Risarcibilità del danno in favore del denunciato a seguito di archiviazione di procedimento penale a suo carico

Davide Luigi Ferrari
08 Agosto 2018

La proposizione di una denuncia-querela a carico di un terzo può costituire fonte di responsabilità ex art. 2043 c.c. in caso di proscioglimento o assoluzione del denunciato?
Massima

La denuncia di un reato perseguibile d'ufficio non costituisce fonte di responsabilità per danni a carico del denunciante ex art. 2043 c.c., anche in caso di proscioglimento o di assoluzione, salvo che non integri gli estremi del reato di calunnia.

Il caso

La società Alfa sottoscriveva un preliminare di vendita con la società Beta per la cessione di un immobile, prevedendo la risoluzione del contratto nel caso di omesso pagamento anche di una sola rata pattuita. Al primo mancato versamento, la società Alfa provvedeva dapprima a diffidare Beta al pagamento e, successivamente, avvalendosi della clausola risolutiva espressa, a risolvere il contratto, vendendo poi l'immobile oggetto di compravendita alla società Gamma. Beta esercitava, quindi, domanda di esecuzione del contratto in forma specifica senza tuttavia trascriverla e rendendo, quindi, la relativa sentenza di accoglimento inopponibile alla società Gamma che aveva acquistato il cespite dopo la proposizione della domanda non trascritta da Beta. Beta proponeva, di conseguenza, domanda di simulazione e di revocatoria dell'atto di compravendita intervenuto fra Alfa e Gamma, giudizio che veniva sospeso in attesa della definizione del procedimento penale scaturito dalla denuncia-querela sporta da Beta nei confronti di Alfa per truffa aggravata. Il procedimento penale terminava con l'archiviazione e, a seguito di ciò, Alfa chiedeva a Beta il risarcimento dei danni subiti, sostenendo che le condotte attribuitele nella denuncia-querela fossero calunniose. Beta si costituiva in giudizio sostenendo di aver agito nell'esercizio e a difesa dei propri diritti.

La questione

La questione che ci occupa è la seguente: la proposizione di una denuncia-querela a carico di un terzo può costituire fonte di responsabilità ex art. 2043 c.c. in caso di proscioglimento o assoluzione del denunciato?

Le soluzioni giuridiche

La Sentenza in esame tratta di un tema oggetto di molteplici pronunce e di un consolidato orientamento giurisprudenziale: «La denuncia di reato perseguibile d'ufficio o la proposizione di una querela per un reato perseguibile solo su iniziativa di parte non costituiscono fonte di responsabilità per danni a carico del denunciante ex art. 2043 c.c., anche in caso di proscioglimento od assoluzione del denunciato, salvo non integrino gli estremi del delitto di calunnia. Ed infatti, al di fuori di tale ipotesi, l'attività pubblicistica dell'organo titolare dell'azione penale si sovrappone all'iniziativa del denunciante, togliendole ogni efficacia causale ed interrompendo così ogni nesso tra tale iniziativa ed il danno eventualmente subito. Al fine della qualificazione della denuncia o dell'esposto in termini di calunnia, deve ricorrere il dolo e non semplicemente la colpa del denunciante che, pertanto, non incorre in responsabilità civile se non quando, agendo con dolo, si rende colpevole di calunnia».

Il Tribunale di Salerno si è quindi pronunciato in maniera conforme a quanto già espresso, a più riprese, dalla Corte Suprema, sancendo ancora una volta il principio secondo il quale ai fini della configurabilità di una responsabilità civile a carico del querelante non sia di per sé sufficiente l'archiviazione del procedimento o la sentenza assolutoria, ma debbano ricorrere i presupposti per la configurabilità del reato di calunnia.

In particolare, la giurisprudenza ritiene che la responsabilità per danni in capo al denunciante sia configurabile solo ove ricorrano gli elementi tipici della calunnia, in particolare quello soggettivo, ovvero la condotta dolosa volta alla consapevole attribuzione della commissione di un reato in capo ad un soggetto della cui innocenza il denunciante sia conscio.

Fuori da questi casi, indipendentemente o meno dalla perseguibilità del reato d'ufficio o a querela di parte, il denunciante non può essere condannato al risarcimento dei danni provocati al denunciato sulla scorta di due ordini di motivi.

In primo luogo vi è da tenere in debita considerazione che l'interesse pubblico alla repressione dei reati necessita per sua stessa natura della cooperazione dei consociati e, di conseguenza, della possibilità che mettano l'autorità giudiziaria al corrente dell'eventuale verificarsi di una condotta contraria all'ordinamento.

Ove tale diritto venisse frustrato dalla possibilità di andare incontro a responsabilità nell'ipotesi in cui le denunce si rivelassero inesatte o prive di fondamento, l'apporto necessario della collettività verrebbe significativamente meno e la funzione repressiva dell'ordinamento perderebbe la sua fonte principale.

Inoltre, nel nostro ordinamento, l'esercizio dell'azione penale è totalmente demandato agli organi pubblici, con la conseguenza che all'atto di impulso del consociato corrisponde l'obbligo di intervento dell'apparato giudiziario.

Esaurito l'effetto prodromico dell'atto di denuncia-querela, dunque, l'azione penale ricade sull'attività pubblicistica che si sovrappone a quella del denunciante-querelante: in forza del meccanismo di sovrapposizione, si recide il nesso causale fra la denuncia-querela e il danno eventualmente subito dal denunciato-querelato per essere stato sottoposto a procedimento penale malgrado innocente.

In parole più semplici, l'intervento dell'organo pubblico in qualità di reale titolare dell'esercizio dell'azione penale - a differenza del consociato che ha solo un mero potere di impulso - toglie l'effetto causale in capo al denunciante-querelante sull'inizio del procedimento penale a carico del querelato-denunciato.

Alla luce di quanto sopra, la sussistenza del dolo in capo al denunciante rappresenta l'unico elemento in grado di mantenere intatto il legame fra l'azione prodromica della denuncia-querela e l'inizio dell'azione penale.

Facendo proprie le conclusioni della Corte Suprema, il Tribunale di Salerno ha negato il diritto al risarcimento in capo ad Alfa, in considerazione del mancato raggiungimento della prova in ordine alla condotta calunniosa di Beta che avrebbe presupposto, a sua volta, la conoscenza dell'innocenza del denunciato.

Alfa, infatti, nella propria richiesta risarcitoria, si è limitata a basarsi sull'archiviazione del procedimento penale a suo carico, senza fornire alcun elemento a sostegno della sussistenza del dolo in capo a Beta, unico elemento che le avrebbe dato diritto al risarcimento.

In aggiunta, il Giudicante, nella propria pronuncia, ha dato atto della complessità della vicenda dalla quale sono scaturiti più procedimenti civili - dei quali alcuni ancora pendenti al deposito della sentenza - e della quale il processo penale è stato solo un'appendice avente ad oggetto un aspetto limitato dei rapporti fra le parti.

Fra l'altro il Tribunale di Salerno ha rilevato altresì come, nel corso delle vicissitudini giudiziarie di matrice civilistica, vi siano state anche pronunce favorevoli a Beta, elemento ritenuto sufficiente per escludere che vi fosse dolo nella stesura dell'atto di denuncia-querela o, quantomeno, che non vi fosse piena consapevolezza dell'innocenza di Alfa.

In definitiva, a detta del Giudicante, l'erronea convinzione della colpevolezza della persona accusata è sufficiente per escludere l'elemento soggettivo del reato di calunnia in capo a Beta, con conseguente pronuncia sfavorevole nei confronti dell'attore Alfa.

Osservazioni

La sentenza in esame pone un interrogativo di grande attualità, soprattutto in un periodo storico nel quale la crisi economica ha incrementato il ricorso allo strumento penale – cui i consociati possono accedere anche in maniera gratuita – rispetto a quello civile.

La mera archiviazione del procedimento penale, o la sentenza assolutoria, non danno il diritto a ricevere dal denunciante-querelante alcun risarcimento da parte del denunciante-querelante e questo sulla scorta di un ragionamento di ampio respiro che affonda le proprie radici nella struttura di base del nostro sistema penale: l'esercizio dell'azione penale è demandata per legge agli organi pubblici che, di conseguenza, si assumono la responsabilità di perseguire il reato “liberando” il denunciante.

Proprio per tale ragione, ove qualcuno volesse richiedere il risarcimento dei danni subiti a causa di una denuncia infondata, dovrebbe inserire nel proprio atto tutti gli elementi idonei a provare il dolo del denunciante o, più propriamente, a provare che il denunciante conoscesse ab origine della sua innocenza.

Il mero richiamo al decreto di archiviazione, o alla sentenza di assoluzione, non è di per sé sufficiente, proprio in virtù del fatto che, con l'intervento dell'autorità pubblica, la responsabilità dell'azione penale passa dal denunciante all'organo procedente.

Spesso, infatti il coinvolgimento di un innocente in un procedimento penale con la conseguente necessità di difendersi, non discende direttamente - e in stretto rapporto causale - con la denuncia, ma dalla valutazione errata da parte del Pubblico Ministero.

Solo la denuncia calunniosa è foriera di diritti risarcitori in capo al denunciato ed è la prova dell'elemento soggettivo che deve fungere da cardine ai fini della richiesta giudiziale in sede civile.

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