 2015, n. 2854; Cass. civ., sez. III, 27 novembre 2015, n. 24220; Cass. civ., sez. III, 13 ottobre 2017, n. 24074; Cass.civ., sez. III, 5 luglio 2017, n. 16503), la violazione, da parte del medico, del dovere di informare il paziente, può causare due diversi tipi di danni: un danno alla salute, sussistente quando sia ragionevole ritenere che il paziente, su cui grava il relativo onere probatorio, se correttamente informato, avrebbe evitato di sottoporsi all'intervento e di subirne le conseguenze invalidanti; nonchè un danno da lesione del diritto all'autodeterminazione in se stesso, il quale sussiste quando, a causa del deficit informativo, il paziente abbia subito un pregiudizio, patrimoniale oppure non patrimoniale (ed, in tale ultimo caso, di apprezzabile gravità), diverso dalla lesione del diritto alla salute. Il paziente vanta la legittima pretesa di conoscere con la necessaria e ragionevole precisione le conseguenze dell'intervento medico, onde prepararsi ad affrontarle con maggiore e migliore consapevolezza, atteso che la nostra Costituzione sancisce il rispetto della persona umana in qualsiasi momento della sua vita e nell'integralità della sua essenza psicofisica, in considerazione del fascio di convinzioni morali, religiose, culturali e filosofiche che orientano le sue determinazioni volitive (Cass. civ., sez. I, 16 ottobre 2007, n. 21748; Cass. civ., sez. III, 15 settembre 2008, n. 23676, in tema di trasfusioni salvavita eseguite al testimone di Geova contro la sua volontà). La mancanza di consenso può assumere rilievo a fini risarcitori quando siano configurabili conseguenze pregiudizievoli derivate dalla violazione del diritto fondamentale all'autodeterminazione in se considerato, a prescindere dalla lesione incolpevole della salute del paziente.
Tale diritto, distinto da quello alla salute, rappresenta, secondo l'insegnamento della Corte costituzionale (Corte Cost., 23 dicembre 2008, n. 438), una doverosa forma di rispetto per la libertà dell'individuo, nonchè uno strumento relazionale volto al perseguimento e alla tutela del suo interesse ad una compiuta informazione, che si sostanzia nella indicazione: - delle prevedibili conseguenze del trattamento sanitario; - del possibile verificarsi di un aggravamento delle condizioni di salute; - dell'eventuale impegnatività, in termini di sofferenze, del percorso riabilitativo post-operatorio.
Ad una corretta e compiuta informazione consegue, difatti:
Viene, innanzitutto, in rilievo il caso in cui, alla prestazione terapeutica, conseguano pregiudizi che il paziente avrebbe alternativamente preferito non sopportare nell'ambito di scelte personali allo stesso demandate. In secondo luogo, rilevano il turbamento e la sofferenza che derivino al paziente sottoposto ad atto terapeutico dal verificarsi di conseguenze del tutto inaspettate perché non prospettate e, anche per questo, più difficilmente accertate.
Anche per il danno non patrimoniale derivante dalla violazione del dovere di informare adeguatamente opera la soglia della gravità dell'offesa secondo i canoni delineati dalle sentenze delle Sezioni Unite nn. 26972-26975 del 2008, con le quali è stato condivisibilmente affermato che il diritto deve essere inciso oltre un certo livello minimo di tollerabilità, da determinarsi dal giudice nel bilanciamento tra principio di solidarietà e di tolleranza secondo il parametro costituito dalla coscienza sociale in un determinato momento storico.
Il profilo probatorio è differente nell'ipotesi di richiesta di danno non patrimoniale alla salute e danno da lesione del diritto di autodeterminazione. Nel primo caso, ove il paziente, sul presupposto che l'atto medico sia stato compiuto senza la preventiva informazione circa i suoi possibili effetti pregiudizievoli e dunque senza un consenso consapevolmente prestato, richieda anche il risarcimento del danno da lesione della salute determinato dalle non imprevedibili conseguenze di un atto terapeutico, necessario e correttamente eseguito secundum legem artis, il danneggiato deve allegare che egli avrebbe rifiutato quel determinato intervento se fosse stato adeguatamente informato (Cass. civ., sez. III, 9 febbraio 2010, n. 2847).
In sostanza, deducendo che avrebbe scelto il permanere della situazione patologica in atti e non le conseguenze dell'intervento medico, ovvero che, debitamente informato, avrebbe vissuto il periodo successivo all'intervento con migliore e più serena predisposizione ad accettarne le eventuali conseguenze (e le eventuali sofferenze) - predisposizione la cui mancanza andrebbe realisticamente e verosimilmente imputata proprio (e solo) all'assenza di informazione. Tale dimostrazione potrà essere fondata anche su elementi presuntivi - la cui efficienza dimostrativa seguirà una sorta di ideale scala ascendente, a seconda della gravità delle condizioni di salute e della necessarietà dell'operazione.
Il giudice di merito dovrà valutare se il corretto adempimento, da parte del medico, dei suoi doveri informativi avrebbe prodotto l'effetto della non esecuzione dell'intervento chirurgico dal quale, senza colpa di alcuno, lo stato patologico è poi derivato, ovvero avrebbe consentito al paziente la necessaria preparazione e la necessaria predisposizione ad affrontare il periodo postoperatorio nella piena e necessaria consapevolezza del suo dipanarsi nel tempo.
Infatti, se il paziente avesse, comunque e consapevolmente, acconsentito al, intervento, dichiarandosi disposto a subirlo, indipendentemente dalle conseguenze, anche all'esito di una incompleta informazione nei termini indicati, non ricorrerebbe il nesso di causalità materiale tra la condotta del medico e il danno lamentato, perché egli avrebbe consapevolmente scelto di subire quell'incolpevole lesione determinatasi all'esito di un intervento eseguito secondo le leges artis da parte del sanitario.
Pertanto, in assenza di un corretto consenso informato sono prospettabili le seguenti ipotesi risarcitorie da valutare nel merito, in relazione alla domanda fatta valere e all'esito delle risultanze istruttorie: 1. omessa/insufficiente informazione in relazione ad un intervento che ha cagionato un danno alla salute a causa della condotta colposa del medico, a cui il paziente avrebbe in ogni caso scelto di sottoporsi nelle medesime condizioni, hic et nunc: in tal caso, il risarcimento sarà limitato al solo danno alla salute subito dal paziente, nella sua duplice componente, morale e relazionale; 2. omessa/insufficiente informazione in relazione ad un intervento che ha cagionato un danno alla salute a causa della condotta colposa del medico, a cui il paziente avrebbe scelto di non sottoporsi: in tal caso, il risarcimento sarà esteso anche al danno da lesione del diritto all'autodeterminazione del paziente; 3. omessa informazione in relazione ad un intervento che ha cagionato un danno alla salute a causa della condotta non colposa del medico, a cui il paziente avrebbe scelto di non sottoporsi: in tal caso, il risarcimento, sarà liquidato con riferimento alla violazione del diritto alla autodeterminazione (sul piano puramente equitativo), mentre la lesione della salute - da considerarsi comunque in relazione causale con la condotta, poiché, in presenza di adeguata informazione, l'intervento non sarebbe stato eseguito, andrà valutata in relazione alla situazione differenziale tra quella conseguente all'intervento e quella (comunque patologica) antecedente ad esso; 4. omessa informazione in relazione ad un intervento che non ha cagionato danno alla salute del paziente (e che sia stato correttamente eseguito): in tal caso, la lesione del diritto all'autodeterminazione costituirà oggetto di danno risarcibile tutte le volte che, e solo se, il paziente abbia subito le inaspettate conseguenze dell'intervento senza la necessaria e consapevole predisposizione ad affrontarle e ad accettarle, trovandosi invece del tutto impreparato di fronte ad esse".
Terminate le considerazioni di carattere generale sul consenso informato, la Corte così risolve la questione posta dal ricorrente. Al danneggiato che agisce per il danno diretto da lesione del diritto di autodeterminazione subito a seguito di un intervento chirurgico nei confronti della struttura sanitaria, la sentenza impugnata ha correttamente applicato il termine di prescrizione decennale, essendo la responsabilità della struttura sanitaria verso i propri pazienti inquadrata nell'ambito della responsabilità contrattuale. Viceversa, il diritto che i congiunti vantano, autonomamente sebbene in via riflessa ad essere risarciti dalla medesima struttura dei danni da loro direttamente subiti a causa dell'esito sfavorevole di una operazione subita dal danneggiato principale ovvero il caso di danno iure proprio vantato dal congiunto che si aggiunga a quello del paziente, si colloca nell'ambito della responsabilità extracontrattuale e pertanto è soggetto al termine di prescrizione quinquennale previsto per tale ipotesi di responsabilità dall'art. 2947 c.c., non potendosi giovare del termine più lungo per far valere i propri diritti del quale gode il danneggiato principale in virtù del diverso inquadramento, contrattuale, del suo rapporto con il soggetto responsabile.
Osservazioni
La sentenza circa il consenso informato riprende l'iter logico e motivazionale della sentenza Cass. n. 7248/2018 e appare condivisibile anche nella parte in cui evidenzia che il congiunto del paziente è soggetto estraneo rispetto al rapporto contrattuale che si instaura tra il paziente medesimo e la struttura. Conseguentemente, i danni riflessi, cioè quelli subiti da chi non è la vittima primaria dell'illecito (come, nella fattispecie in esame, la madre del ragazzo) soggiacciono alle regole della responsabilità extracontrattuale. Tale conclusione vale anche nel caso particolare, preso in considerazione dalla Suprema Corte nella sentenza in rassegna, nel quale i danni siano derivati dalla lesione del diritto di autodeterminazione del paziente. Dal punto di vista processuale, una tale ricostruzione potrebbe dare adito ad un aggravamento dell'onere della prova a carico del danneggiato “da rimbalzo” (per usare un'espressione propria della giurisprudenza francese che parla di “dommages par ricochet"; (al riguardo si veda Cass. civ., Sez. Un., 1 luglio 2002, n. 9556). Ed infatti, secondo il consolidato orientamento giurisprudenziale (cfr., da ultimo, Cass. civ. sez. III, sent., 13 ottobre 2017, n. 24074), in tema di consenso informato, grava sul medico l'onere di provare, in caso di contestazione del paziente, di aver fornito tutte le indicazioni necessarie a compiere la scelta consapevole, e dunque di aver correttamente adempiuto all'obbligo informativo preventivo (cfr. Cass. civ., sez. III, 27 novembre 2012, n. 20984; Cass. civ., sez. III, 20 agosto 2013, n. 19220). Ciò discende dalla ricostruzione del rapporto medico-paziente in termini di rapporto obbligatorio derivante non dal contratto, ma dal contatto sociale. Ed un tale riparto dell'onere della prova è in linea con l'insegnamento risalente a Cass. civ., Sez. Un., 30 ottobre 2001, n. 13533, secondo cui il creditore può limitarsi ad allegare l'inadempimento della controparte: sarà il debitore convenuto a dover fornire la prova del fatto estintivo del diritto, costituito dall'avvenuto adempimento. Ora, tali principi non sembrerebbero poter trovare applicazione nella fattispecie in esame, nella quale viene in rilevo un'ipotesi di responsabilità extracontrattuale da violazione del diritto di autodeterminazione. In questo caso, invero, la violazione del diritto di autodeterminazione non costituirebbe l'inadempimento dell'obbligo di informazione (che il medico ha nei confronti del paziente), ma un elemento costitutivo dell'illecito che, secondo la regola generale dell'art. 2697 c.c., deve essere provato dal terzo, titolare del diritto al risarcimento. |