Bancarotta fraudolenta. Il reato è configurabile anche in sede di concordato preventivo con continuità aziendale
20 Settembre 2018
«Le innovazioni normative degli aspetti civilistici dell'istituto del concordato preventivo con continuità aziendale di cui all'art. 186-bis l. fall., introdotto dal d.l. 22 giugno 2012, n. 83 come modificato dalla legge di conversione 7 agosto 2012, n. 134, non costituiscono modificazioni della norma extrapenale integratrice del precetto di cui all'art. 236 l. fall., che trova applicazione anche in riferimento al concordato preventivo con continuità dell'attività d'impresa» Il principio è stato affermato da Cass. pen., Sez. V, con sentenza n. 39517/2018.
La fattispecie portata all'esame dei giudici di legittimità riguardava il commissario governativo, nonché legale rappresentante e amministratore unico di Ferrovie dello Stato e Servizi Automobilistici S.R.L., società ammessa a concordato con continuità aziendale, indagato per plurimi fatti di bancarotta. L'indagato ricorreva in Cassazione lamentando, tra l'altro, l'errata applicazione – in relazione all'art. 223 l. fall. e alla l. 134/2012 – dell'art. 186-bis l. fall. per aver il tribunale applicato in via analogica la norma penale incriminatrice a fattispecie non prevista affermando che il concordato in continuità non costituisca una mera modalità del concordato preventivo, in quanto «le disposizioni penali contenute nella legge fallimentare in riferimento alla procedura concordataria sono formulate in modo tassativo che, rimasta immutata la formulazione dell'art. 236 l. fall., non ne consente l'estensione in malam partem. Soluzione obbligata anche laddove si valorizzi la ratio e la disciplina del concordato in continuità, finalizzato alla prosecuzione dell'attività aziendale ed al quale è estraneo l'elemento dello stato di decozione, e che pertanto introduce un istituto del tutto diverso, sotto il profilo strutturale e funzionale, dalla procedura concordataria liquidativa». Di contrario avviso la Sez. V della Cassazione penale secondo la quale, pur in assenza di un esplicito richiamo normativo nella norma incriminatrice, l'art. 236 l. fall. deve ritenersi applicabile anche al concordato preventivo con continuità aziendale. L'introduzione dell'art. 186-bis l. fall., infatti, ha completato presupposti ed effetti di una procedura già ricompresa nella pluralità di forme cui il concordato preventivo poteva già essere declinato e non ha introdotto un nuovo istituto concordatario, come ritenuto dal ricorrente. Quindi, conclude la S.C.: «il mancato richiamo all'art. 186-bis nella norma incriminatrice appare del tutto in linea con la funzione e la struttura della predetta norma extrapenale, e non esprime, invece - come prospettato dal ricorrente - alcuna volontà del legislatore di escludere rilievo penale a gravi condotte consumate prima o mediante la procedura di concordato con continuità aziendale, apparendo del tutto irragionevole ritagliare una pretesa area di impunità in riferimento a condotte distrattive poste in essere prima dell'ammissione o nel corso del concordato preventivo, in qualunque declinazione l'istituto operi, rientrando le stesse nell'ambito previsionale dell'art. 236, comma 2, n. 1) l. fall. che, in virtù dell'espresso richiamo del precedente art. 223 stessa legge, punisce i fatti di bancarotta previsti dall'art. 216, commessi da amministratori, direttori generali, sindaci e liquidatori di società fallite. Non vi è, pertanto, alcuna giustificazione razionale nel pretendere un diverso regime penale rispetto ad una ipotesi di concordato che riposa sulle medesime condizioni delle ulteriori forme della stessa procedura, e che se ne distingue solo in ordine alla disciplina civilistica di dettaglio, funzionale alla continuità dell'attività di impresa». |