Le scelte endofamiliari incidono sull'assegno di divorzio: il Tribunale di Matera anticipa le Sezioni Unite?

22 Agosto 2018

Il Tribunale di Matera affronta sia il tema dell'individuazione del parametro cui raffrontare l'inadeguatezza dei mezzi alla luce dell'orientamento della giurisprudenza di legittimità inaugurato con la sentenza Cass. n. 11504/2017 con particolare riguardo all'inattualità del tenore di vita goduto prima del divorzio, sia quello dei criteri di determinazione dell'assegno, anticipando alcune considerazioni poi contenute anche nella sentenza n. 18287/2018 delle Sezioni Unite .
Massima

Il divorzio elide il vincolo matrimoniale, con l'effetto ulteriore di eliminare tutti gli obblighi, personali e patrimoniali, dal medesimo scaturenti, ad eccezione delle sole imposizioni che, secondo l'ordinamento giuridico attualmente vigente, perdurano oltre il divorzio. In particolare il divorzio cancella, in capo agli ex coniugi, i vincoli di reciproca cooperazione materiale e morale, compreso il diritto alla condivisione del benessere economico prodotto con l'apporto comune. L'eccezione, contemplata dell'art. 5, comma 8, l. div. riguarda il coniuge che si trova nella condizione più fragile, ossia che, abbandonando la dimensione di coppia e, per l'effetto, rientrando in quella individuale, dal punto di vista economico e patrimoniale si trova a fronteggiare la «mancanza di mezzi adeguati» ovvero l'«impossibilità oggettiva di procurarseli». Il canone siffatto, tuttavia, avendo rilievo del tutto straordinario, trova limitata applicazione, e cioè soltanto alle ipotesi dallo stesso considerate, non risultando pertanto suscettibile di estensione ulteriore.

Il caso

Nell'ambito di un procedimento per lo scioglimento del matrimonio civile, il marito, oltre alla regolamentazione dell'affidamento e mantenimento della figlia minore, chiedeva che fosse dichiarata l'insussistenza del diritto della moglie all'assegno divorzile, asserendo che la medesima, successivamente coniugata in seconde nozze, percepiva un reddito da lavoro e non aveva, nel corso del procedimento, offerto la prova della mancanza di mezzi adeguati o dell'oggettiva impossibilità di procurarseli. La moglie si costituiva insistendo per il riconoscimento di un assegno divorzile analogo a quello disposto in sede di separazione, e dichiarando di avere ripetutamente tentato di impegnarsi lavorativamente ma senza successo, dopo aver perso la precedente occupazione per essersi dedicata all'assistenza della prole e della famiglia. Il Tribunale, all'esito dell'istruttoria, ritiene sussistente il presupposto di legge per il riconoscimento dell'assegno divorzile.

La questione

Il Tribunale di Matera, con una articolata disserzione in tema di assegno divorzile, affronta sia il tema dell'individuazione del parametro cui raffrontare l'inadeguatezza dei mezzi alla luce dell'orientamento della giurisprudenza di legittimità inaugurato con la sentenza Cass. n. 11504/2017 con particolare riguardo all'inattualità del tenore di vita goduto prima del divorzio, sia quello dei criteri di determinazione dell'assegno.

Le soluzioni giuridiche

Il Collegio giunge a riconoscere il diritto della moglie all'assegno divorzile attraverso un'articolata motivazione che parte dalla disamina dei principi espressi dalla sentenza della Cassazione n. 11504/2017.

Ritenuto che il reale significato della decisione della Suprema Corte emerga laddove si afferma che il riconoscimento di un assegno divorzile allorché siano carenti i presupposti indicati dall'art. 5, comma 6, l. n. 898/1970 integri «una indebita locupletazione» per il coniuge percipiente, il Tribunale lucano evidenzia come l'intento della Corte sia di considerare superato l'orientamento giurisprudenziale che ancora l'assegno divorzile al tenore di vita matrimoniale (fra le tante, successivamente a Cass. n. 11504/2017, Cass. n. 15481/2017, Cass. n. 23602/2017, Cass. n. 20525/2017, Cass. n. 25327/2017), ma anche di sottolineare la struttura bifasica del giudizio sulla spettanza dell'assegno (fase dell'an e successiva eventuale fase del quantum debeatur).

In perfetto allineamento con la pronuncia citata, i Giudici di Matera ribadiscono che il tenore di vita goduto in costanza di matrimonio non è contemplato tra i presupposti menzionati dal comma 6 dell'art. 5, a giustificazione dell'erogazione di un assegno di divorzio, bensì è stato utilizzato dalla precedente giurisprudenza per interpretare il concetto di adeguatezza dei mezzi, considerando non adeguati quelli che, successivamente alla dissoluzione dell'unione, non consentivano di mantenere appunto il tenore di vita matrimoniale. Ma la decisione in commento va oltre alle considerazioni della Suprema Corte, poiché poggia il rifiuto del riferimento al tenore di vita non solo sul principio costituzionale di solidarietà che rappresenterebbe la ratio dell'assegno, ma anche sulla natura esclusivamente assistenziale attribuita all'assegno suddetto dalla giurisprudenza successiva alla Novella legislativa del 1987 che modificò il testo dell'art. 5 l. n. 898/1970. Infatti, secondo il Tribunale «il concetto di assistenza implica un trattamento economico finalizzato alla sopravvivenza, e non certo in termini di equivalenza alle precedenti condizioni di agiatezza».

Riprendendo la considerazione espressa dalla sentenza Cass. n. 11504/2017 secondo cui, sciolto il vincolo con il divorzio, il rapporto matrimoniale si estingue sia sul piano dello status che dei rapporti economico - patrimoniali e in particolare del reciproco dovere di assistenza morale e materiale, il Tribunale ravvisa una incongruenza nel riconoscimento al coniuge meno abbiente di un assegno volto a ripristinare il tenore di vita – che scaturisce dall'apporto che entrambi i coniugi danno alla famiglia in attuazione dei doveri che dal matrimonio derivano – trattandosi di una situazione cui egli non ha più diritto di fruire, essendo venuta meno l'unione, e con essa il connaturato dovere di assistenza, e quindi dovendosi riportare i coniugi, da una situazione di comunione di vita, alla diversa dimensione economico-patrimoniale individuale.

Sarebbe la stessa disposizione legislativa, allorché menziona «il contributo personale ed economico dato da ciascuno alla conduzione familiare e alla formazione del patrimonio di ciascuno o di quello comune», sia a dar conferma che il tenore di vita scaturisce dalla fusione degli apporti individuali di ciascun coniuge, sia ad escludere che il tenore di vita configuri un presupposto dell'assegno, essendo “normativamente” confinato a criterio di quantificazione. Conclusivamente, il Tribunale assume che l'adeguatezza dei mezzi non può essere rapportata al tenore di vita matrimoniale come su inteso, poiché diversamente si originerebbero indebite locupletazioni a danno del coniuge più abbiente.

Chiarita la funzione e la natura eccezionale dell'art. 5, comma 6, l. n. 898/1970, che opera in deroga al principio generale del venir meno di ogni legame personale e patrimoniale tra i coniugi divorziati, e unicamente nei casi in cui il coniuge più debole, nel ritornare alla dimensione economico patrimoniale individuale, venga a trovarsi in una condizione di «mancanza di mezzi adeguati o di impossibilità oggettiva di procurarseli», la sentenza in commento si propone di definire, nell'incertezza interpretativa che scaturisce dalla vaga formulazione della norma, sia i presupposti dell'assegno che i criteri di determinazione.

Quale paragone per l'inadeguatezza, il Tribunale esclude che si possa far riferimento al reddito e/o la condizione patrimoniale del coniuge più abbiente (Cass. n. 13169/2004), poiché ciò produrrebbe l'ingiusta locupletazione a favore del coniuge beneficiario; quindi, argomentando dalla cd. funzione assistenziale dell'assegno divorzile, conclude ravvisando il parametro per stabilire l'adeguatezza dei mezzi del coniuge richiedente nella condizione oggettiva del coniuge più debole, che deve essere tale da non poter vivere un'esistenza dignitosa. Il principio della mancanza dei mezzi adeguati andrebbe dunque interpretato con riferimento all'art. 38, comma 2, Cost. per il quale «i lavoratori hanno diritto che siano preveduti e assicurati i mezzi adeguati alle loro esigenze di vita, in caso di infortunio, malattia, invalidità e vecchiaia, disoccupazione involontaria». Invero, tutti gli eventi (infortunio, malattia, invalidità e vecchiaia, disoccupazione involontaria ) previsti dalla norma coincidono con la maggioranza delle ipotesi che generano l'indigenza del coniuge divorziato (sul punto è interessante leggere come la sentenza riconduca le ipotesi generali normativamente previste alle fattispecie che di norma concretamente si registrano nell'ambito della coppia divorziata, come ad esempio la disoccupazione indotta dall'essersi il coniuge totalmente dedicato alle esigenze della famiglia ovvero dall'impossibilità di cercare un lavoro permanendo la necessità di dedicarsi alla cura dei figli).

Individuata la chiave interpretativa dell'inadeguatezza dei mezzi, i Giudici ravvisano la necessità di identificare anche la soglia minima dell'adeguatezza, che viene assunta nell'importo dell'assegno sociale, oggi pari a 453 euro, con la specificazione che si tratta di un valore indicativo, nulla impedendo di elevarlo o diminuirlo sulla base dei criteri di quantificazione indicati nella prima parte del comma 6 dell'art. 5 l. n. 898/1970 “calati” nel caso concreto.

Relativamente all'altro presupposto (vale a dire l'impossibilità di procurarsi i mezzi per ragioni oggettive), il Tribunale precisa che si tratta di una ipotesi esplicativa del primo (Cass. n. 294/1991, Cass. n. 13169/2004), ma comunque deve trattarsi di una impossibilità puramente oggettiva (età, necessità di dedicarsi alla cura dei figli, handicap o malattie, e così via), a nulla rilevando la volontà di non impegnarsi lavorativamente.

Conclude l'analisi dell'assegno divorzile una disamina dettagliata dei singoli criteri di determinazione enunciati dall'art. 5 l. div., che il Tribunale ha cura di affermare essere di fatto in un rapporto di precedenza ovvero di gerarchia logica, seppure siano enunciati in successione e non secondo un ordine di prevalenza. In particolare, sarebbero le condizioni dei coniugi e i redditi a fungere da cornice entro la quale il Giudice deve muoversi nella quantificazione dell'assegno.

Con encomiabile perizia, il collegio di Matera conclude riassumendo la delicata tematica dell'assegno in sette punti, e alla luce dei principi evocati, considerata la funzione assistenziale dell'assegno, le condizioni complessive dei coniugi, il reddito complessivo del marito, l'apporto dato dalla moglie alla famiglia, le condizioni concordate con la separazione consensuale e la durata del matrimonio, dichiara il diritto dell'ex moglie a percepire l'assegno divorzile. Nel caso di specie, il genere di attività lavorativa svolta in precedenza (promoter pubblicitario) era poi tale da rendere ancor più oggettiva l'attuale impossibilità di recuperare la capacità lavorativa e reddituale, trattandosi di un'attività oggigiorno superata dalle innovazioni tecnologiche.

Osservazioni

La bella sentenza del Tribunale di Matera viene annotata all'indomani del deposito dell'attesa sentenza delle Sezioni Unite Cass. n. 18287/2018 chiamata a dirimere il contrasto giurisprudenziale suscitato dall'arresto, in gergo definito caso Grilli, rappresentato dalla decisione Cass. n. 11504/2017.

Non è questa la sede per tentare premature analisi di una sentenza che certamente farà molto discutere e di cui vedremo i pratici risvolti applicativi solo nei prossimi mesi, ma non pare azzardato affermare che laddove il Tribunale di Matera enfatizza ai fini della propria decisione l'innegabile disparità di ruoli e apporti dei coniugi durante la vita coniugale allorché uno dei due, per decisione condivisa con l'altro sacrifica la propria realizzazione professionale in ragione del superiore valore rappresentato dall'assolvimento dei compiti di cura familiare, parzialmente anticipa, per così dire, le considerazioni delle Sezioni Unite sulla rilevanza del contributo dato da ciascun coniuge al patrimonio comune e personale e sull'inevitabile incidenza che il sacrificio delle aspettative professionali e reddituali di una delle parti può avere sull'equilibrio economico patrimoniale successivo allo scioglimento del matrimonio.

È comunque innegabile che la sentenza in commento rientra tra quelle in perfetto allineamento con il nuovo orientamento segnato dalla decisione Cass. n. 11504/2017: per certi aspetti è addirittura più severa, seppure, effettuato un dettagliato excursus logico-esegetico, concluda con estrema ragionevolezza riconoscendo il diritto all'assegno divorzile alla luce della rigorosa applicazione dei principi sviluppati nel corpo della motivazione.

Il dato saliente è forse l'accentuazione dello status libertatis dell'ex coniuge che, all'atto di separarsi o divorziare consapevolmente accetta il venir meno del tenore di vita inteso come l'agiatezza indotta dalla cooperazione materiale e spirituale dei coniugi, sicché legare qualsiasi statuizione sull'assegno divorzile al tenore di vita quale parametro cui rapportarsi si tradurrebbe in un ingiusto impoverimento per il coniuge più abbiente.

Apprezzabile è anche l'intento di ancorare l'interpretazione offerta al disposto della Costituzione (art. 38 Cost.), invero con risultati interpretativi assai soddisfacenti, mentre a parere di chi scrive pare azzardato ravvisare una soglia minima valevole in generale poiché occorre garantire un reddito adeguato che non può che variare secondo il caso di specie: incide, ad esempio, la zona di residenza atteso che i costi della vita variano secondo la zona geografica. Quello del Tribunale di Matera non è l'unico tentativo in tal senso (si rammenta l'ordinanza Trib. Milano 22 maggio 2017, A. Simeone, Nessun assegno divorzile se il richiedente guadagna almeno 1.000,00 euro al mese in ilFamiliarista.it), nell'evidente avvertita necessità dei Giudici di merito di far chiarezza risolvendo a monte una ipotetica mole cospicua di contenzioso.

In generale la decisione è certamente lodevole, sia allorché enuncia in modo magistrale i sette principi applicabili in materia che indubbiamente rappresentano una guida operativa utile (quantomeno prima della sentenza Cass., S.U., n. 18287/2018), sia laddove valorizza le scelte endofamiliari dei coniugi che originano una diversificazione dei ruoli e di conseguenza comportino sacrifici individuali ma nell'ottica solidale che caratterizza la famiglia unita. Detti sacrifici inevitabilmente si riverberano sulla nuova dimensione d'indipendenza acquisita con il divorzio, e di essi non può non tenersi conto per verificare il diritto all'assegno divorzile: il richiamo sic et simpliciter alla bastevolezza di una esistenza libera e dignitosa improntata al criterio generale dell'autoresponsabilità dei singoli pareva invero (il passato è d'obbligo alla luce della pronuncia delle Sezioni Unite in materia) sperequato e ingiusto in molteplici situazioni concrete.

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