Il minore è parte necessaria dei giudizi de potestate
07 Settembre 2018
Massima
Il figlio minore è parte necessaria nei procedimenti de potestate. Ne discende che la mancata integrazione del contraddittorio nei suoi confronti comporta la nullità del procedimento medesimo. Deve inoltre considerarsi che il provvedimento ablativo della responsabilità genitoriale, emesso dal giudice minorile ai sensi degli artt. 330 e 336 c.c.abbia attitudine al giudicato rebus sic stantibus in quanto non revocabile o modificabile, salva la sopravvenienza di fatti nuovi. Il decreto della Corte d'appello che, in sede di reclamo, lo conferma, lo revoca o lo modifica è, pertanto, impugnabile con ricorso per cassazione, ai sensi dell'art. 111, comma 7, Cost..
Il caso
La vicenda concerne un procedimento ablativo della responsabilità genitoriale. In particolare il Tribunale di Bologna emetteva, ai sensi dell'art. 336 c.c., un provvedimento di decadenza nei confronti di madre e padre di un minore. I due ricorrevano in Corte d'appello, ottenendo soltanto la conferma del decreto di primo grado. Successivamente sollecitavano l'intervento della Suprema Corte con ricorso straordinario ex art. 111 Cost. evidenziando in particolare la mancata nomina di un difensore del minore, o, quantomeno di un curatore speciale per la sua rappresentanza legale e processuale. La Corte, con la sentenza in esame, accoglie il ricorso, cassa il decreto impugnato, e rinvia al Tribunale per i minorenni, in diversa composizione.
La questione
Fulcro centrale del provvedimento in oggetto è la questione della rappresentanza del minore nell'ambito dei procedimenti de potestate. Com'è noto l'art. 37 l. n. 149/2001 ha tra le altre cose modificato l'art. 336 c.c. aggiungendovi un ultimo comma nel quale si prevede che per i provvedimenti ablativi o limitativi della responsabilità genitoriale i genitori e il minore siano assistiti da un difensore. La modifica, di portata storica, ha spostato l'attenzione dalla rappresentanza sostanziale del minore alla difesa processuale dello stesso riconoscendogli così la qualità di parte processuale nell'ambito dei procedimenti de potestate. Rilevante diviene peraltro capire come tale importante modifica, introdotta anche alla luce delle convenzioni internazionali in materia di tutela dei minori, sia stata poi applicata dalla giurisprudenza italiana. Le soluzioni giuridiche
Nella specie la Corte affronta preliminarmente la problematica dell'ammissibilità del ricorso straordinario in Cassazione, ex art. 111 Cost., in relazione ai provvedimenti limitativi o ablativi della responsabilità genitoriale, questione oggetto negli anni passati di un grosso contrasto giurisprudenziale. In particolare la sentenza, accogliendo l'orientamento in materia più recente, afferma che il provvedimento ablativo o limitativo della responsabilità genitoriale, emesso dal giudice minorile ai sensi degli artt. 330 e 336 c.c., in un procedimento che si svolge con la presenza di parti processuali in conflitto tra loro ha attitudine al giudicato rebus sic stantibus, in quanto non revocabile o modificabile, salva la sopravvenienza di fatti nuovi. Pertanto il decreto della Corte d'appello che, in sede di reclamo, conferma, revoca o modifica il predetto provvedimento è impugnabile con ricorso per cassazione ex art. 111, comma 7, Cost.. In questo contesto, si precisa, non ha rilevanza il fatto che i procedimenti de potestate siano caratterizzati dal rito camerale anche perché, sottolineano i vari interventi di legittimità in materia, il decreto che dispone la limitazione o la decadenza della responsabilità genitoriale «incide su diritti di natura personalissima, di primario rango costituzionale» (Cass. n. 23633/2016). Ammesso il ricorso, la Corte prosegue soffermandosi sulla natura dell'azione di cui all'art. 336 c.c. specificando, come già fatto in passato, che si tratta di un procedimento, che pur essendo camerale non esclude un conflitto tra le parti. La disciplina prevede in particolare l'assistenza di un difensore per i genitori e per i minori, nonché l'obbligo di audizione per i genitori e di ascolto per il minore infradodicenne o anche di età inferiore ove dotato di discernimento. Alla luce di tali considerazioni la sentenza in esame afferma che il minore, nei procedimenti de potestate, trovandosi in una posizione processuale in potenziale conflitto con uno o entrambi i genitori, suoi rappresentanti legali, «è parte del procedimento» e ha dunque diritto a che il contraddittorio si instauri anche nei suoi confronti. L'origine di tale assunto può farsi risalire, come accennato alle modifiche introdotte dalla l. n. 149/2001, seguite da un importante intervento della Corte Costituzionale. La Consulta infatti nel 2002, con una sentenza interpretativa di rigetto, ha evidenziato la necessità di interpretare le norme relative ai procedimenti in camera di consiglio orientandole nel rispetto dei principi del contraddittorio, del giusto processo e del diritto di difesa. In tal senso il provvedimento, poi ripreso dalla giurisprudenza di legittimità successiva, affermò che il minore, nell'ambito dei giudizi relativi alla responsabilità genitoriale, è parte del procedimento ed è pertanto necessaria l'instaurazione del contraddittorio nei suoi confronti, se del caso, previa nomina di un curatore speciale (Corte cost. n. 1/2002). La mancanza di tale adempimento, come è stato nella specie, causa la nullità del procedimento (Cass. n. 5097/2014; Cass. n. 83/2011; Corte cost. n. 179/2011). La necessità dell'instaurazione del contraddittorio nei confronti del minore come dei genitori, affermata dalla Corte costituzionale, si desume anche dalla Convenzione sui diritti del fanciullo del 20 novembre 1989 e dalla Convenzione europea sull'esercizio dei diritti dei fanciulli adottata a Strasburgo il 25 gennaio 1996, convenzioni dotate di efficacia imperativa nell'ordinamento interno e, quindi, recanti una disciplina integrativa rispetto alla previsione dell'art. 336 c.c., col quale devono essere coordinate. In primis la Convenzione del 1989, ratificata con l. n. 176/1991, sottolinea la necessità di tenere in primaria considerazione l'interesse preminente del minore in tutti i giudizi che lo riguardano (art. 3 l. n. 176/1991) e richiede di fornire al fanciullo la possibilità di essere ascoltato in ogni procedura giudiziaria o amministrativa che lo concerne, sia direttamente, sia tramite un rappresentante o un organo appropriato (art. 12). Tale disposizione è stata nello specifico ripresa dalla c.d. riforma sulla filiazione (l. n. 219/2012 e d.lgs. n. 154/2013 ) che ha stabilito che il figlio minore che abbia compiuto gli anni dodici, e anche di età inferiore ove capace di discernimento, ha diritto di essere ascoltato nei procedimenti nei quali devono essere adottati provvedimenti che lo riguardano (art. 315-bis e art. 336-bis c.c.) La tutela dei diritti del minore in ambito processuale è richiesta in campo internazionale anche dalla Convenzione sull'esercizio dei diritti dei fanciulli (ratificata con l. n. 77/2003), la quale indica le modalità e i principi attraverso i quali realizzare compiutamente il diritto del minore ad esprimere la propria opinione nei procedimenti che lo riguardano, nonché ad essere affiancato da un proprio autonomo rappresentante quando esiste un conflitto di interessi con i genitori o una limitazione della responsabilità. L'art. 5 l. n. 77/2003 in particolare prevede che nei giudizi che riguardano il minore l'autorità giudiziaria ha il potere di designare un rappresentante speciale che lo rappresenti «se del caso un avvocato». Accogliendo tali principi la giurisprudenza ha più volte affermato la necessità della tutela dei diritti processuali del minore. Nella specie, la Cassazione aggiunge un'importante considerazione rilevando che nei giudizi de potestate il conflitto di interessi tra entrambi i genitori e il minore va sempre presunto. Ciò anche quando i provvedimenti sono assunti nei confronti di uno solo dei due. Non si può infatti stabilire ex ante la coincidenza dell'interesse del minore con la posizione del genitore non coinvolto dal procedimento. Risulta pertanto applicabile il principio secondo cui quando sussiste un conflitto d'interessi, anche solo potenziale, tra colui che è incapace di stare in giudizio e il suo rappresentante legale è necessaria la nomina di un curatore speciale (Cass. n. 1957/2016). Al minore, va così riconosciuta, la qualità di parte nel giudizio e se, di regola, la sua rappresentanza sostanziale e processuale è affidata al genitore qualora si prospettino situazioni di conflitto d'interessi spetta al giudice procedere alla nomina di un curatore speciale (Corte cost. n. 83/2011). Pertanto in caso di omessa nomina del curatore, il giudizio è nullo per vizio di costituzione del rapporto processuale e per violazione del principio del contradditorio. Nella specie invece, pur essendo certa la sussistenza del conflitto perché la richiesta di decadenza dalla responsabilità genitoriale era stata proposta nei confronti di entrambi i genitori non era stato nominato in primo grado alcun curatore speciale, nonostante, si legge nel testo della sentenza della cassazione, il P.M. avesse fatto sollecitazioni in tal senso. Il provvedimento della Corte d'appello viene pertanto di conseguenza cassato per nullità con rinvio al Tribunale per i Minorenni per l'integrazione del contraddittorio nei confronti del minore. Osservazioni
È principio pacificamente riconosciuto dalla giurisprudenza di legittimità, anche se, come visto non da tutta la giurisprudenza di merito, che il minore sia parte in senso processuale del processo de potestate e che dunque vada tutelato il suo diritto di difesa. La prassi in tal senso prevede normalmente la nomina di un curatore speciale, in genere avvocato o comunque di qualcuno che nomini un difensore. Rimane peraltro ancora aperta la questione dell'avvocato del minore, figura che sembrava essere stata introdotta dalla l. n. 149/2001, che ha sancito l'obbligo dell'assistenza legale per il minore nelle procedure di limitazione e decadenza della responsabilità genitoriale, ma che invece ha trovato finora scarsa applicazione nella prassi dei tribunali. |