Provvisoria esecuzione ed inibitoria in grado di appello delle sentenze pronunciate con il rito del lavoro

Antonio Lombardi
25 Settembre 2018

La norma di cui all'art. 282 c.p.c. costituisce la disciplina di riferimento per l'efficacia provvisoriamente esecutiva di tutte le pronunce di condanna rese in ambito laburistico, sia in favore del lavoratore che in favore del datore di lavoro. Anche le sentenze di primo grado pronunciate nei giudizi relativi alle controversie previdenziali, di cui all'art. 442, sono provvisoriamente esecutive per effetto del disposto di cui all'art. 447 c.p.c.. Differenziato appare il regime di eseguibilità delle sentenze, potendo il lavoratore procedere alla esecuzione sulla base del solo dispositivo, ai sensi dell'art. 431, comma 2, c.p.c., così come risulta diverso il regime dell'inibitoria della provvisoria esecuzione in grado di appello.
Brevi cenni sull'inibitoria in grado di appello nel processo ordinario di cognizione

A seguito della riforma ex lege n. 353/1990, che ha attribuito efficacia provvisoriamente esecutiva a tutte le decisioni di primo grado, lo strumento per contrastare l'immediata esecutività è rappresentato dall'inibitoria processuale, disciplinata dal combinato disposto degli artt. 283-351 c.p.c..

L'art. 282 c.p.c., introdotto dalla novella legislativa, contempla la provvisoria esecutività tra le parti della sentenza di primo grado senza procedere ad alcuna distinzione tipologica delle pronunce. Ferma restando la pacifica ricorrenza della provvisoria esecutività in capo alle sentenze di condanna, è stata oggetto di divergente ricostruzione dottrinale e di evoluzione giurisprudenziale, in senso progressivamente estensivo, l'attitudine alla provvisoria esecutività delle sentenze di natura dichiarativa e costitutiva, così come dei capi di pronuncia accessori, quale la condanna alle spese di lite. Le recenti e maggiormente condivise acquisizioni ascrivono la provvisoria esecutività alle cd. condannatorie della sentenza, che abbiano a presupposto un'azione di condanna o costitutiva, escludendo pari idoneità alle sentenze di mero accertamento o dichiarative. Pari efficacia hanno le statuizioni di condanna accessorie ai provvedimenti di accoglimento o rigetto di qualunque natura essi siano, come la condanna alle spese di lite.

L'attivazione del meccanismo di sospensione in grado di appello della provvisoria esecutività della sentenza resa in primo grado è condizionata alla proposizione di un'istanza di parte, contenuta nell'atto di appello o in atto separato, ai sensi del secondo comma dell'art. 351 c.p.c., non essendo pronunciabile ex officio. La stessa non è preclusa dalla circostanza che sia stata già intrapresa una procedura esecutiva sulla base del provvedimento oggetto di gravame, potendosi lo strumento dell'inibitoria in grado di appello accompagnarsi e sovrapporsi alla contestazione degli atti prodromici all'esecuzione e degli atti esecutivi.

I presupposti per la concessione della sospensione, totale o parziale, della provvisoria esecuzione della sentenza, sono i «gravi e fondati motivi, anche in relazione alla possibilità di insolvenza di una delle parti», codificati in senso all'art. 283 c.p.c..

L'endiadi è comunemente interpretata alla stregua di necessaria ricorrenza dei presupposti del fumus boni iuris e del periculum in mora, ovvero della sommaria delibazione, allo stato degli atti, della probabile fondatezza dell'appello, e del pericolo che, nelle more della decisione sul merito dell'impugnazione, l'appellante abbia a subire un danno non riparabile.

In particolare, quanto al primo presupposto, i commentatori oscillano tra la valutazione della probabile fondatezza e quella della non manifesta infondatezza dei motivi di appello, sulla base di una valutazione allo stato degli atti da parte del giudice di appello, con determinazione non vincolante rispetto alla decisione finale.

Quanto al secondo e concorrente estremo, si ritiene che l'appellante debba allegare un pregiudizio ulteriore rispetto a quello scaturente dalla mera esecuzione della sentenza di appello, alla stregua di irrecuperabilità di quanto pagato, pericolo di infruttuosità o semplice difficoltà di ottenerne la restituzione in caso di accoglimento del gravame.

La norma di cui all'art. 351 c.p.c. disciplina, invece, gli aspetti processuali, stabilendo che la pronuncia debba intervenire non oltre la prima udienza di comparizione, con ordinanza non impugnabile, eventualmente pronunciata con decreto inaudita altera parte, ricorrendo “giusti motivi di urgenza”, salva conferma, modifica e revoca, nel successivo contraddittorio delle parti, con ordinanza non impugnabile.

La provvisoria esecutività delle sentenze di lavoro

Lo schema codicistico della provvisoria esecuzione delle sentenze rese con rito del lavoro e della inibitoria in grado di appello del lavoro è contenuto nell'art. 431 c.p.c..

La norma differenzia il regime della provvisoria esecuzione delle sentenze rese in primo grado a seconda che beneficiario della condanna sia il prestatore di lavoro o il datore.

Ai sensi del primo comma, le sentenze che pronunciano sentenza di condanna a favore del lavoratore per crediti derivanti dal rapporto di cui all'art. 409 c.p.c. sono provvisoriamente esecutive. Le sentenze che pronunciano condanna a favore del datore di lavoro, secondo quanto disposto dal quinto comma della norma, sono provvisoriamente esecutive e sono soggette alla disciplina degli artt. 282 e 283 c.p.c..

Sprovvista di attitudine all'immediata esecuzione appare, dunque, la pronuncia di condanna generica, con prosecuzione del giudizio per la quantificazione dei crediti del lavoratore. Diversa è la fattispecie di sentenza con quantificazione del credito per relationem, ad esempio mediante rinvio alle buste paga o ai conteggi prodotti da una parte. La giurisprudenza di legittimità ha, sul punto, precisato che un titolo di formazione giudiziale può considerarsi esecutivo a condizione che consenta la determinazione degli importi dovuti, o perché già indicati nel testo del provvedimento giurisdizionale, o perché determinabili agevolmente in base agli elementi numerici contenuti in quel testo attraverso operazioni aritmetiche elementari, oppure predeterminati per legge, senza fare ricorso ad elementi numerici ulteriori che non risultino dal testo della pronunzia.

L'espressa limitazione della provvisoria esecutività alle cd. condannatorie per crediti derivanti dai rapporti rientranti nel novero delle controversie devolute al giudice del lavoro, oggetto di elencazione ai sensi dell'art. 409 c.p.c. pone, da un lato, una questione di compatibilità con la disciplina dell'art. 282 c.p.c., oggetto di rinvio per relationem ad opera del quinto comma, per le sole condanne di cui beneficia il datore di lavoro e, dall'altro, non ricomprendendo la categoria di condannatorie aventi ad oggetto un facere del datore di lavoro (reintegrazione del lavoratore, riammissione in servizio, adibizione alle funzioni o alla sede preesistente al demansionamento o al trasferimento etc.), il problema della ricostruzione del regime applicabile a tale ulteriore tipologia di pronunce.

Discorso a parte merita la pronuncia di condanna alla reintegrazione del lavoratore illegittimamente licenziato, che accede alla pronuncia dichiarativa di nullità o costitutiva di annullamento del provvedimento espulsivo comminato dal datore di lavoro, la cui provvisoria esecutività è oggetto di previsione ad hoc da parte del legislatore che, a partire dalla introduzione dell'art. 18 l. n. 300/1970, ha disciplinato l'impugnativa del licenziamento, sotto il duplice profilo sostanziale e processuale. In fase di elaborazione dello Statuto dei Lavoratori si pose il problema dell'effettività della pronuncia reintegratoria, in considerazione della peculiarità degli interessi in gioco, risolto con l'espressa attribuzione della provvisoria esecutività, in vigenza di un regime generale di segno contrario.

L'attribuzione, sia pure in un quadro generale profondamente mutato nella sua struttura, è stata conservata a seguito della riforma dell'art. 18, per effetto della cd. Legge Fornero (l. n. 92/2012), che ha espressamente previsto, all'art. 1 comma 49, che la pronuncia giudiziale di accoglimento, eventualmente corredata dall'ordine di reintegrazione, abbia carattere di “ordinanza immediatamente esecutiva”, con ulteriore previsione in capo alla Corte d'appello, adita in sede di reclamo, della facoltà di sospensione dell'efficacia della sentenza reclamata, resa in sede di opposizione, ricorrendo “gravi motivi”.

L'intervenuta modificazione del regime sostanziale e processuale della impugnativa del licenziamento, per i licenziamenti relativi a rapporti di lavoro costituiti successivamente al 7 marzo 2015, data di entrata in vigore di uno dei decreti attuativi del cd. Jobs Act (d.lgs. n. 23/2015), in assenza di espressa previsione di immediata esecutività delle residuali ipotesi di reintegrazione di cui all'artt. 2 e 3 d.lgs. n. 23/2015, induce a fare ricorso ai principi generali in materia di efficacia esecutiva ed inibitoria delle sentenze di lavoro in grado di appello.

In termini generali, dunque, con riferimento alle pronunce di condanna in favore del lavoratore, occorre verificare il rapporto sistematico tra la disposizione speciale di cui all'art. 431, comma 1, c.p.c. e quella generale di cui all'art. 282 c.p.c., partendo dalla successione cronologica delle norme. Orbene, appare ragionevole sostenere che la previsione di cui all'art. 431, comma 1, c.p.c. introdotta quale norma di favore dalla l. n. 533/1973, in assenza di efficacia esecutiva generalizzata in capo alle sentenze di primo grado, sia da ritenersi superata dall'estensione, avvenuta per effetto della l. n. 353/1990, della provvisoria esecutività a tutte le pronunce rese in primo grado, e che pertanto l'art. 282 c.p.c. costituisca la disciplina di riferimento per l'efficacia provvisoriamente esecutiva di tutte le pronunce di condanna rese in ambito laburistico, non soltanto rese in favore del datore di lavoro, per effetto dell'esplicito rinvio per relationem contenuto nel quinto comma dell'art. 431 c.p.c., ma anche quelle rese in favore del lavoratore.

Il lavoratore potrà, dunque, agire immediatamente in executivis, in caso di inottemperanza spontanea del datore di lavoro, sia in caso di condanna al pagamento di una somma che in caso di condanna alla ricostituzione del rapporto di lavoro, reintegrazione, riammissione in servizio, riadibizione alle mansioni o riassegnazione ad una funzione o ad una sede di lavoro, sia pure con i limiti connaturati all'eseguibilità degli obblighi di facere infungibili, la cui trattazione esula dalla presente sedes materiae.

È sufficiente, in questa sede, rilevare come la provvisoria esecutività, quale intrinseca caratteristica del provvedimento giurisdizionale, e la giuridica eseguibilità dello stesso, si collochino su distinti piani, ben potendosi prefigurare la natura provvisoriamente esecutiva in capo ad un provvedimento di condanna ad un facere infungibile che, tuttavia, risulti in concreto ineseguibile, facendo leva sugli strumenti di esecuzione forzata previsti dall'ordinamento positivo (principio di recente affermato in giurisprudenza con riferimento alla sentenza che accerti il diritto del lavoratore a una qualifica superiore e condanni il datore di lavoro all'attribuzione di detta qualifica).

Anche le sentenze di primo grado pronunciate nei giudizi relativi alle controversie previdenziali, di cui all'art. 442 c.p.c., sono provvisoriamente esecutive per effetto del disposto di cui all'art. 447 c.p.c..

Secondo la giurisprudenza di legittimità, il rinvio, contenuto nell'art. 447 c.p.c., al precedente art. 431 dello stesso codice, deve intendersi limitato alla regola dell'immediata esecutività di tutte le sentenze di condanna, e comporta che a tale regola (anche prima della sua generale applicabilità a seguito della l. 26 novembre 1990, n. 353) siano soggette tutte le sentenze emesse nelle controversie inerenti alla materia previdenziale o assistenziale, indipendentemente dal destinatario della pronunzia, ivi comprese quindi le sentenze favorevoli ai soggetti obbligati al pagamento dei contributi previdenziali, rese nei confronti dell'ente gestore, ma non implica altresì che a tutte le sentenze della indicata categoria sia applicabile anche la norma, di carattere speciale rispetto a quella del comma 1, contenuta nel comma 2 del menzionato art. 431 c.p.c., che consente l'inizio dell'esecuzione sulla base del solo dispositivo della sentenza di primo grado, riguardando tale parziale deroga migliorativa le sole condanne in favore del lavoratore-assicurato.

L'esecuzione anticipata sulla base del dispositivo

Il particolare ed alternativo meccanismo di pubblicazione della sentenza previsto dall'art. 429, comma 1, c.p.c., secondo cui il giudice del lavoro, esaurita la discussione orale ed udite le conclusioni delle parti, pronuncia la sentenza che definisce il giudizio dando lettura del dispositivo e contestualmente riservando la pubblicazione della sentenza integrale entro i quindici giorni di cui all'art. 430 c.p.c. o, in casi di particolare complessità, entro sessanta giorni, ha indotto il legislatore, in ragione della peculiarità degli interessi in gioco, a prevedere, al successivo art. 431, comma 2, c.p.c., la possibilità di procedere ad esecuzione forzata con la sola copia del dispositivo, in pendenza del termine per il deposito della sentenza. Il dispositivo di sentenza assurge, dunque, a dignità di titolo esecutivo, destinata a permanere, in relazione allo specifico fine perseguito dal legislatore di consentire al lavoratore una pronta e celere realizzazione dei suoi diritti, anche dopo il decorso del termine per il deposito della sentenza, indipendentemente dall'avvenuto deposito.

L'assenza di espressa esclusione o limitazione soggettiva, sulla falsariga di quanto, ad esempio, previsto dall'art. 409 c.p.c., indurrebbe a ritenere che l'esecuzione sulla base del solo dispositivo non sia appannaggio esclusivo del lavoratore. In sede di legittimità, tuttavia, sulla base di argomenti di ordine sistematico, si è precisato che tale possibilità sia da ritenersi riservata al solo lavoratore, in quanto parte più debole. Del pari, deve escludersi che l'esecuzione sulla base del solo dispositivo possa riguardare le sentenze emesse nelle controversie inerenti la materia previdenziale o assistenziale indipendentemente dal destinatario della pronuncia, per effetto del rinvio integrale, contenuto nell'art. 447 c.p.c., all'art. 43 c.p.c., nella sua precedente formulazione, rimasto immutato anche a seguito delle novelle legislative, dovendosi escludere tale facoltà relativamente alle sentenze favorevoli all'ente previdenziale o assistenziale relativamente, ad esempio, al credito per il pagamento dei contributi.

La peculiare ed autonoma rilevanza del dispositivo delle sentenze rese nel procedimento celebrato con il rito del lavoro comporta che, nel caso di insanabile contrasto tra il dispositivo e la motivazione, non possa applicarsi il principio, di elaborazione giurisprudenziale, dell'integrazione del dispositivo alla luce della interpretazione della motivazione della sentenza, dovendo in ogni caso risolvere il conflitto dandosi la prevalenza al dispositivo, secondo il principio dell'intangibilità di questo atto, che, essendo letto in udienza ed utilizzabile come autonomo titolo esecutivo, è dotato di rilevanza esterna.

In caso di intrapresa esecuzione antecedente alla pubblicazione della sentenza, l'appellante potrà proporre appello con riserva dei motivi, che dovranno essere proposti nel termine di trenta giorni dalla notificazione della sentenza.

L'inibitoria in sede di appello o di reclamo

Il regime della sospensione della provvisoria esecuzione della sentenza di lavoro, parallelamente alle peculiari connotazioni del procedimento, in ragione della particolare rilevanza degli interessi in gioco, che si traduce nella previsione di disposizioni di maggior favore processuale per la parte meritevole di tutela, id est il lavoratore, risulta diversamente articolato, con riferimento ai presupposti per l'inibitoria.

Il terzo comma dell'art. 431 c.p.c., implicitamente ma indiscutibilmente riferito al regime delle sentenze, dotate di provvisoria esecutività, rese in favore del lavoratore, disciplinate nei primi due commi della disposizione, prevede che il giudice di appello possa disporre con ordinanza non impugnabile che l'esecuzione sia sospesa quando dalla stessa possa derivare all'altra parte gravissimo danno. Di converso, con riferimento alle sentenze rese in favore di soggetti giuridici diversi dal lavoratore, contemplate dal quarto comma della norma, si prevede, al successivo quinto comma, la possibilità di disporre, con ordinanza non impugnabile, che l'esecuzione sia sospesa, in tutto o in parte, quando ricorrono gravi motivi.

Tali disposizioni devono, inoltre, essere coordinate con quella, di perdurante frequenza applicativa, nonostante l'eliminazione della tutela sostanziale e processuale prevista dall'art. 18 e dagli artt. 1, comma 47, e ss. l. n. 92/2012 (cd. rito Fornero), di cui all'art. 1, comma 60, l. n. 92/2012, che disciplina il reclamo dinanzi alla Corte d'appello lavoro della sentenza pronunciata in sede di reclamo nella fattispecie di impugnativa dei licenziamenti, nei quali si faccia applicazione dell'art. 18 l. n. 300/1970 (e della disciplina processuale contemplata dall'art. 1, comma 47, e ss. l. n. 92/2012), che prevede la facoltà, in capo alla Corte, di «sospendere l'efficacia della sentenza reclamata se ricorrono gravi motivi», ricalcando, dunque, la locuzione del quinto comma dell'art. 431 c.p.c..

In tutte le fattispecie evidenziate, disciplinanti l'inibitoria in appello (o reclamo) di sentenze di lavoro, difetta il riferimento alla fondatezza dei motivi, prevista in accostamento alla gravità degli stessi, nell'endiadi contemplata dalla norma generale, innanzi commentata, di cui all'art. 283 c.p.c., così lasciando intendere, ad una prima valutazione, che la partita della sospensione della provvisoria esecuzione in seconde cure si giochi esclusivamente, nella varietà di gradazione, sul terreno del periculum in mora, e non su quello della fondatezza, prima facie, dei motivi di appello o reclamo. L'assunto deve, tuttavia, scontare il rinvio per relationem, contenuto nel quinto comma dell'art. 431 c.p.c., relativamente al regime delle sentenze rese in favore del datore di lavoro, al regime degli artt. 282 e 283 c.p.c., introducendo così la necessaria verifica del coordinamento tra le due disposizioni, astrattamente in rapporto di specialità.

Largamente maggioritaria appare in dottrina e giurisprudenza l'interpretazione, sintetizzata dal brocardo ubi lex voluit dixit ubi noluit tacuit, secondo cui, in assenza di alcun riferimento testuale alla fondatezza dei motivi di appello, in seno all'art. 431 c.p.c. ed all'art. 1, comma 60, l. n. 92/2012, la delibazione giudiziale in sede di inibitoria debba essere confinata alla valutazione del pregiudizio del soccombente appellante, restando preclusa ogni valutazione in ordine alla fondatezza dell'appello.

Quanto all'interpretazione del “gravissimo danno”, al cui ricorrere è dato sospendere la provvisoria esecuzione delle sentenze esecutive rese in favore del prestatore di lavoro, l'utilizzo del superlativo assoluto, per altro riferito al danno e non ai motivi, ne confina l'ambito applicativo ad ipotesi del tutto residuali, non risultando sufficiente il mero pericolo di irripetibilità delle somme o il rischio di pregiudizio all'organizzazione ed all'assetto aziendale, dovendosi allegare e provare, sia pure nei limiti della natura sommaria della pronuncia, il tangibile rischio di compromissione della stessa capacità produttiva e solvibilità dell'azienda, quale conseguenza dell'esecuzione della sentenza. Si è, in particolare, in tema di condanna del datore al pagamento di somma di danaro in favore del lavoratore, affermata l'insufficienza del mero riferimento che l'appellante operi all'entità o consistenza della condanna, dovendosi necessariamente rapportare la circostanza all'incidenza che l'esecuzione possa avere sulla futura tenuta e prosecuzione dell'attività aziendale, in ragione della contingente situazione economica e patrimoniale.

I gravi motivi, che giustificano l'inibitoria della pronuncia resa in favore del datore di lavoro ai sensi del quinto comma, impongono la valutazione giudiziale alternativa del rischio di pregiudizio patrimoniale che il lavoratore soccombente può subire, anche in relazione alla difficoltà di ottenere eventualmente la restituzione di quanto pagato, dall'esecuzione della sentenza ovvero, anche in caso di prognosi favorevole in ordine alla solvibilità rispetto all'eventuale obbligo restitutorio, della pregiudizievole incidenza, nella propria sfera economica e patrimoniale, dell'esecuzione del provvedimento giudiziale.

All'analoga locuzione, contenuta nell'art. 1, comma 60, l. n. 92/2012, non può che fornirsi interpretazione conforme, tenendo conto delle peculiarità della materia dell'impugnativa dei licenziamenti. Da un lato, difatti, la pronuncia resa con ordinanza in sede di cognizione deformalizzata, ai sensi dell'art. 1, comma 50, l. n. 92/2012 è provvisoriamente esecutiva e non è soggetta a sospensione nel giudizio di opposizione. In secondo luogo, la limitazione delle controversie ammissibili all'impugnativa del licenziamento, ed alle questioni connesse, fa sì che le questioni di inibitoria delle sentenze rese in sede di opposizione si pongano in via pressochè esclusiva per gli ordini di reintegrazione del lavoratore e la condanna al pagamento della indennità risarcitoria prevista dalle varie declinazione della tutela predisposta dall'art. 18. La disposizione ha, pertanto, assunto un riverbero pratico piuttosto angusto, limitato alle pronunce di accoglimento delle opposizioni dei lavoratori avverso una pronuncia di prime cure sfavorevole, con successiva proposizione del reclamo da parte del datore di lavoro.

Ciononostante, in sede di commento, la norma ha costituito oggetto di censure critiche, apparendo in controtendenza rispetto al progressivo irrigidimento dei presupposti per la concessione della inibitoria non soltanto nel rito del lavoro, ma anche in quello ordinario di cognizione. È, tuttavia, vero che, al cospetto di una locuzione dal chiaro ed inequivoco tenore, non può procedersi ad un'interpretazione ultraletterale della stessa, conforme agli orientamenti restrittivi in tema di inibitoria delle sentenze favorevoli al lavoratore.

Guida all'approfondimento
  • De Angelis L., in L. De Angelis, D. Borghesi, Il processo del lavoro e della previdenza, Torino, Giur. 2013, p. 360 ss.;
  • Impagnatiello G., La provvisoria esecuzione e l'inibitoria nel processo civile, I, Milano, 2010.
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