Non è necessario adempiere integralmente il debito tributario per patteggiare

14 Settembre 2018

L'intervenuto pagamento integrale del debito tributario, delle sanzioni e degli interessi, nonché il ravvedimento operoso, costituiscono condizioni per l'applicazione della pena ex art. 444 c.p.p. per tutti i delitti tributari contemplati nel d.lgs. 74/2000, oppure sussistono delle eccezioni?
Massima

Poiché il pagamento del debito tributario, da effettuarsi entro la dichiarazione di apertura del dibattimento (ovvero entro lo stesso termine ultimo previsto per richiedere il rito speciale), rappresenta, in via radicale e pregiudiziale, causa di non punibilità dei reati ex artt. 10-bis, 10-ter e 10-quater, lo stesso non può logicamente, allo stesso tempo e per queste stesse ipotesi, fungere anche da presupposto di legittimità di applicazione della pena che, fisiologicamente, non potrebbe certo riguardare reati non punibili.

Il caso

Il procuratore generale presso la Corte d'appello di Firenze ricorreva in Cassazione avverso una sentenza di patteggiamento emessa dal Tribunale di Livorno nei confronti dell'imputato del reato di cui all'art. 10-ter d.lgs. 74/2000, al quale veniva contestato di avere omesso di versare l'imposta sul valore aggiunto dovuta in base alla dichiarazione annuale 2012, entro il termine per il versamento dell'acconto relativo al periodo di imposta successivo.

Con un unico motivo di ricorso, veniva denunciata la illegalità della pena inflitta, ai sensi del disposto di cui all'art. 13-bis, del d.lgs. 74/2000, in quanto tale norma subordinava la possibilità di accedere al rito speciale disciplinato dall'art. 444 c.p.p., per i delitti previsti dal citato decreto, al pagamento integrale del debito tributario e all'avvenuto ravvedimento operoso, condizioni che, nel caso di specie, non erano state accertate dal Giudice di prime cure.

La questione

Il tema su cui veniva chiamata a decidere la Corte Suprema di cassazione è se l'intervenuto pagamento integrale del debito tributario, delle sanzioni e degli interessi, nonché il ravvedimento operoso, costituiscano condizioni per l'applicazione della pena ex art. 444 c.p.p. per tutti i delitti tributari contemplati nel d.lgs. 74/2000, oppure se vi siano delle eccezioni.

Le soluzioni giuridiche

La Corte di legittimità dichiarava inammissibile il ricorso proposto dal procuratore generale, affermando la legalità della pena applicata dal tribunale di primo grado, ai sensi dell'art. 444 c.p.p.

Per giungere a tale conclusione, i giudici di legittimità ponevano la loro attenzione sulla disposizione contenuta nell'art. 13-bis, comma 2, del d.lgs. 74/2000, introdotto dall'art. 12 del d.lgs. 158/2015.

Secondo la richiamata norma, il rito speciale dell'applicazione della pena su richiesta delle parti può essere richiesto «solo quando ricorra la circostanza di cui al comma 1, nonché il ravvedimento operoso, fatte salve le ipotesi di cui all'art. 13, commi 1 e 2».

Il comma 1 della richiamata norma, prevede che«fuori dai casi di non punibilità, le pene per i delitti di cui al presente decreto sono diminuite fino alla metà e non si applicano le pene accessorie indicate nell'art. 12 se, prima della dichiarazione di apertura del dibattimento di primo grado, i debiti tributari, comprese sanzioni amministrative e interessi, sono stati estinti mediante integrale pagamento degli importi dovuti, anche a seguito delle speciali procedure conciliative e di adesione all'accertamento previste dalle norme tributarie».

Pertanto, secondo la lettura data alla predetta disposizione dal procuratore generale, nelle ipotesi di cui all'art. 10-terdel d.lgs. 74/2000, condicio sine qua non per accedere al rito premiale del patteggiamento sarebbe quella di aver pagato integralmente gli importi dovuti, a titolo di debiti tributari, sanzioni amministrative ed interessi.

Tale interpretazione, a giudizio del Supremo Consesso collide, tuttavia, con il comma 1 dello stesso art. 13-bisd.lgs. 74/2000, che recita Fuori dai casi di non punibilità…, nonché con quanto previsto dall'art. 13, comma 1, d.lgs. 74/2000 espressamente richiamato dalla norma oggetto di esame: fatte salve le ipotesi di cui all'art. 13, commi 1 e 2.

Quest'ultime prevedono le cause di non punibilità, rispettivamente, (comma 1) dei reati di cui agli artt. 10-bis, 10-ter e 10-quater, comma 1, nonché (comma 2) di quelli di cui agli artt. 4 e 5, del d.lgs. 74/2000, in presenza della condotta risarcitoria, che come detto si verifica, quando vengono corrisposti all'Erario – entro i termini ivi stabiliti – i debiti tributari, comprese le sanzioni e gli interessi.

Ebbene, secondo quanto affermato dalla Corte, proprio la coesistenza di tale causa di non punibilità e della disposizione di cui all'art. 13-bis, comma 2, d.lgs. 74/2000, induce a ritenere che tale previsione non può, allo stesso tempo e per le medesime ipotesi, rappresentare presupposto per l'applicazione della pena, in quanto «fisiologicamente, non potrebbe certo riguardare reati non punibili».

In altre parole, precisa la Corte di legittimità, se l'imputato di uno dei reati di cui agli artt. 10-bis, 10-ter e 10-quater, comma 1, d.lgs. 74/2000 provvede, entro i termini stabiliti, al pagamento integrale del debito tributario, comprensivo di sanzioni ed interessi, otterrà la declaratoria di non punibilità; diversamente, qualora quest'ultimo non provveda ad alcun pagamento, resterà impregiudicata, per il predetto, la possibilità di richiedere il rito del patteggiamento.

Osservazioni

La decisione in commento rappresenta un'innovazione interpretativa dal forte impatto pratico-applicativo.

Il tema afferisce alla normativa del 2011 (d.l. 13 agosto 2011, n. 138, convertito in legge 14 settembre 2011, n. 148), che limita in modo massiccio la discrezionalità del consenso del Pubblico Ministero all'applicazione della pena, in un'ottica di incentivazione dell'imputato a porre in essere, su base volontaria, una condotta riparatoria della pretesa tributaria avanzata dallo Stato.

Il principio che viene affermato dai giudici della Cassazione, in particolare, permette all'imputato accusato di aver commesso uno dei reati previsti dagli artt. 10-bis, 10-ter e 10-quater, del d.lgs. 74/2000, di patteggiare la pena anche in assenza del pagamento del debito tributario. Ad analoga conclusione si ritiene che si potrebbe pervenire anche in relazione ai reati 4 e 5 del medesimo decreto legislativo, entrambi richiamati dall'art. 13, comma 2, d.lgs. 74/2000.

Per comprendere appieno quanto affermato dalla Corte, occorre fare un passo indietro ed esaminare brevemente le ragioni poste a fondamento della scelta che ha portato il legislatore a rivedere il sistema sanzionatorio tributario.

L'art.11 d.lgs. 158/2015, sostituendo l'art. 13 d.lgs. 74/2000, ha introdotto la causa di non punibilità prevista in caso di pagamento del debito tributario.

In particolare, per i reati di omesso versamento di imposte certificate, omesso versamento dell'Iva e indebita compensazione mediante utilizzo di crediti non spettanti, di cui agli artt. 10-bis, 10-ter e 10-quater, comma 1, d.lgs. 74/2000, il pagamento deve avvenire prima dell'apertura del dibattimento di primo grado (o, in caso di concessione del termine da parte del giudice, entro i sei mesi successivi).

Diversamente, per i reati di dichiarazione infedele e omessa dichiarazione, viene stabilito che il reato non è punibile se il debito viene estinto mediante il pagamento degli importi dovuti, a condizione che il ravvedimento operoso o la presentazione della dichiarazione omessa entro il termine di presentazione previsto per il periodo di imposta successivo, intervengano prima che l'autore del reato abbia avuto formale conoscenza di accessi, ispezioni, verifiche o dell'inizio di qualunque attività di accertamento amministrativo o di procedimenti penali.

Per quanto riguarda il reato di cui all'art. 10-ter d.lgs. 74/2000 oggetto della pronuncia in argomento, la scelta di concedere al contribuente la possibilità di eliminare la rilevanza penale della propria condotta, attraverso il pieno soddisfacimento delle pretese erariali, prima del processo penale, ha radici politico – criminali e risiede nella considerazione che la condotta contestata costituisce un mero inadempimento di un debito fiscale che, però, il contribuente ha correttamente indicato.

Per tali ragioni, il suo adempimento in tempo utile in rapporto alle scansioni processuali, come precisato dalla relazione governativa, anche se non spontaneo, giustifica il solo ricorso alle sanzioni amministrative.

Appare allora evidente che il pagamento del debito tributario, già condizione per beneficiare della declaratoria di non punibilità, per estinzione del reato, se avvenuto nei tempi stabiliti dalla legge, non può certamente ritenersi, allo stesso tempo, requisito indispensabile per accedere al rito speciale disciplinato dall'art. 444 c.p.p.

Di conseguenza, si può affermare che la condizione rappresentata dal pagamento integrale del debito, per consentire l'accesso al rito del patteggiamento, deve necessariamente avverarsi per i reati del decreto non contemplati dall'art. 13, commi 1 e 2, d.lgs. 74/2000 (diversi quindi rispetto da quelli previsti dagli artt. 4, 5, 10-bis, 10-ter e 10-quater, comma 1, d.lgs., 74/2000).

Questa appare l'unica interpretazione logicamente compatibile con la clausola di salvezza contenuta nella parte finale dell'art. 13-bis, d.lgs. 74/2000 .

Tale interpretazione appare a chi scrive immune da profili di incostituzionalità, per violazione degli artt. 3 e 24 della Costituzione, poiché la Consulta ha già avuto occasione di pronunciarsi sui possibili profili di illegittimità costituzionale della normativa penal-tributaria, come modificata dai recenti interventi legislativi.

Invero, la Corte costituzionale, con la sentenza n. 95/2015, esaminando l'esclusione oggettiva dal patteggiamento, ha affermato che rientra nella discrezionalità legislativa perseguire una politica criminale per la quale taluni reati siano destinatari di un trattamento più rigoroso espresso, non solo dal livello della pena edittale, ma anche da limiti all'accesso al rito alternativo.

Nello specifico, poi, i giudici hanno osservato che il generale interesse pubblico all'eliminazione delle conseguenze dannose del reato, anche per il suo valore sintomatico del processo di ravvedimento del reo, si coniuga con lo specifico interesse alla integrale riscossione dei tributi evasi, senza dunque ingenerare il preteso pregiudizio per il diritto di difesa.

Guida all'approfondimento

F. Ricca, Riforma del ravvedimento operoso per rafforzare la compliance, in Corr. Trib., 2014, 3320;

AAVV, La nuova giustizia penale tributaria, a cura di A. Giarda, A. Perini e G. Varraso, Milano 2016;

AAVV, La riforma dei reati tributari, a cura di C. Nocerino e S. Putinati, Torino 2015;

G. Amato, Nota della Procura di Trento sulla “revisione del sistema sanzionatorio tributario”, in Dir. Pen. Cont. 8 ottobre 2015;

A. Giarda, M. Alloisio, Le nuove cause di estinzione del reato e di esclusione della punibilità. Le circostanze del reato, in AAVV, La nuova giustizia;

A. Termine, Il nuovo art. 13 d.lgs. 74/2000: una norma di favore “ibrida”?, in Dir. Pen. Cont. 4 luglio 2017;

A. Iorio, La rilevanza dell'accertamento con adesione per la concessione delle attenuanti e del patteggiamento, in Corr. Trib. 2011, 3437;

M. Formica, La non punibilità in materia penal-tributaria: un'ipotesi di riforma, in AAVV, La riforma del sistema sanzionatorio fiscale, a cura di R. Acquaroli, Macerata, 2007.

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