Sostanze dopanti. Le problematiche legate alla vendita online

05 Settembre 2018

I reati di doping, da sempre, sono argomento di particolare interesse per gli studiosi di diritto penale; non solo perché, fin dalla loro introduzione, sono stati oggetto di forti dibattiti dottrinali e giurisprudenziali ma perché, forse soprattutto, le problematiche connesse a questi reati diventano ogni giorno più attuali. Ed ecco perché, anche se in maniera necessariamente sintetica, pare interessante provare a dare conto di alcune delle questioni più attuali e rilevanti che interessano i reati di doping.
Abstract

I reati di doping, da sempre, sono argomento di particolare interesse per gli studiosi di diritto penale; non solo perché, fin dalla loro introduzione, sono stati oggetto di forti dibattiti dottrinali e giurisprudenziali ma perché, forse soprattutto, le problematiche connesse a questi reati diventano ogni giorno più attuali. Ed ecco perché, anche se in maniera necessariamente sintetica, pare interessante provare a dare conto di alcune delle questioni più attuali e rilevanti che interessano i reati di doping.

In particolare, vale la pena soffermarsi, da un lato, sugli ormai già noti problemi legati alla commercializzazione delle sostanze dopanti tramite i siti web e, dall'altro, sulla nuova collocazione degli stessi reati operata con il decreto legislativo 1 marzo 2018, n. 21 che, come noto, ne ha previsto l'inserimento all'interno del codice penale ed, in particolare, all'art.586-bis c.p.

Premessa

Il concetto di doping è, come noto, illustrato dai commi secondo e terzo dell'art. 1 della legge 376/2000, secondo i quali «costituiscono doping la somministrazione o l'assunzione di farmaci o di sostanze biologicamente o farmacologicamente attive e l'adozione o la sottoposizione a pratiche mediche non giustificate da condizioni patologiche ed idonee a modificare le condizioni psicofisiche o biologiche dell'organismo al fine di alterare le prestazioni agonistiche degli atleti»

Equiparate al doping sono le condotte di «somministrazione di farmaci o di sostanze biologicamente o farmacologicamente attive e l'adozione di pratiche mediche non giustificate da condizioni patologiche, finalizzate e comunque idonee a modificare i risultati dei controlli sull'uso dei farmaci, delle sostanze e delle pratiche indicati nel comma 2».

L'art. 9 contiene poi una norma penale che delinea il c.d. reato di doping e tipizza molteplici condotte rilevanti penalmente. Al primo comma si sanziona chi procura ad altri, somministra, assume o favorisce comunque l'utilizzo di farmaci dopanti, mentre al comma 7 chi “commercia” gli stessi farmaci al di fuori dei canali cd. ufficiali e autorizzati.

Sebbene solo il primo comma preveda il dolo specifico dell'alterazione delle prestazioni sportive o dei risultati sportivi, a una prima lettura potrebbe far ravvisare un concorso apparente di norme ogni qualvolta la condotta di procurare onerosamente ad altri una sostanza dopante con la consapevolezza dell'uso sportivo che l'acquirente adotta, avvenga al di fuori dei canali di vendita autorizzati dal Ministero della Salute.

La differente cornice edittale delle due norme impone di individuare un criterio interpretativo di applicazione che può essere però duplice, o valorizzando l'elemento psicologico dell'agente, o l'accezione linguistica più restrittiva del termine commerciare.

Mentre nel primo comma, come detto, si richiama espressamente il fine di alterazione dei risultati sportivi che costituisce l'essenza del doping, come delineato nell'art. 1, comma 2, della stessa legge, nel comma 7 tale elemento non è indicato. Il che può far ritenere che il fine perseguito nel secondo caso sia quello tipico dell'attività di commercio, ciò il lucro.

Ma così non può essere perché se si sanziona la sola messa in vendita di farmaci dopanti indipendentemente dalla consapevolezza dell'uso sportivo che questi avranno, allora sì che si creerà una sovrapposizione normativa con i reati di cui al d.P.R. 309/1990 dove il semplice commercio delle sostanze di cui alle tabelle allegate – tra cui molti farmaci dopanti – configura il reato, indipendentemente dal loro utilizzo finale.

E allora la prova della consapevolezza o convinzione che i farmaci commerciati entrano nel mercato del doping e non in quello ad esempio dell'uso di stupefacenti o della sanità illegale, renderà applicabile il comma 7 della “legge doping” invece del più grave delitto di cui all'art. 73 della legge stupefacenti.

Permane perciò il dubbio sulla diversa applicabilità dei due reati di cui ai commi 1 e 7 che dovrà dunque ricercarsi sulla interpretazione letterale delle condotte materiali tipizzate. Da un lato abbiamo, tra le altre, il procurare ad altri o favorire comunque l'utilizzo e dall'altro il commerciare. In particolare, ciò che consente di tracciare un discrimine tra le ipotesi previste dal comma primo e l'ipotesi prevista dal comma settimo pare essere proprio l'interpretazione che la giurisprudenza ha attribuito al concetto di commerciare. Secondo la Suprema Corte di Cassazione, infatti, «Il termine "commercio" non può che evocare concetti tipicamente civilistici ed essere inteso, dunque, nel senso di "un'attività di intermediazione nella circolazione dei beni" che, sia pure senza il rigore derivante dal recepimento della definizione mutuata dagli artt. 2082 e 2195 del codice civile, sia tuttavia connotata dal carattere della continuità, oltre che da una sia pur elementare organizzazione»(Cass. pen., Sez. VI, 11 aprile 2003, n. 17322). Ecco che, così individuati nella continuità e nell'organizzazione professionale i criteri discriminanti il concetto di commercio, è possibile rinvenire il discrimen tra le condotte di cui al primo comma e quelle di cui al comma settimo: mentre l'attività di intermediazione sistematica, organizzata e attuata con metodo professionale, integrerà il comma settimo dell'art. 9 della succitata legge, uno o più singoli atti di consegna di sostanze integreranno invece la più lieve fattispecie di cui al comma primo.

La persona offesa nel commercio illecito di farmaci

Negli ultimi anni sono incontestabili le tendenze espansionistiche del concetto di persona offesa e di danneggiato del reato tanto che, oramai, la monolesività dei reati appare fenomeno a dir poco in disuso. L'indicazione che il Guardasigilli Alfredo Rocco volle dare rubricando i singoli titoli del libro secondo del nostro codice penale, tutt'altro invece da sottovalutare, viene di volta in volta “stiracchiata” dalla giurisprudenza soprattutto di merito come un lenzuolo che deve coprire gli infiniti enti, associazioni e congregazioni, che sorgono ogni giorno, si accavallano e lottano per la supremazia nella tutela dei più disparati e nobili interessi pubblici.

E allora interrogandosi sull'individuazione della persona offesa o del danneggiato dei reati che formano il fenomeno “doping” si rinvengono delle difficoltà proprio per la molteplicità di sfaccettature che il doping può avere.

Come noto, infatti, l'individuazione della persona offesa dal reato dipende necessariamente dal bene giuridico tutelato dalla norma incriminatrice; il problema maggiore nei reati di doping attiene alla difficoltà che si riscontra nel riuscire a individuare quale, tra i tanti possibili, sia il vero oggetto giuridico della fattispecie. Se si cedesse alla tentazione di vedere tutelati, in una spiccata ottica plurioffensiva, tanto la salute, quanto l'interesse pubblico alla regolarità delle manifestazioni sportive, quanto, ancora, il complesso di valori sociali ed etici che alle manifestazioni sportive fanno da sfondo, si dovrebbe necessariamente accettare che parte civile si potrebbero costituire innumerevoli soggetti diversi: dall'atleta cui è stata somministrata a sua insaputa una sostanza dopante, al Coni per vedersi risarcito un eventuale danno all'immagine, a molte altre associazioni che di volta in volta si potrebbero vedere lese.

Peraltro, a voler esasperare la funzione omnicomprensiva di tutela delle fattispecie di doping si potrebbe arrivare, per assurdo, a dover accordare la possibilità di costituzione di parte civile addirittura ai partecipanti a una gara diversi dal soggetto dopato, con l'ulteriore problematica di dover verificare se questi, di volta in volta, si possono considerare danneggiati del reato; per poterli considerare tali, tuttavia, sarebbe necessario provare che il danno da loro sofferto sia conseguenza dell'assunzione di sostanze dopanti da parte del soggetto incriminato.

Ma come provare che, senza l'assunzione della sostanza dopante, la gara sarebbe finita diversamente?

Il problema è ben più ampio di così e meriterebbe interessanti approfondimenti, tuttavia in questa sede non possibili; ciò che, invece appare ictu oculi evidente, è che la dilatazione dell'oggetto giuridico porta con sé rilevanti problemi di difficile soluzione e che, forse, varrebbe la pena circoscrivere la tutela a quei beni che direttamente si possono considerare lesi dalle condotte di doping.

Non potendo qui ripercorrere con precisione le più importanti voci dottrinali che si sono espresse rispetto al tema del bene giuridico nei reati di doping, vale la pena sottolineare come, per evitare frizioni del principio di legalità ma anche, e soprattutto, evidenti problemi nella ricostruzione dell'elemento soggettivo (rectius: coscienza e volontà di ledere quale tra i diversi beni? Tutti, uno qualunque, il prevalente?), pare doversi privilegiare un'ottica di tutela mono-offensiva; in particolare, la tutela della salute.

Vale la pena sottolineare, tuttavia, come un'interpretazione in chiave mono-offensiva dei reati di doping non osti al riconoscimento, ad alcuni soggetti, della possibilità di costituirsi parti civili; non, naturalmente, in quanto persone offese ma, piuttosto, come danneggiati dal reato. In questi termini si è espressa la Suprema Corte con una importante pronuncia, secondo la quale: «il Coni è legittimato a costituirsi parte civile, non perché parte offesa dal reato, ma perché parte danneggiata in quanto istituzionalmente portatore di un interesse pubblico al corretto e leale svolgimento delle gare sportive»(Cass. pen., Sez. II, 8 marzo 2011, n. 12750).

Vale la pena dare conto di un recente aspetto di particolare importanza: in attuazione del principio di delega della riserva di codice nella materia penale contenuto nell'articolo 1, comma 85, lettera q), della legge 23 giugno 2017, n. 103, è stato emanato il decreto legislativo 1° marzo 2018, n. 21; tra le molte novità che lo stesso decreto introduce, l'art. 2 lett. d) prevede l'inserimento dei reati di doping all'interno del codice penale e, in particolare, all'art. 586-bis c.p., con la contestuale abrogazione dell'art. 9 della legge 376/2000. Le disposizioni rimangono le medesime nella sostanza (ad eccezione di alcuni aspetti: «la norma è stata tuttavia modificata rendendo per esteso l'acronimo “Coni”, contenuto nella legge speciale, contestualmente oggetto della specifica abrogazione, e i rinvii alla legge 376 del 2000 sono stati sostituiti con un riferimento generico alla normativa vigente», cfr. Relazione illustrativa del Governo al decreto legislativo 1° marzo 2018 , n. 21), tuttavia, dalla collocazione topografica del reato, pare potersi confermare la tutela personale che sottende i reati di doping. L'art. 586-bis c.p. infatti, si inserisce nel Titolo XII dei delitti contro la persona e, in particolare, nel Capo I dei delitti contro la vita e l'incolumità individuale. Conclusione, questa, confermata anche dalla Relazione illustrativa del Governo, secondo la quale: «La collocazione all'interno del codice penale, tra i delitti contro la persona e specificamente a seguire dell'articolo 586 c.p., ha il chiaro significato di una presa di posizione a favore della salvaguardia della integrità fisica del singolo piuttosto che della tutela del fair play sportivo, attribuibile all'incriminazione in esame».

Il commercio online di farmaci dopanti

La possibilità di verificare da parte di chiunque la liceità da parte di un soggetto privato di vendere farmaci senza obbligo di prescrizione ex art. 112-quater del d.lgs. 219/2006 tramite un proprio sito web è consentita e favorita dal Ministero della Salute stesso attraverso una propria banca dati online liberamente accessibile.

Tramite una maschera di ricerca a filtri, è verificabile per ogni soggetto autorizzato, oltre ai dati del c.d. sito fisico della farmacia o dell'esercizio commerciale che vende i medicinali, anche e soprattutto la scansione dell'autorizzazione a esso rilasciata dalla competente autorità territoriale.

Da una rapida ricerca su tale data base emerge però che questo tipo di attività commerciale risulta essere non omogeneamente sviluppato sul territorio nazionale; mentre regioni come il Lazio hanno autorizzato 56 esercizi, il Veneto 44, la Lombardia 86, le due province autonome di Trento/Bolzano in totale ne hanno solamente 4, tutti peraltro nella provincia altoatesina, mentre la Calabria ne ha 3 (i dati sono riferiti all'aggiornamento presente sul sito del Ministero della Salute alla data di redazione di questo articolo). Al di là delle osservazioni di natura politico-economica che se ne potrebbero trarre, la quasi totalità dei soggetti autorizzati consente la spedizione dei prodotti acquistati in tutto il territorio nazionale (ma non all'estero) e pertanto il mercato è nazionale e il controllo risulta più semplice. Meno semplice e quasi diabolico risulta in controllo delle Autorità sui siti di soggetti non italiani, che però, al contrario di quelli di cui al d.l. 223/2006, esportano e consegnano i prodotti in vendita anche al di fuori del territorio nazionale del venditore. Il problema maggiore attiene alla disomogeneità delle normative sulle sostanze dopanti che si ritrovano nei diversi paesi; nel momento in cui, infatti, la sostanza venduta da un sito estero è conforme alla normativa del paese di competenza del sito, la vendita online non potrà essere proibita. Tra i moltissimi siti online che potrebbero essere citati, il più emblematico, forse, è il colosso Amazon. Scorrendo le pagine del sito, infatti, è possibile notare subito come vengano venduti moltissimi prodotti che contengono sostanze che in Italia vengono definite dopanti. Tra i prodotti più venduti nella sezione Health-Supplements si trova il Jack 3d che contiene metilexaneamina. La metilexaneamina in Italia è vietata perché considerata sostanza dopante. Ma oltre ad Amazon ci sono molti altri siti che permettono di importare con facilità, dall'estero, sostanze dopanti.

La questione di maggior interesse pare essere la seguente: se Tizio acquista tramite un sito web una serie di sostanze dopanti e poi le rivende ad atleti non professioni che ne fanno uso a solo scopo personale (edonistico), chi risponderà, e di quale reato?

Per quanto riguarda Tizio, ci sono pochi dubbi; risponderà ex art. 586-bis n. 7 c.p. (commercio di sostanze dopanti). Per quanto riguarda colui che ne abbia acquistato una dose al fine di migliorare l'estetica del proprio profilo fisico? Per la Corte di cassazione, risponde ex art. 648 c.p. del delitto di ricettazione: «gli imputati, ricettando gli anabolizzanti, hanno incrementato il proprio patrimonio di beni che, non avrebbero potuto acquistare nel mercato legale o lo avrebbero potuto solo a condizioni diverse. Solo per effetto del suddetto acquisto (illegale) hanno potuto soddisfare quel loro bisogno "edonistico" di incrementare la massa muscolare, bisogno che, ove fossero ricorsi al "circuito" legale, di certo non avrebbero potuto conseguire o, comunque, lo avrebbero conseguito in misura diversa, in quanto, quelle sostanze, vanno prescritte su prescrizione medica e per necessità terapeutiche che solo un medico può valutare»(Cass. pen. Sez. II, ud. 22 marzo 2016, n. 15680).

Ecco che, dunque, l'arrivo di sostanze dopanti dall'estero, per il tramite del web, di certo non pare essere notizia rassicurante ma, soprattutto, pare aprire la frontiera alla commissione (più o meno consapevole) di reati legati al commercio/acquisto di sostanze dopanti che, purtroppo, sono di difficile scoperta da parte delle Autorità.

In conclusione

La nuova collocazione topografica dei reati di doping, intervenuta con il decreto legislativo 1° marzo 2018, n. 2 che, come già ampiamente ricordato, ne ha previsto l'inserimento all'interno del codice penale e, in particolare, all'art. 586-bis, offre una forte indicazione sull'oggetto giuridico del reati stessi; in luogo delle interpretazioni che di volta in volta ne estendevano la portata a beni anche solo marginalmente lesi, il Legislatore pare aver chiarito la portata, in fin dei conti, individualistica dei reati di doping.

I problemi legati alla commercializzazione delle sostanze dopanti per il tramite di siti web, dislocati in tutto il mondo, pare invero essere la punta dell'iceberg dei problemi che lo stesso web (rectius dark web) crea all'opera di ricerca e soppressione dei crimini. Nel caso delle sostanze dopanti, tuttavia, i problemi si acuiscono e rischiano di sfociare in un indiscriminato commercio (illegale) di sostanze nel territorio italiano. Correttamente la Corte di cassazione, nella pronuncia che abbiamo esaminato, ha esteso le maglie del concetto di profitto del delitto di ricettazione, punendo così condotte che, se isolatamente considerate, potrebbero non essere considerate di particolare allarme sociale; ma è fondamentale che, a fronte della facilità con cui, nel web, ci si può procurare sostanze dopanti, la giurisprudenza sia ferma del condannare, oltre a colui che compra dal web la sostanza, anche colui che la acquista successivamente. Solo così, forse, in una spiccata ottica general e special-preventiva, si potrà provare a porre un freno a questo commercio illegale di sostanze dopanti, purtroppo, sempre più frequente.

Vuoi leggere tutti i contenuti?

Attiva la prova gratuita per 15 giorni, oppure abbonati subito per poter
continuare a leggere questo e tanti altri articoli.