Tribunale di Pavia: l’assegno divorzile non deve correggere la disparità sociale uomo-donna

Redazione Scientifica
06 Settembre 2018

Il Tribunale di Pavia esamina alcune questioni controverse della sentenza Cass., S.U., n. 18287/2018: la funzione equilibratrice- perequativa dell'assegno divorzile può essere intesa come funzione di correggere la disparità sociale ed economica tra uomo e donna? Come si effettua una valutazione ex ante in merito alle aspettative professionali ed economiche sacrificate?

Il caso. Il Tribunale di Pavia si è pronunciato in merito alla richiesta di parte attrice di accertare e dichiarare l'assenza in capo all'ex moglie convenuta dei requisiti necessari per vedersi accordare l'assegno divorzile, in quanto dotata di rilevante patrimonio immobiliare e mobiliare fruttifero.

L'assegno non ha la funzione di riequilibrare la disparità uomo-donna. Rileva il Collegio che la decisione in merito a tale domanda non può che prendere le mosse dalla recente e, secondo il Tribunale, condivisibile, pronuncia delle Sezioni Unite, Cass. n. 18287/2018 (v. A. Simeone, Il nuovo assegno di divorzio dopo le Sezioni Unite: ritorno al futuro? in ilFamiliarista.it).

I passi di tale sentenza che fanno riferimento alla «perdurante situazione di oggettivo squilibrio di genere nell'accesso al lavoro, tanto più se aggravata dall'età» e alla «funzione equilibratrice-perequativa dell'assegno di divorzio» non possono essere intesi nel senso di attribuire all'assegno divorzile il compito di «ovviare alle sperequazioni che esistono nel mercato del lavoro e nel riconoscimento, anche economico, del lavoro extradomestico femminile».

Di tali disparità, infatti, deve tenersi conto solo al fine di valutare in concreto se una ex moglie possa o meno trovare lavoro dopo il divorzio e una vita matrimoniale nella quale, per scelta concorde dei coniugi, si era dedicata esclusivamente alla famiglia.

Attribuendo all'assegno divorzile una funzione correttiva della situazione economico-sociale verrebbe superata la funzione compensativa dell'assegno stesso, posto che quest'ultimo non servirebbe a ristorare la parte che, sulla base delle scelte della coppia, ha sacrificato le proprie ambizioni personali di realizzazione lavorativa ma le attribuirebbe un vantaggio superiore a tale sacrificio.

Le difficoltà del giudizio prognostico sulle aspettative sacrificate. Un'ulteriore considerazione deve poi svolgersi in merito alla difficoltà di formulare una valutazione ex ante relativa alle aspettative professionali ed economiche sacrificate rispetto alla situazione che si crea con il divorzio. In tale giudizio prognostico, che comporta una valutazione “come se” un determinato fatto non fosse accaduto, «l'elemento da eliminare è il matrimonio e non il divorzio» al fine di salvaguardare il principio di solidarietà post-matrimoniale «senza però cadere nel rischio di una visione “criptoindissolubilista” del matrimonio».

Il Tribunale ritiene che, pur nella consapevolezza dell'estrema difficoltà di un simile giudizio, esso sia assolutamente imprescindibile e debba essere condotto anche sulla base di fatti rientranti nella comune esperienza e di presunzioni semplici ex artt. 115 c.p.c. e 2729 c.c..

Sulla base di tutte queste considerazioni, il Collegio, esaminato il caso concreto, ritiene che non via sia tra le parti una disparità economica tale da legittimare l'assegno divorzile richiesto dalla convenuta, nonostante la stessa non goda di un reddito da pensione, e per questi motivi dichiara cessato il relativo obbligo in capo a parte attrice.