Chiostrine e cavedi

Gian Andrea Chiesi
25 Settembre 2018

Il cavedio rientra tra le parti comuni c.d. innominate, ossia non espressamente ricomprese nell'elencazione contenuta all'art. 1117 c.c., ma comunque riconducibili al regime di comproprietà, per struttura e funzione svolta; lo stesso - sovente anche identificato, con terminologia varia, in termini di chiostrina, vanella - soggiace sostanzialmente al medesimo regime giuridico del cortile, giacché non rappresenta altro che...
Inquadramento

Il cortile è lo spazio scoperto esistente all'interno di un condominio - e quindi la superficie calpestabile, con la sovrastante colonna d'aria - la cui funzione primaria è quella di assicurare aria e luce alle unità immobiliari che su di essa si affacciano (Cass. civ., sez. II, 21 marzo 2016, n. 5551; Cass. civ., sez. II, 15 giugno 2012, n. 9875) e che, sotto altro profilo, consente l'accesso al fabbricato (Cass. civ., sez. II, 29 ottobre 2003, n. 16241), il deposito temporaneo di materiali o il parcheggio delle autovetture (Cass. civ., sez. II, 9 giugno 2010, n. 13879; Cass. civ., sez. II, 26 ottobre 2000, n. 14128).

Vengono inoltre ricondotti alla nozione di “cortile” - sia pur dovendosi registrare alcune posizioni di contrasto al riguardo - anche gli spazi liberi disposti esternamente alle facciate dell'edificio, quali aree verdi, le zone di rispetto, le intercapedini, i parcheggi, sebbene non menzionati espressamente nell'art. 1117 c.c. (Cass. civ., sez. II, 9 giugno 2000, n. 7889; Cass. civ., sez. II, 29 ottobre 2003, n. 16241; Cass. civ., sez. II, 16 gennaio 2008, n. 730; Cass. civ., sez. II, 31 gennaio 2017, n. 2532).

Soggiace, infine, al medesimo regime giuridico del cortile (Cass. civ., sez. II, 1 agosto 2014, n. 17556; Cass. civ., sez. II, 7 aprile 2000, n. 4350; Trib. Genova 3 marzo 2013; App. Palermo 9 febbraio 2012) il c.d. cavedio - sovente anche identificato, con terminologia varia, in termini di chiostrina, vanella (così Trib. Napoli 17 settembre 1962) o pozzo luce - giacché esso non rappresenta altro che un cortile di piccole dimensioni, circoscritto dai muri perimetrali e dalle fondamenta dell'edificio comune, destinato prevalentemente a dare aria e luce a locali secondari (ad esempio bagni, disimpegni e servizi).

La natura “fisicamente” comune del cavedio

Come noto, il diritto di condominio si fonda sull'obbiettiva situazione - fattuale - per cui alcune parti dell'edificio sono necessarie per l'esistenza o per l'uso di esso, o sono destinate all'uso o al godimento comune da parte dei proprietari delle unità immobiliari: in particolare, il novellato art. 1117 c.c. contiene una elencazione non tassativa, ma meramente esemplificativa, delle cose, degli impianti e dei servizi comuni, giacché sussiste titolarità comune ogni qual volta tra le cose, gli impianti e i servizi comuni, da un lato, e le unità immobiliari in proprietà solitaria, dall'altro, è possibile rinvenire un collegamento, materiale o funzionale, contrassegnato dalla relazione di accessorietà dei primi ai secondi.

In particolare, si è osservato in dottrina (Mazzon) che le tipologie relazionali possono essere varie, nel senso che (a) può sussistere un legame materiale di incorporazione, che rende le prime indissolubilmente legate alle seconde ed essenziali per la stessa esistenza o per l'uso di queste, dalle quali i beni comuni (muri, pilastri, travi portanti, tetti, fondazioni, ecc.) non possono essere separati; ovvero (b) può ravvisarsi una congiunzione tra cose che possono essere fisicamente separate senza pregiudizio reciproco, fondata sulla destinazione che, a propria volta, importa un legame di diversa resistenza: b.1) le parti comuni possono, infatti, essere essenziali per l'esistenza ed il godimento delle unità singole, nel qual caso il vincolo di destinazione è caratterizzato dalla indivisibilità; b.2) le parti comuni sono semplicemente funzionali all'uso e al godimento delle unità singole, nel qual caso la cessione in proprietà esclusiva può essere separata dal diritto di condominio sui beni comuni, con conseguente superamento della presunzione ex art. 1117 c.c. in base al titolo. In altri termini, a fondamento del diritto di condominio la richiamata disposizione contempla due differenti forme di collegamento tra le cose, gli impianti e i servizi di uso comune, da un lato, e le unità immobiliari in proprietà esclusiva, dall'altro: l'incorporazione (fisica) tra beni inscindibili (superabile solo in base al titolo contrario) e la congiunzione stabile tra beni separabili, determinata dalla destinazione all'uso o al servizio. Dall'incorporazione, che rende le cose proprie e comuni inseparabili le une dalle altre, ha origine la relazione fisica indissolubile; dal collegamento funzionale, in che la destinazione consiste, scaturisce la congiunzione tra cose che possono separarsi.

La premessa che precede appare necessaria per meglio comprendere la natura del cavedio: nell'architettura moderna esso infatti indica - come anticipato - il cortile di piccole o di piccolissime dimensioni, che serve prevalentemente a dare aria e luce a locali secondari (bagni, gabinetti, disimpegni, servizi etc.): il termine deriva dal latino cavaedium che, nella casa romana, rappresentava lo spazio scoperto al centro della domus, contornato al perimetro da un muro, sul quale si aprivano le porte di accesso alle varie stanze.

Avuto pertanto riguardo alla sua configurazione fisica, essendo circoscritto dalle fondamenta e dai muri perimetrali dell'edificio, ed alla specifica funzione, che è quella di dare aria e luce agli ambienti che in esso prospettano, al cavedio si applica il regime del cortile: pertanto, come avviene per il cortile, il cavedio, in difetto di specifico titolo contrario, deve considerarsi parte comune.Ne consegue che, la presunzione di proprietà comune non può essere vinta sulla base della (semplice) mera possibilità di accesso al bene soltanto dall'appartamento di uno dei condomini o dal fatto che costui abbia provveduto anche a collocarvi una pilozza, lo scaldabagno o l'impianto di illuminazione (Cass. II, n. 17556/2014, cit.), in quanto l'utilità particolare che deriva da tali circostanze non è suscettibile di incidere sulla destinazione tipica e normale del bene che è - come detto - quella di dare aria e luce alle unità immobiliari di cui si compone l'edificio condominiale (Cass. civ., sez. II, 3 agosto 1984, n. 4625).

In evidenza

Trib. Milano 4 giugno 2015, rileva che il regime di comproprietà non viene meno per il sol fatto che al cavedio si acceda esclusivamente dall'appartamento di un condomino o dal fatto che costui vi abbia posto manufatti collegati alla sua unità (nella specie, corridoio in pietra, griglie metalliche, scale, loggiato).

Cavedio e usi consentiti: la tutela del decoro architettonico

Trattandosi di un bene comune, trova applicazione, rispetto al cavedio, la disciplina di cui all'art. 1102 c.c., con i conseguenti limiti cui l'uso della cosa comune è soggetto.

In particolare, giacché l'art. 1102 c.c., nel vietare le modifiche pregiudizievoli alle parti comuni dell'edificio, fa riferimento non soltanto al danno materiale, quale modificazione esterna o della intrinseca natura della cosa comune, ma a tutte le opere che elidono o riducono in modo apprezzabile le utilità da essa detraibili, anche se di ordine edonistico, ne discende quale inevitabile conseguenza che devono ritenersi altresì vietate), con applicazione analogica alle modifiche consentite ex art. 1102, comma 1, c.c. - per evidente identità di ratio - del divieto di alterazione del decoro architettonico normativamente previsto per le innovazioni (Cass. civ., sez. II, 22 agosto 2012, n. 14607; Cass. civ., sez. II, 16 luglio 2004, n. 13261; Cass. civ., sez. II, 22 agosto 2003, n. 12343), tutte quelle modifiche che comportino un peggioramento del decoro architettonico del fabbricato (Cass. civ., sez. II, 19 gennaio 2005, n. 1076; Trib. Trieste 17 novembre 2017).

Concorrendo esso, quindi, a delineare il decoro architettonico dell'edificio, ben si comprende la conclusione cui è pervenuta Cass. civ., sez. II, 21 luglio 2015, n. 15327, la quale, in ipotesi di cavedio posto in corrispondenza del primo piano del condominio, coperto con apposita soletta da uno dei condomini, ha ritenuto sussistente l'interesse di tutti i condomini dello stabile, anche quelli proprietari di unità immobiliari non aventi affaccio sul cavedio medesimo, ad agire per la rimozione di tale soletta, proprio perché azione a tutela del decoro architettonico dello stabile.

Il riparto delle spese

Da quanto esposto in precedenza emerge che le spese di manutenzione del cavedio vanno ascritte, di regola, a tutti i condomini in qualità di comproprietari del bene, ai sensi dell'art. 1123, comma 1, c.c., a meno che, in base ad un apposito titolo contrattuale (quale, ad esempio, un regolamento di origine esterna), la proprietà del suddetto bene sia attribuita ad un soggetto determinato il quale, pertanto, sarà tenuto in via esclusiva a sopportarne i relativi costi.

In senso contrario a tale conclusione si era invece pronunziato Trib. Genova 20 gennaio 2011, il quale, valorizzando la funzionalizzazione del cavedio solamente rispetto a talune unità immobiliari di proprietà esclusiva, ha ritenuto configurabile, esclusivamente rispetto ad esso, un'ipotesi di condominio parziale, con conseguente esclusione, dalla partecipazione alle relative spese di manutenzione o ricostruzione, di quelle proprietà esclusive che da esso non traggono utilità alcuna.

In evidenza

Ad avviso di Trib. Genova 20 gennaio 2011, se è vero che il cavedio…è un cortile di piccole dimensioni, circoscritto dai muri perimetrali e dalle fondamenta dell'edificio comune, destinato prevalentemente a dare aria e luce a locali secondari (quali ad esempio bagni, disimpegni, servizi), e perciò sottoposto al medesimo regime giuridico del cortile, espressamente contemplato dall'art. 1117, n. 1),c.c. tra i beni comuni, salvo specifico titolo contrario, è altrettanto vero che, nel caso di specie, alla luce di quanto emerso nel corso dell'istruttoria orale, è emerso che il negozio di proprietà attorea non è in alcun modo collegato né collegabile con il cavedio, con la conseguenza che le spese di manutenzione della pavimentazione dello stesso non possono essere legittimamente poste a carico di parte attrice che non trae utilità da tale bene, ex art. 1123, ultimo comma, c.c.

Non dissimile è il criterio di riparto da seguire in caso di danni (ai condomini o a terzi) riconducibili alla (omessa) manutenzione dell'area comune in questione (ovvero di beni strumentali al suo uso).

Del caso si è recentemente occupata Cass. civ., sez. III, 31 gennaio 2018, n. 2328, in relazione ai danni conseguiti alla caduta su di un marciapiedi, costituito quasi interamente da una grata metallica posta a copertura di un cavedio di proprietà condominiale: in tale circostanza è stato osservato che, se il Comune conserva la proprietà della grata, in quanto parte integrante del marciapiede, cionondimeno la destinazione della stessa ad assicurare aria e luce al cavedio condominiale - e dunque un'utilitas ad un bene di proprietà comune - implica per il condominio (o meglio, per i singoli condomini) l'effettiva utilizzazione di tale res ed il conseguente concorso nel sopportare i danni esitati alla caduta su di essa.

In evidenza

Nell'ipotesi di sinistro occorso su una grata metallica costituente parte calpestabile di un marciapiede di proprietà comunale che, al tempo stesso, sia destinata ad assicurare aria e luce a un cavedio condominiale sottostante, può sussistere un concorso di responsabilità tra l'ente comunale e il condominio posto che la custodia della cosa fonte di pregiudizio può fare capo a più soggetti a pari titolo, o a titoli diversi, a condizione che importino tutti l'attuale (co)esistenza di poteri di gestione e di ingerenza, visto che il criterio di imputazione della responsabilità per i danni cagionati a terzi da cosa in custodia è la disponibilità di fatto e giuridica sulla cosa, che comporti il potere-dovere di intervenire.

Guida all'approfondimento

Celeste, Destinazione comune del cavedio e utilizzo del singolo partecipante, in Immob. & proprietà, 2015, 87;

Palombella, Manutenzione del cortile: il criterio di ripartizione si decide in funzione delle opere da eseguire, in www.dirittoegiustizia.it, 2012;

De Tilla, Apertura di finestre sul cortile comune, in Riv. giur. edil., 2010, I, 1498;

Di Rago, L'utilizzo del cortile condominiale, in Il Civilista, 2011, fasc. 3, 32;

Bordolli, La ripartizione delle spese per la manutenzione del cortile, in Immob. & diritto, 2011, fasc. 9, 22.

Sommario