L'ordine di rimpatrio previsto dalla Convenzione Aja tutela il legame effettivo tra minore e genitore

Roberta Vicini
27 Agosto 2018

Il Tribunale per i minorenni di Bologna, chiamato a decidere su una richiesta di rimpatrio, ha valutato tutte le condizioni positive e negative di cui alla Convenzione Aja del 1980, soffermandosi sulle caratteristiche che la responsabilità genitoriale deve possedere affinché la domanda possa essere accolta.
Massima

Ricorre l'ipotesi della sottrazione internazionale di minore quando, sussistendo in capo a entrambi i genitori la responsabilità genitoriale, concretamente esercitata, in assenza del consenso dell'uno, l'altro trasferisca il minore in uno Stato diverso da quello della sua residenza abituale.

Il caso

Il Tribunale per i minorenni di Bologna era chiamato a conoscere di un ricorso presentato ai sensi degli artt. 7 e 8 l. n. 64/1994 dalla Procura della Repubblica. Il padre della minore, cittadino straniero, si rivolgeva alla Autorità Centrale italiana, chiedendo il rimpatrio della propria figlia perché illecitamente condotta in Italia dalla madre. L'autorità rintracciava la madre che non dava la propria disponibilità alla conciliazione. Gli atti venivano, quindi, trasmessi al Procuratore presso il Tribunale e, da qui, veniva presentato il conseguente ricorso.

Il padre della minore non si presentava a nessuna delle due udienze fissate, sebbene fossero venute meno le difficoltà burocratiche inizialmente incontrate per lasciare il suo Paese. L'audizione della resistente e la documentazione acquisita portavano alla conoscenza del Tribunale una serie di elementi da cui ricostruire una storia familiare caratterizzata da violenza, sopraffazione e brama di controllo, tutte esercitate dal richiedente nei confronti della resistente e mai denunciate per paura. Alla persecuzione si appaiava il totale disinteresse del padre nei confronti della figlia: l'uomo non aveva mai chiesto di lei e non aveva mai provveduto a mantenerla. Tale disinteresse veniva confermato da due ulteriori fattori rappresentati dalla omessa impugnazione della sentenza che, dichiarando il divorzio, dava atto della convivenza della figlia con la madre e dal consenso all'ottenimento del visto d'ingresso in alcuni Paesi dell'area Schengen, per ivi trascorrere 90 giorni l'anno, per 3 anni.

L'immediata separazione, seguita alla nascita della bambina, il successivo divorzio e gli altri tentativi della resistente di ricreare per sé e per la figlia le condizioni per una vita normale non risultavano sufficienti per affrancarsi dalla vessazione. L'uomo continuava a perseguitarla facendo di tutto per controllarne la vita, pur disinteressandosi completamente della minore. Ciò faceva anche dopo il trasferimento della donna in Italia, dove la raggiungeva con mail e minacce di morte.

Il Tribunale per i minorenni rigettava il ricorso, ritenendo che la responsabilità genitoriale in capo al padre non era stata da lui concretamente esercitata, fino al momento del trasferimento in Italia della bambina. Era altresì preclusivo all'accoglimento del ricorso il pericolo cui la minore sarebbe stata esposta in caso di rimpatrio.

La questione

Il Tribunale per i minorenni, chiamato a decidere sulla richiesta di rimpatrio, valutava tutte le condizioni positive e negative di cui alla Convenzione Aja sugli aspetti civili della sottrazione internazionale di minoriper l'accoglimento della richiesta, soffermandosi sulle caratteristiche che la responsabilità genitoriale deve avere affinché possa essere accolta la domanda di rimpatrio, valutandola sotto il profilo della legittimazione ad agire, delle modalità con cui è stata esercitata ante trasferimento e delle modalità che è lecito aspettarsi in caso di accoglimento della istanza. Valutava inoltre la idoneità del consenso prestato dal padre al visto, ai sensi dell'art. 13, lett. a), l. n. 64/1994, escludendola in ragione della sua limitata estensione temporale. Quindi affrontava gli elementi ostativi in ragione dei quali l'istanza deve essere rigettata.

Le soluzioni giuridiche

Il Tribunale per i minorenni incardinava la propria motivazione sulla residenza abituale del minore e sull'effettivo esercizio del diritto di affidamento da parte del genitore che subisce la sottrazione. Spiegava che lo strumento invocato tutela il diritto del minore a non essere sradicato dall'ambiente in cui ha trascorso un periodo della vita, abbastanza lungo da potere intessere, in modo significativo, relazioni affettive, sociali e sviluppare abitudini. Tuttavia, in caso di allontanamento dalla abituale residenza, il rimedio del rientro può essere attivato solo dal genitore che, fino al momento del trasferimento, abbia esercitato il diritto di cura e di custodia sul minore ai sensi dell'art. 3, lett. b), l. n. 64/1994, e sempre che il rientro non esponga il minore al fondato rischio di essere esposto a pericoli fisici e psichici.

Ribadiva l'insufficienza della formale attribuzione della responsabilità genitoriale, essendo necessario l'effettivo esercizio dei diritti di cura e custodia sul minore, solo in tal modo potendosi ritenere l'esistenza di un solido legame tra genitore e figlio. L'autorizzazione concessa dal padre al visto non era idonea ai fini del consenso a un trasferimento definitivo, ex art. 13, lett. b), l. n. 64/1994, avendo una limitata estensione temporale, ma provava, tuttavia, il disinteresse dello stesso nei confronti della figlia.

La situazione di pericolo di cui all'art. 13, lett. a), l. n. 64/1994 da sola avrebbe precluso il richiesto rimpatrio. Se la minore fosse tornata si sarebbe vista privare della madre, figura di riferimento, che fino a quel momento si era presa cura di lei e di un nuovo ambiente, in cui nel frattempo si era, a tal punto, integrata da imparare una nuova lingua e stringere amicizie con i compagni. Inoltre sarebbe stata costretta a vivere con il padre che non poteva essere ritenuto capace di creare una situazione di amore e cure nei suoi confronti. Non si era mai interessato della figlia e anzi aveva fatto di tutto per rendere la vita difficile alla madre e per ricaduta, a lei, con i suoi comportamenti di violenza e prevaricazione. Confermava, inoltre, il proprio disinteresse omettendo di prendere in considerazione le conseguenze cui avrebbe esposto la figlia in caso di accoglimento della richiesta.

Osservazioni

Il provvedimento è in linea con un ormai consolidato orientamento della giurisprudenza di merito e di legittimità in ordine all'applicazione delle norme di cui alla Convenzione dell'Aja sugli aspetti civili della sottrazione internazionale dei minori del 1980 e al Reg. n. 2201/2003 (cd. Reg. Bruxelles II-bis), che disciplina l'ordine di rientro, in caso di sottrazione internazionale di minore.

La ratio della norma è rappresentata dall'impedire che uno dei due genitori sottragga il figlio, minore di anni 16, all'altro, allontanandolo dallo Stato in cui hanno, fino a quel momento, abitualmente risieduto. La convenzione offre uno strumento per tutelare il minore dal rischio di essere vittima di condotte “accaparranti” da parte di uno dei genitori, di essere manipolato con atti di appannamento, posti in essere ai danni dell'altro genitore: con creazione di situazioni e disagi irreversibili che nessun provvedimento potrà riparare.

Quello offerto è un «provvedimento urgente, da adottarsi in tempi brevissimi, fondato sulla ragionevole presunzione che, in caso di illecita sottrazione internazionale di minore, l'interesse del minore stesso vada innanzitutto tutelato mediante il ripristino immediato della situazione quo ante»: così la Corte Costituzionale (Corte cost. n. 231/2001) chiamata a pronunciarsi sulla legittimità costituzionale degli artt. 1, 2 e 7 l. n. 64/1994 laddove non prevedevano la possibilità di una revoca del provvedimento.

La norma stessa impone delle condizioni che devono ricorrere al fine di evitare che lo strumento possa trasformarsi in un abuso; in un atto emulativo, espressione di una genitorialità non sempre vissuta in modo sano, ma strumentalizzata per fare del male alla controparte, in totale dispregio della prole.

Il rimpatrio può essere chiesto solo dal genitore che abbia l'effettivo diritto di affidamento inteso, ex art. 5 l. n. 64/1994, come diritto concernente la cura della persona del minore. La responsabilità genitoriale di per sé non basta, deve essere stata sostanzialmente esercitata, avendo come obiettivo l'interesse superiore del minore. Chi chiede il rimpatrio deve avere esercitato, fino all'allontanamento, il diritto – dovere di essere un genitore, cogliendo le esigenze della prole e attivandosi per realizzarle. Infra multis, scegliendo per i propri figli minori il luogo in cui vivere, costruire e estrinsecare la loro personalità, curando i propri interessi, intrecciando relazioni con gli altri, permeando e facendosi permeare dalla realtà circostante. Se un genitore, pur avendo la responsabilità genitoriale sui figli, abbia omesso di fare quanto sopra, allora non si può ritenere che l'allontanamento del minore dalla residenza abituale costituisca per il medesimo figlio un nocumento rispetto alla relazione con il genitore, ciò proprio perché la relazione a monte mancava.

La responsabilità genitoriale non necessariamente deve essere espressione di un affido condiviso: a ribadirlo è la Corte EDU con sentenza 25 giugno 2013, Anghel c. Italia, allorché, prendendo le distanze dal Tribunale italiano, affermava di non condividere «l'importanza attribuita al fatto che il ricorrente non (fosse) titolare di un diritto di affidamento esclusivo, visto che si applica la stessa procedura anche nel caso di affidamento condiviso».

Sempre secondo la normativa convenzionale il richiesto provvedimento dovrà essere accordato «salvo che, nell'immediatezza, emerga taluna delle circostanze ostative all'emissione dell'ordine indicate all'art. 13 ovvero la richiesta di rientro sia in contrasto con i principi relativi alla protezione dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali» (Corte cost. n. 231/2001). Esistono, infatti, «una serie di eccezioni all'obbligo di ritorno del minore (si vedano, in particolare, gli artt. 12, 13 e 20 l. n. 64/1994), che tengono conto di considerazioni riguardanti la persona specifica del minore e il suo ambiente, dimostrando così che è compito del tribunale giudicante adottare un approccio che tenga conto del caso concreto (…) l'interesse superiore del minore, sotto il profilo del suo sviluppo personale, dipende da una serie di circostanze individuali, in particolare dalla sua età e dal suo livello di maturità, dalla presenza o assenza dei genitori, dall'ambiente e dalle esperienze maturate» (Corte EDU 26 giugno 2013).

La domanda di rimpatrio non potrà essere accolta allorché ricorrano le seguenti fattispecie derogatorie: quando il rientro esponga il minore ad una situazione di pericolo fisico e psichico, quando l'altro genitore abbia dato il consenso al trasferimento ed infine quando il minore si opponga allo stesso.

Perché possa essere integrata la prima deroga, prevista dall'art. 13, lett. b), l. n. 64/1994, è necessario che si accerti «nell'interesse superiore del minore, l'esposizione ai contemplati fondati rischi, al suo rientro nel luogo estero di sottrazione, ivi, quindi, localizzandoli, e che, in questa specifica prospettiva ben può̀ involgere l'accertamento dell'adeguatezza delle condizioni anche materiali di vita e di accudimento del minore nel luogo estero di rientro, ma non consente di valorizzare soltanto il benessere e la maggiore positività̀ della sistemazione del medesimo minore nel territorio italiano (in tema, cfr. anche Cass. n. 5236/2007), atti invece ad incidere sul diverso ambito del suo affidamento e/o collocamento».Così la Cass, 12 maggio 2015, n. 9638 con cui accoglieva il ricorso, riscontrando un vizio nella decisione del TM, laddove fondava la propria valutazione principalmente sulla migliore situazione in cui sarebbe stato il bambino se fosse rimasto in Italia. Sempre la Cassazione con la sentenza 16 luglio 2004 n. 13167 ribadiva che «la sussistenza del rischio grave del danno fisico e psichico a cui il minore sarebbe esposto, esige, perché sia rigettata la richiesta di rimpatrio (…) la prova specifica del rischio grave che il bambino possa venire a trovarsi in una situazione intollerabile».Quello in esame è uno strumento per realizzare l'interesse del minore al ristabilimento di una situazione di affidamento precedente all'illecito trasferimento, senza che ciò implichi un giudizio di meritevolezza dell'affidamento al genitore richiedente il rimpatrio (Cass. 26 giugno 2014, n. 14560). Diversamente si dovrà ragionare nell'ipotesi di ricorso presentato dopo un anno dal trasferimento, imponendosi in tal caso la valutazione circa l'integrazione nel nuovo ambiente e quindi il mantenimento del benessere raggiunto.

Quanto al consenso lo stesso deve essere chiaramente volto ad un trasferimento definitivo, non potendo bastare un consenso per un periodo limitato di tempo. Nel provvedimento il Tribunale per i minorenni, interpretando la volontà del genitore, ben ne valorizzava la portata temporale limitata, escludendone con ciò la validità ai fini della integrazione della fattispecie di cui all'art. 13, lett. b), l. n. 64/1994, salvo poi valutarlo in termini di disinteresse del padre rispetto alla figlia.

Per concludere il quadro, sebbene non toccato dal provvedimento in commento, si ricorda che l'eventuale rifiuto del minore può essere recuperato tenuto conto dell'età e del livello di maturità dell'interessato, senza obbligo di disporre di specifici mezzi di accertamento, la capacità di discernimento del minore rientrando nell'insindacabile giudizio del Tribunale (Cass. 18 marzo 2006, n. 608).