Istanza di rinvio dell’udienza a mezzo PEC: sì, ma solo se previsto nel decreto di citazione

17 Settembre 2018

L'istanza di rinvio dell'udienza per legittimo impedimento del difensore può essere trasmessa a mezzo PEC nel caso in cui il decreto di citazione indichi espressamente questa modalità di comunicazione come quella esclusiva, precisando anche l'indirizzo mail dell'ufficio giudiziario a cui deve essere inoltrato il documento.
Massima

L'istanza di rinvio dell'udienza per legittimo impedimento del difensore può essere trasmessa a mezzo PEC nel caso in cui il decreto di citazione indichi espressamente questa modalità di comunicazione come quella esclusiva, precisando anche l'indirizzo mail dell'ufficio giudiziario a cui deve essere inoltrato il documento.

Il caso

La Corte di appello confermava la sentenza di condanna dell'imputato per il reato di violenza sessuale. Avverso questa decisione il difensore proponeva ricorso per cassazione, deducendo, tra l'altro, il mancato accoglimento da parte del collegio di appello dell'istanza di rinvio dell'udienza del 13 aprile 2017, con la quale aveva comunicato la sua adesione all'astensione dalle udienze proclamata a livello nazionale dall'Unione delle Camere penali dal 10 al 14 aprile 2017.

Detta richiesta era stata inviata alla Corte di appello il 4 aprile 2017 a mezzo PEC, all'indirizzo di posta elettronica certificata della Corte, ma della stessa il collegio non aveva tenuto conto, nonostante la regolarità dell'invio, comprovata dalla documentazione allegata al ricorso.

La questione

La sentenza affronta nuovamente la questione della comunicazione a mezzo PEC da parte del difensore dell'impedimento a comparire.
L'impiego di una modalità di trasmissione che esula da quelle contemplate dall'art. 121 c.p.p., determina l'irricevibilità dell'istanza di rinvio? Può essere prevista nel decreto di citazione una simile forma di trasmissione?

Le soluzioni giuridiche

La Corte ha rilevato che il difensore dell'imputato, il 4 aprile 2017, e dunque tempestivamente rispetto all'udienza di trattazione dell'appello fissata il 13 aprile 2017, aveva inviato all'indirizzo di posta elettronica certificata della Corte di appello una dichiarazione di adesione all'astensione dalle udienze proclamata fin dal 17 marzo 2017 dalla Giunta dell'Unione delle Camere penali italiane.


A questa astensione aveva aderito, con delibera resa in data 22 marzo 2017, anche la Camera Penale di Verbania di cui faceva parte l'avvocato. Il messaggio trasmesso dal difensore, come dimostrato da una certificazione prodotta dalla difesa, era stato accettato dal sistema alle 13.02 dello stesso 4 aprile 2017.

Ciononostante, all'udienza del 13 aprile 2017, il processo di appello era stato celebrato senza dare atto dell'istanza difensiva di adesione all'astensione e senza valutarne la legittimità. La Corte territoriale, costatando l'assenza del difensore dell'imputato, aveva nominato all'appellante un avvocato d'ufficio ai sensi dell'art. 97, comma 4, c.p.p., definendo il giudizio di secondo grado.

Secondo la Corte, l'adesione del difensore all'astensione dall'udienza avrebbe imposto il rinvio del processo, perché l'imputato era assistito da un unico avvocato e non vi erano altre parti.
L'omessa considerazione dell'istanza difensiva, di conseguenza, ha determinato il difetto di assistenza dell'imputato, con la conseguente nullità assoluta della successiva decisione ai sensi degli artt. 178, comma 1, lett. c), e art. 179, comma 1, c.p.p. (cfr. Cass. pen., 18 novembre 2015, n. 47213).

In particolare, ad avviso del collegio di legittimità, la modalità di inoltro della richiesta in esame non potevano essere ritenute irrituali.

Il decreto di citazione per il giudizio di appello, infatti, recava espressamente una dicitura secondo la quale eventuali impedimenti o istanze dovevano essere comunicati “esclusivamente” per mezzo dell'invio delle relative istanze all'indirizzo di posta elettronica certificata dell'ufficio giudiziario. L'indirizzo indicato, corrispondente alla specifica sezione della Corte di appello, era proprio quello che era stato utilizzato dal difensore per l'invio dell'istanza (ovvero sez2.penale.ca.torino(at)giustiziacert.it).

Nessun dubbio, del resto, sussisteva sul fatto che l'istanza fosse pervenuta correttamente all'ufficio, perché era stata inserita nel fascicolo processuale, ancorché, evidentemente per un disguido di cancelleria, solo in data 4 maggio 2017, cioè dopo l'udienza di trattazione del gravame.

Per tale ragione la sentenza impugnata è stata annullata, con rinvio del procedimento ad altra sezione della Corte di appello.

Osservazioni

Secondo l'indirizzo giurisprudenziale prevalente, nel processo penale, l'invio di istanze a mezzo posta elettronica certificata (c.d. PEC) non è consentito alle parti private. L'istanza di rinvio per legittimo impedimento trasmessa dal difensore per mezzo dello strumento elettronico è irricevibile (cfr., con specifico riferimento ad un'istanza di rinvio per legittimo impedimento, Cass. n. 7058/2014; si veda anche Cass. n. 51665/2017; Cass. n. 18235/2015, relativa ad una domanda di rimessione in termini).

Questo orientamento si fonda sull'art. 16, comma 4, del decreto legge 18 ottobre 2012, n. 179, convertito con modificazioni dalla legge 17 dicembre 2012, n. 221, norma che, disciplinando le notificazioni, circoscrive l'uso della PEC alla sola cancelleria, limitandone l'impiego ai soli adempimenti rivolti a persone diverse dall'imputato. Questa disposizione, infatti, stabilisce che « Nei procedimenti civili le comunicazioni e le notificazioni a cura della cancelleria sono effettuate esclusivamente per via telematica all'indirizzo di posta elettronica certificata risultante da pubblici elenchi o comunque accessibili alle pubbliche amministrazioni, secondo la normativa, anche regolamentare, concernente la sottoscrizione, la trasmissione e la ricezione dei documenti informatici.

Allo stesso modo si procede per le notificazioni a persona diversa dall'imputato a norma dell'art. 148, comma 2-bis, artt. 149 e 150 c.p.p. e art. 151, comma 2».

La medesima norma, inoltre, nella sua parte finale, statuendo che «La relazione di notificazione è redatta in forma automatica dai sistemi informatici in dotazione alla cancelleria», sembra ribadire che l'utilizzo del mezzo elettronico è riservato al solo ufficio di cancelleria e non anche alle parti private.
Non sono indicate, infatti, le forme nelle quali dovrebbero essere redatte le relazioni delle notificazioni eseguite dalle parti private. Anche se la PEC fosse adoperata non per effettuare una notificazione, ma solo per trasmettere un'istanza, infatti, sarebbe determinante la necessità di documentare l'attività compiuta e dovrebbe prendersi atto della sua mancata regolamentazione.

A fronte di questo indirizzo, un diverso orientamento si mostra più aperto all'uso del mezzo elettronico in esame: la trasmissione dell'istanza in modo elettronico è da reputarsi solo irregolare e non irricevibile o inammissibile, con la conseguenza che, qualora il giudice ne abbia preso tempestiva conoscenza, il giudice è tenuto a valutarla (Cass. n. 56392/2017; Cass. n. 47427/2014).

Questa impostazione estende all'uso della posta elettronica certificata nel processo penale l'elaborazione giurisprudenziale formatosi in tema di richiesta inviata a mezzo telefax. Quest'ultimo è uno strumento largamente usato negli uffici giudiziari perché ritenuto idoneo a dare certezza della trasmissione di un atto. Il suo utilizzo, tuttavia, deve ritenersi irregolare, perché l'art. 121 c.p.p. prevede per le parti l'obbligo di presentare le memorie e le richieste indirizzate al giudice mediante deposito in cancelleria. L'irregolarità della trasmissione, peraltro, non esime il giudice, che abbia ricevuto l'istanza tempestivamente, dal vagliarla, non essendo essa affetta da vizi che ne hanno determinato l'inammissibilità o l'irricevibilità.

Questo principio, affermato per la comunicazione a mezzo telefax, è applicato anche alla comunicazione per posta elettronica, sul presupposto che l'efficacia dello strumento di trasmissione sia analogo. Il fax restituisce all'utilizzatore un rapporto di consegna da cui si può desumere l'arrivo al dispositivo ricevente (“OK”), che può essere stampato anche sul foglio inoltrato al fine di precostituire la prova che sia stato mandato proprio quel determinato documento; il sistema della PEC genera una certificazione dell'avvenuto inoltro della comunicazione al computer ricevente che prova la correttezza dell'invio. In entrambi i casi, residua il profilo della tempestiva lettura del documento trasmesso da parte del destinatario: la cancelleria potrebbe non controllare la casella di posta elettronica in tempo utile per portare a conoscenza del giudice l'istanza così come potrebbe non leggere il fax ricevuto, magari per un mero disguido (come, banalmente, potrebbe capitare nel caso in cui fosse semplicemente finita la carta nell'apparecchio o il toner per la sua stampa e il documento rimanesse nella memoria del dispositivo per qualche tempo).

Per tali ragioni, l'indirizzo più incline a permettere l'impiego di forma di trasmissione di istanza alla cancelleria diverse dal deposito previsto dall'art. 121 c.p.p. precisa comunque che, in ragione dell'irregolarità di detta trasmissione, incombe sulla parte il rischio della mancata tempestiva consegna dell'atto al giudice. Avendo scelto volontariamente un mezzo irregolare di trasmissione dell'istanza, si è assunta il rischio che il giudicante non ne abbia cognizione. Per essere legittimata a proporre doglianze inerenti all'omessa valutazione dell'istanza, pertanto, la parte interessata ha l'onere di verificare che sia effettivamente pervenuta nella cancelleria del giudice competente a valutarla e sia stata portata all'attenzione di quest'ultimo per tempo (cfr. Cass. n. 9030/2013; Cass. n. 28244/2013; Cass. n. 7706/2014, dep. 2015; Cass. n. 24515/2015; Cass. n. 1904/2017; in senso contrario, si veda, Cass. n. 535/2016).

L'utilizzo di una modalità di trasmissione irregolare, in conclusione, comporta l'onere, per la parte che intenda dolersi in sede di impugnazione dell'omesso esame della sua istanza, di accertarsi del regolare arrivo della e-mail in cancelleria e della sua tempestiva sottoposizione all'attenzione del giudice procedente (Cass. n. 47427/2014; per l'applicazione del medesimo principio nel caso di trasmissione a mezzo PEC dell'istanza di impedimento dell'imputato, si veda Cass. n. 923/2018).

Nell'ambito dell'elaborazione giurisprudenziale illustrata, la sentenza in esame si segnala perché non prende posizione sull'irregolarità della trasmissione dell'istanza di impedimento adoperata dal difensore, dando, anzi, per scontato che questi potesse adoperala in quanto nel decreto di citazione per l'appello era stato proprio specificato che eventuali istanze di rinvio dovevano essere inoltrate a mezzo PEC, con l'indicazione dell'indirizzo mail dell'ufficio. Nel caso di specie, dunque, il decreto di citazione prevedeva una modalità di trasmissione dell'istanza diversa dal deposito in cancelleria disciplinato dall'art. 121 c.p.p..
Tale modalità, invero, per le ragioni dapprima illustrate, non sembra essere prevista dalla disciplina normativa in materia. Quest'ultima, infatti, come già precisato, non regola le forme nelle quali devono essere redatte le relazioni delle notificazioni eseguite dalle parti private a mezzo PEC, limitandosi a specificare quelle per la cancelleria.

Nel caso in esame, d'altra parte, l'indirizzo mail corrispondeva a quello della specifica sezione dell'ufficio giudicante. Questo profilo risulta molto rilevante, perché circoscrive notevolmente il rischio di disguidi e di mancata sottoposizione dell'istanza al giudicante, incidendo sull'efficacia del mezzo.

Diversamente, una recente pronuncia della Suprema Corte, emessa in tema di impedimento dell'imputato (Cass. pen., n. 13758/2018), ha ritenuto legittima la trasmissione dell'istanza di impedimento dell'imputato a mezzo PEC all'indirizzo del ruolo generale della Corte di appello, « conformemente all'art. 4 del Protocollo di nuova organizzazione delle udienze penali, stipulato dalla Corte di appello di Firenze con la rappresentanza dell'Avvocatura, applicabile dal 1 settembre 2017».

In questo caso - verosimilmente, tenuto conto della laconicità della pronuncia - si è ritenuto che l'utilizzo di una modalità concordata tra l'ufficio giudiziario e la rappresentanza dell'avvocatura valesse a reputare adempiuto l'onere gravante sulla parte, che volontariamente ha impiegato un mezzo di comunicazione non conforme a quanto previsto dall'art. 121 c.p.p., di dimostrare l'effettiva possibilità che l'istanza fosse stata tempestivamente letta dal destinatario. In verità, proprio la forma di inoltro che sarebbe stata concordata ingenera notevoli perplessità sull'efficacia della comunicazione perché la PEC ricevente era quella del Ruolo generale della Corte di appello e non quella della cancelleria del collegio giudicante.

Vuoi leggere tutti i contenuti?

Attiva la prova gratuita per 15 giorni, oppure abbonati subito per poter
continuare a leggere questo e tanti altri articoli.