Sull'applicabilità dell'art. 81 L.Fall. anche ai contratti di concessione stipulati da società pubbliche fallite

27 Settembre 2018

Il testuale riferimento dell'art. 81 L.Fall. al «contratto di appalto» non esclude l'applicabilità della norma anche al contratto di concessione di servizi di gestione, previa progettazione e costruzione delle opere.
Massima

Il testuale riferimento dell'art. 81 L.Fall. al «contratto di appalto» non esclude l'applicabilità della norma anche al contratto di concessione di servizi di gestione, previa progettazione e costruzione delle opere, essendo consentito il ricorso all' analogia legis di cui all'art. 12 preleggi allorquando manchi nell'ordinamento una specifica norma regolante la concreta fattispecie e si renda, quindi, necessario porre rimedio ad un vuoto normativo altrimenti incolmabile in sede giudiziaria.

Il caso

La vicenda decisa dal T.A.R. abruzzese riguarda la sorte del contratto di concessione di servizi, affidato mediante procedura competitiva, in caso di fallimento della società a partecipazione pubblica totalitaria affidante che sia intervenuto successivamente alla stipulazione del contratto e, in particolare, se sia applicabile anche a tale ipotesi l'automatica risoluzione dei contratti stipulati dall'impresa fallita stabilita all'art. 81 L.Fall.

Il Collegio ha respinto il ricorso con cui il concessionario, che già aveva insinuato i propri crediti al passivo del fallimento ed aveva svolto il servizio in base a ripetute autorizzazioni trimestrali del Tribunale fallimentare, aveva chiesto sia l'annullamento della nota con la quale la curatela gli aveva intimato la riconsegna del sito per affidarlo ad un diverso operatore economico individuato dal Tribunale Fallimentare, sul presupposto dell'intervenuto scioglimento ex art. 81 Regio Decreto 16 marzo 1942, n. 267 (c.d. Legge Fallimentare) del contratto di concessione a seguito del mancato subentro della curatela stessa, sia l'accertamento della validità ed efficacia del contratto di concessione a suo tempo stipulato.

La questione

Secondo la tesi del ricorrente, nell'ipotesi di fallimento della stazione appaltante non potrebbe trovare applicazione la normativa contenuta agli artt. 72 e ss. L.Fall. poiché essa regolerebbe la sorte dei soli contratti di appalto di natura privatistica, mentre le concessioni pubblicistiche difetterebbero del requisito di assoggettabilità alla normativa fallimentare costituito dalla natura potenzialmente onerosa per la massa dei creditori (atteso che le concessioni, per loro natura, comportano la traslazione in capo al concessionario dell'alea di gestione del pubblico servizio e che quest'ultimo, sovente, si impegna a corrispondere al concedente un canone). Peraltro, secondo il ricorrente anche a ritenere operante la norma privatistica i beni ed il sito affidati in concessione avrebbero dovuto ritornare nella disponibilità degli enti pubblici locali che avevano costituito la società concessionaria, in quanto «enti esponenziali dell'interesse pubblico sotteso alla gestione della discarica e del servizio pubblico del ciclo integrato dei rifiuti».

Il ricorrente, infine, lamentava il contrasto tra l'individuazione di un operatore economico subentrante all'impresa pubblica fallita ad opera del Giudice Ordinario in sede di omologazione concordato fallimentare e la normativa sull'evidenza pubblica.

Le norme in rilievo nel caso di fallimento della stazione appaltante, in assenza di una previsione analoga a quella ora contenuta all'art. 110 d.lgs. 18 aprile 2016 n. 50 (Codice dei contratti pubblici) che disciplini tale ipotesi, devono rinvenirsi da un lato nei principi generali sulla contrattualistica pubblica (contenuti agli artt. 28 – 34 c.c.p.) e, dall'altro, nella Legge Fallimentare.

In particolare, occorre far riferimento all'art. 81, secondo comma, L.F., a norma del quale «nel caso di fallimento dell'appaltatore, il rapporto contrattuale si scioglie se la considerazione della qualità soggettiva é stata un motivo determinante del contratto, salvo che il committente non consenta, comunque, la prosecuzione del rapporto. Sono salve le norme relative al contratto di appalto per le opere pubblicheÈ e all'art. 14, primo comma, del d.lgs. 19 agosto 2016 n. 175, per cui «le società a partecipazione pubblica sono soggette alle disposizioni sul fallimento e sul concordato preventivo …». Quest'ultima norma, in particolare, ha positivizzato il principio, già introdotto in via pretoria (v. Cass. Civ., Sez. I, sentenza 6 dicembre 2012 n. 21991), di soggezione alle norme privatistiche (ivi compresa la disciplina concorsuale) delle società pubbliche a seguito dell'assunzione del rischio di insolvenza tipico dello strumento societario privatistico, alla luce sia dei principi di uguaglianza e concorrenza sia del fatto che l'art. 1 L.Fall. «esclude dall'area della concorsualità gli enti pubblici e non anche le società pubbliche» (Cass. Civ., Sez. I, sentenza 7 febbraio 2017 n. 3196 e, conf., Cass. Civ., Sez. I, sentenza 27 settembre 2013 n. 22209).

La giurisprudenza si era già interrogata sul rapporto tra le fonti che regolano la materia concorsuale e la contrattualistica pubblica (al tempo il previgente d.lgs. 12 aprile 2006 n. 163), ma solamente rispetto all'ipotesi di fallimento del contraente privato, concludendo nel senso di ammettere l'operatività dell'art. 81, secondo comma, L.F. anche rispetto ai contratti di appalto pubblico (Cass. Civ., Sez. I, sentenza 13 settembre 2007 n. 19165), poiché connotati dal c.d. intuitu personae (a dire l'essenzialità delle qualità soggettive dell'operatore economico). L'applicabilità di tale norma era tuttavia limitata alla sola prima parte del secondo comma, che dispone l'automatica risoluzione del contratto stipulato, con esclusione invece della seconda, che rimette all'appaltante la facoltà di proseguire il rapporto con l'impresa fallita, poiché tale facoltà è preclusa alla stazione appaltante dalle stesse norme sull'evidenza pubblica salva la facoltà di subentro nel contratto per scorrimento della graduatoria (v. Cons. St., comm. spec., parere 22 gennaio 2008 n. 4575/2007). La medesima giurisprudenza aveva in ogni caso affermato la prevalenza della normativa sull'evidenza pubblica rispetto a quella concorsuale, mentre l'Autorità Nazionale Anticorruzione (già Autorità di Vigilanza sui Contratti Pubblici) aveva suggerito che il rapporto di specialità dovesse essere indagato con riferimento alle singole fattispecie di volta in volta in rilievo (AVCP, deliberazione del Consiglio 10 novembre 2011 n. AG 30/2011).

Le soluzioni giuridiche

Nel decidere la controversia, il T.A.R. aquilano ha anzitutto affermato la giurisdizione esclusiva del Giudice Amministrativo sulle questioni relative all'efficacia dei contratti di gestione di servizi pubblici locali ex art. 133, comma 1, lett. c, c.p.a., chiarendo inoltre che la vis attractiva del Giudice Fallimentare prevista all'art. 24 L.Fall. opera nei soli limiti della competenza funzionale del Giudice Ordinario, restando inidonea ad incidere sul riparto di giurisdizione.

Nel merito, il Collegio ha respinto il ricorso affermando che l'art. 81 L.Fall. deve essere interpretato ricorrendo all'analogia legis, in base al criterio interpretativo stabilito all'art. 12 delle disposizioni sulla legge in generale (c.d. preleggi), per ricomprendere anche il contratto di concessione pubblica nel novero dei negozi giuridici sottoposti alla disciplina concorsuale. Infatti i giudici aquilani hanno chiarito che non osta all'applicazione della normativa concorsuale il fatto che l'art. 81 faccia testuale riferimento al solo «contratto di appalto», poiché «la legge fallimentare del 1942 … non poteva prevedere l'innovazione normativa del 2016 costituita dall'assoggettabilità al fallimento delle società a partecipazione pubblica».

Essi, inoltre, hanno specificato che il ricorso all'interpretazione analogica dell'art. 81 L.Fall. è giustificato sia dal “vuoto normativo” rispetto ai contratti di concessione stipulati da una società pubblica fallita sia dalla definizione di contratto di concessione sancita all'art. 3, comma 12, del d.lgs. n. 163 del 2006 (norma ratione temporis applicabile al caso concreto) per il quale la concessione era «un contratto che presenta le stesse caratteristiche di un appalto pubblico … ad eccezione del fatto che il corrispettivo … consiste unicamente nel diritto di gestire i servizi …».

Il Collegio ha poi sostenuto che la limitazione contenuta nel secondo comma dell'art. 81 L.Fall. («…salve le norme relative al contratto di appalto per le opere pubbliche») non si applichi alle ipotesi di fallimento della stazione appaltante, giacché l'intera norma si riferisce alla (sola) ipotesi di fallimento dell'appaltatore.

Il T.A.R., infine, ha affermato che non vi è lesione dei principi dell'evidenza pubblica nel caso di subentro di un nuovo soggetto a seguito dell'intervenuta approvazione di un concordato fallimentare, poiché non sussiste alcuna aggiudicazione di pubblici servizi (rectius novazione soggettiva del contratto affidato dalla stazione appaltante fallita). Questi ultimi, infatti, dovranno essere affidati attraverso procedure competitive in base a quanto stabilito all'art. 11 del d.lgs. 18 agosto 2000 n. 267.

Osservazioni

L'attuale Codice dei contratti pubblici, come già il previgente, non prevede una disciplina specifica per le ipotesi di fallimento della stazione appaltante (che sia società pubblica), ma si limita a normare, all'art. 110, il caso di fallimento dell'operatore economico affidatario. La sentenza in commento, quindi, pur riferendosi ad una vicenda ratione temporis soggetta alla disciplina previgente, costituisce un utile strumento interpretativo per colmare il vuoto normativo che ancora permane.

Va però osservato che l'attuale art. 3, lett. vv) del d.lgs. n. 50 del 2016, definisce specificamente la concessione di servizi come «un contratto a titolo oneroso stipulato per iscritto in virtù del quale una o più stazioni appaltanti affidano a uno o più operatori economici la fornitura e la gestione di servizi diversi dall'esecuzione di lavori di cui alla lettera ll) riconoscendo a titolo di corrispettivo unicamente il diritto di gestire i servizi oggetto del contratto o tale diritto accompagnato da un prezzo, con assunzione in capo al concessionario del rischio operativo legato alla gestione dei servizi», sottolineando la differenza e l'autonomia di tale strumento negoziale rispetto all'appalto di servizi, definito alla lettera ss) come il contratto «tra una o più stazioni appaltanti e uno o più soggetti economici, aventi per oggetto la prestazione di servizi diversi da quelli di cui alla lettera ll)». Il legislatore ha quindi rimosso il rinvio al contratto di appalto nella definizione della concessione presente nel codice previgente e da ciò pare potersi desumere la completa autonomia del contratto di concessione rispetto a quello di appalto, sia per l'oggetto (attenendo il contratto di appalto alla sola «prestazione di servizi» mentre quello di concessione alla «fornitura e alla gestione» degli stessi) sia per la traslazione del rischio operativo in capo al concessionario sia, infine, per le precipue modalità di remunerazione dell'operatore privato. Sembra quindi venire meno il presupposto indicato dal Collegio per l'applicazione analogica al contratto di concessione di servizi dell'art. 81 L.Fall.

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