Va mantenuto l'assegno divorzile in presenza di ingenti spese di cura
17 Settembre 2018
Massima
Il criterio dell'autosufficienza economica necessaria per escludere il diritto alla percezione dell'assegno divorzile, introdotto da Cass. n. 11504/2017, è applicabile anche ai procedimenti per la modifica delle condizioni di divorzio sempre che si sia in presenza di “giustificati motivi” che innovino il quadro economico patrimoniale di riferimento, ossia solamente se vi sia “in concreto” una modificazione che giustifichi il ricorso all'autorità giudiziaria. Il caso
Un uomo, divorziato, presentava ricorso al Tribunale di Milano chiedendo la revoca o almeno la riduzione ad una cifra simbolica dell'assegno divorzile, disposto in favore della moglie, affetta da sclerosi multipla. L'ex marito assumeva che dal momento del divorzio, avvenuto nel 2004, le sue condizioni economiche erano peggiorate e la situazione si era modificata in quanto aveva costituito una nuova famiglia ed era divenuto padre di due bambini. Sosteneva inoltre che la ex moglie aveva redditi adeguati a garantirle un'autosufficienza economica. Il Tribunale, con il decreto in esame, rigetta il ricorso. La questione
Il caso verte sulla possibilità di applicare il criterio dell'autosufficienza economica del coniuge richiedente l'assegno, introdotto dalla ben nota sentenza della Cassazione n. 11504/2017, anche nei procedimenti di modifica delle condizioni di divorzio. Il nuovo orientamento giurisprudenziale, pressoché consolidato, al momento del deposito del decreto in esame e in attesa, come specificato dagli stessi giudici, dell'intervento delle Sezioni Unite, ritiene che il parametro di riferimento cui rapportare il giudizio sulla adeguatezza, inadeguatezza dei mezzi del coniuge che richiede l'assegno di divorzio e sulla possibilità o impossibilità di procurarseli per ragioni oggettive va individuato nel raggiungimento della indipendenza economica del richiedente e non nella possibilità di mantenere il tenore di vita goduto in costanza di matrimonio. Sorge pertanto il problema di valutare se tale principio possa essere applicato anche in sede di giudizio di revisione e inoltre se una nuova linea interpretativa possa rientrare tra quei “giustificati motivi” che consentono, ai sensi dell'art. 9 l. n. 898/1970 la modifica dell'assegno.
Le soluzioni giuridiche
Il Tribunale, con il decreto in esame, richiamando i principi sostenuti dalla prima pronuncia di legittimità che ha affrontato la questione, afferma che il criterio secondo cui l'assegno divorzile va parametrato all'autosufficienza economica del coniuge e non al mantenimento del tenore di vita goduto in costanza di matrimonio va applicato anche ai procedimenti ex art 9 l. n. 898/1970 volti alla modifica delle condizioni di divorzio (Cass. n. 15481/2017). Peraltro, si aggiunge, in sede di revisione il giudice può essere chiamato a rivalutare il diritto all'assegno sulla base di una raggiunta autosufficienza del coniuge beneficiario solamente qualora si sia in presenza di quei “giustificati motivi” che legittimano il ricorso al giudizio di revisione. Tale nuovo criterio pertanto, specifica il Tribunale nella specie, potrà essere utilizzato nei giudizi di modifica solamente se vi è una variazione concreta della situazione reale che giustifichi l'istanza all'autorità giudiziaria. La giurisprudenza ha da sempre, in tal senso, identificato tali variazioni, ossia i cd. “giustificati motivi”, in fatti nuovi sopravvenuti modificativi della situazione in relazione alla quale i provvedimenti erano stati adottati quali mutamenti della situazione economico patrimoniale, la perdita del lavoro, promozioni, malattie, eredità, ecc. tutte situazioni che possono alterare l'equilibrio stabilito in sede di giudizio di divorzio. Non si può pertanto adire il tribunale chiedendo la revisione dell'assegno solamente sulla base di un'interpretazione giurisprudenziale differente rispetto a quella applicata nel momento in cui la coppia ha ottenuto il divorzio. La Cassazione, in particolare, ha in più occasioni specificato che sia il giudizio relativo all'accertamento e quantificazione dell'assegno divorzile che il giudizio di revisione dell'assegno stesso hanno una natura bifasica. In tal senso si è precisato che la prima fase riguardante l'an debeatur, è informata al principio dell'autoresponsabilità economica di ciascuno dei coniugi ed è finalizzata ad accertare la sussistenza o meno del diritto all'assegno divorzile; la seconda fase, riguardante il quantum debeatur, è invece improntata al principio della solidarietà economica dell'ex coniuge obbligato alla prestazione dell'assegno nei confronti dell'altro quale persona economicamente più debole e riguarda la determinazione dell'importo dell'assegno stesso (Cass. n. 11504/2017). Alla luce di ciò nel giudizio di revisione, richiesto in ragione della sopravvenienza di giustificati motivi, precisa la giurisprudenza di legittimità, va confermata innanzitutto la sussistenza del diritto all'assegno (an debeatur) e solo in un secondo momento, in caso di accertamento del diritto, va riesaminata la quantificazione. Nella prima fase il diritto all'assegno va valutato, in base ai criteri introdotti da Cass. n. 11504/2017, e dunque non più come mancanza di mezzi adeguati a mantenere un tenore di vita analogo a quello goduto in costanza di matrimonio, bensì alla luce del principio “dell'indipendenza o autosufficienza economica” del coniuge che richieda l'assegno (Cass. n. 15481/2017). In particolare si sostiene che il giudice, investito di un ricorso per modifica, dovrà esaminare gli elementi di fatto innovativi per accertare se i dedotti miglioramenti delle condizioni dell'ex coniuge beneficiario siano tali da garantirgli l'autosufficienza economica; in tal caso, escluderà totalmente l'assegno, altrimenti dovrà procedere ad una nuova valutazione (Cass. n. 2043/2018). In tal senso si precisa che anche nel giudizio di revisione vanno applicati gli indici, elencati da Cass. n. 11504/2017, finalizzati a valutare l'indipendenza economica del coniuge richiedente l'assegno: il possesso di redditi di qualsiasi specie o di cespiti patrimoniali mobiliari e immobiliari, la capacità e possibilità effettive di lavoro personale, anche in relazione alla salute, all'età, al sesso e al mercato del lavoro dipendente o autonomo, nonché la stabile disponibilità di una casa di abitazione. Sulla base di tali considerazioni, nella specie, il ricorso viene respinto in quanto il Tribunale ritiene, alla luce degli elementi disponibili che non vi siano i presupposti per revocare l'assegno divorzile o anche solo per ridurlo. Da una parte non vi è una variazione nella situazione economica dell'obbligato, dall'altra l'ex moglie non può essere considerata autosufficiente. La stessa infatti, pur dotata di redditi e patrimoni, deve sostenere ingenti spese per far fronte alle gravi condizioni di salute, in continuo peggioramento. Sostiene di conseguenza il Collegio, che le sostanze della signora non siano sufficienti a consentirle di condurre in via autonoma un'esistenza libera e dignitosa. Non si tratta, tengono a precisare i giudici milanesi, di mantenimento del tenore di vita precedente ma di “necessarietà” dei costi essenziali e incomprimibili del vivere dai quali non può prescindere il curarsi e il doversi occupare, in autonomia, di sé. Osservazioni
Si sottolinea che tra i motivi che giustificano ex art. 9 l. n. 898/1970 la revisione dell'assegno sono spesso stati fatti rientrare anche gli oneri economici derivanti dal mantenimento di figli nati da una nuova unione del coniuge obbligato. In tal caso, si sostiene, il giudice deve verificare se si determini un effettivo depauperamento per l'obbligato, o se la complessiva situazione patrimoniale dello stesso sia di consistenza tale da rendere irrilevanti i nuovi oneri (Cass. n. 789/2017; Trib. Napoli n. 8452/2017). Nel caso di specie invece il Tribunale non ritiene significativa tale nuova situazione sostenendo che, in sede di giudizio, non sono stati provati maggiori esborsi per i carichi familiari, ciò anche alla luce del fatto che il ricorrente può, in relazione al mantenimento dei figli e alla suddivisione dei relativi oneri, contare sul contributo dell'attuale moglie. Si è in tal senso sostenuto in passato infatti che la costituzione di un nuovo nucleo familiare incide sulla misura dell'assegno divorzile dovuto alla ex moglie, ma nel giudizio che valuta tale incidenza deve anche tenersi conto della situazione economica della nuova compagna dell'onerato e della misura patrimoniale con cui la stessa può contribuire alla compagine familiare (Cass. n. 23090/2013). Si evidenzia che nel frattempo, successivamente all'emanazione del decreto in esame è stata depositata l'attesa sentenza delle Sezioni Unite in materia la quale ha superato il criterio dell'autosufficienza economica sostenendo che per l'assegno di divorzio si deve adottare un criterio composito che tenga conto delle rispettive condizioni economico-patrimoniali e dia particolare rilievo al contributo fornito dall'ex coniuge al «patrimonio comune e personale, in relazione alla durata del matrimonio, alle potenzialità reddituali future ed all'età». Si ribadisce così che l'assegno di divorzio ha una funzione assistenziale, ma si aggiunge che ha anche una funzione compensativa e perequativa. Va pertanto in sede di individuazione del diritto all'assegno divorzile valutato anche il contributo fornito alla conduzione della vita familiare, frutto di decisioni comuni di entrambi i coniugi, libere e responsabili. Si sostiene di conseguenza che «l'adeguatezza dei mezzi deve essere valutata non solo in relazione alla loro mancanza o insufficienza oggettiva ma anche in relazione a quel che si è contribuito a realizzare» (Cass., S.U., n. 18287/2018).
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