L’omessa sottoscrizione della firma digitale sull’atto notificato telematicamente non ne compromette la validità

Alessandro Barale
04 Settembre 2018

La Cassazione si pronuncia sulla validità dell'atto notificato telematicamente in caso di omessa sottoscrizione della firma digitale.
Massima

“Qualora l'appello sia stato dichiarato inammissibile ai sensi dell'art. 348-bis c.p.c., il termine per proporre ricorso per cassazione avverso la sentenza di primo grado, ai sensi dell'art. 348-ter, terzo comma,c.p.c., è quello di sessanta giorni previsto dall'art. 325, secondo comma, c.p.c., a decorrere dalla comunicazione – o dalla notificazione, se precedente – dell'ordinanza che ha dichiarato l'inammissibilità dell'appello; solo qualora essa non sia stata comunicata né notificata, si applica il termine di decadenza di cui all'art. 327 c.p.c., con decorrenza dalla data di pubblicazione dell'ordinanza del giudice d'appello.”

“Quando il ricorso per cassazione è proposto, ai sensi dell'art. 348-ter c.p.c., avverso la sentenza di primo grado il cui appello sia stato dichiarato inammissibile, l'art. 369, secondo comma, n. 2, c.p.c. – a mente del quale unitamente al ricorso per cassazione deve essere depositata, a pena d'improcedibilità, copia autentica della sentenza o della decisione impugnata con la relazione di notificazione – deve essere inteso nel senso che il deposito deve avere ad oggetto non solo la copia autentica della sentenza di primo grado, contro cui si propone ricorso, ma anche la relata di notificazione o la comunicazione dell'ordinanza di inammissibilità pronunciata dalla corte d'appello, poiché è da quest'ultima data, e non dalla pubblicazione (o notificazione) della sentenza di primo grado, che decorre il termine per l'impugnazione; nel caso in cui l'ordinanza sia stata notificata a mezzo di posta elettronica certificata, il ricorrente deve depositare nella cancelleria della corte di cassazione copia analogica del messaggio ricevuto, nonché della relazione di notifica, previa attestazione di conformità di tali documenti analogici all'originale telematico, ai sensi dei commi 1 bis e 1 ter dell'art. 9 della legge 53/1994.”

“Chi propone ricorso per cassazione avverso la sentenza di primo grado, a norma dell'art. 348-ter, terzo comma, c.p.c., è sollevato dall'onere di allegare la comunicazione – o la notificazione, se antecedente – dell'ordinanza che ha dichiarato inammissibile l'appello, qualora il ricorso sia stato proposto entro il termine di sessanta giorni dalla pubblicazione dell'ordinanza, poiché in tal caso non occorre dimostrare la tempestività dell'impugnazione.”

“Qualora l'atto processuale sia originariamente formato su supporto digitale, per la sua notificazione telematica non occorre la sottoscrizione digitale (richiesta solo per il deposito telematico dell'atto stesso all'ufficio giudiziario), né un'asseverazione di conformità all'originale (necessaria solamente quando la copia informatica sia estratta per immagine da un documento analogico), essendo sufficiente che detto atto sia trasformato in formato PDF”.

Il caso

Nella sentenza in commento la Suprema Corte si è trovata a pronunciarsi su svariate questioni processuali, in parte anche in ambito di processo telematico.

Nella fattispecie il ricorrente ha proposto ricorso per cassazione avverso la sentenza di primo grado ex art. 348-ter, terzo comma, c.p.c., a seguito della declaratoria di inammissibilità dell'appello.

Nel depositare il ricorso presso la Corte di Cassazione il ricorrente ha sì prodotto la comunicazione di cancelleria dell'ordinanza di inammissibilità con il relativo provvedimento allegato, ma ha munito di attestazione di conformità solo quest'ultimo e non la comunicazione.

Non solo. Il file PDF contenente il ricorso per cassazione, notificato telematicamente alle altre parti, non era stato munito di firma digitale.

Ciononostante, il S.C., con una decisione all'apparenza molto permissiva ed indulgente, ma allo stesso tempo piuttosto discutibile, ha “perdonato” le mancanze del procuratore del ricorrente, come si vedrà tra breve, salvo poi rigettare comunque il ricorso per ragioni differenti.

La questione

Prima di passare all'esame dei motivi del ricorso, che saranno appunto poi disattesi, la Corte di Cassazione si sofferma su tre questioni processuali meritevoli di commento, le cui ultime due riguardano il PCT.

1) Prima questione processuale analizzata è quella della tempestività del ricorso: come noto il termine dell'impugnazione è di sessanta giorni ex art. 325, secondo comma, c.p.c., che decorre dalla comunicazione o dalla notificazione, se anteriore dell'ordinanza che ha dichiarato l'inammissibilità dell'appello, mentre nei casi di mancata comunicazione o notificazione, vale il termine cd. lungo di cui all'art. 327 c.p.c., decorrente invece dalla data di pubblicazione dell'ordinanza ex art. 348-bis c.p.c. (nello stesso senso Cass., civ., 22 giugno 2016, n. 18622).

Al fine di verificare il rispetto del termine, è indispensabile che il ricorrente offra la relativa prova della comunicazione o notificazione, ma non della sentenza impugnata, ai sensi dell'art. 369, secondo comma, n. 2, c.p.c., bensì dell'ordinanza di inammissibilità del giudice d'appello.

Ciò in quanto, ovviamente, è da quest'ultima che decorrono i termini dell'impugnazione.

2) Seconda questione, strettamente ricollegata alla prima, concerne appunto la documentazione che deve essere prodotta al fine di fornire la prova della data di comunicazione o notificazione dell'ordinanza di appello, nell'ipotesi in cui comunicazione o notificazione sia stata effettuata a mezzo di posta elettronica certificata.

Ebbene, afferma la S.C., tale prova è costituita da:

(1) il messaggio di posta elettronica certificata ricevuto;

(2) la relazione di notifica, evidentemente allegata al suddetto messaggio;

(3) il provvedimento impugnato, anch'esso allegato al medesimo messaggio (nello stesso senso si era già pronunciata la Corte di Cassazione, da ultimo con Cass., 14 luglio 2017, n. 17450).

E poiché la produzione va effettuata con modalità tradizionale e non telematica, il ricorrente è onerato di attestare la copia analogica ai sensi dei commi 1 bis e 1 ter dell'art. 9, l. n. 53/1994.

Si può aggiungere che la relazione di notifica, in caso di comunicazione telematica, non sarà presente e quindi naturalmente saranno sufficienti il messaggio di posta elettronica certificata ricevuto dalla cancelleria ed il provvedimento impugnato allegato al primo.

Sempre con riferimento al caso della comunicazione telematica di cancelleria, può altresì sollevarsi il dubbio circa la sussistenza del potere di autentica, a cura del difensore, della stessa comunicazione di cancelleria, ex art. 9, l. n. 53/1994, come parrebbe dare per scontato la sentenza in commento: la disposizione ora citata è infatti espressamente riferita alle notificazioni regolate dalla medesima legge, mentre la cancelleria procede alle comunicazioni in virtù dell'art. 16, comma 4, d.l. n. 179/2012, ragion per cui – salvo non considerare sufficientemente ampia a ricomprendere anche il caso ora in discorso la portata residuale del comma 3 bis dell'art. 9 citato (nella parte in cui si riferisce a “tutti i casi in cui l'avvocato debba fornire prova della notificazione”) – occorrerà ritenere che in caso di notificazione il difensore proceda all'autentica ex art. 16-bis, comma 9-bis, d.l. n. 179/2012, potere da intendersi riferito sia ai provvedimenti comunicati, sia anche alla stessa comunicazione ogniqualvolta la stessa sia presente sul fascicolo telematico.

Sussiste tuttavia un unico caso in cui la prova della comunicazione o della notificazione non è necessaria, ovverosia quando – come nel caso sottoposto al sindacato del S.C. nella sentenza in oggetto – il ricorso per cassazione è stato notificato entro i sessanta giorni dalla pubblicazione dell'ordinanza di inammissibilità. In tale ipotesi, a fortiori, poiché la notificazione o la comunicazione dell'ordinanza non potrà portare una data antecedente a quella della sua pubblicazione, la tempestività dell'impugnazione è fuori discussione.

3) La terza ed ultima questione processuale concerne un'eccezione di nullità della notificazione del ricorso per cassazione sollevata da uno dei controricorrenti e fondata sulla circostanza, che risulta essere confermata, della mancata sottoscrizione digitale – che per la S.C. sembra, in un obiter dictum, essere sinonimo di formato P7M, nonostante il chiarimento per cui è stato necessario “scomodare” le Sezioni Unite (Cass., sez. un., 27 aprile 2018, n. 10266) – del ricorso medesimo.

In altre parole, il ricorrente ha omesso di sottoscrivere digitalmente il ricorso per cassazione notificato e, comprensibilmente, uno dei controricorrenti ha sollevato la relativa questione dinnanzi al S.C.

Sulla base di molteplici argomenti, in realtà poco condivisibili, presentati quasi come autosufficienti, la Corte di Cassazione ha “perdonato” la svista al difensore giungendo in sostanza ad affermare il principio per cui non è necessario che gli atti notificati siano firmati digitalmente, quantomeno fintanto che non vengano depositati in cancelleria.

Per giustificare tale conclusione, la decisione passa prima di tutto in rassegna varie norme regolamentari, partendo dal D.M. 21 febbraio 2011, n. 44 e giungendo sino al provvedimento DGSIA 26 aprile 2014 (ovverosia le specifiche tecniche emanate ex art. 34, D.M. n. 44/2011), per concludere che nessuna norma impone la firma digitale dell'atto notificato, ma semmai soltanto che l'atto deve essere redatto in formato PDF “senza restrizioni per le operazioni di selezione e copia di parti”.

Successivamente il S.C. afferma che la sottoscrizione digitale sarebbe prevista esclusivamente per gli atti “da depositare telematicamente all'ufficio giudiziario” ex art. 12, primo comma, lettera d), provvedimento DGSIA 26 aprile 2014, tant'è che neppure la l. 21 gennaio 1994, n. 53, riconosciuta come “fonte primaria” della disciplina sulla notifica telematica, dispone alcunché al riguardo.

Ulteriori argomenti, peraltro autosufficienti, idonei ad escludere la nullità sarebbero d'altronde, ad avviso del S.C.: il fatto che quand'anche una norma regolamentare (peraltro “di terzo livello”, come il provvedimento DGSIA) disponesse un simile obbligo, essa non potrebbe prevedere un'ipotesi di nullità, in quanto soltanto una norma di rango primario potrebbe infliggere una simile sanzione processuale ed infine il principio, condiviso da un precedente orientamento di legittimità, che esclude la nullità della notificazione del ricorso per cassazione non sottoscritto, quando la copia depositata presso la cancelleria sia comunque firmata e non siano state cagionate lesioni al diritto della difesa delle altre parti del giudizio (tra le sentenze richiamate cfr. Cass. civ., 30 marzo 2017, n. 8213).

La conclusione, a tratti sorprendente, è quindi che l'atto notificato nativo digitale non deve essere firmato digitalmente, ma è sufficiente che il file sia in formato PDF.

Le soluzioni giuridiche

Mentre non si pongono particolari problemi in relazione alle prime due questioni trattate dalla sentenza in commento, per le quali la soluzione adottata dal S.C. sembra coerente e ragionevole, diverse considerazioni devono svolgersi per il terzo tema affrontato, in relazione a cui la decisione è giunta ad escludere l'obbligatorietà della firma digitale sugli atti notificati.

Il principio da ultimo enunciato dalla Corte di Cassazione, ad avviso di chi scrive non condivisibile, rischia infatti di inaugurare una “liberalizzazione” delle regole del processo telematico molto pericolosa, non fosse altro perché saranno molto probabili successivi revirement, sicché allinearsi nelle proprie prassi alla nuova regola dettata dal S.C. potrebbe avere conseguenze potenzialmente molto negative.

In realtà la sentenza in commento, pur citando la l. n. 53/1994 e riconoscendola come la fonte primaria della disciplina sulle notifiche telematiche, omette di considerare il dettato del “suo” art. 3-bis, il quale impone il rispetto della normativa, anche regolamentare, sulla sottoscrizione dei documenti informatici nell'ambito delle notificazioni telematiche.

Più in particolare la citata norma prevede che “La notificazione con modalità telematica si esegue a mezzo di posta elettronica certifica all'indirizzo risultante da pubblici elenchi, nel rispetto della normativa anche regolamentare, concernente la sottoscrizione, la trasmissione e la ricezione dei documenti informatici”.

E d'altronde l'art. 20, d.lgs. 7 marzo 2005, n. 82 (Codice dell'amministrazione digitale), stabilisce al comma 1 bis che “Il documento informatico soddisfa il requisito della forma scritta e ha l'efficacia prevista dall'articolo 2702 del Codice civile quando vi è apposta una firma digitale, altro tipo di firma elettronica qualificata o una firma elettronica avanzata”.

Derogare a queste regole soltanto perché l'atto non viene depositato telematicamente in cancelleria ma viene notificato non sembra una considerazione convincente, sia perché è di fatto il medesimo atto che, una volta notificato, viene poi depositato in cancelleria, sia in quanto non pare che le disposizioni di legge consentano di effettuare una simile differenza, dal momento che il codice di rito all'art. 125 disciplina unitariamente “contenuto e sottoscrizione degli atti di parte” e quindi “la citazione, il ricorso, la comparsa, il controricorso, il precetto”, senza operare distinzioni – tantomeno così drastiche come quella che parrebbe introdurre la sentenza in commento – tra atti da depositare ed atti da notificare.

La sentenza si pone peraltro in totale contrasto con un recente precedente (Cass., 8 giugno 2017, n. 14338), che non risulta preso in esame nella motivazione, la cui massima ufficiale recita: “L'atto introduttivo del giudizio redatto in formato elettronico e privo di firma digitale è nullo, poiché detta firma è equiparata dal d.lgs. n. 82 del 2005 alla sottoscrizione autografa, che costituisce, ai sensi dell'art. 125 c.p.c., requisito di validità dell'atto introduttivo (anche del processo di impugnazione) in formato analogico” (ma da un esame della motivazione la conclusione del S.C. sembrerebbe essere ancora più drastica, confermando di fatto la decisione del giudice d'appello che ha dichiarato l'inesistenza dell'atto introduttivo).

Osservazioni

Come già evidenziato, la decisione in esame, con riferimento alla ratio decidendi espressa dall'ultima delle massime sopra riportate, non è – ad avviso di chi scrive – condivisibile, giungendo essa ad una conclusione non conforme con il dettato normativo correttamente ricostruito, sebbene, come noto, la disorganicità che caratterizza la disciplina del processo telematico rende non sempre agevole l'opera dell'interprete.

Infatti, se da una parte si è avuto modo più volte di disapprovare l'eccessivo formalismo con cui talvolta la giurisprudenza si è approcciata all'esegesi delle norme del PCT – e gli esempi di questi ultimi anni potrebbero essere molteplici – e sebbene si sia sempre sostenuto che l'atteggiamento interpretativo da seguire debba sempre essere improntato ad un favor per l'agevole funzionamento del processo telematico, resta il fatto che alcuni (pochi) punti fermi debbono essere comunque tracciati e da essi non si può derogare.

Semmai, se l'obiettivo della S.C., senz'altro corretto nelle intenzioni, era quello di evitare di rigettare il ricorso per questioni formali, molto più coerente – sebbene, ad avviso dello scrivente, comunque discutibile – sarebbe stato rilevare la carenza della firma, confermare che essa avrebbe condotto alla nullità dell'atto, ma “salvare” il ricorrente in virtù del noto – ed “elasticamente” interpretabile – principio di cui all'art. 156 c.p.c., in quanto l'atto aveva comunque raggiunto il suo scopo.

Dal punto di vista pratico, ad ogni modo, sarà bene non modificare le proprie prassi operative e non dimenticare di sottoscrivere digitalmente atti notificati e relazione di notifica ogniqualvolta si proceda alla notificazione telematica, in quanto l'opinione della decisione in commento appare debole, non conforme ad altro precedente di legittimità ed in definitiva poco convincente.

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