Ads e potere di inserire l'amministrato in struttura nonostante il suo dissenso pretestuoso

29 Agosto 2018

Accertata la gravissima condizione di precarietà, fragilità e asservimento della beneficiaria è possibile deferire all'ads il potere di prestare in nome e per conto della beneficiaria, il consenso all'immediato inserimento presso una casa di cura e ricovero?
Massima

L'art. 358 c.c., norma che dispone che il minore in tutela (dunque l'interdetto) non può abbandonare l'istituto cui è stato destinato senza il permesso del tutore, disciplina una limitazione, o comunque un effetto dell'interdizione, ed è dunque estensibile al beneficiario di amministrazione di sostegno ex art. 411, u.c., c.c.. Ciò non comporterebbe la necessità di un aggravamento della misura di amministrazione di sostegno, con conversione della stessa in tutela: da un lato, in quanto non vi sono ragioni letterali per ritenere il contrario; dall'altro, per le deleterie conseguenze sulle tempistiche processuali, specie nell'ipotesi in cui la richiesta di ricovero pervenga allorquando la misura di ads sia già aperta.

Il caso

Il Giudice Tutelare e l'ads di una amministrata di 83 anni si recano a casa della stessa, suonano il campanello, la beneficiaria si avvicina alla porta di ingresso, ma non riesce in alcun modo ad aprire. Non riconosce l'ads ma, ciò nonostante, sorridente e ben disposta, cerca di seguire le indicazioni della stessa che le chiede se le chiavi siano nella serratura o se le stesse fossero in qualche cassetto. Fallito ogni tentativo l'ads è costretto ad entrare in casa della beneficiaria, che nel frattempo alzava la tapparella e non poneva certo opposizione, da una finestra. La beneficiaria ribadiva di non sapere dove fossero le chiavi di casa ma faceva accomodare in cucina sia il Giudice che l'ads.

L'accesso in casa e l'audizione della beneficiaria hanno evidenziato come la stessa vivesse in una casa in discrete condizioni quanto all'ordine, con un frigorifero sostanzialmente vuoto, un fornello a gas con sopra una pentola con una minestra e il pavimento della cucina molto sporco. La beneficiaria riferiva di passare le giornate in casa tra la cucina e la camera ma mostrava una enorme difficoltà e precarietà nell'incedere e nel compiere le operazioni basilari, quali la seduta e affermava di avere dei forti dolori alla schiena. Riferiva di non assumere medicine mentre l'ads mostrava una ricetta del medico per l'assunzione di due medicine non rinvenute in casa. L'amministrata incorreva spesso in défaillance riguardo gli argomenti più semplici; proferiva frasi inattendibili e si contraddiceva più volte. Riferiva, infine, di non gradire il ricovero in casa di riposo, né l'assunzione di una badante, ma non era in grado di spiegare le motivazioni della sua decisione.

Il Tribunale di Vercelli ritenuta evidente la gravissima condizione di precarietà, fragilità e asservimento della beneficiaria, persona con un cospicuo patrimonio che viveva di fatto segregata in un appartamento spoglio e sporco, rispetto alla sua abitazione storica di cui è proprietaria esclusiva e nella quale oggi vive senza titolo la nuora, che probabilmente le cucina qualcosa e che dovrebbe somministrarle i farmaci, ritiene di dover emettere dei provvedimenti tutelanti per la beneficiaria quali l'inserimento in RSA nonostante il suo immotivato dissenso.

La questione

Accertata la gravissima condizione di precarietà, fragilità e asservimento della beneficiaria, segregata di fatto ormai da tempo in casa da sola, che non ha consapevolezza della sua malattia, che non assume i farmaci, che non è in grado di deambulare senza pericoli è possibile deferire all'ads il potere di prestare in nome e per conto della beneficiaria, il consenso all'immediato inserimento presso una casa di cura e ricovero?

Le soluzioni giuridiche

Le sentenze emesse dai giudici di merito dall'introduzione dell'istituto dell'ads – tra cui quella in commento – hanno sempre affermato che l'inserimento del beneficiario in casa di ricovero, rispondendo a un suo interesse, è operazione lecita e ammissibile nell'ambito dell'amministrazione di sostegno, anche laddove il beneficiario esprima un dissenso, naturalmente pretestuoso.

La prima pronuncia sul punto riguarda il caso di un amministrato psichiatrico che dopo aver subito un TSO, si ostinava a non sottoporsi ad ulteriori e necessarie terapie e, quindi, non accettava una protrazione del ricovero in regime volontario. Il giudice Tutelare di Cosenza (Trib. Cosenza, decr., 24 ottobre 2004), considerando che la normativa di protezione dei disabili non esclude che possa essere demandato all'amministratore di sostegno il potere di valutare, insieme ai servizi sanitari a ciò deputati, quale debba essere per il soggetto debole il trattamento sanitario più idoneo e di esprimere il consenso e, richiamando la dottrina che da sempre sostiene sia possibile attribuire all'amministratore di sostegno il compito di sostituire la persona priva di autonomia «nel compimento di qualsiasi atto che potrebbe astrattamente compire un tutore», ritiene sia «anche coerente attribuire al predetto amministratore l'espressione del consenso informato al compimento di atti medici rifiutati dall'interessato o all'inserimento di una persona non autonoma in istituti».

Il Tribunale di Varese (Trib. Varese, decr., 30 aprile 2012), poi, ha ritenuto che siano gli artt. 405 e 408 c.c. a prevedere un potere/dovere di cura entro cui si iscrive anche il collocamento protettivo in una Comunità di assistenza e cura e, anche il mutamento di residenza. Si evidenzia nel predetto decreto che «anche a livello sovrannazionale si riconosce la possibilità di un collocamento protettivo in Comunità: la Convenzione sui diritti delle persone con disabilità, firmata a New York in data 13 dicembre 2006, e ratificata dall'Italia per effetto degli artt. 1 e 2 legge 3 marzo 2009, n. 18, riconosce espressamente il dovere di «adottare misure adeguate per proteggere le persona con disabilità, all'interno e all'esterno dell'ambiente domestico» anche per garantire il loro pieno inserimento nel tessuto sociale.

In entrambe le pronunce emesse dal Tribunale di Modena (Trib. Modena, decr., 3 gennaio 2010 e Trib. Modena, decr., 28 luglio 2016) a distanza di 6 anni, vengono solo qualificati analiticamente i provvedimenti inerenti la salute del beneficiario che l'amministratore di sostegno potrà adottare. Tra gli stessi viene, nella prima sentenza, indicato il potere di disporre le dimissioni dall'attuale luogo di ricovero nonché deciderne l'inserimento in strutture residenziali o in altre a minore intensità di cura mentre nella seconda sentenza viene conferito il potere di consentire –anche tramite ausilio della P.S.- al trasferimento dell'amministrato in altra struttura.

Nella sentenza in commento il giudice di Vercelli si spinge più in là affermando che «la soluzione della vicenda passa necessariamente attraverso un celere inserimento in RSA della beneficiaria. Dal punto di vista giuridico, tale operazione è sicuramente lecita e ammissibile nell'ambito della presente misura di protezione, e ciò anche indipendentemente dal dissenso (peraltro di facciata) della beneficiaria. Innanzitutto, l'art. 358 c.c. – norma che dispone che il minore in tutela (dunque l'interdetto) non può abbandonare l'istituto cui è stato destinato senza il permesso del tutore - disciplina una limitazione, o comunque un effetto della interdizione, ed è dunque estensibile al beneficiario di ads ex art. 411, u.c., c.c. non essendovi ragioni letterali per ritenere il contrario».

Il Tribunale di Vercelli evidenzia, infine, che «il consenso del beneficiario, tanto alla misura dell'amministrazione di sostegno, quanto al compimento degli atti ad essa relativi, non costituisce condizione indefettibile; non si capirebbe altrimenti il senso dell'art. 410 c.c., che tale dissenso disciplina, prevedendo appunto il ricorso al GT».

Osservazioni

La decisione in commento mette ancora una volta in luce la flessibilità dell'istituto dell'amministrazione di sostengo ex art. 404 c.c., considerato oggi lo strumento che meglio realizza la protezione delle persone prive in tutto o in parte di autonomia.

La decisione del giudice di Vercelli è sicuramente condivisibile laddove ritiene giuridicamente corretto demandare all'amministratore di sostegno anche il potere di inserire l'amministrato in casa di ricovero laddove tale provvedimento sia nel suo interesse, anche qualora vi sia un dissenso immotivato, potendosi estendere, ai sensi dell'art. 411, u.c., c.c., anche al beneficiario di ADS, quando disposto dall'art. 358 c.c.. Ma, soprattutto, che non sia, necessario aggravare la misura dell'ADS in interdizione, evidenziando come tale procedimento, che avrebbe delle tempistiche processuali molto lunghe, finirebbe con il non tutelare la persona bisognosa di cura.

Inoltre, si condivide anche l'affermazione che il consenso dell'amministrato tanto alla misura dell'ADS quanto al compimento degli atti ad essa relativi, non può costituire condizione indefettibile, perché diversamente non avrebbe più senso l'art. 410 c.c. che tale dissenso disciplina, prevedendo il ricorso al giudice Tutelare. Chi svolge tutti i giorni l'incarico di amministratore di sostegno sa bene che l'amministrato la maggior parte delle volte non accetta subito la figura dell'amministratore di sostegno né prenderebbe alcune delle decisioni messe in atto dall'amministratore per tutelarlo in esecuzione dei poteri conferitigli nel decreto.

La sentenza della Corte di Cassazione richiamata dal Giudice Tutelare di Vercelli (Cass., sez. I, n. 22602/2017) afferma, infatti, che al ricorrere dei presupposti e perdurante il rifiuto del beneficiando «la scelta della nomina dell'amministratore di sostegno s'impone laddove la riluttanza della persona fragile si fondi su un senso di orgoglio ingiustificato». E la Corte di Cassazione ha più volte ribadito che «la scelta dell'amministrazione di sostegno non deve essere semplicemente basata sul grado d'infermità o d'impossibilità di attendere ai propri interessi del soggetto, ma piuttosto sulla maggiore capacità di tale strumento di adeguarsi alle sue esigenze, in relazione alla sua flessibilità ed alla maggiore agilità della relativa procedura applicativa» (Cass., sez. I, n. 9628/2009; Cass.,sez. I, n. 22332/2011).