Codice Civile art. 1129 - Nomina, revoca ed obblighi dell'amministratore (1).

Adriana Nicoletti

Nomina, revoca ed obblighi dell'amministratore (1).

[I]. Quando i condomini sono più di otto, se l'assemblea non vi provvede, la nomina di un amministratore è fatta dall'autorità giudiziaria su ricorso di uno o più condomini o dell'amministratore dimissionario.

[II]. Contestualmente all'accettazione della nomina e ad ogni rinnovo dell'incarico, l'amministratore comunica i propri dati anagrafici e professionali, il codice fiscale, o, se si tratta di società, anche la sede legale e la denominazione, il locale ove si trovano i registri di cui ai numeri 6) e 7) dell'articolo 1130, nonché i giorni e le ore in cui ogni interessato, previa richiesta all'amministratore, può prenderne gratuitamente visione e ottenere, previo rimborso della spesa, copia da lui firmata.

[III]. L'assemblea può subordinare la nomina dell'amministratore alla presentazione ai condomini di una polizza individuale di assicurazione per la responsabilità civile per gli atti compiuti nell'esercizio del mandato.

[IV]. L'amministratore è tenuto altresì ad adeguare i massimali della polizza se nel periodo del suo incarico l'assemblea deliberi lavori straordinari. Tale adeguamento non deve essere inferiore all'importo di spesa deliberato e deve essere effettuato contestualmente all'inizio dei lavori. Nel caso in cui l'amministratore sia coperto da una polizza di assicurazione per la responsabilità civile professionale generale per l'intera attività da lui svolta, tale polizza deve essere integrata con una dichiarazione dell'impresa di assicurazione che garantisca le condizioni previste dal periodo precedente per lo specifico condominio.

[V]. Sul luogo di accesso al condominio o di maggior uso comune, accessibile anche ai terzi, è affissa l'indicazione delle generalità, del domicilio e dei recapiti, anche telefonici, dell'amministratore.

[VI]. In mancanza dell'amministratore, sul luogo di accesso al condominio o di maggior uso comune, accessibile anche ai terzi, è affissa l'indicazione delle generalità e dei recapiti, anche telefonici, della persona che svolge funzioni analoghe a quelle dell'amministratore.

[VII]. L'amministratore è obbligato a far transitare le somme ricevute a qualunque titolo dai condomini o da terzi, nonché quelle a qualsiasi titolo erogate per conto del condominio, su uno specifico conto corrente, postale o bancario, intestato al condominio; ciascun condomino, per il tramite dell'amministratore, può chiedere di prendere visione ed estrarre copia, a proprie spese, della rendicontazione periodica.

[VIII]. Alla cessazione dell'incarico l'amministratore è tenuto alla consegna di tutta la documentazione in suo possesso afferente al condominio e ai singoli condomini e ad eseguire le attività urgenti al fine di evitare pregiudizi agli interessi comuni senza diritto ad ulteriori compensi.

[IX]. Salvo che sia stato espressamente dispensato dall'assemblea, l'amministratore è tenuto ad agire per la riscossione forzosa delle somme dovute dagli obbligati entro sei mesi dalla chiusura dell'esercizio nel quale il credito esigibile è compreso, anche ai sensi dell'articolo 63, primo comma, delle disposizioni per l'attuazione del presente codice.

[X]. L'incarico di amministratore ha durata di un anno e si intende rinnovato per eguale durata. L'assemblea convocata per la revoca o le dimissioni delibera in ordine alla nomina del nuovo amministratore.

[XI]. La revoca dell'amministratore può essere deliberata in ogni tempo dall'assemblea, con la maggioranza prevista per la sua nomina oppure con le modalità previste dal regolamento di condominio. Può altresì essere disposta dall'autorità giudiziaria, su ricorso di ciascun condomino, nel caso previsto dal quarto comma dell'articolo 1131, se non rende il conto della gestione, ovvero in caso di gravi irregolarità. Nei casi in cui siano emerse gravi irregolarità fiscali o di non ottemperanza a quanto disposto dal numero 3) del dodicesimo comma del presente articolo, i condomini, anche singolarmente, possono chiedere la convocazione dell'assemblea per far cessare la violazione e revocare il mandato all'amministratore. In caso di mancata revoca da parte dell'assemblea, ciascun condomino può rivolgersi all'autorità giudiziaria; in caso di accoglimento della domanda, il ricorrente, per le spese legali, ha titolo alla rivalsa nei confronti del condominio, che a sua volta può rivalersi nei confronti dell'amministratore revocato.

[XII]. Costituiscono, tra le altre, gravi irregolarità:

1) l'omessa convocazione dell'assemblea per l'approvazione del rendiconto condominiale, il ripetuto rifiuto di convocare l'assemblea per la revoca e per la nomina del nuovo amministratore o negli altri casi previsti dalla legge;

2) la mancata esecuzione di provvedimenti giudiziari e amministrativi, nonché di deliberazioni dell'assemblea;

3) la mancata apertura ed utilizzazione del conto di cui al settimo comma;

4) la gestione secondo modalità che possono generare possibilità di confusione tra il patrimonio del condominio e il patrimonio personale dell'amministratore o di altri condomini;

5) l'aver acconsentito, per un credito insoddisfatto, alla cancellazione delle formalità eseguite nei registri immobiliari a tutela dei diritti del condominio;

6) qualora sia stata promossa azione giudiziaria per la riscossione delle somme dovute al condominio, l'aver omesso di curare diligentemente l'azione e la conseguente esecuzione coattiva;

7) l'inottemperanza agli obblighi di cui all'articolo 1130, numeri 6), 7) e 9);

8) l'omessa, incompleta o inesatta comunicazione dei dati di cui al secondo comma del presente articolo.

[XIII]. In caso di revoca da parte dell'autorità giudiziaria, l'assemblea non può nominare nuovamente l'amministratore revocato.

[XIV]. L'amministratore, all'atto dell'accettazione della nomina e del suo rinnovo, deve specificare analiticamente, a pena di nullità della nomina stessa, l'importo dovuto a titolo di compenso per l'attività svolta.

[XV]. Per quanto non disciplinato dal presente articolo si applicano le disposizioni di cui alla sezione I del capo IX del titolo III del libro IV.

[XVI]. Il presente articolo si applica anche agli edifici di alloggi di edilizia popolare ed economica, realizzati o recuperati da enti pubblici a totale partecipazione pubblica o con il concorso dello Stato, delle regioni, delle province o dei comuni, nonché a quelli realizzati da enti pubblici non economici o società private senza scopo di lucro con finalità sociali proprie dell'edilizia residenziale pubblica.

(1) Articolo modificato dall'art. 9, l. 11 dicembre 2012, n. 220. La modifica è entrata in vigore il 18 giugno 2013. Il testo precedente recitava: «Nomina e revoca dell'amministratore - [I]. Quando i condomini sono più di quattro, l'assemblea nomina un amministratore. Se l'assemblea non provvede, la nomina è fatta dall'autorità giudiziaria, su ricorso di uno o più condomini. [II]. L'amministratore dura in carica un anno e può essere revocato in ogni tempo dall'assemblea. [III]. Può altresì essere revocato dall'autorità giudiziaria, su ricorso di ciascun condomino, oltre che nel caso previsto dall'ultimo comma dell'articolo 1131, se per due anni non ha reso il conto della sua gestione, ovvero se vi sono fondati sospetti di gravi irregolarità. [IV]. La nomina e la cessazione per qualunque causa dell'amministratore dall'ufficio sono annotate in apposito registro».

Inquadramento

L'art. 1129 c.c., rubricato «nomina, revoca ed obblighi dell'amministratore», rappresenta la disposizione che apre il nuovo quadro legislativo che disciplina la complessa attività di gestione del condominio affidata ad un soggetto, persona fisica o giuridica, prescelto per volontà dell'assemblea ovvero per nomina giudiziaria.

L'entrata in vigore della riforma del condominio, ente privo di personalità giuridica, ha dato vita ad una nuova figura di amministratore, conferendo al medesimo nuove attribuzioni e più ampi poteri ma, nel contempo, gravandolo di nuovi obblighi ai quali si connettono nuove responsabilità.

Tale profonda revisione è il frutto di un non più rinviabile adeguamento del codice all'orientamento della giurisprudenza della Corte di Cassazione che, nel corso degli anni e per vari profili, ha risolto in modo consolidato una serie di problematiche concrete, non disciplinate dalla stringata normativa del codice civile, obiettivamente riconosciuto non più sufficiente a governare la complessa gestione degli stabili in condominio.

Altro fattore decisivo per, riconsiderare la figura del rappresentante dell'Ente è stata la necessità di prendere come punto di riferimento sia le leggi speciali che interessano gli stabili condominiali, sia il complesso delle normative tecniche (soprattutto in materia di sicurezza, fiscale, tributaria, ecc.) che con cadenza costante, anche per necessità di adeguamento alle normative europee, hanno modificato il quadro nel quale si inseriscono le disposizioni in argomento.

L'art. 1129 c.c., che qualifica l'amministratore come mandatario del condominio, è caratterizzato dalla sua inderogabilità, come stabilito in maniera espressa dall'art. 1138, ultimo comma c.c., per cui neppure un regolamento di natura contrattuale potrà mai escludere l'assenza di tale organo in seno al condominio. La norma, infine, specifica una serie di adempimenti immediati, che l'amministratore deve effettuare contestualmente all'accettazione della nomina, nonché disciplina la revoca del rappresentante, per volontà dell'assemblea o per provvedimento giudiziario, in conseguenza di comportamenti omissivi od inottemperanti ai suoi doveri. Trattasi di elencazione, peraltro non esaustiva, di condotte qualificabili come «gravi irregolarità», ritenute sanzionabili in quanto manifestate nell'àmbito del mandato.

Natura giuridica dell'incarico e ruolo dell'amministratore

Con la riforma del condominio, entrata in vigore nel giugno 2013, il legislatore ha inquadrato il rapporto condominio/amministratore nell'ambito del mandato con rappresentanza. Questi, infatti, agisce sulla base di un incarico conferitogli da più mandanti (i condomini) che, tuttavia, costituiscono una sola parte, la cui volontà si realizza e si estrinseca attraverso un unico atto: la delibera assembleare.

In tale modo la posizione rivestita dall'amministratore nei confronti dei singoli partecipanti è del tutto autonoma, essendo essi vincolati, da un punto di vista individuale, alle decisioni che il rappresentante dell'Ente assume nell'ambito dei poteri che gli sono conferiti per legge (Scarpa 2016, La natura dell'incarico, 15).

Per le decisioni prese in ambito assembleare vige il principio della obbligatorietà delle deliberazioni per tutti i condomini (art. 1137, comma 1, c.c.). In questo senso l'amministratore rappresenta, a differenza di quanto accade nell'istituto regolamentato dagli artt. 1703 ss. c.c., sia i condomini che lo hanno votato, sia quelli che hanno espresso voto contrario (Nasini 2017, L'amministratore, 665).

Dal dato testuale del penultimo comma dell'art. 1129 c.c. risulta, inoltre, espressamente che «per quanto non disciplinato dal presente articolo si applicano le disposizioni di cui alla sezione I del capo IX del titolo III del libro IV», a nulla rilevando – secondo il legislatore – la circostanza che i poteri/doveri determinati in capo a tale soggetto siano predeterminati per legge. Il legislatore avrebbe così condiviso, da un lato, l'opinione secondo la quale la fonte del mandato va individuata nella natura convenzionale dello stesso basata, cioè sulla volontà e sul consenso dei condomini e, dall'altro, il consolidato orientamento giurisprudenziale sul punto espresso, nel corso degli anni, dalla Corte di Cassazione. Tale qualificazione giuridica ha prevalso sul precedente indirizzo secondo il quale l'amministratore era stato considerato come organo della collettività, con carattere obbligatorio e necessario ai sensi dell'art. 1129 c.c. (Terzago, 317).

In ragione dell'applicabilità delle norme sul mandato anche in materia condominiale, l'amministratore deve svolgere l'incarico personalmente e non può sostituire altri a sé stesso, a meno che non sia stato autorizzato dall'assemblea, oppure quando tale sostituzione sia necessaria per la natura dell'incarico, rispondendo, in caso contrario, dell'altrui operato (art. 1717 c.c.).

La mancata istituzione di un albo professionale fa sì che l'amministratore sia un soggetto che esercita attività professionale, ma non è un professionista rientrante nella categoria delle libere professioni vigilate. Da ciò consegue che l'amministratore, pur essendo tenuto ad esplicare il proprio mandato con la diligenza del bonus pater familias, non potrà mai essere sottoposto a misure disciplinari e sanzionatorie tipiche di quelle erogate dagli organismi professionali (Garufi, 610). Una esclusione che risulta essere incomprensibile visto che l'Agenzia delle Entrate inserisce tra le «attività professionali», unitamente ai commercialisti, ragionieri, consulenti tributari, ecc., anche gli amministratori di beni immobili», individuandoli come interlocutori «necessari» per tutte le problematiche dell'ambito condominiale (Parodi, 37).

Malgrado tutto questo l'attività dell'amministratore non può sottrarsi, ancora di più oggi a fronte della complessità delle proprie attribuzioni ed obblighi, non solo al rispetto della normale diligenza che è lecito attendersi da un soggetto mediamente avveduto ed accorto, ma anche ad una scrupolosità più attenta e comparata al tipo di attività svolta (Scarpa 2016, La natura dell'incarico, 15).

È stato anche osservato che l'amministratore/professionista, anche se privo di albo, deve essere in ogni caso professionale, ponendo in atto comportamenti che non devono pregiudicare il proprio mandante. A tal fine, ad esempio, l'amministratore privo di adeguate strutture non dovrà assumere l'amministrazione di un supercondominio. Così come sarà cura dello stesso segnalare tutti i rischi che impianti e parti comuni presentano, oppure creare danni al condominio non consegnando la documentazione utile al suo avente causa (Tortorici, 26).

Secondo i giudici di legittimità il contratto tipico di amministrazione di condominio, il cui contenuto è essenzialmente dettato negli artt. 1129, 1130 e 1131 c.c., non costituisce prestazione d'opera intellettuale   e, pertanto, non è  soggetto alle norme che il codice civile prevede per il relativo contratto, atteso che l'esercizio di tale attività non è subordinata - come richiesto dall'art. 2229 c.c. - all'iscrizione in apposito albo o elenco, quanto (e ciò soltanto a far tempo dall'entrata in vigore  dell'art. 71-bis disp. att. c.c. , introdotto dalla legge n. 220 del 2012) al possesso di determinati requisiti di professionalità ed onorabilità. Essa  rientra, piuttosto, nell'ambito delle professioni non organizzate in ordini o collegi, di cui alla legge 14 gennaio 2013, n. 4( Cass. II, n. 7874/2021 ).

In data 26 agosto 2023 è entrato in vigore il Decreto del Ministero della Giustizia 4 agosto 2023, n. 109, che ha individuato le ulteriori categorie dell'albo dei consulenti tecnici di ufficio e dei settori di specializzazione di ciascuna categoria. Il tutto con la conseguente individuazione dei requisiti necessari per l'iscrizione all'albo, la formazione, la tenuta e l'aggiornamento dell'elenco nazionale. L'art. 4, comma 2 è norma che interessa specificamente gli amministratori del condominio , in quanto professionisti non organizzati in ordini e collegi . In tal caso il professionista, alias l'amministratore, per poter essere incluso nell'albo dei CTU, deve essere iscritto " nel ruolo dei periti e degli esperti tenuto dalla camera di commercio, industria, artigianato e agricoltura o ad una delle associazioni professionali inserite nell'elenco di cui all'art. 2, comma 7, della legge 14 gennaio 2013, n. 4, che rilasciano l'attestato di qualità e di qualificazione professionale dei servizi prestati ai soci ". Gli amministratori aspiranti all'iscrizione all'albo in questione, comunque, devono assicurare l'obbligo di formazione professionale continua previsto dall'associazione di cui all'art. 2 della legge n. 4 del 2013 alla quale il soggetto in questione è iscritto.

Il rapporto che lega l'amministratore al condominio non è assimilabile ad un rapporto di collaborazione, che si concretizza nella prestazione di un'opera continuativa e coordinata, di carattere prevalentemente personale.  Infatti le attribuzioni dell'amministratore, nascenti dalla legge e non dall'autonomia privata, fanno sì che l'attività svolta dal rappresentante condominiale sia completamente autonoma rispetto all'ente condominio. Non si può, quindi, parlare di rapporto di lavoro parasubordinatoex art. 409 n.3, c.p.c., con la conseguenza che il giudice competente a conoscere del compenso dell'amministratore è il giudice ordinario e non il giudice del lavoro (Cass. n. 36430/2021).

La figura dell'amministratore di condominio, anche per la giurisprudenza anteriore all'entrata in vigore delle nuove norme del 2012, configurava un ufficio di diritto privato assimilabile al mandato con rappresentanza, con l'applicabilità, nei rapporti tra l'amministratore e ciascuno dei condomini, dell'art. 1713 c.c. per quanto concerne la restituzione, alla scadenza dell'incarico, di tutto quanto ricevuto per l'esercizio del mandato stesso (Cass. II, n. 10815/2000), inclusi i documenti, di qualsiasi natura e provenienza, relativi alla gestione condominiale (Trib. Firenze 1 febbraio 2014).

Ne consegue che, in caso di inadempimento nello svolgimento del proprio incarico, l'amministratore sarà tenuto a rispondere dei relativi danni a titolo di responsabilità contrattuale, ex art. 1218 c.c. nei confronti dell'organizzazione condominiale. In particolare, l'amministratore è tenuto al rispetto del regolamento e delle norme di cui agli artt. 1140, 1131 e 1135 c.c. ed è tenuto anche al risarcimento dei danni cagionati dalla sua negligenza e dal cattivo uso dei suoi poteri (Trib. Roma 2 novembre 2016).

Tale parificazione, tuttavia, deve tenere conto dei tratti distintivi in ordine alle modalità di costituzione ed al contenuto «sociale» della gestione condominiale (Trib. Milano 22 ottobre 2013). Infatti, è stato affermato che il rapporto tra amministratore e condominio, si inquadra in un particolare tipo di mandato al quale è applicabile, salvi alcuni principi peculiari, la disciplina codicistica con riferimento ai specifici obblighi dei condomini, rispetto ai quali le singole attività dell'amministratore si configurano come interventi che rappresentano attività incidentale nella sfera di interessi patrimoniali altrui (Trib. Roma 25 settembre 2017).

Giova ancora evidenziare che, sempre secondo la giurisprudenza di merito, il potere di rappresentanza  de quo non può che essere contenuto nei limiti delle attribuzioni di cui all'art. 1130 c.c., superabili solo per regolamento o per volontà dell'assemblea. Non è compreso nell'ambito della gestione ordinaria il potere di effettuare la ricognizione di debito che, trattandosi di azione che si riflette sulla sfera giuridico-patrimoniale dei singoli condomini, può essere solo autorizzata dall'assemblea (Trib. Roma 11 settembre 2016).

Il rapporto tra Ente ed amministratore, fondato sul rapporto di fiducia che ha determinato la scelta del soggetto da parte dall'assemblea, comporta che l'incarico sia svolto esclusivamente dal mandatario e non da un suo sostituto con la conseguente applicabilità dell'art. 1717, comma 1, c.c. Pertanto l'amministratore che sostituisce altri a sé stesso nell'esecuzione di tale attività di mandato, senza autorizzazione del condominio o senza che ciò sia necessitato dalla natura dell'incarico, risponde dell'operato della persona sostituita (Cass. II, n. 8339/2014).

Malgrado il riconoscimento della piena applicabilità del mandato al rapporto condominio/amministratore, quest'ultimo resta, comunque, vincolato alle decisioni dell'assemblea. In particolare l'amministratore non ha un generale potere di spesa (salvo quanto previsto dagli artt. 1130,1135 c.c. in tema di lavori urgenti), che è naturalmente riservato all'assemblea ed alla quale spetta il compito non solo di approvare il conto consuntivo, ma anche di valutare l'opportunità delle spese sostenute dall'amministratore. Ne discende che, in assenza di una deliberazione dell'assemblea, l'amministratore non può esigere il rimborso delle anticipazioni da lui sostenute, perché, pur essendo il rapporto tra l'amministratore ed i condomini inquadrabile nella figura del mandato, il principio dell'art. 1720 c.c. – secondo cui il mandante è tenuto a rimborsare le spese anticipate dal mandatario – deve essere coordinato con quelli in materia di condominio, secondo i quali il credito dell'amministratore non può considerarsi liquido né esigibile senza un preventivo controllo da parte dell'assemblea (Cass. II, n. 5984/2012; App. Perugia 19 agosto 2022, n. 416)

). In ragione di tale principio è stato revocato il decreto ingiuntivo ottenuto da un ex amministratore in quanto il condominio non aveva approvato il bilancio, né aveva riconosciuto le asserite anticipazioni (Trib. Roma 6 luglio 2018).

Obbligatorietà della nomina

Dal testo del comma 1 dell'art. 1129 c.c. emerge che la perentorietà concernente la nomina dell'amministratore si riferisce al numero dei condomini e non delle unità immobiliari che costituiscono l'edificio, avendo il legislatore dato rilievo determinante al fattore personale e non a quello del bene individuale. Ogni condominio costituito da più di otto condomini (il numero previsto, prima del 18 giugno 2013, era di quattro), infatti, deve avere, per legge, un suo amministratore.

Il condomino è il proprietario dell’appartamento se un edificio è composto da nove appartamenti, di cui otto in proprietà di una sola persona, quel condominio sarà composto da due partecipanti e quindi non sarà obbligatorio nominare un amministratore.  Ma può anche succedere che un condominio sia costituito da nove appartamenti intestati ad altrettanti soggetti ed uno di essi ne acquisti un secondo da altro condomino. In tal caso il numero dei condomini scenderebbe ad otto e tale variazione farebbe venire meno l’obbligo della nomina dell’amministratore (Gallucci, 2019).È stato sul punto osservato che se un'unità immobiliare appartiene in proprietà indivisa a due o più soggetti ai fini dell'applicabilità dell'art. 1129 c.c. dovrà essere conteggiato un solo condomino. Così come la situazione può sempre mutare nel senso di trasformare un condominio nella situazione che richiede la presenza dell'amministratore (ingresso del nono condomino), ovvero in quella opposta nella quale si retroceda ad un numero di condomini di otto od inferiore ad otto (Lazzaro in Lazzaro-Di Marzio-Petrolati, 308).

La disposizione, inderogabile per effetto dell'art. 1138, comma 4, c.c. (Giuggioli-Giorgetti, 276), non preclude che anche nel piccolo condominio, intendendosi con ciò lo stabile costituito da tre ad otto condomini, sia presente un amministratore che provveda alla gestione ordinaria e straordinaria di beni e servizi comuni, nonché all'applicazione di tutte le norme concernenti gli immobili di proprietà esclusiva. In questo caso, infatti, il ridotto numero di partecipanti consente di formare la doppia maggioranza richiesta dall'art. 1136 c.c. per il valido svolgimento dell'assemblea e per l'assunzione delle delibere. Allorché venga superata la soglia degli otto condomini (ad esempio in caso di divisione, compravendita, ecc.) scatterà l'obbligo per la nomina dell'amministratore (Celeste–Scarpa, 3).

A lato vi è da prendere in considerazione anche il c.d. condominio minimo, che è rappresentato da soli due condomini ed al quale, evidentemente, non si può applicare l'art. 1136 richiamato. L'esclusione di entrambi le realtà dal rigido impianto previsto dall'art. 1129 c.c., in ordine all'obbligatoria presenza dell'amministratore, trova giustificazione nel fatto di avere voluto agevolare la vita di dette piccole comunità, sottraendole all'applicazione delle norme stringenti che vincolano l'amministrazione di condominii di più vaste dimensioni. Ciò non toglie che in alcune circostanze – come ad esempio uno stabile costituito da otto condomini, che potrebbe essere formato anche da un numero superiore di unità immobiliari – la nomina dell'amministratore sarebbe opportuna al fine di consentire una competente e corretta conduzione della compagine condominiale, prevenendo i contrasti che, fisiologicamente, potrebbero interessare anche tali complessi.

Poiché la nomina dell'amministratore richiede un doppio quorum deliberativo pari alla maggioranza degli intervenuti all'assemblea, che rappresenti almeno la maggioranza delle quote millesimali (art. 1136, comma 4, c.c., norma anch'essa inderogabile per effetto dell'art. 1138, comma 4, c.c.), si è posto, un problema di applicabilità di norme per i condominii costituiti da un numero di condomini inferiore a nove.

Escluso – come detto – che al condominio minimo si applichi la disciplina codicistica, a meno di una decisione condivisa dai due partecipanti, per effetto del rinvio operato dall'art. 1139 c.c. non resta che fare ricorso alle norme sulla comunione e, quindi, agli artt. 1105,1106 c.c. relativi all'amministrazione (Lazzaro, 312; Terzago, 334). Per quanto di interesse, quindi, nell'ipotesi considerata ciascun partecipante, nel caso di non accordo, potrà ricorrere all'autorità giudiziaria che potrà nominare anche l'amministratore (art. 1105 c.c.), così come l'amministrazione potrà essere affidata ad uno dei due partecipanti ovvero ad un soggetto estraneo, determinandone poteri ed obblighi. 

Pur con riferimento a fattispecie ricadente sotto il previgente dettato legislativo, è stato affermato che, instauratosi il condominio sul fondamento della relazione di accessorietà tra i beni comuni e le proprietà individuali, la medesima situazione si riscontra nel condominio c.d. minimo, con l'applicabilità [n.d.a. in quanto compatibile], sia per l'organizzazione interna dell'assemblea che per le situazioni soggettive dei partecipanti, la disciplina di cui agli artt. 1117 ss. c.c., potendo pertanto in tal caso i condomini, in applicazione del principio maggioritario ed anche se in numero inferiore, rispettivamente, a quattro e dieci, nominare un amministratore ed approvare un regolamento (Cass. II, n. 20071/2017). Va, infatti, evidenziato che anche nel condominio formato da due partecipanti con diritti di comproprietà paritari sui beni comuni si applicano le regole codicistiche sul funzionamento dell'assemblea, allorché quest'ultima si costituisca regolarmente con la partecipazione di entrambi i condomini e deliberi validamente con decisione «unanime», ovvero tale da rappresentare il frutto della partecipazione di ambedue i comproprietari (Cass IV, n, 16337/2020)..

Quando, invece, questo non sia possibile o per divergenza di opinioni e contrasto di decisioni, anche se emerse in sede di riunione, oppure nel caso in cui uno dei due partecipanti, anche se regolarmente convocato dall'altro, non sia presente in assemblea è necessario adire l'autorità giudiziaria, ai sensi degli artt. 1105 e 1139 c.c., non potendosi ricorrere al criterio maggioritario (Cass. II, n. 5329/2017; Cass. S.U., n. 2046/2006; Cass. II, n. 4721/2004).

Alla luce di tale principio va interpretata altra decisione della Corte, secondo la quale nell'ipotesi di condominio minimo possono essere riconosciute al partecipante che le ha anticipate solo le spese urgenti, alle quali si applica l'art. 1134 c.c. (Cass. II, n. 16075/2007).

Sempre per effetto del rinvio all'art. 1105 c.c. è possibile, nel condominio con due soli partecipanti, ricorrere all'autorità giudiziaria per chiedere la nomina un amministratore giudiziario ad acta, conferendogli mandato a commissionare l'esecuzione di opere manutentive straordinarie ed urgenti (finalizzate, nel caso di specie, al ripristino delle strutture portanti comuni gravemente compromesse) e munendolo di autonomi poteri perché agisca svincolato dall'assemblea e dai compartecipanti (Trib. Foggia 30 ottobre 2000).

Il provvedimento, che rientra nell’ambito dei poteri discrezionali del giudice, dovrebbe essere adottato nei casi più gravi, configurando lo stesso una sostituzione coattiva della volontà negoziale con altra proveniente dall’esterno, in quanto fatta dall’autorità. In merito alla configurazione giuridica di tale soggetto vi è divergenza di opinioni in merito al suo inquadramento: ausiliario del giudice o mandatario dei condomini. La scelta di un’impostazione piuttosto che dell’altra incide anche sul problema del compenso. Infatti, nel primo caso, il compenso deve essere stabilito con decreto dal giudice che ha nominato l’ausiliario, mentre nella seconda ipotesi saranno i condomini/mandatari a provvedere alla liquidazione della retribuzione per l’attività svolta.   

Nel piccolo condominio, ribadita la facoltatività della nomina del rappresentante in seno all'Ente, invece, il numero dei condomini permette il raggiungimento delle maggioranze previste dall'art. 1136 c.c., il chè consente di ritenere che siano applicabili le norme dettate dal codice per il condominio che, anche in questa ipotesi, consentono il ricorso all'autorità giudiziaria come previsto dall'art. 1129, comma 1, c.c.

Sul punto, tuttavia, va registrato un orientamento contrario, secondo il quale sarebbe corretto applicare le regole sulla comunione, in considerazione del fatto che l'obbligatorietà della nomina dell'amministratore sarebbe giustificata solo in funzione della complessità della compagine da guidare. La gestione di un edificio composto da tre ad otto condomini, infatti, potrebbe essere comunque garantita, senza formalità, dalla partecipazione di tutti i condomini attraverso il diretto coinvolgimento degli stessi nella cura degli interessi comuni (Lazzaro, 311).

Una tale situazione, tuttavia, presuppone che tra i soggetti interessati regni una perfetta armonia e che vi sia la disponibilità dei condomini ad assumere, anche a turno e molto spesso a titolo gratuito, l'amministrazione dello stabile. Va a questo proposito considerato che i piccoli condominii sono ugualmente soggetti al rispetto delle norme vigenti, così come gli stessi non sono esclusi dall'effettuare tutti gli adempimenti, anche in misura ridotta, che li possono interessare.

Nel merito è stato affermato che in un condominio formato da cinque condomini l'amministratore uscente non può rivolgersi all'autorità giudiziaria per chiedere la nomina di un nuovo amministratore come previsto dall'art. 1129 c.c. (la fattispecie si riferiva all'impossibilità dell'assemblea di nominare un nuovo amministratore anche in vista dell'esecuzione di lavori urgenti). Il giudicante liquidava in poche parole la questione motivando che, trattandosi di condominio per il quale la nomina dell'amministratore non è obbligatoria, è precluso anche il relativo ricorso all'autorità giudiziaria (Trib. Bologna 13 ottobre 2015).

La decisione desta qualche perplessità in considerazione dell'orientamento dottrinale per il quale anche l'edificio di ridotte dimensioni è soggetto alla normativa condominiale che, naturalmente, deve essere applicata nella sua interezza e senza esclusione di norme specifiche.

Il condominio di gestione

Già nel vigore della precedente disciplina codicistica si era ampiamente discusso se, per gli alloggi di proprietà dell'Istituto Autonomo delle Case Popolari (già I.A.C.P.), fosse ammissibile affidare l'amministrazione degli stessi a soggetto diverso dall'istituto prima del formale trasferimento in proprietà degli alloggi agli assegnatari.

La legge di riforma n. 220 del 2012 ha esteso l'obbligatorietà della nomina dell'amministratore a due nuove ipotesi di realtà immobiliari costituite dagli edifici di edilizia popolare ed economica, realizzati o recuperati da enti pubblici a totale partecipazione pubblica o con il concorso dello Stato, delle regioni, delle province o dei comuni, e da quelli realizzati da enti pubblici non economici o società private senza scopo di lucro con finalità sociali proprie dell'edilizia residenziale pubblica.

Determinanti, per la modifica intervenuta nel 2012, sono state le reiterate pronunce della giurisprudenza, che hanno spinto il legislatore ad adottare una norma dalla quale gli assegnatari, ma non ancora proprietari di immobili appartenenti all'Istituto, non potevano che trarre maggior tutela.

In effetti, nel passato, la Corte di Cassazione aveva riconosciuto validità ad un accordo tra tutti gli interessati (ente proprietario ed inquilini), adottato anche senza particolari formalità, per effetto del quale la gestione relativa all'uso ed al godimento delle cose comuni veniva trasferito ad apposito condominio di gestione con contestuale cessazione dell'amministrazione da parte dell'ente proprietario dell'edificio. Tale accordo determinava una diversa situazione giuridica nella quale il condominio di gestione, costituito tra gli assegnatari di alloggi popolari, prima del trasferimento della proprietà degli alloggi medesimi, poteva essere equiparato al condominio degli edifici, permettendo di attribuire allo stesso condominio di gestione, e per esso al suo amministratore, la legitimatio ad causam per tutte le vicende relative alla regolamentazione della gestione delle cose comuni ed al recupero delle quote per la partecipazione al godimento dei servizi comuni (Cass. II, n. 9644/2006; Cass. II, n. 3249/1998; Cass. II, n. 6102/1993).

Quindi, a seguito del trasferimento della gestione si verificava un cambiamento dal lato attivo del rapporto obbligatorio, in quanto all'ente originariamente legittimato a richiedere il pagamento delle quote si sostituiva l'amministratore del condominio di gestione. Dal lato passivo, invece, non si verificava alcun mutamento, giacché lo stesso soggetto, ossia l'inquilino, che, prima del cambiamento della gestione era obbligato a pagare all'ente, con la costituzione del condominio di gestione assumeva ogni obbligo nei confronti di quest'ultimo (De Renzis in De Renzis-Ferrari-Nicoletti-Redivo, 474).

Va, tuttavia, rilevato che con recente giurisprudenza di merito è stato affermato che agli alloggi di edilizia residenziale pubblica, non può applicarsi la disciplina per l'amministrazione di condominii negli edifici quando manchi la pluralità di condomini, cioè dei proprietari dei singoli appartamenti, e ciò per essere l'intero stabile di proprietà dell'ente pubblico (App. Lecce 14 luglio 2016).

Dal complesso di tali rilievi appare corretto ritenere che quando l'immobile appartiene per l'intero all'ente pubblico, più che parlarsi di «condominio di gestione» sarebbe più corretto fare riferimento ad «ente di gestione» che amministra, tramite soggetto non appartenente all'ente stesso, tutte le parti ed i servizi comuni. Ente che si dovrebbe formare tramite il consenso delle parti. In tale ipotesi, infatti, non si rientra tecnicamente nella nozione di condominio, che si costituisce nel momento in cui avviene il primo trasferimento di proprietà. Qualora, invece, il condominio si fosse già formato in seguito all'alienazione di una o più unità immobiliari, allora si applicherebbe per intero la disciplina del condominio.

Quanto alla seconda ipotesi contemplata dall'ultimo comma dell'art. 1129 c.c., che è quella delle società private senza scopo di lucro con finalità sociali proprie dell'edilizia residenziale pubblica ovvero le cooperative edilizie a contributo erariale si può parlare di vero e proprio condominio solo dopo la stipulazione dei mutui individuali.

Secondo la dottrina corrente, l'assoggettamento dell'assegnatario dell'alloggio ai poteri autoritativi dell'ente concedente si interrompe in tale momento e, con l'acquisto in proprietà dei singoli alloggi si viene a determinare il rapporto di condominio tra gli assegnatari acquirenti che consente l'applicabilità dell'art. 1129 c.c. (Celeste–Scarpa, 41).

In tema di cooperative edilizie a contributo erariale la stipula del mutuo individuale – determinando l'acquisto della proprietà dell'alloggio da parte del socio assegnatario, che assume la qualità di semplice mutuatario dell'ente erogatore del mutuo – comporta la nascita del condominio fra gli assegnatari acquirenti, atteso che l'edificio passa dal regime di proprietà indivisa a quello di proprietà frazionata; spetta, pertanto, al condominio, in persona dell'amministratore, il diritto-dovere di esigere, anche in sede contenziosa, i contributi dovuti dagli ex assegnatari (Cass. II, n. 17031/2006).

Maggiormente esplicativa, circa la nascita del condominio, è altra decisione di legittimità nella quale si legge che il trasferimento di proprietà dell'immobile a seguito dell'assegnazione da parte della cooperativa costruttrice è subordinata al frazionamento del mutuo (art. 229 r.d. 28 aprile 1938, n. 1165), ma non implica l'estinzione del mutuo frazionato, che è condizione per il riscatto dell'immobile e per la costituzione del condominio ordinario (Cass. II, n. 11264/2012).

In passato, peraltro, con risalente decisione, era stato ancora rilevato che se la cooperativa edilizia ha costruito un edificio, assegnando ai soci singoli appartamenti ma trasferendone la proprietà solo ad alcuni di essi, la cooperativa (e non i singoli assegnatari) è legittimata a partecipare al condominio nel frattempo costituitosi ed alle relative assemblee condominiali (Cass. II, n. 447/1982).

L'amministratore persona fisica

Fino all'entrata in vigore delle nuove norme in materia di condominio non esistevano limiti in merito allo svolgimento dell'attività dell'amministratore, che poteva essere affidato a qualsivoglia soggetto fisico, né erano state previste disposizioni di carattere impositivo, con conseguenze sanzionatorie, che fissassero le caratteristiche personali di colui al quale fosse delegata la gestione di un condominio. Ciò che contava, quindi, era che il soggetto fosse dotato delle minime competenze e qualità professionali che garantissero efficienza e correttezza nell'espletamento dell'incarico.

L'unico dibattito aperto concerneva la circostanza se l'amministrazione potesse essere assegnata ad un soggetto giuridico. Con la riforma questo secondo aspetto è stato definitivamente risolto con espressa previsione del codice civile.

Il comma 1 dell'art. 1129 c.c. ha continuato ad essere generico in merito all'individuazione di chi debba essere l'amministratore, avendo il testo della norma indicato solo che il condominio costituito da un minimo di nove partecipanti deve nominare un amministratore. Questi, dunque, sarà una persona fisica che, oggi, deve presentare i requisiti previsti dall'art. 71-bis disp. att. c.c. non più solo a garanzia di quella sommaria professionalità e competenza che, in passato, veniva ritenuta compresa nell'ambito della ben più vasta diligenza del bonus pater familias, ma tali da assicurare rettitudine, morale e civile, della persona prescelta per tale incarico.

È stato affermato che, una volta definitivamente inquadrato il rapporto amministratore/condominio nell'ambito del mandato, l'esame e la valutazione delle qualità professionali, culturali e deontologiche dell'amministratore sono sempre una prerogativa dell'assemblea, che opererà la scelta sulla base degli elementi obbligatoriamente forniti dal soggetto (Lazzaro, 316). Con la precisazione che un'eventuale responsabilità per colpa dovrebbe essere valutata con minore rigore se l'incarico fosse svolto gratuitamente, anche tenendo presente che le parti hanno il dovere, durante lo svolgimento del mandato, di comportarsi secondo il principio della buona fede che ispira tutta la disciplina contrattuale (art. 1375 c.c.). Nello specifico, infatti, nell'ambito dei rapporti condominio-amministratore tale principio si estrinseca nella necessità di legittima collaborazione (De Renzis, 455). Deontologia corrisponde a trasparenza, per cui l’amministratore che voglia concludere un contratto con sé stesso deve dare preliminare, chiara e dettagliata informativa al suo rappresentato, il condominio, delineando l’oggetto del contratto, il prezzo, ecc. e acquisendo consequenzialmente la delibera relativa alla stipula (GALLUCCI,2020).

Sicuramente un condomino può assumere la carica di amministratore del proprio condominio. Non vi sono preclusioni in questo senso, visto che implicitamente è prevista questa possibilità dal secondo comma dell'art. 71-bis disp. att. c.c., là dove i condomini sono esclusi dalla necessità di essere portatori di due specifici requisiti: diploma di scuola secondaria e frequentazione di corso di formazione iniziale e periodica.

Una questione che dovrebbe sconsigliare questa scelta va individuata nel conflitto di interessi che si potrebbe verificare rispetto a determinate decisioni assembleari. Tale eventualità, da valutare in concreto, non determina una valida ragione per escludere a priori che un condomino ricopra la carica di amministratore. In tal caso sarebbe sufficiente l'astensione del condomino/amministratore nella votazione.

Secondo la giurisprudenza non sussiste di per sé un conflitto di interessi quando, nello stesso soggetto, coincidano le posizioni di condomino di maggioranza, di amministratore del condominio e di gestore dell'impresa ivi esercitata, non determinando tale situazione, caratterizzata dalla compresenza di distinti rapporti, una sicura incompatibilità con gli interessi degli altri condomini alla corretta amministrazione del condominio (Cass. II, n. 13011/2013).

Il conflitto di interessi che la legge, a determinate condizioni, prende in considerazione come causa di annullamento della delibera assembleare è quello rinvenibile tra coloro che, partecipando al voto, concorrono alla formazione della volontà collettiva, laddove l’amministratore di condominio presenzia ma non partecipa all’assemblea e non ha diritto di voto, a meno che sia egli stesso condomino. Per far valere tale circostanza è quindi necessario dimostrare  l'influenza che l’amministratore avrebbe esercitato sui votanti al fine di orientarne le scelte (Cass. II, n. 12377/2023. Nella fattispecie l'amministratore era socio ed amministratore unico della società aggiudicataria dei lavori). 

Allo stesso modo, la Suprema Corte (con riferimento alla normativa anteriore all'entrata in vigore della novella del 2012, che non prevedeva il divieto dell'amministratore di assumere deleghe) ha ritenuto che senza alcuna indagine non è possibile estendere automaticamente il conflitto di interessi al caso in cui il condomino-amministratore era stato delegato da alcuni condomini ad esprimere la loro volontà in ordine alla nomina dell'amministratore. La situazione configgente, invece, doveva essere accertata in concreto, nel senso che il delegante non era a conoscenza di detto conflitto (Cass. II, n. 22234/2004).

L'amministratore persona giuridica

La gestione di complessi immobiliari di notevoli dimensioni, costituiti da molti edifici e con numero elevato di condòmini, viene di frequente affidata a società di gestioni immobiliari che hanno un'organizzazione interna, di mezzi e persone, tale da garantire un servizio efficiente e funzionale. In questo senso il codice precedente alla riforma nulla stabiliva in merito, affermando solo che il condominio formato da un certo numero di partecipanti dovesse avere un amministratore, senza precisare se persona fisica o giuridica (società di persone o di capitali). L'alterno dibattito dottrinale e giurisprudenziale è stato composto con la riforma del 2012, allorché la persona giuridica è stata riconosciuta come soggetto legittimato a gestire il condominio, purché i suoi organi siano dotati degli stessi requisiti richiesti per le persone fisiche, come previsto dall'art. 71-bis, comma 3, disp. att. c.c.

Coloro che negavano questa possibilità argomentavano che il rapporto amministratore/condominio è caratterizzato tanto dall'intuitus personae, quanto dal principio della responsabilità (contrattuale, extracontrattuale, penale ed amministrativa), che si configura a carico del primo nel momento in cui egli, con il mancato rispetto delle norme vigenti ponga in essere atti lesivi o svantaggiosi per il condominio. Veniva, infatti, osservato che, essendo la responsabilità elemento di carattere personale, ben difficilmente poteva essere addebitata al legale rappresentante di una persona giuridica, ovvero ai componenti di uno studio associato (Triola, 2846). Per contro chi appoggiava una soluzione positiva osservava che la normativa civilistica non faceva emergere incompatibilità in questo senso, tanto più che l'art. 1105 c.c. consente indistintamente a tutti i partecipanti alla comunione (e del condominio in forza del rinvio operato dall'art. 1139 c.c.) di concorrere all'amministrazione del bene comune (De Renzis, 466; Rezzonico, 3).

Anche la giurisprudenza è stata per molto tempo oscillante tra due opposti orientamenti. A nostra memoria storica dobbiamo ricordare che, nel senso di una soluzione positiva della questione, come poi è stata recepita dal legislatore del 2012, era stato affermato che la persona giuridica offre un grado di affidabilità pari a quello della persona fisica (Cass. II, n. 1406/2007; Cass. II, n. 22840/2006: ipotesi relativa a società di capitali). In risalente decisione, inoltre, la Suprema Corte si era spinta ben oltre, affermando la possibilità di affidare la gestione del condominio ad una pluralità di amministratori, dal momento che le norme del codice civile in materia non escludono una tale scelta, anche considerato che l'applicabilità dell'art. 1106 c.c. – norma tipica della comunione – per un'esigenza di tutela degli interessi dei comproprietari e di razionalizzazione delle amministrazioni particolarmente complesse, comune anche al condominio negli edifici, espressamente consente la delega per l'amministrazione della cosa comune ad uno o più partecipanti od anche ad un estraneo. Da ciò la possibilità di affidare la conduzione del condominio anche ad una società di fatto, in cui la disciplina del potere di amministrazione come derivante da un rapporto di mandato in materia societaria presenta un notevole parallelismo con il contenuto dell'art. 1131 c.c. In effetti, ad avviso della Corte, la possibilità di inserire nuovi soci nelle società di persone non è incompatibile con il carattere personale del mandato conferito all'amministratore dall'assemblea dei condomini, dato che, come nel caso di nomina dell'amministratore unico, l'intuitus personae risiede nella originaria scelta del mandatario e che l'ingresso di nuovi soci non riduce, ma semmai accresce, la garanzia per i condomini (Cass. II, n. 11155/1994). In virtù del tenore letterale dell’art. 71 bis disp.att.c.c., comma 3, quando l’incarico di amministratore sia stato affidato ad una società a responsabilità limitata, l’obbligo di possedere tutti i requisiti (onorabilità, istruzione, professionalità) per poter esercitare l’attività di amministratore di condominio, ricade esclusivamente su colui che è stato effettivamente incaricato di svolgere l’attività di gestione e non anche in capo agli altri soci (App. Milano 4 febbraio 2021, n. 392. Annotata da Nicola, 2021).

L’incarico di amministratore di condominio può essere anche assunto da parte di una società cooperativa (Trib. Gorizia 28 novembre 2016).

Nella più recente giurisprudenza di merito, infine, è stato ritenuto che quando l'incarico di amministratore sia stato affidato ad una società, come consentito definitivamente dalla l. n. 220/2012, la legittimazione passiva all'azione sussiste non nei confronti dell'amministratore personalmente ma a questi in quanto legale della società, trattandosi di soggetti nettamente distinti (Trib. Roma 9 dicembre 2016).

Amministratore di fatto ed amministratore per il riscaldamento

A latere della figura dell'amministratore condominiale, legislativamente riconosciuto e disciplinato dagli artt. 1129 ss. c.c., si possono configurare all'interno del condominio altre figure atipiche che si occupano di alcuni aspetti della gestione dei beni comuni, agendo di concerto e con il consenso dei singoli partecipanti. Ciò avviene sia nelle situazioni nelle quali la nomina dell'amministratore non è obbligatoria (caso tipico: il piccolo condominio costituito da un ridotto numero di condomini), sia allorché si voglia delegare un determinato soggetto alla cura di particolari aspetti della vita condominiale, sia ancora quando l'amministratore, in definite circostanze, venga sostituito da altro soggetto.

Nel piccolo condominio, oltre alla possibilità di avere un amministratore nel senso voluto dal legislatore, i condomini, non riuniti in forma assembleare, con scelta del tutto facoltativa, possono nominare il c.d. amministratore di fatto, allorché non riuscendo ad affidare l'incarico amministrativo con le classiche formalità di legge, i proprietari decidano di seguire un percorso del tutto informale. Per prassi accade che la cura e la gestione dello stabile sia assunta da persona che si occupi di questioni relativamente importanti ma che, in ogni caso, richiedono sempre una minima attività amministrativa. In questo senso l'amministratore di fatto, per coprire il vuoto gestionale, potrà predisporre preventivi e consuntivi, in forma molto semplificata, con conseguente riscossione degli importi, nonché occuparsi dei vari servizi. L'amministratore di fatto potrebbe coincidere anche con l'amministratore turnario presente sempre nei piccoli condomini ove i partecipanti, gratuitamente, assumono a rotazione l'incarico di gestire l'ente. In tali casi, ovviamente, non vi è alcun obbligo di assumere incarichi che richiedano competenze specifiche.

È stato precisato che se l'attività svolta dall'amministratore di fatto potrebbe non divergere da quella svolta dall'amministratore ordinario le due figure, comunque, sono differenti. Nel caso in esame, caratterizzato dalla circostanza che l'incarico ha un'origine extra-assembleare, i rapporti sono tenuti con i condomini personalmente, il ché non esclude una ricaduta dei suoi effetti nei rapporti verso i terzi. In tal senso, pertanto, un amministratore di fatto non potrà mai procedere al recupero forzoso dei crediti del condominio, così come non potrà promuovere alcun tipo di giudizio con le modalità previste dal codice civile. È stato, altresì, osservato che anche per questa particolare figura si può parlare, in linea di massima, di mandato in forma per lo più tacita che si desume da elementi presuntivi da valutare con riferimento al comportamento tenuto dalle parti verso l'interno e l'esterno. Si tratterebbe, nella specie, di un mandato individuale e non collettivo, dal momento che chi non accetta tale gestione si pone al di fuori di ogni rapporto con l'amministratore di fatto, non assumendo alcun obbligo per l'attività da questi compiuta. Evidente, peraltro, che nel momento in cui sorga un conflitto chi vorrà aprire un contenzioso verso il condominio privo di amministratore dovrà chiedere giudizialmente la nomina di un curatore speciale (Bucci-Nicoletti-Redivo, 6).

La giurisprudenza di merito ha precisato che l'amministratore di fatto sussiste solo nel caso in cui un condominio sia privo di amministratore ordinario e non quando questo sia stato revocato, puntualizzando che il primo, riconosciuto come figura atipica del condominio, condomino o terzo estraneo che sia, agisce con il consenso o la mancata opposizione dei condomini in assenza di investitura formale. Inoltre, allorché l'amministratore revocato sia stato una società, è a carico dell'attore l'onere della prova che il soggetto abbia agito in proprio e non per conto della stessa società amministratrice (Trib. Roma 13 aprile 2017).

Si è affermato che, indipendentemente da una investitura formale da parte dell'assemblea, può essere considerato amministratore del condominio colui a cui i condomini abbiano conferito l'incarico per l'espletamento delle relative funzioni. Del resto l'art. 1129, comma 6, c.c., il quale prevede la figura della persona che svolge funzioni analoghe a quelle dell'amministratore, ha riconosciuto la possibilità che il condominio possa essere gestito anche da un soggetto sprovvisto di nomina formale (Trib. Salerno 11 agosto 2022, n. 2808). Da un punto di vista strettamente analogico, inoltre, il riconoscimento della figura dell'amministratore c.d. di fatto, ben può essere mutuata dal diritto societario, nella cui materia trova ingresso esplicitamente nel caso in cui l'ingerenza nella gestione della società manifesti i caratteri della semplicità e della completezza (Cass. I, n.  21730/2020).

Altra figura non prevista dalla legge, ma presente in alcuni condominii, è l'amministratore del riscaldamento deputato solo alla gestione ordinaria e straordinaria di questo servizio, che può essere svolta anche da soggetto autonomo. L'attribuzione di un incarico separato può trovare la sua ragione in quei condominii di grandi dimensioni, costituiti da più palazzine che hanno in comune una complessa centrale termica. Anche se l'art. 1129, comma 1, c.c. parla di un amministratore che si occupa della gestione di beni e servizi comuni, non si vede perché l'amministratore del riscaldamento debba essere escluso dal novero degli amministratori, con tutte le conseguenze in ordine all'applicabilità delle relative norme. Tanto più che la gestione del servizio di riscaldamento richiede bilanci separati e ripartizioni di spese differenti, in quanto calcolate sulla base di apposite tabelle millesimali.

Trattasi di figura non incompatibile con il piccolo condominio, poiché i partecipanti potrebbero decidere di non nominare un amministratore nel senso voluto dagli artt. 1129 ss. c.c. ma di trovare una persona che assuma obblighi e responsabilità per un servizio delicato come quello inerente alla gestione del riscaldamento centralizzato.

Sul punto, in risalente giurisprudenza che non consta essersi più pronunciata in argomento, era stato affermato che quando, in relazione al numero degli appartamenti, non sia stato nominato un amministratore del condominio, il titolare dell'incarico che svolga alcune delle funzioni attribuite dalla legge all'amministratore – come appunto la gestione dell'impianto di riscaldamento per una stagione invernale – può agire nei confronti dei condomini per il recupero delle somme anticipate sulla base dell'instaurato rapporto di mandato. La Corte, che si era pronunciata in tempo in cui si parlava ancora dell'incarico affidato all'amministratore solo come assimilabile a quello derivante dal mandato, aveva ritenuto non sussistente il vizio di ultrapetizione qualora la somma fosse stata richiesta dall'attore a titolo di amministratore del condominio (Cass. II, n. 6115/1981).

Il sostituto dell'amministratore

Se l'amministratore è oggi equiparato al mandatario del condominio, allora dovrebbe ammettersi anche la possibilità che vi sia un sostituto dell'amministratore, che svolga le funzioni proprie dell'organo di gestione al posto di colui che sia il titolare dell'incarico. In tal caso anche in sede condominiale si applicherebbe l'art. 1717 c.c., secondo il quale il mandatario non può sostituire a sé stesso altro soggetto se non sia autorizzato dal mandante o senza che ciò sia necessario per la natura dell'incarico, rispondendo esso stesso dell'operato della persona sostituita (comma 1). Il mandante, tuttavia, potrebbe acconsentire alla sostituzione senza indicare la persona. In questo caso la responsabilità del mandatario si limiterebbe alla culpa in eligendo (comma 2). Ammessa la sostituzione in questi termini il sostituto verrebbe ad essere un mandatario dell'amministratore dal quale deve essere retribuito.

L'indicazione del sostituto può avvenire anche nella delibera assembleare di nomina dell’amministratore. In tal modo, essendo il nominativo prescelto direttamente dai condomini, l’amministratore è esente da ogni responsabilità (Ferrari, 2019).

La figura, in realtà, è ancora oggi nebulosa perché ignorata dalla disciplina del codice civile anche se alcuni autori, pur con riserva, la riconoscono nel testo dell'art. 71-bis, comma 3, disp. att. c.c. là dove, con riferimento alle società che hanno assunto il mandato di amministratore condominiale, è stato imposto che i componenti della società, gli amministratori ed i dipendenti che tale incarico svolgeranno dovranno essere dotati di tutti i requisiti indicati nella stessa norma. Vi sono dubbi se il dettato di cui all'art. 71-bis disp. att. c.c. si debba esaurire all'interno della fattispecie della persona giuridica oppure se possa configurare quell'ipotesi di sostituzione non presa in considerazione dal legislatore. Ulteriori incertezze si pongono in merito all'estensione dell'art. 1129, comma 6, c.c. all'ipotesi del sostituto dell'amministratore, avendo il legislatore apparentemente delimitato il campo di azione della norma al caso di mancanza dell'amministratore stesso.

Parte della dottrina, antecedente all'entrata in vigore della novella legislativa, anche se l'amministratore veniva già assimilato al mandatario e pur ribadendo la natura fiduciaria del rapporto con l'assemblea, escludeva la possibilità di una sostituzione in forma permanente e per tutte le funzioni dell'amministratore, né veniva ignorata l'ipotesi in cui fosse stato il regolamento di condominio ad imporre tale divieto (De Renzis, 464). Così come, sempre facendo leva sull'intuitus personae che lega il legale rappresentante dell'Ente ai condomini, era stato escluso che le funzioni dell'ufficio di amministratore potessero essere delegate ad un terzo soggetto non prescelto dall'assemblea ed a questa estraneo (Cianci, 5).

Secondo un recente indirizzo dottrinale, riferito all'ipotesi di convocazione dell'assemblea da parte di soggetto non legittimato in quanto estraneo al condominio (e nel quale si può individuare il sostituto non autorizzato), si è affermato che si arriverebbe ad ammettere che chiunque, privo di qualsivoglia potere, potrebbe ingerirsi nella gestione della cosa altrui (Andrighetti Formaggini, 492).

Si è, altresì, differenziato tra mancanza occasionale ed istituzionale dell'amministratore. La prima si riferirebbe ad ipotesi contingenti (ad esempio, malattia, ferie, ecc.), nelle quali l'amministratore può nominare un proprio incaricato (come un impiegato dello studio) che lo sostituisca temporaneamente ed il cui nominativo, ai fini della reperibilità, dovrà essere indicato in bacheca. La seconda ipotesi, invece, sarebbe quella contemplata nell'art. 1129, sesto comma, c.c. che corrisponderebbe al caso dell'amministratore di fatto (Lazzaro, 380).

Come già anticipato, la giurisprudenza di legittimità (Cass. II, n. 8339/2014) ha ammesso la sostituzione dell'amministratore in presenza di assenso dell'assemblea, con la conseguente applicabilità dell'art. 1717, comma 1, c.c., con ciò confermando il precedente orientamento espresso con riferimento al mandato in generale (Cass. II, n. 18512/2006).

Nel merito è stato anche affermato che l'amministratore può nominare un caposcala per la riscossione degli oneri condominiali ed i pagamenti concernenti i consumi dell'acqua. Nulla vieta, infatti, che l'amministratore, nell'esercizio del suo mandato, si faccia assistere e coadiuvare da altro soggetto che assume, per determinate specifiche attività, la funzione di sostituto. Il caposcala può essere scelto direttamente dall'assemblea o dai condomini ed il soggetto che lo ha nominato risponde dell'operato dello stesso sostituto (App. Lecce 13 aprile 2015).

Pluralità di amministratori

Si è posta la questione se un condominio possa avere più amministratori che svolgano pari funzioni. L'art. 1129 c.c., norma inderogabile, al comma 1 testualmente stabilisce che quando i condòmini sono più di otto deve essere nominato un amministratore. Da una interpretazione strettamente letterale della norma emergerebbe che l'amministratore, inteso come persona fisica, non può che essere uno solo. Diversamente il legislatore avrebbe sostituito il termine «un amministratore» con «l'amministratore». Non si tratterebbe, quindi, di una disattenzione lessicale, ma di una precisa volontà di limitare la presenza nel condominio ad un solo rappresentante.

Si sarebbe confortati in tale interpretazione anche dal fatto che, nel caso in esame, non sembra possibile richiamare l'art. 1106, comma 2, c.c. che, dettato per la comunione ma applicabile anche al condominio in quanto compatibile, prevede che l'amministrazione della comunione può essere affidata ad uno o più partecipanti, con determinazione dei poteri e doveri dell'amministratore medesimo. Nella specie, infatti, non si vede il motivo di ricorrere alle norme sulla comunione, avendo l'art. 1129 c.c. definito con chiarezza quando il condominio deve essere affidato alla gestione di un amministratore.

Dubbi sorgono anche con riferimento all'applicabilità al caso concreto dell'art. 1716 c.c., che disciplina l'ipotesi di conferimento del mandato a più mandatari ed alle conseguenti responsabilità di questi nei confronti del mandante. In ambito condominiale, infatti, proprio tenendo conto della complessità delle attribuzioni ora poste a carico dell'amministratore, affidare con un solo mandato la gestione dell'Ente a due o più soggetti potrebbe creare concreti problemi di sovrapposizione degli stessi, con conseguenti effetti di scarico di responsabilità.

Va, peraltro, considerato che nel dibattito che in questi anni ha riguardato il dualismo amministratore persona fisica o giuridica, la problematica si è incentrata, dal punto di vista soggettivo, sull'unitarietà dell'incarico e non sulla frammentazione dello stesso.

Di segno contrario parte di risalente dottrina (Salis, 279), secondo la quale in alcune situazioni di particolare complessità potrebbe essere configurabile una sorta di coamministrazione con differenti attribuzioni di compiti. Nel senso, invece, dell'unitarietà dell'incarico si era argomentato che l'amministratore deriva i suoi poteri dalla legge e che l'assemblea non potrebbe ridurli e dividerli, attribuendone una parte ad uno ed una parte ad altro amministratore. Precisando, tuttavia, che l'unità del conferimento dell'incarico potrebbe essere salvaguardata distribuendo i poteri tra più soggetti, ma attribuendo tra di essi la rappresentanza intera ad uno solo (Dogliotti — Figone, 380). La terminologia utilizzata dal legislatore nell'art. 1129 c.c., invece, non sarebbe da attribuire ad una specifica volontà delimitativa del problema, ma lascerebbe spazi per attribuire, al termine «un» un significato numerico piuttosto che di articolo indeterminato (Raschi, 708). Decisamente favorevole alla presenza di più amministratori altra dottrina, che ha richiamato la struttura del supercondominio recepita nel codice dalla novella del 2012 (Cassano, 161).

La giurisprudenza di merito, con datata sentenza, si era pronunciata per la nullità della delibera assembleare che avesse affidato l'incarico a più amministratori, in quanto in contrasto con il dettato dell'art. 1129 c.c. (Trib. Milano 15 marzo 1990), mentre il punto di riferimento per chi sia favorevole all'ipotesi della pluralità di amministratori nel condominio è dato dalla sentenza con la quale era stata riconosciuta validità all'affidamento del mandato a società di fatto (Cass. II, n. 11155/1994: nel caso di specie si trattava di uno studio professionale in forma di società semplice). Quanto alla sollevata violazione del principio dell'intuitus personae, la Corte aveva rilevato che la limitazione delle funzioni dell'amministratore del condominio alle sole cose comuni, il controllo esercitato dall'assemblea condominiale sull'operato dello stesso, con la possibilità di intervenire sui suoi provvedimenti; la possibilità di revoca dell'amministratore, attenuano la rilevanza del problema. Così come anche in tema di responsabilità penale non vi sarebbero problemi, poiché operando i due soggetti disgiuntamente nella veste di amministratori del condominio, ciascuno di essi sarebbe personalmente responsabile verso l'Ente.

La nomina assembleare

Alla nomina dell'amministratore provvede, obbligatoriamente, l'assemblea con il quorum previsto dall'art. 1136, comma 4, c.c., pari ad un numero di voti che rappresenti la maggioranza degli intervenuti ed almeno la metà del valore dell'edificio.

Nel caso in cui un immobile sia oggetto di usufrutto, riguardando la nomina dell'amministratore un atto di ordinaria amministrazione, alla votazione dovrà partecipare l'usufruttuario il quale, dopo l'entrata in vigore della legge di riforma, deve essere formalmente convocato per esercitare il diritto di voto negli affari che attengono alla corrente amministrazione ed al semplice godimento delle cose e dei servizi comuni (art. 67, comma 6, disp. att. c.c.). Mentre il conduttore non ha diritto di partecipare al voto su tale argomento.

Per procedere alla nomina dell'amministratore, secondo il dettato previsto dall'art. 1129, comma 1, c.c., è sufficiente che il condominio si sia costituito e ciò avviene, pacificamente, con la prima vendita di una unità immobiliare a soggetto diverso dal costruttore. Non rileva, infatti, in senso contrario la circostanza che non sia ancora rilasciato il certificato di agibilità dei singoli appartamenti, poiché il condominio esiste a prescindere, con la conseguente applicabilità delle norme ad esso relative, delle quali la nomina dell'amministratore, l'approvazione del regolamento e la determinazione delle quote millesimali rappresentano solo strumenti per la gestione degli interessi comuni e l'osservanza degli obblighi connessi al preesistente rapporto di comunione., che di essi costituisce la fonte primaria.

Dalla nuova normativa si desume che la nomina deve risultare da atto scritto e che l'accettazione va riferita all'assemblea e non all'amministratore.

Nell'ipotesi di impugnativa di delibera assembleare di nomina dell'amministratore per mancanza del relativo quorum e di eccezione di inefficacia della stessa delibera in assenza di accettazione da parte dell'amministratore il giudice del merito ha ribadito che l'assunzione dell'incarico non prevede per la sua efficacia l'accettazione da parte dell'amministratore, sicché gli effetti della nomina ed il conferimento dell'incarico con relativi poteri gestori originano con la delibera di nomina e non dal momento dell'accettazione del nuovo amministratore (Trib. Roma 17 marzo 2017).

Con riferimento a fattispecie di nomina avvenuta prima dell'entrata in vigore della legge del 2012 la giurisprudenza aveva ritenuto applicabile l'art. 1392 c.c., sicché, salvo la prescrizione di forme particolari e solenni per il contratto che il rappresentante doveva concludere, la procura di conferimento del potere di rappresentanza poteva essere verbale o tacita, e risultare, indipendentemente dalla formale investitura assembleare e dall'annotazione nello speciale registro di cui all'art. 1129 c.c., dal comportamento concludente dei condomini, che avessero considerato l'amministratore tale a tutti gli effetti, rivolgendosi a lui abitualmente in detta veste, senza metterne in discussione i poteri di gestione e di rappresentanza del condominio (Cass. II, n. 2242/2016).

Quanto ai voti necessari per una delibera valida si può parlare, nella specie, di una sorta di maggioranza bloccata, nel senso che per il quorum richiesto non vi sono differenze tra l'assemblea riunita in prima e quella in seconda convocazione, restando lo stesso fissato in entrambi i contesti a quanto disposto dal legislatore nel secondo comma. Segnale che la nomina dell'amministratore è stata reputata questione di rilevante importanza e, quindi, da assumere con un numero di voti più rappresentativo della volontà dei condomini. E questo è stato fatto anche per altre deliberazioni che richiedono, necessariamente, un più ampio consenso come la revoca dell'amministratore; la partecipazione dell'amministratore a contenziosi che esorbitino dalle sue attribuzioni; le delibere concernenti la ricostruzione dell'edificio o riparazioni straordinarie di notevole entità; le deliberazioni attinenti alla tutela delle destinazioni d'uso; le delibere aventi ad oggetto le innovazioni di particolare rilevanza ma non tali da richiedere una maggioranza qualificata; le decisioni relative all'installazione degli impianti di videosorveglianza nonché quelle che riguardano l'autorizzazione conferita all'amministratore a partecipare e collaborare a programmi e iniziative territoriali ai fini del recupero del patrimonio edilizio esistente.

La nomina dell'amministratore, deve essere preceduta da una fase preparatoria che si riferisce alla scelta del soggetto cui affidare l'incarico e che presuppone l'esame, da parte dei condomini, di preventivi provenienti dai canditati presentati dai condomini stessi. Le varie proposte saranno portate in sede assembleare e prese in considerazione solo se il soggetto interessato abbia tutti i requisiti richiesti dalla legge per assumere l'incarico (art. 71-bis disp. att. c.c.) e non si venga a trovare in una posizione di incompatibilità come previsto da norme di legge.

Incarico affidato ad avvocato, pubblico impiegato o agente immobiliare

La professione di avvocato è incompatibile con determinate attività che sono state individuate dalla nuova disciplina dell'ordinamento della professione forense (l. n. 247 del 2012, art. 18). Nello specifico si tratta delle attività di lavoro autonomo svolte in modo continuativo e professionale (salvo espresse deroghe); delle attività di impresa commerciale esercitata in nome proprio o in nome o per conto altrui; della posizione di socio illimitatamente responsabile o di amministratore di società di persone, aventi quale finalità l'esercizio di impresa commerciale in qualunque forma costituite ed, infine, dell'attività di lavoro subordinato anche se svolta con orario di lavoro limitato.

In conseguenza di tali limiti era sorto il problema se l'avvocato potesse assumere incarico/i di amministratore del condominio, visto che questi è un lavoratore autonomo che svolge, o può svolgere, l'attività in modo continuativo e professionale.

Dopo un primo orientamento decisamente negativo, espresso dal massimo organo dell'avvocatura (CNF), seguito da opinioni contrastanti, si è pervenuti ad affermare in modo definitivo che non vi sono ostacoli a che l'assemblea si determini di affidare l'incarico di amministratore ad un avvocato. Il consiglio nazionale forense, infatti, con parere interpretativo in data 20 febbraio 2013, aveva chiarito che l'attività di amministratore di condominio configura l'esercizio di un mandato con rappresentanza conferito da persone fisiche e consistente nel compimento di un'attività giuridica per conto ed eventualmente in modo altrui, che è esattamente uno dei possibili modi di svolgimento dell'attività professionale forense, sicché la circostanza che essa si svolga con continuità non aggiunge né toglie nulla alla sua legittimità di fondo quale espressione, appunto, di esercizio della professione. Ed a questo proposito veniva evidenziato che neppure la legge di riforma del condominio ha innovato la figura dell'amministratore, perché se ne ha ampliato sotto certi profili poteri, doveri e responsabilità, non ha trasformato l'attività gestionale in professione regolamentata, come confermato dal fatto che per il rappresentante del condominio non è stato istituito né un albo, né uno specifico registro degli amministratori di condominio.

Di poco precedente al definitivo parere interpretativo del consiglio nazionale forense sono le corrette argomentazioni di parte della dottrina in merito alla insussistenza di incompatibilità tra incarico di amministratore condominiale ed avvocato, ovvero: l'ufficio dell'amministratore è di breve durata, quindi occasionale, come risulta dall'art. 1129, comma 2, c.c.; l'amministratore ha solo una rappresentanza ex mandato dei vari condòmini per i quali svolge prevalentemente attività di gestione che esclude qualsiasi vincolo si subordinazione tra mandante e mandatario (Tamburrino, 365).

È stato, poi, osservato che il legale/amministratore non potrà rappresentare e difendere in tale veste il condominio in un giudizio in cui sia parte un condomino, ostandovi un evidente problema di correttezza deontologica. L'amministratore/avvocato, infatti, si verrebbe a trovare in un palese conflitto di interessi, in quanto rappresentante di tutti i partecipanti al condominio, ivi compreso il condomino contraddittore. Ugualmente, anche se nella fattispecie non è configurabile un conflitto di interessi, non sembra opportuno che il soggetto in questione difenda il condominio neppure verso i terzi (appaltatori, fornitori di beni o servizi, ecc.) perché vi sarebbe uno sdoppiamento di attività in seno ad un unico soggetto. Soprattutto in caso di esito negativo per il condominio della controversia. Mentre non si appalesano preclusioni nel momento in cui l'amministratore assista il condominio nella veste di legale per questioni stragiudiziali, poiché in tale ipotesi non sarebbe direttamente coinvolto in controversie che potrebbero gettare ombre sul suo operato (Redivo, 6).

Le fonti normative di riferimento per individuare se sussista una incompatibilità tra la carica di amministratore di condominio e l'attività di dipendente pubblico, vanno individuate nel testo unico sul pubblico impiego (d.lgs. n. 165/2001, art. 53 e successive modificazioni) e nel testo unico delle disposizioni concernenti lo statuto degli impiegati civili dello Stato (d.P.R. n. 3/1957, come richiamato nello stesso decreto legislativo).

Secondo la normativa vigente il pubblico dipendente che voglia svolgere alcuna delle attività per le quali sono previste specifiche limitazioni deve richiedere autorizzazione all'amministrazione di competenza.

È stato rilevato che eventuali limitazioni poste ai propri dipendenti dalle rispettive amministrazioni, in merito alla possibilità di assumere l'incarico di amministratore del condominio, non incidono sulla validità della nomina e sulla legittimazione del medesimo ad esercitare tale funzione. Nell'ipotesi, infatti, di assenza di autorizzazione preventiva, il soggetto sarebbe soggetto solo a sanzioni da parte dell'ente datore di lavoro (Lazzaro-Stincardini, 30).

Si è propensi, pur a fronte di tale normativa, a ritenere che nel caso in questione non possano individuarsi gli estremi di incompatibilità.

A tale fine occorre evidenziare alcuni aspetti: l'attività dell'amministratore, pur avendo carattere professionale non rientra tra quelle inquadrate nell'ambito delle attività svolte da soggetti inseriti in specifici ordini professionali (come noto, infatti, ad oggi non esiste un albo degli amministratori di condominio); l'amministratore non è un dipendente del condominio, ma un mandatario dello stesso; l'incarico è, per legge, limitato nel tempo.

A ciò si aggiunga che, sulla scorta della giurisprudenza (Cass. II, n. 12916/2007; C. Stato n. 125/1969), è stato evidenziato che è necessario distinguere tra attività dell'amministratore esercitata in maniera marginale, anche se in favore di più condominii, che esclude l'incompatibilità con il pubblico impiego, ed attività svolta in modo sistematico ed abituale, che potrebbe comportare l'irrogazione di una sanzione se non accompagnata dall'autorizzazione dell'amministrazione competente. Di diverso avviso il giudice amministrativo (T.a.r. Lazio, n. 10599/2019, con nota di Nuzzo, 2019), il quale ha affermato che la natura occasionale e saltuaria dell'attività di amministratore di condominio svolta da pubblico dipendente non lo esime dall'obbligo di versare all'Amministrazione di appartenenza le somme percepite a tale titolo. Allo stesso modo, il particolare carattere dell'attività - extra esercitata non influisce sulla necessità dell'autorizzazione da parte della stessa Amministrazione che è espressamente prescritta dalla normativa applicabile al caso specifico.

Tale distinzione, inoltre, non farebbe altro che riprodurre la differenza tra l'assoggettabilità al regime dell'IVA del compenso dell'amministratore a seconda dell'impegno e dell'organizzazione da questi apprestata per l'esercizio dell'incarico conferitogli dall'assemblea (Lazzaro, 315).

Detto questo va anche evidenziato che l'art. 1129 c.c., né nella versione precedente, né in quella attuale ha posto limiti in questo senso, così come non sembra essere ostativo l'art. 71-bis disp. att. c.c., che indica i requisiti necessari per la nomina del rappresentante del condominio e che non ha previsto preclusioni in questo senso.

 L'art. 2 l. n. 37/2019  ha sostituito l'art. 5, comma 3, l. n. 39/1989, stabilendo – tra l'altro -  che l'esercizio dell'attività di mediazione (agente immobiliare)  “è incompatibile……. con l'esercizio di professioni intellettuali afferenti al medesimo settore merceologico per cui si esercita l'attività di mediazione e comunque in situazioni di conflitto di interessi”.

Il MISE (Ministero dello sviluppo economico) con nota del 22 maggio 2019 in risposta ad una richiesta di chiarimenti in merito alla questione se l'agente (di affari in mediazione) immobiliare possa svolgere anche l'attività di  amministratore e  viceversa ha affermato che ad avviso del Ministero, anche nel vigore della nuova disciplina, permane l'incompatibilità tra le due attività, così come vi è un conflitto di interesse qualora il mediatore immobiliare curi il proprio cliente per la vendita/acquisto di un immobile e contemporaneamente sia amministratore del condominio ove l'immobile è situato. In questo nuovo quadro normativo dovrebbe rimanere valida la differenza con il soggetto che esercita l'attività di amministratore condominiale con modalità che non lo possono assimilare ad un esercente d'impresa. In tal senso, sempre il MISE, con circolare 24 settembre 2013, aveva ribadito la distinzione tra attività svolta dall'amministratore in forma saltuaria o a titolo di passatempo, che non può essere definita in senso lato attività imprenditoriale e – come tale – non di interesse dell'Ufficio del Registro delle Imprese, da un lato, e dall'altro svolta con organizzazione anche minima di mezzi (quali attrezzature informatiche, eventuale personale, linee telefoniche dedicate, ecc.), al fine di trarne un utile e secondo criteri di professionalità.

Solo in questo secondo caso si può parlare di attività in forma di impresa che determina un conseguente obbligo di iscrizione al Registro delle Imprese da realizzarsi in sede di autodenuncia da parte dell'amministratore. Tale accertamento farebbe scattare l'incompatibilità con l'esercizio dell'attività di agenti di affari in mediazione, in forza dell'art. 5, comma 3, l. n. 39/1989 come modificato dalla citata l. n. 37/2019.

Anche i primi interpreti della nuova disposizione normativa sono inclini a considerare le due professioni incompatibili tra di loro, pur con le dovute riflessioni in ordine alla natura dell'attività di amministratore di condominio (Tarantino, 2019).

La nomina assembleare e il regolamento di condominio

La prerogativa riservata all'assemblea dei condomini per la nomina dell'amministratore inficia quelle disposizioni contenute nel regolamento di condominio che tendano a limitare i poteri dispositivi dell'organo deliberante, il quale deve potere scegliere liberamente la persona cui affidare la gestione del condominio. Ciò riguarda il regolamento di natura contrattuale, redatto dal costruttore e recepito dagli acquirenti nei singoli atti di acquisto (c.d. di origine esterna), quello convenzionale, se approvato all'unanimità di consensi (c.d. di origine interna) ed a maggior ragione quello assembleare che, poi, è quello disciplinato dall'art. 1136, comma 4, c.c.

Accade, spesso, che il costruttore nel regolamento da lui predisposto e da recepire negli atti di compravendita riservi a sé stesso o ad altro soggetto (persona fisica o giuridica) l'amministrazione del condominio fino ad una data determinata, che può coincidere con la prima riunione assembleare.

Non di rado, poi, lo stesso proprietario originario si nomina amministratore fino alla vendita dell'ultima unità immobiliare. Palese la nullità della clausola, poichè sottrae all'assemblea il potere di procedere alla nomina del proprio rappresentante.

Poiché i regolamenti redatti con tali modalità molto spesso definiscono anche particolari privilegi in favore dell'originario costruttore, il condomino od i condomini interessati, senza attendere che tutte le unità immobiliari siano state compravendute, potranno invitare l'amministratore a convocare un'assemblea per deliberare in merito alla revoca ed alla nomina del nuovo amministratore nel pieno rispetto dell'art. 1129 c.c. In caso di non attivazione dell'amministratore in carica non resterà che impugnare in via giudiziale la clausola nulla, come previsto dal combinato disposto dall'art. 1138, comma 3, c.c. Trattandosi di ottenere la declaratoria di nullità della clausola contrattuale, il termine di trenta giorni, previsto dal richiamato art. 1107 c.c., non si applica, poiché la relativa azione è esperibile in qualunque tempo da chiunque vi abbia interesse.

La giurisprudenza ha, infatti, affermato che dall'obbligatorietà della riserva di nomina in favore dell'assemblea del condominio, riscontrabile anche dal dettato dell'art. 1138, comma 4, c.c. in tema di inderogabilità delle norme condominiali rispetto al regolamento di condominio, consegue la nullità della clausola del regolamento che riservi ad un determinato soggetto, per un tempo indeterminato, la carica di amministratore del condominio, sottraendo all'assemblea il relativo potere di nomina e di revoca, senza che abbiano a tal fine rilievo il rapporto in concreto esistente tra i condomini o l'attività esercitata nell'edificio (Cass. II, n. 13011/2013). Sotto il profilo meramente processuale, inoltre, è stato chiarito che l'azione promossa per fare valere la declaratoria di nullità totale o parziale del regolamento di condominio è esperibile non nei confronti del condominio, che è carente di legittimazione passiva, ma contro tutti i condomini che si vengono a trovare in una situazione di litisconsorzio necessario (Cass. II, n. 12342/1995). Il regolamento di condominio contrattuale, infatti, sempre secondo la giurisprudenza, quali ne siano il meccanismo di produzione ed il momento della sua efficacia, si configura, dal punto di vista strutturale, come un contratto plurilaterale, avente cioè pluralità di parti e scopo comune (Cass. II, n. 12850/2008).

Non si può, invece, parlare di nullità della clausola del regolamento di condominio che stabilisca che l'incarico di amministratore debba essere conferito ad un professionista (ragioniere, geometra, commercialista), purché senza determinazione della persona, né indicazione del periodo di tempo per il quale il mandato viene affidato. Nella specie, infatti, la scelta di fare coincidere il rappresentante del condominio con soggetto iscritto ad un ordine professionale può rappresentare un vantaggio per il condominio, che sarebbe guidato da persona più competente e preparata e, quindi, con maggiore tutela degli interessi comuni.

La nomina subordinata

L'art. 1129, comma 3, c.c. dispone che l'assemblea può subordinare la nomina dell'amministratore alla presentazione ai condomini di una polizza assicurativa per la responsabilità civile ed avente ad oggetto gli atti dallo stesso compiuti nell'esercizio del mandato. Il comma 4 dello stesso articolo, poi, stabilisce che nel caso in cui si debbano effettuare interventi straordinari nel periodo del mandato l'amministratore deve adeguare i massimali di detta polizza. L'entità dell'adeguamento, non inferiore all'importo della spesa deliberato, deve essere contestuale alla data di inizio dei lavori. La norma, infine, dispone che se l'amministratore sia già titolare di polizza assicurativa per la responsabilità professionale per l'intera attività da lui svolta, l'impresa assicuratrice deve integrare questa polizza con una dichiarazione, che garantisca le condizioni di cui al comma precedente.

La polizza copre i danni derivanti da colpa ovvero quelli causati dall'amministratore il quale, nell'espletamento del mandato abbia agito con negligenza, imperizia e trascuratezza. Tanto più l'operato dell'amministratore abbia per oggetto una gestione complessa, maggiore dovrà essere il grado di impegno e di attenzione alla cura degli interessi del condominio.

Sono esclusi dall'operatività del contratto assicurativo i fatti di origine dolosa (ad esempio: ammanchi di cassa determinati dall'amministratore o sottrazioni di importi versati dai condomini) ed i danni conseguenti ad eventi di causa maggiore e caso fortuito.

Il caso fortuito in materia condominiale trova il suo fondamento nell'art. 2051 c.c. che stabilisce i connotati essenziali per l'esclusione della responsabilità imputabile, in via generale, al custode e che si fonda sul mero rapporto di causalità oggettiva tra la cosa e l'evento causativo del danno (Salciarini, 7).

È stato evidenziato che nel mercato assicurativo le polizze che interessano direttamente gli amministratori, in via generale, coprono tanto le perdite patrimoniali involontarie, quanto i danni involontari causati sia ai condomini che ai terzi. A titolo meramente esemplificativo rientrano nella garanzia anche i danni consistenti in sanzioni di natura fiscale od amministrativa applicate ai condomini per errori od omissioni commesse dall'amministratore; danni, colposi o dolosi, provocati dai collaboratori, dipendenti, consulenti dell'amministratore; errori ed omissioni nell'esecuzione di delibere assembleari ecc. (Celeste–Scarpa, 36).

Quando il condominio vanti nei confronti dell'amministratore crediti a titolo non di errori di natura professionale ma conseguenti a comportamenti infedeli (ad esempio: mancato pagamento di bollette o debiti verso i creditori, ammanchi di cassa, indebite trattenute delle somme regolarmente versate dai condomini) la garanzia non è operativa, configurandosi nella fattispecie un fatto doloso del rappresentante del condominio (Trib. Roma 5 giugno 2017).

Dal quadro emerge che le disposizioni, nel loro complesso, sembrano essere a doppia tutela: per il condominio e per l'amministratore stesso. Il primo, infatti, sarà garantito per i fatti ascrivibili all'amministratore non solo al proprio interno ma anche verso i terzi (ed in questo caso si parlerebbe di responsabilità extracontrattuale), mentre il secondo troverebbe una garanzia diretta nella stessa società assicuratrice.

Il comma 3 dell'art. 1129 c.c., che non sarebbe un requisito per la nomina dell'amministratore, ma piuttosto una condizione sospensiva per la perfezione dell'incarico, non indica quale debba essere l'entità del massimale della polizza. Il relativo ammontare è, dunque, rimesso all'accordo delle parti ed in via meramente indicativa potrebbe essere commisurato all'entità del bilancio del condominio, unico punto di riferimento in questo senso.

La condizione si può dire realizzata quando l'amministratore presenta all'assemblea la polizza stessa, tenendo presente che, ove il massimale fosse di entità tale da essere ritenuto insufficiente per un'eventuale copertura di potenziali danni, l'assemblea nell'ambito dei suoi poteri discrezionali potrebbe anche rifiutare di accettarla.

La mancata presentazione della polizza non comporta la nullità della nomina, ma sicuramente ne determina la sospensione in attesa della realizzazione della condizione.

È stato sul punto affermato che solo stipulando il contratto di assicurazione l'amministratore adempie al proprio obbligo, in quanto la polizza è un elemento della struttura della deliberazione di nomina. La mancanza dell'assicurazione richiesta non determina neppure la revoca dell'amministratore (Celeste–Scarpa, 39; Nasini, 2017, L'amministratore, 675).

Si è osservato che avere sottoposto la nomina dell'amministratore alla presentazione (e non «stipulazione») di una polizza implica una verifica sulla stessa da parte dell'assemblea in un momento successivo a quello della nomina e da effettuarsi in una nuova riunione, appositamente convocata. Ciò potrebbe aprire differenti scenari come, ad esempio, indurre l'assemblea a nominare un amministratore diverso da quello la cui nomina era stata condizionata alla polizza stessa; oppure portare l'assemblea a rinunciare a tale garanzia con conferma dell'amministratore già nominato od ancora, nel caso in cui si fosse fissato un termine per la presentazione della polizza, prorogarne la data (Scalettaris, 308).

Il termine per la presentazione della polizza non può che essere stabilito dall'assemblea e deve essere ovviamente congruo, per evitare un arresto nella gestione della vita condominiale per quelle attività potenzialmente soggette ad essere più vulnerabili.

Ad avviso della giurisprudenza (anche se con riferimento a fattispecie inerente ad ipotesi differente ma analogicamente simile per la ratio della decisione) il condominio, non necessariamente con atto scritto, può rinunciare alla condizione sospensiva poiché detta rinuncia può essere desunta anche per facta concludentia (Cass. II, n. 14938/2008). Applicato, quindi, tale principio alla norma in esame significa che l'assemblea può considerarsi rinunciataria nei confronti della polizza, qualora l'amministratore abbia continuato ad esercitare il pieno mandato senza ulteriori richieste da parte dell'assemblea stessa.

Ove, invece, fosse stato l'amministratore a subordinare l'accettazione dell'incarico al verificarsi di determinate condizioni, la circostanza stessa non elimina il potere dello stesso di convocare l'assemblea condominiale (Cass. II, n. 14930/2013).

In assenza di disposizioni concernenti le titolarità delle spese inerenti alla polizza assicurativa, vista la lettera dell'art. 1129 c.c. (è l'assemblea che «può subordinare» la nomina dell'amministratore alla presentazione della polizza), sembra corretto che siano i condomini che ne debbano sostenere integralmente le spese, in base ai rispettivi millesimi di proprietà. Naturalmente nessun ostacolo si pone ad un accordo per un'equa ripartizione tra le due parti del premio assicurativo.

In senso contrario parte della dottrina, secondo la quale non avrebbe senso che il condominio, che ben si potrebbe dotare di una propria polizza, si dovesse accollare per intero le spese di una polizza stipulata dall'amministratore (Scalettaris, 309).

Quanto alla delibera vi è il totale silenzio della legge sul relativo quorum.

Si sostiene che se la richiesta avanzata dall'assemblea si consideri come clausola del contratto di mandato per il conferimento dell'incarico, la maggioranza non potrebbe essere che quella concernente la nomina dell'amministratore. A maggior ragione se l'intera spesa dovesse gravare sul condominio (Nasini, 2017, L'amministratore, 676). Concorde altra dottrina, che ha evidenziato come la delibera possa essere oggetto di impugnativa ai sensi dell'art. 1137 c.c. con i canonici limiti previsti in relazione alla preclusione per il giudice dell'impugnativa di pronunciarsi in merito al potere discrezionale dell'assemblea di assumere decisioni (Scalettaris, 309).

Anche la giurisprudenza di merito (ma con riferimento a giudizio promosso in data anteriore all'entrata in vigore della riforma delle norme condominiali) si è espressa in tal senso avendo dichiarato che in tema di condominio, la stipula di polizza assicurativa costituisce atto eccedente le ordinarie attribuzioni dell'amministratore, avendo non una mera funzione conservativa delle parti comuni ma lo scopo di evitare pregiudizi economici ai proprietari dei fabbricati. Essa, pertanto, può essere stipulata solo previa autorizzazione dell'assemblea con la maggioranza qualificata di cui all'art. 1136, commi 2 e 4, c.c. (Trib. Treviso 25 gennaio 2017). Il principio può essere ritenuto applicabile, in via analogica, anche all'ipotesi contemplata nella norma in esame, proprio per il carattere della polizza richiesta all'amministratore in vista della sua nomina.

La nomina giudiziaria

Quando l'assemblea non provvede a nominare il proprio amministratore, su ricorso anche di un solo condomino o dell'amministratore dimissionario si può richiedere ed ottenere dal Tribunale la designazione di un amministratore giudiziario. Il dettato del comma 1 dell'art. 1129 c.c., la cui finalità è quella di limitare la durata della  prorogatio dell'incarico, ha esteso anche all'amministratore dimissionario un diritto prima riservato ai soli condomini.

Non sussiste equiparazione tra l'amministratore nominato dall'assemblea del condominio, che è titolare di un ufficio di diritto privato ed è caratterizzato dall'aspetto fiduciario dell'incarico che gli è stato conferito, e l'amministratore giudiziario, la cui nomina trova ragione nell'esigenza di ovviare all'inerzia del condominio ed è finalizzata al mero compimento dell'atto o dell'attività non compiuta e necessaria per la corretta gestione del medesimo. Inoltre la diversità tra le due figure non pone neppure analoghe esigenze di tutela, sicché all'amministratore giudiziario non si applicano pedissequamente tutte le norme disciplinanti il mandato (Cass. II, n. 11717/2021).

La domanda di conferimento incarico ad un nuovo amministratore non può essere avanzata nel procedimento della revoca giudiziale del precedente rappresentante condominiale e non può essere accolta dal Tribunale, atteso che essa spetta all'assemblea e solo ove questa si dimostri inerte o non funzionante l'autorità giudiziaria si può sostituire ad essa (Trib. Milano 28 marzo 2018; Trib. Milano 2 dicembre 2016)    

Il potere dell'autorità giudiziaria è di carattere sussidiario. È stato osservato che l'amministratore dimissionario, equiparabile all'amministratore «scaduto», ha uno specifico interesse a liberarsi da quegli incombenti che continuano a gravare su di lui in via ordinaria e dalle connesse responsabilità per il periodo della vacatio imperii (Lazzaro, 341).

Per quanto concerne le spese della procedura, per quanto gli effetti della nomina si riflettono direttamente sul condominio, la legge non dispone su chi debbano gravare quando l'iniziativa venga presa dall'amministratore.

È stata sollevata la questione se l'amministratore dimissionario possa utilizzare i fondi presenti sul conto corrente condominiale per essere ristorato di tali spese (Nasini, 2017, L'amministratore, 700). Poiché il Tribunale non può disporre in merito alle stesse, è stato ipotizzato che le stesse siano sostenute dal condominio che, con il suo comportamento di totale disinteresse, ha costretto l'amministratore a rivolgersi all'autorità giudiziaria. Il chè dovrebbe escludere che il rappresentante del condominio possa attingere al fondo comune senza un'autorizzazione dell'assemblea che potrà essere convocata sul punto dal nuovo amministratore. Quanto all'ipotesi del ricorrente/condomino, visto che l'effetto positivo del procedimento va a vantaggio di tutti i partecipanti e che, anche in questo caso, non vi può essere un dispositivo giudiziario in questo senso sarà interesse del ricorrente stesso avanzare all'assemblea istanza di rimborso delle spese da lui sostenute, ai sensi dell'art. 1134 c.c. (Redivo, 1084).

In questo senso è stato affermato che il decreto camerale volto alla nomina dell'amministratore giudiziario di un condominio non deve contenere, in quanto rientrante nell'ambito dei procedimenti di volontaria giurisdizione, condanna alla rifusione delle spese processuali; le stesse, perciò, rimarranno a carico del soggetto ricorrente che le abbia anticipate (Trib. Ariano Irpino 6 febbraio 2008). 

Infatti, anche se tale procedimento si inserisce in una situazione di conflitto tra proprietari non perde la sua natura di volontaria giurisdizione e, quindi, si sottrae all'applicabilità delle regole dettate dagli artt. 91 e segg. c.p.c. in materia di spese processuali (Cass. VI, n. 10663/2020).

Per la giurisprudenza di legittimità, l'amministratore nominato dal Tribunale in sostituzione dell'assemblea che non vi provvede non è un ausiliario del giudice ed instaura con i condomini, malgrado l'origine della sua nomina, un rapporto di mandato, in conseguenza del quale deve rendere ai condomini conto del suo operato, così come la determinazione del suo compenso rimane regolata dall'art. 1709 c.c. (Cass. II, n. 11717/2021Cass. II, n. 21966/2017; Cass. II, n. 16698/2014).

Anche all'amministratore giudiziario si applica la disposizione concernente la revoca del mandato oneroso (art. 1725 c.c.), con tutte le conseguenze del caso in ordine al risarcimento del danno se la stessa interviene prima della scadenza del termine, salvo che ricorra una giusta causa (Cass. III, n. 8469/2020). Diversamente è stato affermato che l'amministratore giudiziario non può fare affidamento sul termine di un anno previsto dall'art. 1129 c.c. come limite minimo di durata del suo incarico. Da ciò consegue che se anteriormente allo spirare del termine annuale dalla nomina dell'amministratore da parte del giudice l'assemblea provveda a deliberare la nomina dell'amministratore fiduciario, l'incarico del primo viene a cessare e per la determinazione del compenso si applica l'art. 1709 c.c., ma non l'art. 1725 c.c. (Cass. II, n. 11717/2021).

Tra l'art. 1129 c.c. e l'art. 1105, comma 4, c.c. esiste una parziale analogia, considerato che anche in sede di comunione è prevista la possibilità di ricorrere all'autorità giudiziaria per chiedere la nomina dell'amministratore quando non si formi una maggioranza. Tuttavia per il settore condominiale il legislatore ha determinato una condizione testualmente generica ed assimilabile a quella prevista dalla norma sulla comunione ma poi delineata nei suoi limiti dalla dottrina e dalla giurisprudenza.

Il presupposto per la nomina dell'amministratore tramite via giudiziaria è stato individuato solo nel caso di comprovata inerzia o impossibilità di funzionamento del condominio, che si verifica quando l'assemblea, pur convocata regolarmente, vada deserta, ovvero quando non raggiunga il quorum oppure allorché non trovi un accordo sul soggetto da designare come amministratore. Varie le interpretazioni dottrinali relative alla condizione posta dall'art. 1129 c.c. per chiedere la nomina di un amministratore giudiziario.

Per effetto dell'art. 5-sexies del d.l. 18 aprile 2019, n. 32 convertito nella l. 14 giugno 2019, n. 55 negli edifici condominiali dichiarati degradati dal comune nel cui territorio sono situati gli edifici stessi, quando ricorrono le condizioni previste dall'art. 1105, comma 4, c.c., la nomina dell'amministratore giudiziario può essere richiesta anche dal sindaco ove l'immobile è ubicato. In tale caso l'amministratore nominato dal giudice assume le decisioni indifferibili e necessarie in funzione sostitutiva dell'assemblea.

Il sindacato del giudice, chiamato a decidere in sede di volontaria giurisdizione, non può estendersi alla regolarità dell'investitura dell'amministratore formalmente esistente, dovendosi limitare a riscontrare i presupposti essenziali previsti per il ricorso al procedimento. Il condomino, inoltre, può rivolgersi all'autorità giudiziaria solo dopo avere provocato la convocazione dell'assemblea e riscontrato la mancata formazione di volontà maggioritaria (Celeste-Scarpa, 21). Si verte ancora nell'ambito di applicabilità dell'art. 1129 allorché il costruttore, ancora proprietario della metà delle unità immobiliari e – come tale – condomino maggioritario, non partecipi all'assemblea impedendo il formarsi quorum deliberativo (Lazzaro-Stincardini, 53).

Se i condomini ritengono che la delibera di nomina o riconferma dell'amministratore sia viziata ed intendono procedere alla sua sostituzione devono impugnare la delibera come previsto dall'art. 1137 c.c., ma contemporaneamente non possono proporre ricorso per la nomina dell'amministratore ai sensi dell'art. 1129, comma 1, c.c. (Moscatelli, 2018).

Anche secondo la giurisprudenza non si può ricorrere all'applicabilità dell'art. 1129 c.c., per carenza dei suoi presupposti essenziali, allorché l'assemblea abbia deliberato in ordine alla nomina dell'amministratore ed un condomino voglia fare valere, in sede di volontaria giurisdizione, la risoluzione di conflitti concernenti il conferimento dell'incarico, in quanto la questione va sollevata in via ordinaria con l'impugnativa della delibera condominiale (Trib. Salerno 13 gennaio 2009).

L'amministratore giudiziario deve presentare gli stessi requisiti richiesti per l'amministratore ordinario ai sensi dell'art. 71-bis disp. att. c.c. A questo proposito, si evidenzia che, salvo casi particolari (ad esempio sussistenza di un regolamento contrattuale che disponga che l'amministratore deve essere scelto in ambito condominiale), il giudice attinge il nominativo del soggetto dall'elenco dei consulenti tecnici (di norma geometra, ragioniere, commercialista, ecc.) depositato presso il Tribunale, mentre il silenzio della norma non impedisce la nomina di un soggetto che sia stato direttamente indicato dai ricorrenti

Si può concludere affermando che, ad eccezione della formalità inerente alla nomina vera e propria, l'amministratore giudiziario non si distingue dal rappresentante di nomina assembleare, essendo anch'esso soggetto all'intera normativa del codice civile.

Il procedimento per la nomina dell'amministratore giudiziario

Il procedimento si svolge (in attesa dell'entrata in vigore del d.lgs. n. 116 del 2017) dinanzi al Tribunale del luogo dove si trova l'edificio (competenza per territorio ex art. 23 c.p.c.), viene introdotto con ricorso presentato da uno o più condomini o dall'amministratore dimissionario, è deciso in camera di consiglio che provvede tramite decreto.

Il ricorso non può essere depositato dal conduttore, che è considerato soggetto estraneo al condominio e, quindi, non abilitato neppure a partecipare all'assemblea per la nomina e la revoca dell'amministratore. Unici diritti che sono riconosciuti all'inquilino sono quelli speciali previsti nell'art. 10 della l. n. 392 del 1978 in materia di riscaldamento e condizionamento dell'aria.

Per quanto concerne, invece, l'usufruttuario vi è qualche dubbio in relazione ad una sua legittimazione attiva, trattandosi nella specie di azione non ordinaria. Occorre richiamare l'art. 1129, comma 1, che nell'affrontare l'argomento ha fatto riferimento ai «condomini» e l'usufruttuario non è tale, anche se riconosciuto soggetto in ambito condominiale ai fini e per gli effetti di cui all'art. 67, commi 6 e 7, disp. att. c.c. Il fatto che l'usufruttuario abbia diritto di voto solo negli affari che attengono all'ordinaria amministrazione dovrebbe precludere il suo diritto di ricorrere, in tale circostanza, all'autorità giudiziaria che resterebbe in carico al nudo proprietario. Si potrebbe, tuttavia, obiettare che se la nomina dell'amministratore da parte dell'assemblea rientra nell'ambito dell'ordinaria gestione del condominio lo stesso dovrebbe essere per il conferimento dell'incarico da parte dell'organismo giudiziario, essendo previsto che obbligatoriamente i condominii con un numero di partecipanti superiori ad otto non possono essere privi di amministratore.

Contrasto dottrinale sussiste in merito al fatto se il ricorso debba essere notificato a tutti i condomini.

Da un lato si sostiene la necessità del contraddittorio di tutti i condomini in quanto il provvedimento giudiziale, attraverso il quale avviene la designazione di un soggetto esterno alla guida del condominio, avendo diretta incidenza sugli interessi dei singoli richiede la conoscenza, da parte di tutti, del procedimento stesso (Celeste – Scarpa, 24). In senso contrario e, si ritiene, più corretto altri autori, i quali hanno sostenuto che, nell'ipotesi disciplinata dall'art. 1129 c.c. essendo la nomina dell'amministratore obbligatoria, non vi sarebbe la necessità di notificare ricorso e decreto di nomina agli altri partecipanti trattandosi di atto dovuto compiuto nell'interesse della collettività, traducendosi nella richiesta di un provvedimento dal quale possono trarre beneficio tutti i condomini in pari misura e senza che si possano delineare posizioni conflittuali nel corso del procedimento (Redivo, 1080; Crescenzi, 267).

La tesi dottrinale che esclude la notifica a tutti i condomini del procedimento trova conforto e fondamento in una pronuncia dell'organo costituzionale che aveva dichiarata non fondata la questione di legittimità costituzionale degli artt. 1105, comma 4, 1129, comma 1, c.c. e degli artt. 737 ss. c.p.c. nelle parti in cui dette disposizioni, relative al procedimento in camera di consiglio per la nomina di amministratore condominiale, non prevedono che il condomino ricorrente debba notificare il ricorso agli altri condomini ovvero che questi ultimi debbano essere obbligatoriamente sentiti dal giudice che procede, in riferimento agli artt. 3 e 24 Cost. In questo senso, infatti, la Corte ha rilevato che i provvedimenti dell'autorità giudiziaria previsti nei suddetti articoli non sono diretti a difendere gli interessi dei singoli condomini in contrasto con altri, ma hanno per oggetto la tutela di un interesse comune a tutti (Corte Cost., n. 267/1974).

Nel corso del giudizio il giudice deve accertare l'esistenza dei presupposti che giustifica il ricorso e la legittimazione attiva del ricorrente, il quale deve dare prova di essere condomino attraverso la produzione del titolo di proprietà. Nel caso la documentazione presentata unitamente al ricorso sia del tutto esaustiva il giudice può anche decidere inaudita altera parte mentre, se vi fossero elementi di incertezza, egli potrà disporre l'audizione del ricorrente/i a chiarimenti.

L'istanza di nomina dell'amministratore giudiziario deve essere respinta ove l'assemblea abbia provveduto, in pendenza del giudizio camerale e, comunque, prima della data di deposito del relativo decreto, a nominare o rieleggere un amministratore fiduciario. (Infine, se nel corso del giudizio di volontaria giurisdizione l'assemblea sia pervenuta alla nomina di un suo amministratore (App. Napoli 11 febbraio 2004).

Il procedimento si conclude con l'emissione da parte del giudice competente di un provvedimento redatto in forma di decreto motivato, datato e sottoscritto dal Presidente del Tribunale o da giudice da lui delegato, con il quale il ricorso viene accolto o respinto. Trattasi di un provvedimento di carattere non giurisdizionale ma amministrativo, poiché non mira a risolvere un conflitto di interessi ma solo a colmare un vuoto gestionale nella vita condominiale costituito dalla mancanza dell'amministratore. In questo senso, quindi, il provvedimento sembra, alla luce dei mutati indirizzi interpretativi, non suscettibile di impugnativa dinanzi alla Corte d'Appello, mancando una previsione normativa che riproduca la possibilità di ricorrere contro il provvedimento di revoca dell'amministratore, come espressamente previsto dall'art. 64, comma 2, disp. att. c.c.

Sul punto, è stato osservato che al procedimento di volontaria giurisdizione in sede camerale, avente ad oggetto la nomina dell'amministratore, si deve riconoscere un carattere strumentale rispetto alla gestione del bene comune che si traduce nella tutela dell'interesse generale e non del singolo, sia esso ricorrente/i o amministratore stesso. Per questo motivo l'intervento del giudice non produce gli effetti del giudicato su posizioni soggettive (Celeste-Scarpa, 25). Alcuni autori, tuttavia, in passato, avevano ritenuto che ove si dovesse ammettere che a questo tipo di procedimenti (tra i quali certamente rientra quello di cui si tratta) si devono applicare le norme sui procedimenti in camera di consiglio, dettate in via generale dal codice di procedura civile, non vi sarebbero ragioni per non applicare anche a questo tipo di procedimento le disposizioni di cui all'art. 739 c.p.c., concernenti appunto il reclamo delle parti (Bucci-Nicoletti-Redivo, 27; Crescenzi, 275). Argomentazione seguita di recente da altra parte della dottrina (Cassano, 166).

La durata dell'incarico

L'art. 1129, comma 10, c.c. ha stabilito che l'amministratore dura in carico un anno ed il mandato si intende rinnovato per uguale durata. L'assemblea convocata per la revoca dell'amministratore o per le sue dimissioni delibera in ordine alla nomina (valida anche per la conferma) con la maggioranza di cui all'art. 1136, comma 2, c.c.

La norma rappresenta non solo un'integrale modifica della precedente versione (in cui la durata era limitata ad un anno), ma si discosta anche dal disegno di legge presentato al senato, in cui si prevedeva che il mandato all'amministratore fosse conferito direttamente per un biennio, ossia un termine più lungo e tale da garantire maggiore stabilità alla gestione condominiale.

La questione più dibattuta riguarda l'interpretazione della formula utilizzata dal legislatore là dove ha prescritto testualmente che «l'incarico ha durata di un anno e si intende rinnovato per eguale durata». La dottrina è stata oscillante sul punto.

Fino dal primo momento vi era stato chi aveva ritenuto che l'interpretazione del primo periodo dell'art. 1129, comma 10, c.c. dovesse andare nel senso che il legislatore aveva optato per una durata (certa) di un anno della carica, salvo rinnovo tacito e che il termine «salvo» rivelasse una volontà contraria dell'assemblea alla prosecuzione del rapporto, con la conseguenza che al rinnovo intervenuto dopo il primo anno l'amministratore non deve seguire la comunicazione dei propri dati anagrafici e le altre informazioni contenute nella stessa norma. Fermo restando tale obbligo in casi di variazioni (Sforza Fogliani, 351, 282).

Sostanzialmente nello stesso senso altri autori, i quali hanno affermato che dopo il primo anno l'amministratore prosegue automaticamente nel mandato, senza bisogno di conferma o nomina e, quindi, che sarà sufficiente confermare i dati già trasmessi, non essendo neppure necessario inserire nell'ordine del giorno assembleare l'argomento conferma incarico. La richiesta dell'amministratore, dopo il primo anno, di modificare le condizioni del contratto dovrà essere inserita nell'ordine del giorno dell'assemblea (Capponi 2015, 268; Nasini 2017, L'amministratore, 695).

In senso conforme si è affermato che il novellato art. 1129, comma 10, c.c. ha determinato una scelta a favore del mandato a tempo determinato, con tendenziale durata biennale, poiché alla fine del primo anno lo stesso non si estingue automaticamente per scadenza del termine, ma richiede un'iniziativa dell'assemblea (revoca) o dell'amministratore dimissionario (Lazzaro, 351).

Per altra dottrina, l'amministratore sarebbe tenuto a portare all'ordine del giorno l'argomento di nomina o conferma e, quindi, a presentare ogni anno la sua candidatura perché è questo che impone la legge, in considerazione del fatto che lo stesso non ha alcun diritto alla stabilità, che gli viene confermata dall'assemblea alla fine di ogni anno di gestione (Gatto, 306). Parimenti è stato affermato che il rinnovo consegue ad un precedente incarico ma non ad un precedente rinnovo, il ché salverebbe la dimensione annuale della gestione condominiale (Celeste-Scarpa, 27). Secondo altro interprete, al termine del primo anno d’incarico, l’amministratore potrà portare in discussione all’ordine del giorno una più semplice formula: ”revoca o prosecuzione ex lege nell’assolvimento dell’incarico” oppure ancora non inserire nulla (Gallucci, 2019).

Conforme la successiva giurisprudenza di merito che ha confermato lo stesso principio espresso dalla dottrina in ordine alla non necessità di convocare sul punto l'assemblea per decidere o meno il rinnovo del mandato, salva restando la facoltà di deliberare la revoca (Trib. Cassino 21 gennaio 2016; Trib Milano 7 ottobre 2015). È stato, altresì, precisato che, per legge, in assenza di dimissioni o revoca vale un solo rinnovo tacito di un anno con pienezza di poteri e, per il periodo successivo, i poteri sono limitati al compimento delle attività urgenti per evitare pregiudizi al condominio, trovandosi l'amministratore in regime di prorogatio imperii (Trib. Brescia 15 aprile 2016).  Sostanzialmente (Trib. Pisa 11 ottobre 2023, n. 1249) l’amministratore non ha un diritto alla durata biennale dell’incarico, al massimo può parlarsi di aspettativa, salvo che intervenga disdetta. L’assemblea può sempre (“in ogni tempo”) deliberare la revoca dell’amministratore (art. 1129, comma 11, c.c.), con effetti diversi secondo il momento dell’incarico in cui la revoca interviene, se alla scadenza del contratto oppure in data antecedente.

L'incarico non può rinnovarsi all'infinito sino a revoca dell'amministratore (da parte dell'assemblea o per via giudiziaria), poiché la legge fa riferimento chiaro ad un biennio di cui il primo anno per la nomina, il secondo per il rinnovo (automatico) e così via (Lazzaro, 351). Al contrario si sostiene che la lettura sistematica delle novità introdotte dalla riforma non può che far propendere per una interpretazione del comma 10 dell’art. 1129 c.c. nel senso dell’introduzione di un rinnovo sine die dell’incarico dell’amministratore. Decorso il primo anno, pertanto, l’incarico si deve considerare rinnovato e non può che rinnovarsi ulteriormente di eguale periodo, altrimenti alla scadenza del secondo anno si ripropone la medesima questione della cessazione non compatibile con il dettato normativo (magra, 2018)  In passato l’orientamento era  stato  sostenuto quello  che in mancanza di disdetta il rapporto continua a tempo illimitato non sussistendo una ragione per una soluzione contraria (Bucci, 147).

Per altro autore, l'espressione «si intende rinnovato per uguale durata» circoscrive l'ambito temporale di durata dell'incarico che, trascorso il biennio, viene comunque a cessare non solo senza che sia necessaria un'esplicita disdetta, ma senza che si possa attribuire alcun significato legale alla condotta omissiva dei condomini dopo il secondo anno (Cuffaro, 715; Nasini, 2017, L'amministratore, 696).

Infine, il termine «conferma» che si ritrova nell'art. 1135 c.c. in relazione alle attribuzioni dell'assemblea deve essere interpretato nello stesso senso di «nomina», trattandosi dello stesso atto (Capponi 2015, 268; Cassano, 171).

Quanto a quest'ultimo punto, è stata data una preferenza all'orientamento della Corte Suprema, anche se datato, con il quale era stato affermato che l'unica differenza sussistente tra l'atto di conferma e quello di nomina non riguarda il contenuto e gli effetti giuridici, ma la circostanza che con la conferma si ha la nomina di un soggetto già in carica, mentre con la nomina ex novo il soggetto riguarda diversa persona. Pertanto anche la conferma dell'amministratore deve essere assunta la maggioranza richiesta dall'art. 1136, comma 4, c.c. (Cass. II, n. 4269/1994 , considerato che le delibere  hanno contenuto ed effetti giuridici uguali).

Deve  ritenersi, tenuto conto della richiamata identità di contenuto e di effetti giuridici fra la delibera di nomina e quella di conferma, e quindi della sostanziale equiparazione fra le due decisioni che, anche ai fini della conferma dell’amministratore in carica sia necessaria una deliberazione adottata con la maggioranza qualificata prevista ex art. 1136,  comma 2, per come richiamata ex art. 1136,  comma 4, c.c. Peraltro, sul punto, occorre ulteriormente rilevare come la conferma dell’amministratore in sede assembleare evidenzi una vera e propria manifestazione espressa di volontà dell’assemblea condominiale, cui deve ritenersi applicabile, proprio tenuto conto degli effetti e del contenuto che la decisione in oggetto andrà a determinare, la medesima maggioranza prevista per la nomina dell’amministratore (Trib. Roma 22 marzo 2022, n. 4435,  con nota di Tosatti, 2022; Trib. Catanzaro  30 giugno 2022, n. 923, con nota di Bordolli 2022).

Parte della successiva giurisprudenza di merito si è discostata da tale principio con alcune sentenze secondo le quali la differenza tra le due fattispecie non è puramente nominalistica ma sostanziale: continuità del rapporto fiduciario nella conferma che, nella nomina, si costituisce ex novo, per cui sarebbe sufficiente per la fattispecie la maggioranza semplice (Trib. Palermo 29 gennaio 2015; Trib. Bologna 17 settembre 2009; Trib. Roma 15 maggio 2009).

In senso contrario altra decisione, secondo la quale deve escludersi che la conferma dell'amministratore possa giuridicamente apprezzarsi quale sorta di tertius genus alternativo alla sua nomina e alla sua revoca e, quindi, governato da un differente quorum deliberativo, non trovando, affermazione di tale natura e contenuto, rispondenza alcuna sia nella lettera della legge che nella evidenziata sottesa ratio esegetica della disciplina positiva in materia (Trib. Roma 23 marzo 2016).

La durata dell'incarico inizia con il momento in cui le volontà dell'assemblea e dell'amministratore si incontrano, che non coincide necessariamente con la scadenza dell'anno solare o di fine gestione condominiale (Lazzaro, 353).

Il compenso

L'attività svolta dall'amministratore per conto del condominio è onerosa poiché l'art. 1129, quattordicesimo comma, c.c. stabilisce che la nomina è affetta da nullità se all'atto di accettazione della stessa e del suo rinnovo egli non comunichi all'assemblea l'importo dovuto a fronte di un'attività specificatamente indicata. Tale onerosità vale anche per l'amministratore indicato dall'autorità giudiziaria. Si ritiene che non essendo l'amministratore un ausiliario del giudice, questi non debba provvedere alla quantificazione del compenso che resta prerogativa dell'assemblea dei condomini.

Su questo punto si registra un certo contrasto dottrinale. Da un lato alcuni autori concordano su tale indirizzo, poiché il compito del giudice si fermerebbe alla sola nomina (Celeste-Scarpa, 116), mentre per altri il Tribunale dovrebbe provvedere sul compenso per un motivo di opportunità, considerando la peculiarità del caso (Gambini, 370), oppure è stato affermato che il giudice sarebbe tenuto a valutare se le prestazioni da retribuire rientrino o meno nelle funzioni proprie dell'amministratore (Triola, 401).

Anche la giurisprudenza della Suprema Corte si è espressa nel senso che la determinazione dell'entità del compenso dell'amministratore giudiziario spetta all'assemblea, nel suo pieno diritto di mandante ai sensi dell'art. 1709 c.c. (Cass. II, n. 16698/2014).

La norma in esame deve essere coordinata con il successivo art. 1135, comma 1, n. 1), c.c. che pone a carico dell'assemblea non solo la conferma dell'amministratore, ma anche la sua eventuale retribuzione. Tutto ciò non esclude che il mandato possa essere anche gratuito quando l'amministratore si renda disponibile a non percepire retribuzione (ad esempio nel caso in cui il piccolo condominio, nel quale la presenza dell'amministratore è facoltativa, il condomino curi la gestione senza pesare, per tale voce, sul bilancio comune). In questo caso, in ipotesi di contestazione tra le parti, l'onere della prova della gratuità del mandato non potrà che ricadere sul condominio, visto che la ratio ispiratrice del novellato art. 1129 c.c. va individuata nel profondo cambiamento dell'attività posta a carico dell'amministratore; nell'elevato grado di responsabilità e nella maggiore professionalità richiesta al soggetto prescelto per il mandato. Attività che deve essere retribuita con congruo compenso.

La nullità del mandato in assenza di indicazione del compenso è strettamente collegata al concepimento di una nuova figura di amministratore al quale sono state attribuite per legge ulteriori attribuzioni e connesse responsabilità che impongono, anche ai fini di una gestione economica più trasparente, che l'assemblea sia edotta della specificità delle mansioni svolte dal rappresentante.

In merito alla specificità del compenso è stato ritenuto che non assolve all'obbligo di cui all'art. 1129, comma 14, c.c. il compenso indicato genericamente  per relationem in quanto indicato «alle medesime condizioni esposte per il passato» (Trib. Milano 3 aprile 2016). A tale decisione si è uniformata altra giurisprudenza, nella quale è stato precisato che è irrilevante la circostanza che sia noto all'assemblea il compenso dell'anno precedente in ragione sia del fatto che lo stesso può variare, sia del fatto che la novella legislativa è stata chiara nel prevedere detta indicazione come necessaria a pena di nullità (Trib. Roma 15 giugno 2016).

Il compenso richiesto dall'amministratore, quindi, deve essere contenuto nella lettera d'incarico. L'evidente ratio dell'art. 1129, comma 14, c.c. è quella di garantire la massima trasparenza per i condòmini, rendendoli edotti delle singole voci di cui si compone l'emolumento dell'organo gestorio fin dal momento del conferimento dell'incarico. Tale onere, che si applica anche nel caso di rinnovo dell'incarico, si può considerare adempiuto quando il richiamo e la conferma del compenso di cui al precedente mandato siano stati espliciti, non essendo sufficiente allo scopo riportare a bilancio l'entità della somma come “compenso dell'amministratore” (Trib. Roma 10 ottobre 2018).

In senso contrario è stato affermato che, in tema di nomina assembleare, è legittimo il richiamo al compenso percepito dall'amministratore l'anno precedente in quanto equivale ad un'indicazione di un compenso espresso, numericamente determinato e inequivocabilmente determinabile (Trib. Busto Arsizio 10 gennaio 2020, n. 33).

Il palese contrasto giurisprudenziale deriverebbe soprattutto da una severa lettura del dato normativo. In effetti, se nel preventivo di gestione il compenso, chiaro e dettagliato, è stato approvato dall'assemblea in sede di conferimento del primo incarico annuale dell'amministratore non vi sarebbe motivo per non farlo valere, se identico a quello precedente, anche per l'anno successivo  e per quelli a venire (Tarantino, 2021).

La mancata indicazione del compenso, che invalida il contratto di amministrazione, travolge anche la delibera assembleare, in quanto atto volitivo diretto alla conclusione del contratto che è risultato nullo (Trib. Massa 27 novembre 2018;  Trib. Roma 13 aprile 2017;  Trib. Milano 3 aprile 2016).

In senso contrario è stato ritenuto che tal omissione non costituisce motivo di nullità, per violazione dell'art. 1129, comma 14, c.c. della delibera assembleare: la comunicazione del preventivo non è infatti un elemento costitutivo della delibera di nomina dell'amministratore, ma un semplice adempimento che lo stesso può effettuare anche in un momento differente, anteriore, coevo o successivo all'adozione della delibera (Trib. Palermo 9 febbraio 2018 conforme a Cass. II, n. 21966/2017).

È stata, invece, ritenuta compatibile con il dettato dell'art. 1129 c.c. l'offerta acquisita al verbale assembleare contenente la richiesta di un compenso annuo pari a quello erogato all'amministratore uscente, indicando specificatamente le attività comprese e quelle aggiuntive. Il tutto in forza di espresso richiamo al corrispettivo liquidato all'ex amministratore e risultante dall'ultimo bilancio noto ai condomini (Trib. Roma 19 settembre 2017). 

E' stato anche osservato che la legge non fornisce alcuna indicazione, né di massima né tantomeno obbligatoria, in merito alla modalità di determinazione del compenso. Pertanto, in assenza di una norma che imponga la redazione di determinate voci, sarebbe sufficiente la prassi, molto diffusa, di indicare un importo forfettario restando sempre determinante, tuttavia, che dalla delibera risulti l'entità del compenso (Trib. Bolzano 24 febbraio 2020, n. 214, con nota di NICOLA, 2020).

Nel caso in cui alcuni condomini contestino come eccessiva, sproporzionata ed irragionevole la determinazione del compenso dell'amministratore da parte dell'assemblea, il giudice non può limitarsi a ricondurre la determinazione adottata nell'ambito della discrezionalità di merito spettate all'organo deliberativo, ma deve valutare, sulla base degli elementi di prova o indicazioni offerti dalle parti, in ordine, ad esempio, ai parametri di mercato in vigore per condominii di analoghe dimensioni, se, nel determinare la misura del compenso, la delibera abbia effettivamente perseguito l'interesse dei partecipanti del condominio ovvero sia stata ispirata dall'intento di recare vantaggi all'amministratore in carica (Cass. II, n. 7615/2023).

La delibera assembleare con la quale viene disposta la nomina o il rinnovo dell'incarico all'amministratore è null a allorché il relativo verbale non contenga l'indicazione specifica del compenso spettante al rappresentante del condominio per l'attività che egli deve svolgere (Trib. Udine 12 novembre 2018).

Tale nullità è esclusa se nella deliberazione sono richiamate e allegate le comunicazioni inviate ai condòmini con l'indicazione dell'importo da corrispondere. La nomina dell'amministratore, infatti, a seguito della riforma del 2012, si struttura quale scambio di proposta e accettazione, così come si desume dai commi 2 e 14 dell'art. 1129 c.c., come pure dall'art. 1130 c.c., il quale dispone che la nomina deve essere annotata in apposito registro e, più in generale, la delibera di nomina e il correlato contratto di amministrazione devono avere forma scritta (App. Bari 20 luglio 2023, n. 1201; Cass. VI, n. 12927/2022).

Pur a fronte della mancata indicazione del compenso all'atto della conferma, se  l'assemblea condominiale ha approvato il rendiconto delle gestioni per come svolte dall'amministratore, anche in riferimento all'importo dovuto a tale titolo, il compenso stesso deve essere considerato oggetto di accordo tardivo ed implicito (Trib. Roma 24 gennaio 2023, n. 1105).

Nella retribuzione dell'amministratore è compresa anche l'attività da questi svolta in caso di interventi urgenti necessari per evitare un pregiudizio agli interessi comuni (art. 1129, comma 8, c.c.).

L'analitica predisposizione del preventivo presentato dall'amministratore ha eliminato il problema della richiesta di compensi aggiuntivi. Tuttavia, va osservato che nel corso del mandato si potrebbero verificare situazioni nelle quali l'amministratore sia chiamato dall'assemblea a compiere attività non ricomprese nell'ambito delle specifiche attribuzioni. In tal caso queste dovranno essere retribuite a parte previa delibera assembleare.

In dottrina si è parlato delle c.d. attività distraordinarietà qualificata” ossia quelle che non possano essere considerate strumentali o preparatorie allo svolgimento del ruolo di amministratore e, quindi, esorbitanti dallo svolgimento dei compiti afferenti al mandato conferito dall'assemblea; di conseguenza, le prestazioni di cui sopra conferiscono all'amministratore il diritto ad un compenso aggiuntivo (Nasini, Amministratore (compenso).

La norma è necessariamente generica poiché, laddove pone a carico dell'amministratore l'obbligo di specificare il proprio compenso all'atto dell'accettazione della nomina, non può coprire l'intero ambito di svolgimento dell'incarico le cui attività di carattere straordinario si potrebbero concretizzare nel corso del mandato. Se, infatti, alcune attività non potranno essere inserire nell'ambito del preventivo che l'amministratore sottopone all'assemblea, altre, invece, potranno esservi già ricomprese, mentre è impensabile che un compenso straordinario possa essere indicato in via generica ed a copertura di qualsiasi evento eccezionale (Orefice, 2019).

Ad esempio, nel preventivo relativo all'incarico l'amministratore potrà già inserire l'importo percentuale richiesto per l'assistenza fornita nel caso di lavori straordinari di notevole entità, anche applicando il compenso aggiuntivo solo allorché l'importo delle opere superi una determinata entità. Mentre deve essere sottoposto all'approvazione dell'assemblea, in quanto non prevedibile al momento della nomina, il compenso relativo a determinate attività di carattere amministrativo che richiedano più accessi ad uffici tecnici, erariali e così via.    

E' stato rilevato, criticamente, che la legge di riforma del condominio non ha tenuto conto dell'aumento degli adempimenti posti a carico dell'amministratore, che richiedono un alto grado di investimenti economici e di personale, creando un'enorme sproporzione tra le responsabilità imposte e le ragioni di tutela della professione (TOLOMELLI, 2019).

Anche per la Corte, per quanto l'attività dell'amministratore, connessa ed indispensabile allo svolgimento dei suoi compiti istituzionali e non esorbitante dal mandato con rappresentanza, debba tendenzialmente ritenersi compresa, quanto al suo compenso, nel corrispettivo stabilito al momento del conferimento dell'incarico per tutta l'attività amministrativa, rientra nelle competenze dell'assemblea quella di riconoscergli, con una specifica delibera, un compenso aggiuntivo al fine di remunerare un'attività straordinaria, non ravvisando sufficiente il compenso forfettario in precedenza accordato (Cass.II, n. 23254/2021 Cass. II, n. 5014/2018; Trib. Bologna 20 settembre 2018, n. 20786 con nota di De Santis, 2019; Trib. Taranto 3 novembre 2023, n. 2602,  con nota di BORDOLLI, 2023).  

La norma, che si limita a stabilire l'onere, per l'amministratore, di indicare il proprio compenso, non vieta all'assemblea dei condomini, nell'ambito delle sue prerogative, non sindacabili neppure sotto il profilo dell'opportunità, di riconoscere all'amministratore un aumento del compenso nel corso del mandato. Ciò che, invece, è contrario al principio della prevedibilità della spesa, desumibile dall'art. 1129 c.c., è la decisione dell'assemblea di attribuire efficacia retroattiva alla delibera di aumento del compenso. Con tale decisione, infatti, si rende non quantificabile la spesa per il compenso in quanto non si delibera per le prestazioni future dell'amministratore ma si delibera per quelle già eseguite (Trib. Taranto 10 ottobre 2023, n. 2353).

Malgrado il dettato dell'art. 1129, comma 14, l. n. 220/2012, è stato rilevato, nel merito, che la legge non fornisce alcuna indicazione, né di massima né tanto meno obbligatoria, in merito alla modalità di determinazione del compenso. In assenza di una norma che imponga la redazione di determinate voci, sarebbe sufficiente la prassi, in verità molto diffusa, di indicare un compenso forfettario. Ciò che rileva, in definitiva, è che dalla delibera risulti l'entità del compenso. La mancanza di un conteggio preciso e dettagliato, pur essendo auspicabile nell'interesse dei condomini, tuttavia, non è sufficiente  da sola a determinare la nullità della delibera, che può essere comminata solo nei casi di violazioni effettivamente gravi oltre che, naturalmente, previsti dalla legge. Nel caso di specie, peraltro, non essendovi chiarezza sul concetto “analiticamente” e mancando ogni contestazione sul punto specifico deve essere esclusa la violazione dell'art. 1129, comma 14, c.c. con ogni conseguente invalidità derivata della relativa delibera assembleare (Trib. Bolzano 24 febbraio 2020, n. 214).

È stato ritenuto che dare corso agli adempimenti fiscali rientri nell'ambito dell'ordinaria amministrazione e, quindi, nel corrispettivo richiesto al condominio. Tuttavia, ove l'amministratore per tali incombenti si dovesse fare coadiuvare da un esperto dovrà tenere conto di tale evenienza il cui costo dovrà essere già inserito nel preventivo sottoposto all'esame dell'assemblea. Diversamente il costo aggiuntivo non potrà essergli riconosciuto (Lazzaro, 348).

Nel senso di cui sopra anche la costante giurisprudenza di legittimità, che ha affermato che l'attività, connessa ed indispensabile allo svolgimento dei compiti istituzionali dell'amministratore deve ritenersi compresa, quanto al suo compenso, nel corrispettivo stabilito al momento del conferimento dell'incarico per tutta la durata dell'amministrazione, essendo tale la partecipazione dell'amministratore alla redazione di un contratto di appalto lavori (Cass. II, n. 22313/2013). Per il merito rientra nell'ambito del mandato l'attività prestata in occasione di lavori di manutenzione straordinaria deliberati dall'ente di gestione (Trib. Roma 3 gennaio 2017; Trib. Firenze 13 gennaio 2014) e quella svolta per la revisione ed inserimento delle nuove tabelle millesimali, il controllo dei dati contabili, la revisione dei bilanci di esercizio, ecc. (Trib. Roma 3 settembre 2015).

Anche qualora il compenso per lavori straordinari sia stato deliberato dall'assemblea il diritto sorge nel momento in cui i lavori siano stati effettivamente eseguiti. In caso contrario l'amministratore non ha diritto ad alcuna percezione di somme in questo senso. Al massimo potrebbe vantare un diritto al compenso per l'attività medio tempore prestata e propedeutica alla realizzazione dei lavori deliberati e non concretizzati. In tal caso l'onere della prova è posto a carico dell'amministratore (Trib. Catania 16 giugno 2020, n. 2067; Trib. Roma 9 maggio 2022, n. 8597). E', altresì, da considerarsi indeterminata la pretesa concernente la richiesta di un corrispettivo per le "incombenze collegate" ai lavori che avrebbero dovuto essere eseguiti, in quanto tale pretesa è rapportata a prestazioni insuscettibili di un concreto apprezzamento in termini di remunerazione nonché a criteri di quantificazione del tutto opinabili, avendo l'amministratore (anche se uscente9 inteso quantificare la propria opera in una non meglio precisata misura forfettaria (ivi Trib. Roma n. 8597/2022).

Ugualmente non eccede il mandato dell'amministratore la ricostruzione da questo effettuata della precedente contabilità condominiale a seguito del passaggio delle consegne, il cui compenso è ricompreso in quello riconosciuto o pattuito per la gestione annuale dell'amministratore. Così come l'attività svolta per i solleciti di pagamento inviati ai condomini morosi è tipica dell'amministrazione ordinaria (App. Milano, 17 luglio 2017).

Il compenso dell'amministratore, infine, non può essere chiesto in restituzione dal condominio per asserita cattiva gestione condominiale, trattandosi di importo regolarmente maturato e deliberato dall'assemblea. Al più il condominio potrà promuovere nei confronti dell'ex amministratore un'azione risarcitoria, rimanendo a carico del condominio stesso l'onere di provare i danni patiti.

In questo senso, si è espresso il giudice del merito, il quale ha respinto la domanda di restituzione del compenso versato all'amministratore non più in carica per l'attività professionale svolta, malgrado la condanna di questo alla restituzione in favore del condominio di somme mancanti e non rendicontate (Trib. Roma 6 marzo 2017).

L'Agenzia delle Entrate (Circolare n. 30/2020, punto 4.4.1) ha confermato che, in linea con la prassi in materia di detrazioni per gli interventi di ristrutturazione edilizia e di riqualificazione energetica degli edifici – come già ribadito dalla circolare 08 luglio 2020, n. 19/E – la spesa per il compenso straordinario dell'amministratore non può essere considerata tra quelle ammesse alla detrazione e, dunque, non può essere oggetto né del c.d. “sconto in fattura”, né di “cessione”, ai sensi dell'art. 121 del Decreto Rilancio. L'amministratore, infatti, svolge le proprie attribuzioni in conformità al mandato conferitogli dal condominio ed eventuali compensi, anche extra, riconosciuti dal condominio, ancorché riconducibili alla gestione (straordinaria) dei lavori, non possono rientrare tra le spese che danno diritto al Superbonus. Tale compenso, infatti, non è caratterizzato da un'immediata correlazione con gli interventi che danno diritto alla detrazione in quanto gli adempimenti amministrativi rientrano tra gli ordinari obblighi posti a carico dell'amministratore da imputare alle spese generali del condominio.

Accettazione della nomina e primi adempimenti

Il comma 2 dell'art. 1129 c.c. stabilisce che contestualmente all'accettazione della nomina l'amministratore deve procedere ad una serie di adempimenti di carattere meramente burocratico, in modo da porsi nei confronti del condominio, fino dal primo momento, come soggetto pronto a prestare la sua attività con il dovuto impegno chiesto al mandatario.

La norma rappresenta una delle tante novità introdotte dalla l. n. 220 del 2012 ed ha risolto una situazione di incertezza, che si era creata in merito alla necessità dell'accettazione della nomina da parte dell'amministratore. Alcuni autori, infatti, la ritenevano non obbligatoria perché non prevista da alcuna disposizione di legge, mentre per altri interpreti, supportati da certa giurisprudenza, l'amministratore diveniva operativo per il solo fatto che l'assemblea gli aveva conferito l'incarico.

Si era argomentato a questo proposito che il rapporto contrattuale amministratore/condominio non poteva che nascere con la proposta, l'accettazione e, infine, la conoscenza di questa da parte del proponente, secondo la disciplina generale di cui all'art. 1326 c.c. In caso contrario un amministratore, senza il proprio consenso definitivo, si sarebbe potuto trovare ad esercitare, a prescindere, il mandato anche se, poi, avesse voluto immediatamente esercitare il suo dissenso (Terzago, 345).

Di diverso avviso altri autori, che da un lato avevano osservato che il problema certamente non si poneva allorché l'amministratore fosse stato presente all'assemblea nella quale si discuteva l'argomento e, dall'altro, avevano riconosciuto validità all'accettazione tacita, identificabile negli immediati atti compiuti dall'amministratore e tali da rendere concreto l'inizio della nuova gestione condominiale (De Renzis, 488).

Tale interpretazione, che derivava da una applicazione analogica dell'art. 1392 c.c., sarebbe oggi da escludere alla luce della nuova normativa poiché consentirebbe di aggirare le stringenti disposizioni ed attribuzioni poste a carico dell'amministratore del condominio (Lazzaro, 332).

Per altro verso si è affermato che la nomina si può considerare validamente comunicata anche per via verbale e forse si può presumere accettata implicitamente se vi è la comunicazione di tutti i dati indicati nell'art. 1129, comma 2, c.c. (Nasini, 2017, L'amministratore, 672).

Anche la giurisprudenza si è espressa in senso oscillante. La Corte Suprema, non reputando necessaria l'accettazione, aveva sostenuto (sempre con riferimento ad una fattispecie anteriore all'entrata in vigore della riforma) che il potere di convocazione dell'assemblea spetta anche all'amministratore, la cui nomina assembleare non sia stata immediatamente seguita dall'accettazione. In particolare era stato osservato che il principio della prorogatio imperii, applicabile all'amministratore la cui nomina fosse stata dichiarata illegittima, a maggior ragione lo sarebbe stato nel caso di non contestualizzazione di designazione e di accettazione (Cass. II, n. 14930/2013).

Risalente giurisprudenza si era espressa nel senso di un'investitura ope legis dell'amministratore, rispetto al potere di gestire e rappresentare il condominio, sino dal momento della nomina (assembleare o giudiziaria) posto che nessuna norma prevede(va) la necessità dell'accettazione (Trib. Genova 25 gennaio 1999). Negli stessi termini altri giudici di merito, i quali avevano anche precisato che l'amministratore poteva avvalersi del diritto di rinunziare all'incarico ma solo convocando apposita assemblea (Trib. Sassari 25 febbraio 1985).

In senso contrario sempre la Corte la quale aveva ritenuto che la qualità di amministratore del condominio implica l'accettazione della nomina, che è atto negoziale e non fatto storico. Per tale motivo era stato escluso che il giuramento, decisorio o suppletorio, potesse vertere sull'esistenza o inesistenza di rapporti o situazioni giuridiche (quale, appunto la carica dell'amministratore), dovendo la sua formula avere ad oggetto situazioni determinate (Cass. II, n. 10184/2013).

Al di là di quanto rilevato per la fase precedente alla nuova normativa, malgrado il problema sembri essere stato superato dal dettato dell'art. 1129, comma 2, c.c. restano, tuttavia, aperte alcune questioni.

Ulteriori problemi riguardano sia l'indicazione del soggetto al quale devono essere comunicati accettazione e dati dell'amministratore, sia del termine entro il quale deve avvenire l'accettazione. Nel primo caso si è osservato che il problema non si pone, evidentemente, quando il nuovo amministratore sia presente in assemblea. Nell'ipotesi di mancata fissazione di un tempo per l'accettazione, invece, si potrebbe creare una situazione di incertezza per la gestione del condominio (Terzago, 345).

Appare, comunque, opportuno che l'assemblea nel formulare la proposta determini sempre un termine per il futuro amministratore al fine di evitare uno stato di incertezza.

La comunicazione dei dati identificativi dell'amministratore garantisce, fino dal primo momento, all'instaurato rapporto trasparenza e correttezza. Tutti i condomini, infatti, devono conoscere i dati anagrafici dell'amministratore (persona fisica o giuridica. In questo caso devono essere resi noti la sede legale e la denominazione della società); il suo codice fiscale; il domicilio dello stesso (ovvero i locali dove sono conservati i registri dell'anagrafe condominiale e dei verbali assembleari); i giorni e le ore in cui ogni interessato potrà, previa richiesta, prendere visione gratuitamente ed estrarre copia, con spese a proprio carico, dei registri indicati nei punti 6) e 7) dell'art. 1130 c.c.

La mancata attuazione dell'incombente relativo alla comunicazione dei registri indicati nell'art. 1130, nn. 6) e 7), c.c. quanto ai dati identificativi dell'amministratore, costituisce grave irregolarità ai fini della sua revoca, ma non condiziona la validità o l'efficacia del mandato che si è perfezionato con l'accettazione della proposta (Lazzaro, 333).

Il condominio, in quanto soggetto privo di personalità giuridica, non ha una sede propria, per cui il suo domicilio coincide con quello proprio dell'amministratore. La norma si riferisce unicamente al luogo ove sono conservati i documenti inerenti al condominio, poiché per l'aspetto meramente processuale, quale la notifica degli atti indirizzati all'Ente, qualora non avvenga nelle mani dell'amministratore, può essere validamente fatta nello stabile condominiale soltanto qualora in esso si trovino locali destinati allo svolgimento ed alla gestione delle cose e dei servizi comuni (come ad esempio la portineria), idonei, come tali, a configurare un «ufficio» dell'amministratore, dovendo, in mancanza, essere eseguita presso il domicilio privato di quest'ultimo (Cass. II, n. 11303/2007).

Infatti, la notifica al condominio di edifici, in quanto semplice "ente di gestione" privo soggettività giuridica, va effettuata, secondo le regole stabilite per le persone fisiche, all'amministratore, quale elemento che unifica, all'esterno, la compagine dei proprietari delle singole porzioni immobiliari. Da ciò consegue che, oltre che ovunque, "in mani proprie", l'atto può essere consegnato ai soggetti abilitati a riceverlo, invece del destinatario, soltanto nei luoghi in cui ciò è consentito dagli art. 139 e ss. c.p.c., tra i quali può essere compreso, in quanto "ufficio" dell'amministratore, anche lo stabile condominiale, ma solo a condizione che ivi esistano locali, come può essere la portineria, specificamente destinati e concretamente utilizzati per l'organizzazione e lo svolgimento della gestione delle cose e dei servizi comuni” (Cass. II, n. 25276/2017; Trib. Roma, 23 dicembre 2022, n. 18978).

Pubblicità dei dati concernenti l'amministratore ed il suo sostituto

Sempre nell'ottica di favorire la gestione del condominio anche sotto il profilo della conoscibilità e reperibilità del soggetto che amministra lo stabile, nell'art. 1129 c.c. sono state inserite due disposizioni che hanno per destinatari non solo i condomini ma anche i soggetti terzi.

Con il comma 5, infatti, è stato disposto che sul luogo di accesso al condominio o di maggior uso comune, che sia accessibile anche ai terzi, deve essere affissa l'indicazione delle generalità, del domicilio e dei recapiti, anche telefonici dell'amministratore. Per raggiungere lo scopo voluto dal legislatore, trasparenza ed informazione, appare evidente che i dati non possano che essere impressi su targa apposta all'esterno del condominio, ben visibile a tutti (per prassi nelle immediate vicinanze del citofono), non ritenendosi sufficiente una semplice comunicazione affissa in bacheca posta all'interno dell'edificio (es. androne dello stabile), perché tale scelta non corrisponde ai fini voluti dal legislatore.

Malgrado l'incombente sia previsto come obbligo, non vi sono sanzioni in caso di inadempimento e, forse proprio per questo, molti amministratori non si sono mai adeguati al dettato legislativo. In questo caso si tratterebbe di violazione dei più elementari doveri di diligenza previsti, in via generale, dall'art. 1710 c.c., la cui inosservanza, per eventuali danni a cose e persone, potrebbe essere fonte di responsabilità contrattuale verso i condomini ed extra-contrattuale nei confronti dei terzi.

Il termine reperibilità è stato correttamente interpretato non nel senso di obbligo di immediata rintracciabilità dell’amministratore, poiché nella normativa condominiale mancano disposizioni in tal senso che sono, invece, applicabili ad alcune categorie di lavoratori dipendenti (quali ad esempio i portieri con alloggio negli orari contrattualmente stabiliti), mentre l’amministratore svolge un incarico in modo indipendente ed in piena autonomia (Orefice, 2019).    

Occorre, poi, evidenziare che la norma sembra essere posta soprattutto a tutela degli estranei al condominio, visto che i condomini sono tutti a conoscenza dei recapiti dell'amministratore.

Anche se per alcune associazioni di amministratori la norma è impersonale, per cui dovrebbe essere il condominio ad autorizzare il proprio rappresentante ad utilizzare spazi comuni, si ritiene che la disposizione sia un obbligo posto a carico di tale soggetto, talché l'amministratore vi deve provvedere spontaneamente. In caso di inerzia i condomini potranno diffidarlo formalmente ad adempiere e, infine, nel perdurare del comportamento omissivo, dovrebbero provvedere gli stessi. Più difficile la strada di investire l'assemblea della questione. Potenzialmente possibile, infatti, deliberare sul punto in sede assembleare e, poi, ricorrere all'autorità giudiziale per la revoca dell'amministratore per mancata esecuzione di delibera, visto che l'inadempimento non è considerato grave irregolarità. Mentre l'assemblea, che ne ha tutti i titoli, potrebbe revocare essa stessa l'amministratore. La soluzione migliore, quindi, è che i condomini provvedano essi stessi a posizionare la targa come previsto dall'articolo in esame.

Un'eventuale disposizione del regolamento condominiale che vieti di apporre targhe, insegne e simili negli spazi comuni non avrebbe rilevanza, vista l'inderogabilità dell'art. 1129 c.c. e questo sia che si tratti di regolamenti antecedenti all'entrata in vigore della riforma del condominio, sia per quelli successivi trattandosi, nella specie di clausola nulla.

La targa non ha carattere di pubblicità e non è soggetta alla relativa imposta come stabilito dal d.lgs. 15 novembre 1993, n. 507 (art. 17, lett. i), essendo la sua apposizione obbligatoria per legge.

In mancanza di prova diversa fornita dall’amministratore le sue generalità ben possono essere tratte da una circolare affissa nel condominio dalla quale risultino i suoi dati (Trib. Roma 21 febbraio 2020, n. 3874. Fattispecie relativa a sanzione erogata dal Comune al condominio per violazione del regolamento per la raccolta dei rifiuti urbani e contestata per carenza di legittimazione passiva dell’amministratore, il quale aveva eccepito di non ricoprire detta carica. Tale eccezione non influisce sulla violazione perpetrata dal condominio e non costituisce ostacolo all’applicazione della norma per mancata o errata identificazione del soggetto destinatario che rappresenta l’Ente).

Si è propensi ad escludere anche qualsivoglia questione in tema di violazione della privacy proprio in considerazione della finalità della norma. A questo proposito sarà interessante seguire i provvedimenti ed i chiarimenti che sicuramente saranno formulati dal Garante della Privacy quanto all'applicazione, alla materia condominiale, del nuovo Regolamento del Parlamento Europeo n. 679/2016 del 27 aprile 2016 («relativo alla protezione delle persone fisiche con riguardo al trattamento dei dati personali, nonché alla libera circolazione di tali dati e che abroga la direttiva 65/45/CE»),

Parte della dottrina è critica verso quella che è stata ritenuta essere una pretesa del legislatore del 2012 rispetto all'affissione delle generalità e dei recapiti dell'amministratore in luoghi accessibili anche a soggetti terzi e senza richiedere il consenso del soggetto interessato. Coercizione che, andando al di là della comprensibile comunicazione dell'informazione ai soggetti interessati nell'ambito della compagine condominiale, si risolverebbe nel mettere a disposizione di un indeterminato numero di persone estranee dati che, se non vi fosse stata la rinnovata disciplina condominiale, dovrebbero essere riservati per non incorrere nelle violazioni del Codice della privacy (Terzago, 342; Celeste-Scarpa, 32).

Ampia diffusione, infine, è stata consentita anche alle generalità ed ai recapiti del soggetto che, in mancanza dell'amministratore ne svolge le funzioni. Sulla figura del sostituto dell'amministratore si rinvia all'apposito paragrafo.

Quanto alle spese per la realizzazione della targa, queste non possono che essere poste a carico dei condomini secondo la tabella della proprietà generale.

Il conto corrente condominiale

Tutte le somme ricevute dall'amministratore a qualunque titolo da condomini e da terzi, nonché quelle in uscita per conto del condominio devono transitare per un conto corrente bancario o postale, intestato al condominio, che può essere in qualunque momento controllato dai condomini previa presa visione, tramite l'amministratore stesso, della rendicontazione periodica ed estrazione di relative copie a proprie spese (Nasini 2017, L'amministratore, 721; Lazzaro, 360). L'obbligatorietà del conto corrente comune è prevista quando nel condominio è presente l'amministratore, il quale è il solo obbligato ad aprire il rapporto con l'istituto bancario. Raramente l'amministratore revocato procede alla chiusura del conto corrente, trasmettendo al suo successore un assegno circolare. Ove ciò avvenisse sarebbe un modus operandi non corretto e che non dovrebbe essere preso in considerazione dall'istituto, considerato che il titolare del conto corrente è il condominio, sia pure in persona dell'amministratore (Gallucci, 2019). 

L'obbligo stabilito dall'art. 1129 c.c. non si traduce in un divieto generale di accettare pagamenti manuali che, peraltro, non si desume dalla norma. Questa, infatti, si limita a stabilire che gli importi incassati dall'amministratore devono essere versati sul conto corrente bancario o postale intestato al condominio (Trib. Foggia 4 gennaio 2021, n. 3). Diversamente, il condominio deve effettuare i pagamenti tramite conto corrente bancario o postale indipendentemente dall'importo.

L'art. 1129, comma 7, c.c. è forse una delle novità più rilevanti messe in campo dalla riforma del 2012, poiché ha posto fine a quei comportamenti del tutto illegittimi degli amministratori che, non dotando ogni condominio di un proprio conto corrente, facevano affluire tutti i pagamenti su conti correnti intestati a sé medesimi. Questo creava non solo una confusione di patrimoni tra tutti i condomìni, impedendo di verificare la tracciabilità dei movimenti, ma naturalmente poneva ulteriori problemi riferibili alla persona dell'amministratore ed alla sua posizione nei confronti del condominio. Basti solo pensare che, in caso di morte dell'amministratore si potevano aprire scenari di portata non valutabile qualora il conto corrente fosse stato intestato al medesimo, non come «amministratore di condominii» (e già solo questo fatto era foriero di notevoli problemi), ma come persona semplice.

È stato affermato che con la riforma del 2012 si è fatto un esplicito riferimento alla nozione di patrimonio del condominio che deve essere tenuto separato da quello dell'amministratore e di tutti i condomini e che è rappresentato proprio dal conto corrente intestato al condominio. In tal modo, quindi, il conto rappresenta la misura della responsabilità patrimoniale dei condomini per le obbligazioni inerenti alla gestione delle cose e dei servizi comuni (Celeste-Scarpa, 77). Si tratta, ad avviso di altri autori, di una novità che ha superato quella che in passato era stata ritenuta come una vera e propria impossibilità di individuare il debitore inadempiente nel soggetto sprovvisto di un elemento patrimoniale in grado di soddisfare anche coattivamente l'interesse del creditore (Capponi, 201).

La differenza tra patrimonio del condominio e conto corrente condominiale passa anche attraverso la specificità dei due concetti, di cui il primo è stato analizzato sotto i diversi profili giuridico, economico ed aziendale, mentre il secondo – ovvero il conto corrente – è stato definito come lo strumento tecnico bancario, rappresentato da un simbolico contenitore in cui entrano ed escono i denari (Santarelli, 2019).

Ancora più decisive della dottrina, ai fini della novità introdotta dal legislatore, sono state le innumerevoli decisioni della giurisprudenza di legittimità e di merito, che nel corso degli anni hanno costantemente affermato che l'amministratore è tenuto ad aprire un conto corrente per ogni condominio.

Nel merito era stato così dichiarato l'obbligo dell'amministratore, anche in assenza di specifica norma coercitiva, di far affluire i versamenti delle quote condominiali su di un apposito e separato conto intestato a ciascun condominio da lui amministrato al fine di evitare confusione tra il patrimonio personale del medesimo e quello dei diversi condominii, nonché tra questi ultimi. Un tale comportamento, inoltre, che ingenerava non solo confusione contabile ma l'impossibile controllo da parte dei condomini, rappresentava una irregolarità gestionale tale da portare da solo alla revoca dell'amministratore (Trib. Salerno 3 maggio 2011; Trib. Roma 29 agosto 2009; Trib. Torino 3 maggio 2000). Nell'ipotesi di azione di ripetizione di indebito oggettivo, promossa nei confronti di un condominio sul cui conto corrente siano affluite o transitate somme di denaro attinenti ad altri condominii, in assenza di causa giustificativa stante l'insussistenza di rapporti tra i condominii stessi, legittimato passivo all'azione è solo l'ente condominiale, in capo al quale si sono consolidati gli effetti del pagamento non dovuto (Trib. Lodi 13 dicembre 2018).

In assenza di una norma dispositiva in tal senso la decisione veniva, dunque, rimessa alla discrezionalità dell'assemblea che poteva deliberare a maggioranza semplice trattandosi di questione attinente alla corrente gestione condominiale e che non poteva che risolversi in una misura di sicurezza e di maggior controllo dell'operato dell'amministratore. Il ché non escludeva che fosse anche lo stesso amministratore a determinarsi per l'apertura del conto bancario.

Di recente è stato affermato che l'amministratore che eroghi per conto del condominio somme che faccia transitare su un conto corrente non intestato a detto condominio, ma che siano comunque di pertinenza dello stesso, in violazione dell'art. 1129, comma 7, c.c., è cosa che rileva ai fini delle gravi irregolarità perseguibili nell'ambito dell'inadempimento del contratto di amministrazione, ma non esclude che il condominio acquisisca la qualità di solvens. Questo accade ove l'amministratore, tradendo il vincolo fiduciario in ordine alla gestione del conto, proceda ad indebiti pagamenti in favore di terzi. La ripetizione d'indebito oggettivo, che configura un'azione di natura restitutoria a carattere personale, è circoscritta tra il destinatario del pagamento e il solvens, sia che questi lo abbia effettuato personalmente, sia che il pagamento sia avvenuto a mezzo di rappresentante. Ne consegue che deve essere esclusa la legittimazione attiva in proprio del rappresentante in un'azione promossa ai sensi dell'art. 2033 c.c. al fine di ottenere la restituzione di somme versate dal medesimo in tale specifica qualità, spettando detta legittimazione esclusivamente al rappresentato (Cass.  II, n. 5268/2024).

Con riferimento alla nuova disciplina è stato correttamente osservato che l'assemblea non ha il potere di esonerare l'amministratore da un incombente che gli spetta per legge. Trattasi di attribuzione che rientra nei suoi compiti, pur precisandosi che una movimentazione diretta del conto corrente a cura dell'amministratore è limitata alla gestione ordinaria. Operazioni di carattere straordinario possono essere effettuate solo con l'approvazione dell'assemblea (Guida, 291).

Malgrado il diffuso orientamento della giurisprudenza di merito in relazione ad una possibile revoca dell'amministratore per la mancata apertura del conto corrente condominiale, che non aveva ancora trovato riscontro in sede di legittimità, la Corte aveva sostanzialmente confermato l'opportunità di tale scelta nell'ottica del rispetto del principio di trasparenza e di informazione nei confronti dei condomini ai quali veniva data la possibilità di avere conoscenza, facile e comprensibile, dell'intera gestione condominiale. Ben diversa – sempre ad avviso della stessa Corte – la decisione di aprire una linea di credito bancaria riservata all'assemblea e non all'amministratore, comportando la stessa la possibilità di scoperto, necessariamente produttivo di interessi passivi (Cass. II, n. 7162/2012).

Sempre con riferimento a fattispecie ricadente nel vigore della precedente legislazione e ribadito il pieno potere discrezionale dell'assemblea nelle proprie scelte, pacificamente sottratto – ad eccezione di casi specifici – al sindacato del giudice, è stato affermato che, in sede di impugnativa ai sensi dell'art. 1137 c.c., non è suscettibile di controllo da parte del giudice l'operato dell'assemblea in relazione alla mancata apertura di un conto corrente intestato al condominio, attenendo la decisione all'opportunità o alla convenienza dell'adozione delle modalità della gestione delle spese relative alle cose ed ai servizi comuni (Cass. II, n. 10199/2012).

L'art. 1129 c.c. esclude che uno stesso conto corrente possa valere contestualmente per due condominii, anche se amministrati dallo stesso soggetto per autorizzazione di delibera assembleare (nella specie: unico amministratore per due condominii, di cui uno minimo e l'altro piccolo; successiva costituzione degli stabili in supercondominio; sussistenza di un codice fiscale unico). Poi, è stato affermato che per accertare una negligenza diretta nei confronti dell'istituto è necessario che la prova sia fornita da chi tale comportamento abbia stigmatizzato.

Quanto a ciò è stato sollevato il problema se si possa ravvisare una negligenza dell'intermediario per omesso controllo sulla gestione di un c/c condominiale, avendo tralasciato di verificarne la corretta intestazione e, quindi, il suo utilizzo da parte di un soggetto non legittimato.

L'A.B.F. di Milano (dec. 8 marzo 2017, n. 2279; dec. 1° settembre 2020, n. 15234) ha affermato che il rapporto di correttezza e buona fede insito nei rapporti tra la banca ed il cliente non può implicare l'obbligo dell'intermediario a vigilare sui comportamenti posti in essere dall'amministratore del condominio nella gestione del conto, ad eccezione di anomalie assolutamente evidenti.

Ai fini dell'accertamento della negligenza dell'istituto la prova deve essere fornita da chi tale comportamento abbia stigmatizzato.

Sono state introdotte nuove regole per i  conti correnti in rosso. L'EBA (European banking autority), a far data dal 1° gennaio  2021 ha stabilito regole più stringenti nel caso di sconfinamento del correntista dal conto corrente. Questi, infatti, si vedrà bloccato il  RID (Rapporto interbancario diretto) qualora, per più di 90 giorni, il conto corrente non abbia fondi sufficienti per pagare la somma esigua di € 100,00. La nuova norma si applica anche al condominio, il cui amministratore  è obbligato (art. 1129, comma 7, c.c.) ad aprire un conto corrente, bancario o postale, a nome del mandatario. Non solo, quindi, se il condominio effettua il pagamento di utenze comuni (luce ed acqua) o di stipendi ai propri dipendenti tramite la domiciliazione bancaria non lo potrà più fare, ma la banca sarà obbligata a segnalare il nome  del cliente/condominio alla centrale dei rischi. Un motivo in più per obbligare l'amministratore a procedere, senza indugio,   al recupero forzoso dei crediti condominiali

Accesso del condomino al conto corrente condominiale

Se si volesse seguire un'interpretazione strettamente letterale dell'art. 1129, comma 7, c.c. il condomino potrebbe chiedere di visionare la rendicontazione periodica ma non avrebbe accesso diretto al conto corrente. Questo è quanto emergerebbe da un'esegesi restrittiva dell'espressione «tramite l'amministratore», dalla quale si potrebbe trarre che il legislatore abbia inteso porre un filtro alle richieste dei condomini in questo ambito specifico.

Agli occhi degli interpreti non tutto è sembrato così chiaro. Richiamando l'orientamento giurisprudenziale, secondo il quale l'attività contrattuale del gruppo dei condomini produce effetti direttamente riconducibili ai singoli condomini, sarebbe derivato il collegamento tra il conto corrente stipulato dall'amministratore ed il diritto di ciascun condomino, in quanto cliente, di accedervi ed ottenere dalla banca la consegna di copie ed estratti conto (Terzago, 417; Celeste-Scarpa, 77).

Malgrado questo spesso nella realtà accadeva che se un condominio si presentava in banca, ovviamente con tutte le credenziali che provavano la sua appartenenza al condominio, l'istituto si rifiutava di consegnare al medesimo l'estratto conto per carenza di legittimazione attiva del condomino, non intestatario del conto.

Tale comportamento, ancora prima dell'entrata in vigore della novella del 2012 e quando già alcuni amministratori, pur in assenza di una specifica norma, avevano provveduto ad aprire il conto corrente presso la banca o istituto similare, aveva generato tra i condomini e gli istituti bancari numerosi contrasti, che avevano indotto i primi a cercare lumi presso i competenti Arbitri Bancari Finanziari, i quali si sono per lo più pronunciati in favore dei ricorrenti

Tra le problematiche emerse si era posta la questione se l'art. 1129 c.c. potesse essere applicato anche a situazioni pregresse all'entrata in vigore della nuova legge.

L'Arbitro Bancario Finanziario di Roma, con decisione del 3 luglio 2014, n. 4248, ha chiarito che l'art. 1129 c.c. trova applicazione a far data dal 18 giugno 2013 per tutti i condominii ivi considerati, anche per effetto delle decisioni della Corte di Cassazione, la quale più volte ha affermato che «la legge nuova è ... applicabile ai fatti, agli status ed alle situazioni esistenti o sopravvenute alla data della sua entrata in vigore, ancorché conseguenti ad un fatto passato, quando essi, ai fini della disciplina disposta dalla nuova legge, debbano essere presi in considerazione in se stessi, prescindendo totalmente dal collegamento con il fatto che li ha generati, in modo che resti escluso che,attraverso tale applicazione, sia modificata la disciplina giuridica del fatto generatore» (Cass. II, n. 16620/2013; Cass. II, n. 9972/2008).

Per altro verso, assume rilevanza la considerazione secondo la quale se si dovesse riconoscere una legittimazione attiva riservata all'amministratore in via esclusiva dall'art. 1129 c.c. si dovrebbe anche riconoscere al condominio, in alternativa, l'attribuzione di personalità giuridica, con conseguente venir meno della diretta riferibilità ai singoli condomini degli atti posti in essere dall'amministratore, nonché indirettamente l'abrogazione del diritto di accesso loro riconosciuto dall'art. 119, comma 4, T.U.B. Ma questo, secondo l'Arbitro, non è stato perché il legislatore si è limitato ad introdurre, quale obbligo dell'amministratore, la mera separatezza patrimoniale e gestionale di cui all'art. 1129, commi 7 e 12, nn. 3) e 4), c.c. Ne è prova la nuova formulazione dell'art. 63, commi 1 e 2, c.c. che impone all'amministratore di fornire al terzo creditore i nomi dei condomini morosi. Da ciò deriva che gli atti di gestione sono direttamente riferibili ai singoli partecipanti al condominio, con la conseguenza che anche il rapporto contrattuale intrattenuto dall'amministratore con l'intermediario è riferito ai singoli condomini.

Né – si aggiunge – che perdere di vista la ratio della norma, finalizzata ad aumentare le garanzie di corretta gestione del condominio da parte dell'amministratore, non può portare di certo a comprimere i poteri di controllo dei condomini sul suo operato.

La locuzione «per il tramite dell'amministratore» contenuta nell'art. 1129 c.c. deve interpretarsi, pertanto, come prescrittiva di un obbligo di preventiva richiesta all'amministratore condominiale di attivarsi per far ottenere al richiedente la documentazione di cui si tratta, ma non come preclusiva del diritto del singolo condomino di richiederla e ottenerla direttamente dall'intermediario in caso di inadempienza dell'amministratore.

Va osservato che le decisioni dell'Arbitro Bancario sono sostanzialmente conformi tra loro nel confermare che l'espressione «per il tramite dell'amministratore» possa significare «solo attraverso l'amministratore», mentre piuttosto si pone come preventiva richiesta avanzata all'amministratore stesso (si  vedano, ex multis, ABF di Roma, dec. 10 febbraio 2020, n. 1979; ABF di Bari, dec. 14 aprile 2020, n. 6870).

Va da ultimo ricordato che nei rapporti interni condominio-amministratore il Garante della privacy, con newsletter in data 23 aprile 2014, n. 387 aveva chiarito che i condomini possono chiedere all'amministratore copia integrale e senza oscuramenti del conto corrente condominiale, in forza «della posizione giuridica che consente loro di verificare la destinazione dei propri esborsi e l'operato dell'amministratore mediante l'accesso in forma integrale, per il tramite dell'amministratore,  ai relativi estratti conto bancari o postali». Tale principio, già sancito in linea generale dal Garante nelle Linee guida in ambito bancario, riconosce, infatti, il diritto di ottenere «“copia di atti o documenti bancari” senza alcuna limitazione, neanche nelle forme di un parziale oscuramento, anche se contengono dati personali di terzi».

Per la giurisprudenza di merito integra grave violazione dell'art. 1129, commi 2 e 7, c.c., tale da giustificare la revoca giudiziale, l'operato dell'amministratore condominiale che, a fronte della richiesta di alcuni condomini, formulata con largo anticipo rispetto alla data dell'assemblea, di avere accesso agli estratti del conto corrente condominiale, si renda disponibile a consentire l'esame della documentazione ben oltre la scadenza del termine ex art. 1137, comma 2, c.c. per l'eventuale impugnazione della delibera assembleare (Trib. Alessandria 2 dicembre 2019, con nota Martina, 650)

Presa visione della rendicontazione periodica

Il comma 7 dell'art. 1129 c.c. tratta di un argomento più volte affrontato dal legislatore nel complesso delle norme di natura condominiale: il diritto dei condomini di prendere in visione ed estrarre copia dei documenti concernenti la rendicontazione periodica, tramite richiesta all'amministratore e con spese a proprio carico.

Il termine “rendicontazione periodica” è stato diversamente interpretato. E' stato fatto un riferimento all'art. 119, comma 4, TUB, secondo il quale il cliente, colui che gli succede a qualunque titolo e colui che gli subentra nell'amministrazione dei suoi beni hanno diritto di ottenere, a proprie spese, entro un congruo termine e comunque non oltre novanta giorni, copia della documentazione inerente a singole operazioni poste in essere nel corso degli ultimi dieci anni. In ragione di tale disposizione non sarebbe ammessa una elaborazione/ricostruzione personalizzata dei pagamenti ricevuti dal condominio. Il termine “copia” escluderebbe, inoltre, la pretesa di ottenere un elaborato che costituisca una ricostruzione della situazione contabile da parte dell'Istituto bancario o postale (ABF di Milano, dec. 22 gennaio 2019, n. 1934. Nella specie più condomini avevano chiesto alla banca il dettaglio dei MAV emessi dal condominio per più annualità con la specifica dei condomini debitori, degli importi richiesti, delle varie date di scadenza e di quelle di pagamento. Il ricorso veniva accolto parzialmente solo con riferimento ai MAV). In altro caso, invece, è stato accolto il reclamo avverso il rifiuto dell'intermediario nei confronti di domanda avente ad oggetto non solo la lista dei movimenti di lungo periodo (otto anni di rendicontazione), ma anche di tutte le condizioni economiche del contratto, l'indicazione delle eventuali aperture di credito connesse nonché il rilascio di eventuali carte di pagamento (ABF di Roma, dec. 26 luglio 2018, n. 16185). Per richiedere copia della rendicontazione periodica il condomino deve provare la sua qualità, dimostrare di avere preventivamente interpellato senza successo l'amministratore e di essere titolare di un interesse ad agire attuale che, in sostanza, coincide con l'interesse di cui all'art. 100 c.p.c. applicato alle controversie sottoposte alla cognizione del giudice ordinario e dei tribunali arbitrali (ABF di Milano, dec. 17 gennaio 2019, n. 1585).

La questione è di evidente importanza, dal momento che vi è stata una presa d'atto del fatto che prima dell'entrata in vigore della l. n. 220/2012, di frequente, gli interessati trovavano molta difficoltà a consultare quanto di loro diritto, proprio perché ostacolati dagli amministratori, i quali limitavano l'accesso alla documentazione allo stretto necessario e spesso solo in vista dell'assemblea condominiale. Peraltro, la scarna indicazione degli inadempimenti che portavano alla revoca giudiziale dell'amministratore, tra i quali non era compresa la negata visione della documentazione, non poteva che rappresentare un incentivo verso comportamenti illegittimi ma privi di sanzioni.

Il tema è oggetto di più disposizioni legislative, quali l'art. 1130, n. 9), c.c., ove si dispone che l'amministratore deve fornire al condomino che ne faccia richiesta attestazione relativa allo stato dei pagamenti degli oneri condominiali e delle eventuali liti in corso, oppure l'art. 1130- bis, c.c. che, non solo, prevede la possibilità di plurime verifiche della contabilità condominiale tramite il revisore nominato dall'assemblea, ma ribadisce ed estende anche ai titolari di diritti reali e di godimento (usufruttuario, titolare del diritto d'uso e/o di abitazione, conduttore) la prerogativa di cui all'art. 1129 c.c., fissando in dieci anni dalla registrazione il termine per la conservazione di scritture e documenti giustificativi.

Si è, quindi, di fronte ad un quadro legislativo che si è proposto di salvaguardare la posizione e gli interessi del condomino nei confronti dell'amministratore il quale, ovviamente, non potrà più evitare di subire le conseguenze in caso di inadempimento ai suoi doveri.

La giurisprudenza, nel corso degli anni, ha costantemente interpretato la richiesta dei condomini come rivendicazione di un più che legittimo diritto.

In un primo momento – a quanto consta con decisione rimasta isolata – la Corte aveva affermato che se tale diritto voleva essere esercitato al di fuori dell'approvazione del bilancio doveva fondarsi su un comprovato interesse del condominio (Cass. II, n. 2220/1984).

Successivamente la Corte Suprema, con orientamento poi consolidato, ha riconosciuto in capo a ciascun comproprietario la facoltà (di richiedere e) di ottenere dall'amministratore del condominio l'esibizione dei documenti contabili in qualsiasi tempo (e non soltanto in sede di rendiconto annuale e di approvazione del bilancio da parte dell'assemblea) e senza l'onere di specificare le ragioni della richiesta (finalizzata a prendere visione o estrarre copia dai documenti), purché l'esercizio di tale facoltà non risulti di ostacolo all'attività di amministrazione, non sia contraria ai principi di correttezza, e non si risolva in un onere economico per il condominio, dovendo i costi relativi alle operazioni compiute gravare esclusivamente sui condomini richiedenti (Cass. II, n. 19210/2011; Cass. II, n. 15159/2001; Cass. II, n. 8460/1998).

Ed ancora si aveva modo di precisare che, fermo restando il principio enunciato nei precedenti provvedimenti, vi è l'obbligo dell'amministratore di predisporre un'organizzazione, sia pur minima, che consenta di esercitare lo stesso diritto e di informarne i condomini (Cass. II, n. 19799/2014).

La dottrina dell'epoca, nel commentare la sentenza n. 19210/2011 della Corte di Cassazione, aveva rilevato la portata della decisione, evidenziando che il potere dei condomini di vigilare e di controllare in ogni tempo la gestione dell'amministratore è fatto conciliabile con il rapporto di amministrazione, valorizzato dal fatto che registri e documenti contabili conservati dall'amministratore ed afferenti alla gestione condominiale appartengono, in definitiva, alla proprietà comune. Tuttavia si era chiarito che, pur riconoscendo piena legittimità al diritto dei condomini in tali termini, rimaneva ferma la necessità di una formale richiesta dei condomini, mirata a prendere visione ed estrarre copia della documentazione anche al fine di valutare l'attività gestionale dell'amministratore e di stimolarne il corretto svolgimento in prospettiva della futura formazione della volontà dei condomini in seno all'assemblea (Carrato 2012, 47).

Era stato, peraltro, osservato che la mancata possibilità da parte dei condomini di consultare la documentazione condominiale inerente all'assemblea per l'opposizione dell'amministratore rappresentava, e rappresenta, un motivo di impugnativa dell'assemblea da promuovere nel termine previsto dall'art. 1137 c.c., in quanto siffatto comportamento incide sul processo di formazione della volontà assembleare (Izzo, 85).

Da quanto osservato emerge che il legislatore del 2012 ha recepito gli orientamenti giurisprudenziali e dottrinali ed ha disposto nel senso indicato nell'art. 1129, comma 2, c.c., pur non avendo integrato la norma con indicazioni più precise in ordine alla tempistica e, lasciando, quindi di riportarsi sempre alle decisioni giurisprudenziali.

I giudici di legittimità hanno affermato che, anche con riferimento alla novella del 2012 ed al relativo obbligo dell'amministratore di assicurare la presa in visione della documentazione, il corrispondente diritto del condomino deve rispettare il principio generale di correttezza previsto dall'art. 1175 c.c. (nella fattispecie il condomino, che aveva inviato la richiesta due giorni prima dello svolgimento dell'assemblea, aveva eccepito il mancato rispetto della norma del regolamento condominiale che imponeva all'amministratore di trasmettere copia dei documenti e dei rendiconti al massimo entro dieci giorni prima del termine fissato per la riunione). Ad avviso della Corte, inoltre, la norma impositiva del regolamento condominiale sul punto ha carattere organizzativo, nel senso che consente all'amministratore di estrarre e preparare i documenti richiesti senza per questo bloccare l'attività di gestione (Cass. II, n. 12579/2017).

Tuttavia, benché i condomini ed i titolari di diritti reali di godimento abbiano – ai sensi dell'art. 1130-bis c.c. – diritto di prendere visione dei documenti contabili giustificativi di spesa in ogni tempo con oneri a proprio carico per le copie, la violazione di tale disposizione da parte dell'amministratore non rientra tra quelle che l'art. 1129 c.c. indica come violazioni tanto gravi da giustificare un provvedimento di revoca (App. Torino 04 marzo 2020).

Questo non elimina il fatto che l'obbligo dell'amministratore di fornire informazioni ai condomini sia senza limiti, perché l'interesse alla buona amministrazione osta a che l'amministratore sia tenuto a non distogliersi dallo svolgimento delle proprie funzioni per assecondare richieste reiterate e non finalizzate a soddisfare autentiche esigenze informative. Pertanto, ritenere  che un condomino abbia tout court il diritto di esigere dall'amministratore che quest'ultimo proceda alla ricerca, alla copia ed all'invio di documenti, oltre a non trovare fondamento normativo, confligge con tali limiti, là dove l'obbligo di consegna è, invece, ipotizzabile nei confronti dell'amministratore uscente ai sensi dell'art. 1129 c.c. (Trib. Santa Maria C.V. 8 febbraio 2024).

E' stato rilevato che con la riforma del condominio il legislatore ha fatto una distinzione in merito alla tipologia di documentazione condominiale, considerato che l'art. 1129 c.c. parla di registri di cui ai numeri 6) e 7) dell'art. 1130 c.c. (anagrafe condominiale, verbali delle assemblee, nomina e revoca dell'amministratore e contabilità), mentre l'art. 1130- bis c.c. fa riferimento ai documenti giustificativi di spesa. Tale distinzione non incide sul diritto del condomino, che ha sempre la possibilità di richiedere copia di entrambi le tipologie documenti. Cambia soltanto il lasso temporale, laddove il legislatore mette per la seconda categoria un limite decennale, mentre i registri possono essere richiesti sempre e comunque. In entrambi i casi oltre alle spese vive l'amministratore non può chiedere alcun compenso aggiuntivo (Trib.  Roma 3 marzo 2022, n.  3464).

Occorre, comunque, ribadire che l'amministratore non ha l'obbligo di depositare integralmente la documentazione giustificativa del bilancio negli edifici ma è solo tenuto a permettere ai condomini – che ne facciano richiesta – di consultare ed ottenere copia della documentazione contabile, restando a carico degli stessi l'onere di dimostrare il rifiuto del rappresentante dell'Ente all'esercizio di tale diritto (Cass. II, n. 16677/2018;  conf. Cass. II, n. 25693/2018).

In nota a margine di tale provvedimento, condiviso dall'autore, è stato precisato che il condomino nell'esercizio del proprio diritto non può contravvenire ai tempi ed alle modalità indicate nello stesso avviso di convocazione ai fini della richiesta formale di prendere visione della documentazione, soprattutto quando l'amministratore si sia comportato in senso conforme con le disposizioni regolamentari che disciplinavano l'accesso ai documenti (Carrato 2017, 552).

La previsione dell'art. 1129 si applica anche al supercondominio che, per consolidata giurisprudenza, viene ad esistere ipso facto ed indipendentemente da un'esplicita manifestazione di volontà.

Sull'esistenza del supercondominio la giurisprudenza è costante nel ritenere che si tratti di fattispecie legale nella quale una pluralità di edifici compresi in una più ampia organizzazione condominiale che, anche se non costituiti in singoli condominii, sono legati tra loro dall'esistenza di talune cose, impianti e servizi comuni in rapporto di accessorietà con i fabbricati (Cass. II, n. 27094/2017).

A tale fattispecie, prima per giurisprudenza ed ora per disposizione legislativa, si applicano le norme sul condominio tra le quali si annovera anche l'obbligo dell'amministratore di consentire al condomino, dietro sua richiesta, di esaminare la documentazione comune essendo del tutto irrilevante la circostanza che la stessa attenga a spese proprie del supercondominio o, comunque, comuni a più condomini (Cass. II, n. 19800/2014).

Documenti da visionare e termini di consultazione. Ulteriori problematiche

L'art. 1129 c.c. e le altre norme del codice a momenti richiamate indicano, come oggetto della richiesta da parte dei titolari del diritto, i documenti che afferiscono alla contabilità del condominio. In effetti si parla di «rendicontazione periodica» oppure di «documenti giustificativi di spesa», mentre – come si vedrà in prosieguo – solo in ambito di passaggio delle consegne si fa riferimento «a tutta la documentazione» in possesso dell'amministratore ed afferente al condominio. Disposizione, questa che si esaurisce nell'ambito del rapporto tra il vecchio ed il nuovo amministratore.

Dalla lettera della legge, pertanto, emerge la volontà di limitare il diritto del condomino alla presa in visione ed alla estrazione in copia dei documenti strettamente attinenti alle spese comuni. Una giustificazione di tale scelta potrebbe essere individuata solo nel fatto che, in via generale, quasi tutte le contestazioni riguardano proprio gli addebiti delle spese comuni ai singoli condomini o diritti di carattere personale e che, in ogni caso, la gestione finanziaria ed economica del condominio deve essere trasparente e lo sarà se può essere monitorata dai diretti interessati.

La giurisprudenza di merito, pur pronunciandosi con riferimento all'art. 1130-bis c.c. si è, implicitamente espressa anche sull'art. 1129 c.c., affermando che sono esclusi dall'obbligo di esibizione e di consegna della documentazione periodica le matrici degli assegni versati dall'amministratore (Trib. Catania 27 giugno 2017).

Così delimitato dallo stesso legislatore l'oggetto del controllo, si deve dedurre che, qualora il condomino intenda prendere visione di ulteriore documentazione di carattere amministrativo o comunque, più in generale, non contabile (ad esempio: i verbali assembleari; il contratto di appalto di lavori condominiali; il contratto di locazione dell'appartamento ex portiere; quello sottoscritto con il pulitore o ditta di pulizie; i documenti inerenti agli impianti comuni e così via) dovrà dimostrare di avere un concreto interesse alla relativa consultazione, indicando nella richiesta la ragione per non ostacolare senza giusto motivo l'attività amministrativa.

È stato rilevato che il diritto alla continua conoscenza circa l'andamento dell'amministrazione non si può estendere a quei documenti che non fanno parte delle carte condominiali in senso stretto (tipo: lettere, scambi di corrispondenza tra amministratore e condomini) in particolare modo se coperti da riservatezza (Lazzaro, 428).

Il codice non ha stabilito termini né per il condomino che faccia istanza di consultare i documenti, né per l'amministratore chiamato ad un concreto riscontro alla domanda.

La prima questione trova risposta nell'art. 1130- bis , c.c. , secondo il quale la richiesta può essere avanzata senza limitazioni di tempo («....in ogni tempo...») ma pur sempre nell'ambito del periodo necessario per la conservazione della documentazione da parte dell'amministratore, definito per legge in dieci anni, computati dalla data di registrazione degli stessi. Fermo restando che se il rappresentante del condominio mantiene i documenti oltre detto termine il suo obbligo permane. In buona sostanza si può affermare che i dieci anni previsti dalla norma sono il termine minimo previsto dal legislatore, mentre il buon senso consiglia che tutto quanto strettamente attinente al condominio sia conservato ed archiviato per un tempo il più lungo possibile. Peraltro i moderni sistemi di archiviazione renderanno il problema sempre meno gravoso per l'amministratore.

Una volta che il bilancio consuntivo sia stato approvato con la maggioranza di legge, l'amministratore, per ottenere il pagamento delle somme risultanti dal bilancio stesso, non è tenuto a sottoporre all'esame dei singoli condomini i documenti giustificativi, dovendo gli stessi essere controllati prima dell'approvazione del bilancio, senza che sia ammissibile la possibilità di attribuire ad alcuni condomini la facoltà postuma di contestare i conti, rimettendo così in discussione i provvedimenti adottati dalla maggioranza (Cass.VI, n. 3847/2021).

Il periodo di conservazione della documentazione relativa ai pagamenti effettuati coincide con i termini della prescrizione riferiti alle varie fattispecie (come determinati, per le prescrizioni brevi, dagli artt. 2948,2 950 e 2956 c.c.). In tutti gli altri casi i termini in parola sono determinati dalla particolare disciplina che regola i vari rapporti, quali i pagamenti dei contributi INPS e INAIL (Lazzaro, 429).

Va a questo proposito precisato che i termini qui indicati non sono incompatibili con quelli definiti dall'art. 1130-bis c.c., dal momento che i primi si riferiscono ai rapporti esterni condominio/terzi soggetti, mentre quelli aventi ad oggetto la documentazione contabile si esauriscono nell'ambito condominiale. Il chè significa che anche se prescritti i pagamenti verso l'esterno, i documenti ad essi afferenti devono essere comunque conservati.

Quanto ai tempi che si può prendere l'amministratore per soddisfare la richiesta del condomino, non è previsto un tempo limite ma è opportuno che la stessa sia evasa con sollecitudine in relazione all'esigenza prospettata, mentre ovviamente la risposta dovrà essere tempestiva allorché si tratti di documentazione oggetto di esame in vista della convocata assemblea, oppure anche ai fini di una eventuale impugnativa della delibera da parte dei soggetti legittimati.

Si è, altresì, affermato che se è vero che sussiste un dovere in tal senso in capo all'amministratore, che può solo opporre impedimenti determinati da motivi di correttezza, è altrettanto vero che il condomino si deve attivare per la consultazione, manifestando chiaramente tale intenzione e non lamentando sic et simpliciter che il rappresentante del condominio non ha messo a disposizione la documentazione. Qualora i documenti negati possano avere influenzato la delibera assembleare, poi impugnata, l'onere della prova vertente sulla responsabilità dell'amministratore resta in capo al condomino (Bortolotti, 31).

In sede di resistenza all'impugnazione, invece, grava sull'amministratore l'onere della prova dell'inesigibilità ed incompatibilità della richiesta con le modalità previamente comunicate (Cass. II, n. 19799/2014).

La documentazione può essere consegnata direttamente al condomino o titolare di diritti reali o di godimento, nonché a soggetto munito di delega scritta, accompagnata da copia del documento di identità del delegante. Va precisato che il conduttore, in quanto titolare di diritto di godimento, potrà chiedere di visionare ed ottenere copia della documentazione nei limiti di quanto previsto dall'art. 10 della l. 27 luglio 1978, n. 392, che si riferisce alle spese ed alle modalità di gestione dei servizi di riscaldamento e di condizionamento d'aria, per le quali l'inquilino ha diritto di voto al posto del locatore/condomino.

Tuttavia, poiché l'ambito di applicazione della norma si esaurisce nel rapporto tra locatore e conduttore si ritiene che il diritto di prendere visione dei documenti debba essere esercitato sempre attraverso il proprietario, il quale metterà a disposizione del proprio inquilino le c.d. pezze di appoggio. Il problema, naturalmente potrà essere superato con il conferimento di delega scritta rilasciata dal condomino.

A questo proposito, va evidenziato che la costante dottrina ha affermato che l'ipotesi legislativa di cui alla l. n. 392 del 1978 rappresenta, in via eccezionale, un'ipotesi di sostituzione legale del conduttore al proprietario nelle assemblee riunite per deliberare gli argomenti in questione, talché l'amministratore non deve convocare direttamente l'inquilino (Lazzaro, 613).

Fermo restando che le spese per la consegna dei documenti e l'estrazione delle relative copie è, per legge, a carico del richiedente, per la quantificazione delle stesse non si può che affidarsi al buon senso, non dimenticando che quest'attività dell'amministratore, ora prevista come obbligo di legge, non può essere considerata come eccedente il suo mandato e, quindi, comportante una integrazione del compenso. Detto questo, sicuramente per spese si fa riferimento ai costi, ovvero alle spese vive (fotocopie, consumo carta, ecc.). In ogni caso, il discorso deve essere affrontato caso per caso, anche in relazione all'entità del lavoro richiesto all'ufficio dell'amministratore ed alla mole dei documenti di cui si richiede esame o consegna in copia.

In passato, allorché l'incombente non era ancora stato imposto dal legislatore, tali rilievi erano già stati accolti dalla giurisprudenza che aveva precisato che l'obbligo del condomino di sostenere le spese solo per l'estrazione dei documenti è l'espressione di un principio più generale secondo cui l'esercizio del diritto deve avvenire senza oneri aggiuntivi per l'amministratore. Ove ciò non fosse possibile – precisava la Corte di Cassazione – perché all'esame della documentazione così come all'estrazione delle relative copie, si era resa necessaria la presenza dello stesso o di suoi collaboratori per motivi inerenti alla vigilanza, si giustificava che gli oneri connessi all'utilizzazione del proprio personale, che in quel momento fosse stato sottratto ai normali compiti dell'ufficio, venissero posti a carico di chi di quella presenza si era avvalso (App. Roma 1 aprile 2009; Cass. II, n. 1998/8640).

Rifiuto o ritardo dell'amministratore nella consegna della documentazione

Due sono le problematiche connesse all'obbligo stabilito dall'art. 1129, comma 7, c.c.: le conseguenze cui va incontro l'amministratore che si rifiuti o ritardi di fare consultare la documentazione al condomino e quali siano i mezzi a disposizione di questo per fare valere il proprio diritto.

In primo luogo ed a voler essere molto rigorosi si osserva che la disposizione in esame consta di due parti che, pur se logicamente associate tra di loro, sono state – da un punto di vista meramente testuale – separate. Di queste solo la mancata apertura del conto corrente condominiale è annoverata, espressamente, come motivo di «grave irregolarità» che porta alla revoca giudiziale dell'amministratore. Va, tuttavia, considerato che tale elenco non è esaustivo, per cui sicuramente potrebbero manifestarsi ulteriori comportamenti illegittimi da prendere a tale fine in considerazione. Tra questi proprio la mancata consegna della documentazione contabile qualora essa sia necessaria per una delibera assembleare.

Il dovere dell'amministratore previsto dall'art. 1129, comma 7, c.c. è violato quando a fronte di richiesta effettuata dal condomino con congruo tempo di anticipo rispetto alla data di svolgimento dell'assemblea, comunichi una data a ridosso dell'assemblea e per un tempo non sufficiente per la consultazione (Trib. Roma 6 luglio 2017).

Il condomino, che agisca in giudizio chiedendo al giudice di ordinare l'esibizione della documentazione rifiutata e di annullare la relativa delibera, si pone l'obiettivo di visionare i documenti contabili di cui sia stato privato per l'inadempimento dell'amministratore. Tale rifiuto, infatti, ha negato al condomino il potere di esercitare di vigilanza e controllo sull'amministratore, con conseguente violazione di un diritto giuridicamente tutelato dall'art. 1713 c.c. in tema di mandato con rappresentanza. Inoltre, tale omissione inficia radicalmente l'intera deliberazione, indipendentemente dall'influenza del voto contrario del singolo condomino (Trib. Cosenza 18 febbraio 2020, n. 358).

All'obbligo posto a carico dell'amministratore di consentire ai condomini di esaminare la documentazione contabile in vista delle decisioni da assumere in sede assembleare, non corrisponde un pari dovere di depositare in assemblea i documenti contabili, in quanto adempimento non previsto da alcuna norma. Da ciò consegue che, in tale circostanza, nessun rimprovero potrà essere mosso all'amministratore. Ed occorre qui ribadire un principio già evidenziato: ovvero che il condomino non solo si deve attivare per prendere visione delle c.d. pezze di appoggio, ma lo deve fare in tempi rapidi e ragionevolmente anticipati rispetto alla data dell'assemblea, nel proprio interesse ed in quello dell'amministratore, il quale deve essere messo nelle condizioni di evadere la domanda.

A questo proposito è stato affermato che nessuna responsabilità può essere attribuita all'amministratore allorché il condomino abbia chiesto, seppure tempestivamente, non di visionare i bilanci prima dell'assemblea ma di ricevere, e per giunta a spese del condominio, copia degli stessi. Trattasi di attività che, non prevista dalle norme in materia di condominio, non può generare conseguenze né per l'amministratore, personalmente, (neppure se abbia adempiuto parzialmente) né ai fini di una domanda di annullamento della relativa delibera assembleare (Trib. Roma 11 gennaio 2016).

E' necessario evidenziare che se la legge delinea un equilibrato rapporto tra l'obbligo di trasparenza dell'amministratore ed il correlato diritto di informazione del singolo condomino, da un lato, e l'esigenza di non appesantire con richieste strumentali la complessa attività di gestione del condominio,  la normativa in tema di conoscenza della documentazione condominiale da parte del condomino non prevede alcun obbligo per l'amministratore di fornire la documentazione indicata ai singoli condomini, quanto piuttosto quella di renderla “disponibile” informando il condomino che ne faccia richiesta del luogo e del tempo di accesso ai fini dell'estrazione delle copie a cura e spese del richiedente.  (.Trib. Firenze 20 novembre 2023, n. 3395. Fattispecie relativa alla consegna del contratto di assicurazione del fabbricato).

Sempre a fronte della richiesta del condomino di accedere alla documentazione contabile ai fini di una consapevole partecipazione all'assemblea che su tali documenti si deve esprimere, si è affermato che  l'onere della prova della inesigibilità della richiesta e della sua non compatibilità con le modalità previamente comunicate incombe sull'amministratore e, quindi, in sede di impugnazione della delibera assembleare, al Condominio, ove intenda resistere all'azione del condomino dissenziente (Cass. II, n.4445/2020. Nella fattispecie, la Corte ha cassato con rinvio la sentenza di appello, che aveva rigettato l'impugnativa della delibera assembleare per essere la data della richiesta di accesso alla documentazione troppo a ridosso di quella dell'assemblea).

La giurisprudenza di merito ha, ancora, ritenuto che non è viziata la delibera assunta senza che l'amministratore abbia depositato la documentazione giustificativa dei lavori condominiali, dal momento che sono i condomini, prima dell'assemblea, a doversi attivare per la loro consultazione ed a dovere dimostrare che l'amministratore non ha consentito loro di esercitare tale facoltà. Tale vizio, peraltro, è ancora di più insussistente quando l'amministratore, nel corso della riunione concernente l'approvazione del bilancio consuntivo, chiarisca l'entità degli importi dovuti per i lavori eseguiti (Trib. Benevento 14 maggio 2013).

Un problema strettamente connesso al rifiuto dell'amministratore riguarda eventuale richiesta di risarcimento danni da parte del condomino non soddisfatto.

La giurisprudenza di merito ha ritenuto che l'omessa esibizione non determina automaticamente il diritto al risarcimento del danno patrimoniale lamentato, non consistendo il medesimo in re ipsa ma richiedendone la prova secondo le regole generali previste dall'art. 2697 c.c. La violazione dell'obbligo da parte dell'amministratore, inoltre, non è neppure superata dal fatto che il condomino possa acquisire la documentazione aliunde (Trib. Roma 2 novembre 2016).

Si è visto che il disposto contenuto nella parte finale dell'art. 1129 c.c., si riferisce alla rendicontazione periodica, non agli altri documenti, di natura condominiale ai quali, tuttavia, non può essere negato al condomino l'accesso che, in ogni caso, non potrà essere così tutelato se privo di interesse.

Quando l'esame dei rendiconti periodici è strettamente legato all'approvazione del bilancio condominiale, difficilmente il condomino potrà fare valere il proprio diritto prima dello svolgimento dell'assemblea. Ciò in considerazione sia dei tempi di convocazione dell'assemblea condominiale (non sempre sufficienti per consentire l'esame dei documenti), sia del fatto che spesso gli amministratori, nell'avviso stesso, omettono di indicare i giorni e gli orari di loro disponibilità per la consultazione, limitandosi (e non sempre) a comunicare, del tutto genericamente, che i cartacei o le copie digitali sono consultabili presso il proprio studio.

Rivolgersi al giudice, con ricorso in via di urgenza ex art. 700 c.p.c., anche inaudita altera parte, per ottenere un ordine di esibizione e/o consegna della negata documentazione potrebbe essere scelta non utile e, comunque, da valutarsi caso per caso tenendo presente anche la dilatazione dei tempi della giustizia.

Secondo la giurisprudenza in questi casi è possibile anche ricorrere al deposito di decreto ingiuntivo ai sensi dell'art. 633 c.p.c. chiedendo una pronuncia di condanna dell'amministratore alla consegna di una cosa mobile determinata, che – nel caso specifico – è rappresentata dalla copia della documentazione specificamente indicata nel ricorso. Una richiesta generica, invece, sarebbe rigettata in quanto esulante dal presupposto della norma in questione (Trib. Roma 1 agosto 2017).

Al condomino effettivamente danneggiato dal comportamento del reticente amministratore non resterebbe che impugnare la delibera assembleare, che potrà essere accolta solo dopo che questi abbia assolto all'onere della prova a suo carico. Ove, poi, fosse confermata la responsabilità del rappresentante dell'Ente in ordine al danno subito, il condomino potrebbe promuovere un'azione risarcitoria contro l'amministratore, che è custode, gestisce la documentazione ed è obbligato personalmente nei confronti dei condomini. Ciò esclude un'azione contro il condominio.

Tuttavia se il diniego di consegna dovesse avere ad oggetto altra documentazione, diversa da quella contabile, ma pur sempre importante per il condomino, nulla vieta un suo ricorso urgente all'autorità giudiziaria ai sensi dell'art. 700, c.p.c., sempre se fondato su un effettivo interesse.

L'amministratore, su domanda del condomino è obbligato alla consegna delle condizioni generali del rapporto assicurativo tra il condominio e l'assicurazione, indipendentemente dal fatto che al richiedente sia stata messa a disposizione la polizza, che è ben altra cosa rispetto al relativo contratto. Nessuna scusante sussiste al rifiuto dell'amministratore il quale abbia addotto  a motivo la carenza di un interesse qualificato in capo al condomino, non fosse altro perché le condizioni generali del contratto di assicurazione riguardano la copertura relativa allo stabile nel quale è collocata l'unità immobiliare in proprietà esclusiva del partecipante al condominio, nell'ambito del quale quest'ultimo è proprietario delle porzioni comuni (Trib. Monza 26 gennaio 2022, n. 188).

La cessazione dall'incarico per dimissioni dell'amministratore

Il rapporto tra condominio ed amministratore viene meno per effetto della cessazione dall'incarico che si può verificare per scadenza naturale, allorché non vi sia un rinnovo del mandato alla stessa persona, per rinuncia da parte dell'amministratore stesso oppure per revoca (assembleare o giudiziaria).

L'amministratore, in quanto mandatario del condominio, che rinunci senza giusta causa al mandato è tenuto a risarcire il condominio dei danni da questo eventualmente patiti, come previsto dall'art. 1727, comma 1, c.c.

Vi è una evidente disparità di trattamento rispetto a quanto stabilito per l'assemblea che, per espressa previsione normativa, può revocare in qualsiasi tempo il proprio amministratore con delibera assunta con lo stesso quorum previsto per la nomina (maggioranza degli intervenuti pari alla maggioranza dei millesimi di proprietà), oppure secondo le modalità previste nel regolamento condominiale.

La giusta causa richiesta per le dimissioni dell'amministratore può riguardare sia motivi di carattere personale (motivi di salute; trasferimento in altra città; chiusura dell'attività o ridimensionamento della stessa), sia ragioni che abbiano intaccato il rapporto di fiducia tra le parti, anche se ritenuti determinanti solo dall'amministratore, il quale non si ritenga più in grado di proseguire nel compito a lui affidato (venire meno della fiducia; contrasti con il condominio o con alcuni condomini; disinteresse dei condomini che disertano le assemblee; mancata assunzione di importanti delibere, ecc.).

La sussistenza di giusta causa esclude il risarcimento, così come è plausibile ritenere che anche la mancanza di contestazioni da parte dell'assemblea produca lo stesso effetto.

La rinuncia volontaria al mandato fondata su giusta causa e nel rispetto del disposto dell'art. 1727, comma 2, c.c. (a norma del quale la rinunzia deve essere fatta in modo ed in tempo tali da consentire che il mandante provveda altrimenti, salvo il caso di impedimento grave da parte del mandatario), è sufficiente per evitare che l'amministratore sia tenuto a risarcire il danno al condominio, consentendo il regolare svolgimento della vita condominiale (Terzago-Celeste, 93).

La caratterizzazione dell'incarico conferito all'amministratore come mandato collettivo, che gli viene affidato tramite un unico atto, quale la delibera assembleare, non scindibile in più volontà separate, comporta che la rinuncia al mandato deve essere espressa nei confronti dell'intero condominio, escludendo che vi possa essere un accordo con alcuni condomini piuttosto che con altri.

La figura dell'amministratore dimissionario è stata per la prima volta presa in considerazione dalla novella del 2012 che, con l'art. 1129, comma 1, c.c., ha esteso il diritto di chiedere la nomina giudiziaria anche a tale soggetto.

L'attività dell'autorità giudiziaria, tuttavia, si limita a tale incombente poiché, come è stato osservato, in caso di rinuncia al mandato da parte dell'amministratore non vi può essere interferenza alcuna con la volontà manifestata dal soggetto, dovendosi il giudice adito limitare a prendere atto della situazione e, conseguentemente, a nominare l'amministratore giudiziario (Lazzaro, 355).

Della volontà di rinunciare al mandato l'amministratore deve dare avviso ai condomini, convocando un'assemblea straordinaria e ponendo all'ordine del giorno l'argomento «dimissioni dell'amministratore e nomina nuovo amministratore». Trattasi, nella specie, di atto ricettizio che deve essere portato a conoscenza dell'intera compagine condominiale e non dei singoli condomini.

Se l'amministratore omette di porre all'ordine del giorno l'argomento «nomina nuovo amministratore», si ritiene che tale dimenticanza possa essere considerata non rilevante ai fini della regolarità della delibera assunta. Andrebbe, in tal senso, preso in considerazione l'art. 1129, comma 10, c.c. il quale, con un intervento suppletivo, ha stabilito che l'assemblea convocata per la revoca o le dimissioni delibera in ordine alla nomina del nuovo amministratore. In questo caso, naturalmente, si potrà procedere immediatamente al conferimento del nuovo incarico se i condomini, malgrado l'omissione, abbiano proceduto a reperire nominativi da valutare in sede assembleare.

A differenza di quanto avviene per la nomina dell'amministratore, le sue dimissioni non sono soggette ad accettazione da parte dell'assemblea.

Si è detto, impropriamente, che l'assemblea accetta le dimissioni mentre in realtà si limita a prendere atto delle stesse. Al più, un'accettazione avrebbe il valore di un semplice riconoscimento di un valido motivo di rinuncia, mentre un mancato assenso da parte dell'assemblea non avrebbe l'effetto della permanenza in carica dell'amministratore dimissionario sino alla scadenza naturale del mandato (Terzago-Celeste, 92).

Le dimissioni dell’amministratore sono un atto unilaterale che non richiede accettazione ed il rifiuto delle dimissioni espresso dall’assemblea altro non può essere qualificato se non in termini di esortazione all’amministratore a continuare nel suo incarico, e dunque, ritirare le dimissioni, e null’altro non potendo impedire all’amministratore di dimettersi (Trib. Roma 24 marzo 2021).

Anche all'amministratore dimissionario per rinuncia al mandato si applica il disposto dell'art. 1129, comma 8, c.c., sia per quanto concerne l'obbligo del passaggio delle consegne, sia per la prosecuzione delle attività urgenti fino alla sostituzione da parte del nuovo amministratore, in modo da assicurare la continuità nella gestione della vita condominiale, senza per questo avere diritto ad un compenso ulteriore per l'attività svolta.

Si è parlato di attività dovuta riconducibile ad una sorta di «trascinamento» di parte delle attività legate al mandato oramai concluso che esula dal concetto di prorogatio, configurandosi nella specie una gestione di affari sui generis, che non giustifica l'onerosità in favore dell'interessato. Mentre, in forza dell'art. 2031 c.c., dovranno essere rimborsate all'ex amministratore le spese, necessarie ed utili, da questi sostenute con gli interessi legali. Se, poi, l'amministratore dimissionario abbia svolto attività non urgente si porrà il problema dell'utilità della stessa per il condominio, che potrebbe essere ratificata dall'assemblea con obbligo, in questo caso, di rimborsare le spese al gestore (Lazzaro, 356).

Il passaggio delle consegne

Il passaggio delle consegne tra l'amministratore ed il suo successore è sempre un momento di criticità per il condominio. L'amministratore uscente, dimissionario o revocato, al momento della cessazione dell'incarico deve compiere ancora due adempimenti: consegnare tutta la documentazione in suo possesso, riguardante tanto il condominio quanto i singoli condomini e compiere le attività urgenti che abbiano lo scopo di evitare pregiudizi agli interessi comuni senza avere diritto ad ulteriori compensi.

Trattasi di obbligo previsto dall'art. 1129, comma 8, c.c. che, se non adempiuto, è stato espressamente considerato dal legislatore come motivo di revoca dell'amministratore per grave irregolarità.

Con riferimento al caso in cui l'amministratore del condominio trattenga la documentazione a fronte di asseriti crediti vantati nei confronti del condominio, è stato precisato che l'obbligo sancito dall'art. 1129 c.c. ha carattere  incondizionato, per cui in assenza di un’esplicita previsione legislativa non è configurabile alcun diritto di ritenzione di tale documentazione in capo all’amministratore a tutela di propri presunti diritti  verso il condominio. Il diritto di ritenzione, infatti, è un mezzo di autotutela privata, la quale è eccezionale e, pertanto, è ammessa nei soli casi tipici previsti dalla legge. Non prevedendo il diritto di ritenzione il legislatore dimostra chiaramente di avere fatto un bilanciamento ex ante tra l’interesse del condominio al buon andamento della sua amministrazione – che peraltro, di riflesso, è anche un interesse dei terzi che vengono a contatto con il condominio stesso come ente di gestione (ad es. i fornitori di servizi) – e quello dell’amministratore al pagamento dei propri crediti, dando prevalenza al primo dei due (Trib. Venezia 25 novembre 2022).

La novità contenuta nella norma in commento, che nulla disponeva in precedenza, evidenzia come il legislatore abbia voluto disincentivare quella pratica, non così infrequente, di ritardo o, peggio, di rifiuto delle consegne, con danni a carico del condominio (Castellazzi, 147).

La semplice messa a disposizione della documentazione, più attinente all'obbligo di rendiconto di cui all'art. 1130-bis, c.c., non equivale ad una materiale consegna cui l'amministratore è tenuto secondo la novità introdotta dalla l. n. 220/2012 (Cass. VI, n. 6760/2019).

L'obbligo di consegna della documentazione va qualificato come obbligazione di dare e non di fare. E' vero, che l’amministratore uscente ha, altresì, l’obbligo di rendere il conto finale della propria gestione e fornire al suo successore le istruzioni relative al conto corrente condominiale ed alle procedure ed adempimenti pendenti, ma questo non significa che vi sia una indefinita commistione ovvero una reductio ad unum delle varie incombenze cui egli è tenuto, nel novero delle quali, invece, la consegna della documentazione conserva una sua distinta autonomia ed una peculiare e specifica qualificazione giuridica. In tal senso l’attività di verbalizzazione delle attività di passaggio di consegne  appare  avvalorare la natura di obbligazione di dare, potendo essa essere ricondotta piuttosto alla figura della quietanza dei documenti e delle informazioni  trasmesse. Risulta, d’altronde, di palmare evidenza la distinzione tra la consegna (dare) di documenti già esistenti nella loro materialità (che servono nell’immediato alla nuova amministrazione per la prosecuzione della gestione), dalla elaborazione concettuale (fare) del rendiconto, che una volta redatto, diventa anch’esso un documento da consegnare  (App. Napoli 27 maggio 2022, n. 2348).

La legge non indica il soggetto destinatario delle carte che ricostruiscono la vita del condominio e che, a rigore di logica, deve essere l'amministratore subentrante, ma le stesse potrebbero essere affidate anche ad un condomino che, comproprietario dei documenti, ne assuma la ricezione e la custodia. È auspicabile che nella successione tra il vecchio ed il nuovo amministratore vi sia collaborazione reciproca e che il passaggio del testimone avvenga nel più breve tempo possibile.

La mancata nomina del nuovo amministratorenon legittima uno ius retinendi con riguardo alla documentazione né un esonero dal rendiconto dell'amministratore uscente, intercorrendo il rapporto di amministrazione pur sempre con i singoli condomini mandanti del mandato collettivo, e non con il condominio inteso quale soggetto distinto ed unitariamente considerato (Cass., II, n. 18185/2021).

Nella successione dell’amministratore, anche quando la consegna dei documenti afferenti al condominio non può avvenire immediatamente, è stato evidenziato che non coesistono due amministratori, con differenti poteri e responsabilità, poiché è amministratore solo il subentrante, cioè l'ultimo nominato, il quale ha il potere di operare sul conto corrente intestato al condominio e compiere tutta l'attività di gestione dello stesso. Così come, secondo la dottrina, il momento del passaggio delle consegne dovrebbe essere caratterizzato da due assemblee: la prima avente ad oggetto l'estinzione del mandato dell'amministratore in carica con la nomina (auspicabile) del nuovo organo amministrativo, e la seconda che sarà convocata da quest'ultimo per la ripresa della vita condominiale (Lazzaro, 372). In ogni caso l'atto di ricezione della documentazione non costituisce, da parte del nuovo mandatario, una ratifica dell'operato svolto dall'ex amministratore (Nicoletti, 2019).

Entrambi i soggetti si devono attivare per consentire l'operatività della nuova gestione. L'amministratore uscente, che non può continuare nel suo incarico se non nei limiti stabiliti dall'art. 1129, comma 8, c.c., deve consegnare i documenti che hanno scandito la vita del condominio (libro dei verbali di assemblea, tutti i registri, libri contabili, certificati amministrativi, documenti inerenti al personale dipendente, chiavi dei locali comuni, corrispondenza, ecc.), ne deve redigere un elenco dettagliato (includendo anche eventuali documenti mancanti) da allegare al verbale di riconsegna, che sarà siglato in ogni pagina e firmato per esteso anche dal nuovo amministratore per ricevuta. A ciò si devono aggiungere tutti gli adempimenti di carattere economico e concernenti la parte della gestione finanziaria del condominio e, in particolare, la consegna del rendiconto della gestione successiva all'approvazione dell'ultimo consuntivo, nel quale dovrà essere evidenziata la spesa con i documenti giustificativi e le entrate con le rimanenze di cassa. Dovranno essere restituiti i documenti inerenti al conto corrente condominiale (contratto di apertura del conto presso l'istituto bancario o postale, ecc.) ivi compresi gli estratti conto in possesso dell'amministratore.

Si insiste, giustamente, per l'adozione di modalità chiare ed analitiche, ma asettiche, al fine di evitare «riconoscimenti» o «impegni» che possano coinvolgere il condominio (Lazzaro, 373).

All'incarico dell'amministratore si applicano le disposizioni del mandato (nella specie, l'art. 1713 c.c.) con la conseguenza che alla scadenza egli deve restituire tutto quanto ricevuto nell'esercizio del mandato per conto del condominio, ovvero tutto quello che ha in cassa, indipendentemente dalla gestione alla quale le somme si riferiscono (Cass. II, n. 10815/2000). L'amministratore deve anche restituire la documentazione contabile, amministrativa e fiscale ivi compresi i modelli fiscali 770, nonché la certificazione attestante il pagamento delle ritenute di acconto sulle fatture emesse dai fornitori condominiali (Trib. Palermo 6 maggio 2014). Peraltro, l’obbligo di rendiconto da parte dell’amministratore uscente può considerarsi legittimamente adempiuto quando questi abbia non solo fornito i necessari documenti giustificativi delle somme incassate e dell’entità e delle causali degli esborsi effettuati, ma anche di tutti gli elementi di fatto funzionali alla individuazione ed al vaglio delle modalità di esecuzione dell’incarico, in modo da porre l’assemblea in condizione di stabilire se il suo operato sia stato conforme ai criteri di buona amministrazione (Cass. II, n. 19826/2019; Cass. II, n. 1991/2012; Cass. II, n. 2428/2004).

Se la restituzione non si risolve in un unico passaggio, ma si articoli in più momenti progressivi, l’individuazione dettagliata di tutti i documenti mancanti non è possibile ab origine, ma diventa praticabile soltanto in seconda battuta, allorquando l'amministratore subentrato, ignaro della pregressa gestione, acquisisca informazioni più precise appunto sulla base degli atti contenuti nelle prime consegne parziali (App. Napoli  13 aprile 2023, n. 1671 )

Ed è stato, altresì, precisato che un obbligo di tale portata e concernente tutta la documentazione inerente al condominio impedisce all'amministratore di trattenere documenti concernenti la sua gestione se lamenti di non essere stato rimborsato per spese anticipate per conto del condominio avvalendosi del principio inadimplenti non est adimplendum, non essendovi una interdipendenza tra le due obbligazioni che prendono origine da titoli diversi (Trib. Bari 18 aprile 2011).

Se è vero che l'amministratore uscente deve consegnare tempestivamente al proprio avente causa tutto quanto in suo possesso, ciò non toglie che anche il nuovo amministratore sia obbligato a fare la sua parte. In poche parole questi non potrà liberarsi delle proprie responsabilità affermando che chi lo ha preceduto non ha effettuato il passaggio delle consegne, potendo ben ricorrere alla tutela prevista dall'art. 700 c.p.c. (Trib. Bari 17 marzo 2010) oppure dall'art. 633 c.p.c.

Lo strumento giuridico residuale ex art. 700 c.p.c. richiede la verifica del fumus boni iuris e del periculum in mora. La valutazione in ordine alla sussistenza di tale secondo requisito è più complessa soprattutto nell'ipotesi di parziale consegna dei documenti da parte dell'amministratore cessato al nuovo, infatti i condomini ed il nuovo amministratore potranno accedere alla tutela d'urgenza solo in quanto dimostrino di trovarsi nell'assoluta impossibilità di conoscere la propria complessiva situazione contabile e di procedere alla regolare gestione amministrativa, risultando impedita in toto la redazione del bilancio, la formazione del rendiconto, la verifica dell'eventuale esistenza di debiti verso terzi e qualsiasi altra deliberazione consapevole dell'assemblea. In buona sostanza quando pur in presenza di un parziale assolvimento all'obbligo di consegna dei documenti da parte dell'amministratore non si determini la paralisi della gestione del condominio il diritto dell'ente non è tutelabile tramite al ricorso in via d' urgenza (Trib. Catania 8 ottobre 2018).  

Il nuovo amministratore potrà, quindi, rivolgersi al giudice in via d'urgenza chiedendo che venga emesso un ordine generico di consegna della residua documentazione ancora in possesso del rappresentante dimissionario allorchè non sia possibile dimostrare, con certezza, la reale esistenza in rerum natura dei documenti di cui si richiede la restituzione (Trib. Catania 20 luglio 2018 con nota Bordolli, 2018).

Peraltro, nell'ambito dell'inquadramento della figura dell'amministratore di condominio nel contratto di mandato, la consegna della documentazione contabile e patrimoniale del condominio costituisce espressione del dovere di lealtà e di collaborazione del mandatario, non solo nei confronti dell'ente di gestione ma anche nei confronti del nuovo amministratore di condominio, in considerazione del fatto che la consegna della documentazione in parola costituisce l'indispensabile prius logico e giuridico che consente la continuità nella amministrazione dell'ente di gestione (Trib. Roma 24 febbraio 2022, n.  3021 con nota di Acquaviva, 2022).

Verbale di passaggio delle consegne e rimborso delle spese anticipate dall'amministratore

Il verbale in questione rappresenta l'atto formale ed essenziale che segna il passaggio da una gestione condominiale all'altra e, proprio per evitare contestazioni fra le parti e future controversie, deve essere redatto nel modo più preciso possibile, con l'indicazione sistematica di tutti i documenti consegnati e ricevuti.

La questione di maggiore interesse ha sempre riguardato il valore che deve essere attribuito a detto verbale in relazione ad eventuali crediti che siano stati maturati o semplicemente chiesti in restituzione dall'amministratore uscente nei confronti del condominio e che non siano stati ancora soddisfatti prima della chiusura della sua gestione.

Il problema, si lega sostanzialmente a quello del rimborso delle spese anticipate dall'amministratore, disciplinate, applicandosi alla fattispecie la normativa del mandato, dall'art. 1720 c.c., per il quale il mandante deve rimborsare al mandatario le spese da questi anticipate, oltre interessi legali, per lo svolgimento dell'incarico. Più precisamente la questione riguarda i termini nei quali l'amministratore sia legittimato ad ottenere il rimborso di quanto asseritamente anticipato.

Per tale aspetto vale il principio dell'onere della prova, in base al quale l'amministratore deve dimostrare quali siano le anticipazioni da lui effettuate mentre, a carico del condominio sarà posta la prova contraria: dimostrare di avere adempiuto alla propria obbligazione (Lazzaro, 376).

Se il rendiconto evidenzia un disavanzo tra le entrate e le uscite, l'approvazione dello stesso non consente di ritenere dimostrato in via di prova deduttiva, che la differenza sia stata versata dall'amministratore con denaro proprio, poiché la ricognizione di debito richiede un atto di volizione, da parte dell'assemblea di un oggetto specifico posto all'esame dell'organo collegiale (Cass. II, n. 17293/2023Cass. II, n. 8498/ 2012; Cass. II, n. 10153/2011). Tanto più che il credito dell'amministratore diventa liquido, certo ed esigibile solo dopo che vi sia stata una delibera assembleare di suo riconoscimento (Cass. II, n. 14197/2011). La domanda di restituzione delle anticipazioni monetarie, avente ad oggetto gli esborsi sostenuti dall’amministratore con il proprio patrimonio in ragione della carenza dei fondi reperiti dai condomini, quanto al pertinente obbligo restitutorio, dovrebbe essere la conseguenza della loro iscrizione nel conto preventivo regolarmente approvato o in via di ratifica. La ragione di debenza a carico del condominio, quindi, si radica quando gli esborsi in restituzione sono validamente riferibili alla legittima gestione dell’ente condominiale per effetto ed in conseguenza di una corrispondente attività deliberativa di supporto. In difetto sarà l’amministratore a dover allegare e provare che le spese concernono voci di uscita legittimamente contestabili, previamente deliberate e non coperte dal mancato versamento, da parte dei condomini, delle quote di relativa spettanza (Trib. Roma 16 aprile 2019, n. 8308 con nota di MOSCATELLI 2019). 

Il professionista, pertanto, ha l'onere di precisare quali pagamenti abbia effettuato e deve dimostrare l'inerenza di essi ad obbligazioni da lui legittimamente contratte nell'interesse del condominio e nei limiti dei suoi poteri o su autorizzazione dell'assemblea (eventualmente, mediante approvazione del conto preventivo in cui la relativa spesa figuri), ovvero d'iniziativa, ma ottenendo la ratifica dell'assemblea (eventualmente contenuta nel conto consuntivo approvato). Occorre, infatti, che l'assemblea, chiamata ad accettare la contabilità predisposta dall'amministratore, sia in grado di poter compiere un puntuale atto ricognitivo di fronte alla specifica posta in questione (Trib. Roma 26 settembre 2023, n. 13510).

È stato, altresì, affermato che l'obbligo di adempimento del condominio verso l'amministratore è stato costantemente inteso nel senso di ritenerlo indenne da qualsivoglia diminuzione patrimoniale relativa all'attività dallo stesso svolta, sia in termini di mancato pagamento del compenso, sia per le anticipazioni dallo stesso effettuate (Cass. II, n. 5611/2019Cass. II, n. 20137/2017; Cass. II, n. 7498/2006).

Al credito per le somme anticipate nell'interesse del condominio dall'amministratore non si applica la prescrizione quinquennale di cui all'art. 2948, n. 4), c.c., non trattandosi di obbligazione periodica. Ugualmente tale carattere non riveste neppure l'obbligazione relativa al compenso dovuto all'amministratore, atteso che la durata annuale dell'incarico (ora rinnovato per eguale durata), comportando la cessazione ex lege del rapporto, determina l'obbligo dell'amministratore di rendere il conto della propria gestione alla fine di ciascun anno (Cass. II, n. 19348/2005; Trib. Taranto 19 ottobre 2023, n. 2474; Trib. Lecce, 11 ottobre 2022, n. 2812).

Alla luce di tali premesse, pertanto, il verbale di riconsegna vale solo come attestazione dell'adempimento dell'obbligo previsto dall'art. 1129, comma 8, c.c., ma non può avere valore di atto di ricognizione di debito ai sensi dell'art. 1988 c.c.

Sul punto la giurisprudenza sia di merito che di legittimità si è espressa più volte, affermando che la funzione di ricognizione di debito verso i crediti dell'amministratore del verbale di accettazione delle consegne dei documenti trasmessi dal precedente amministratore dipende esclusivamente dal contenuto del verbale medesimo (Cass. II, n. 23018/2015).

Non è sufficiente la sottoscrizione del verbale di consegna tra il vecchio ed il nuovo amministratore, menzionante una situazione di cassa contenente un passivo in relazione ad anticipazione di pagamenti ascritte al primo, ad integrare una ricognizione di debito da parte del condominio. Il nuovo amministratore, se non autorizzato dai partecipanti alla comunione, non ha il potere di approvare incassi e spese condominiali risultanti dai prospetti sintetici consegnatigli dal precedente amministratore e, pertanto, l'accettazione di tali documenti non costituisce prova idonea del debito nei confronti di quest'ultimo da parte dei condomini per l'importo corrispondente al disavanzo tra le rispettive poste contabili. All'assemblea dei condomini, invece, resta affidato il compito di approvare il conto consuntivo, onde confrontarlo con il preventivo, valutando l'opportunità delle spese affrontate d'iniziativa dell'amministratore (ex multis: Cass. VI, n. 34242/2022; Cass. II, n. 3859/2020).

Il nuovo amministratore, in quanto organo di rappresentanza dell'ente deputato all'ordinaria amministrazione dei beni comuni, non ha il potere – senza apposita autorizzazione dell'assemblea – di effettuare una ricognizione di debito che si riflette inevitabilmente nella sfera giuridico-patrimoniale dei condomini (Trib. Roma 18 gennaio 2017; Trib. Roma 11 settembre 2015). Il verbale di passaggio delle consegne, infatti, trattandosi di atto riconducibile al nuovo amministratore, suo sottoscrittore, è inidoneo ad essere opposto o, comunque, vincolare il condominio gestito quanto ad eventuali atti ricognitivi di debito in esso espressi (Trib. Roma 24 gennaio 2016).

L’ amministratore cessato dall'incarico può chiedere il rimborso delle somme da lui anticipate per la gestione condominiale sia, nei confronti del condominio legalmente rappresentato dal nuovo amministratore (dovendosi considerare attinente alle cose, ai servizi ed agli impianti comuni anche ogni azione nascente dall'espletamento del mandato, che, appunto, riflette la gestione e la conservazione di quelle cose, servizi o impianti) sia, cumulativamente, nei confronti di ogni singolo condomino, la cui obbligazione di rimborsare all'amministratore mandatario le anticipazioni da questo fatte nell'esecuzione dell'incarico deve considerarsi sorta nel momento stesso in cui avviene l'anticipazione e per effetto di essa, e non può considerarsi estinta dalla nomina del nuovo amministratore, che amplia la legittimazione processuale passiva senza eliminare quelle originali, sostanziali e processuali (Trib. Taranto 19 ottobre 2023, n. 2474). Soltanto ove l'ex amministratore del condominio agisca nei confronti dei singoli condomini per ottenere il rimborso di dette somme anticipate, ha rilievo il principio della limitazione del debito nei limiti delle rispettive quote, ex art. 1123 c.c. (Cass. II, n. 27363/2018).

La prorogatio

Nel regime legislativo che ha preceduto l'entrata in vigore della l. n. 220/2012, secondo una prassi corrente, l'amministratore non più in carica, per scelta personale (rinuncia al mandato), per decorrenza del termine della durata del mandato oppure perché revocato dall'assemblea, continuava ad esercitare i propri poteri per assicurare la gestione e la rappresentanza dell'Ente. In tali frangenti si verificava una situazione che da provvisoria si protraeva, per forza d'inerzia, fino a quando l'amministratore non veniva sostituito da altro soggetto. E questo molto spesso si realizzava perché veniva a mancare il doppio quorum necessario per la conferma o la revoca dell'amministratore che, con il consenso tacito dell'assemblea continuava ad esercitare i suoi poteri, sia pure ad interim, mantenendo anche il suo diritto al compenso.

In tal caso è stato osservato che l'inerzia dell'assemblea, che per mancanza di maggioranza tenti infruttuosamente di nominare il nuovo amministratore restando in attesa che uno o più condomini si rivolgano, a tale fine, all'autorità giudiziaria, rappresenta il caso tipico della c.d. prorogatio imperii e non può essere assimilata alla volontà di confermare il vecchio amministratore (Dogliotti — Figone, 390).

Sulla questione la giurisprudenza, in passato, è stata concorde nel ritenere che la prorogatio imperii dell'amministratore – il cui fondamento andava individuato nella presunzione di conformità alla volontà dei condomini e nell'interesse del condominio alla continuità dell'amministrazione – si applicava in ogni caso in cui il condominio fosse stato privato dell'opera dell'amministratore e, quindi, non solo nelle ipotesi di scadenza del termine di cui all'art. 1129, comma 2, c.c. o di dimissioni, ma anche nei casi di revoca o annullamento per illegittimità della delibera di nomina. Anche in caso di nomina invalida l'amministratore poteva continuare ad esercitare legittimamente, fino all'avvenuta sostituzione, i poteri di rappresentanza, anche processuale, dei comproprietari, rimanendo l'accertamento di detta prorogatio rimesso al controllo d'ufficio del giudice e non soggetto ad eccezione di parte, in quanto inerente alla regolare costituzione del rapporto processuale (Cass. II, n. 18660/2012). Inoltre, l'amministratore cessato dalla carica, in forza di una prorogatio dei poteri che si esaurisce con la nomina del nuovo amministratore, conservava una limitata legittimazione passiva a resistere alle pretese fatte valere nei confronti dell'ente di gestione (Cass. II, n. 14589/2011).

L'amministratore, quindi, continuava ad esercitare tutte le attribuzioni a lui riservate dall'art. 1130 c.c. tipiche della normale attività amministrativa che, comunque, doveva essere garantita per evitare un vuoto di gestione, che terminava solo con il conferimento di mandato a nuovo soggetto.

Con la novella del 2012 la situazione è cambiata, poiché l'art. 1129, comma 8, c.c. limita l'attività dell'amministratore cessato dal mandato a quegli adempimenti urgenti in quanto finalizzati ad evitare pregiudizi agli interessi comuni. In questo caso il legislatore ha parlato di obbligo («l'amministratore...è tenuto») cui corrisponde, in caso di omissione, una precisa responsabilità, verso i condomini, di carattere contrattuale. La legge, pertanto, avrebbe limitato nel suo contenuto, rispetto al passato, la c.d. prorogatio.

La novità contenuta nella riforma del condominio non può essere ravvisata nella prorogabilità senza limite dell'incarico, in assenza di delibera di nomina, ma nell'aver previsto la proroga annua con pienezza di poteri e, per il periodo successivo, la limitazione dei poteri dell'amministratore cessato pur se in regime di prorogatio (Trib. Brescia 15 aprile 2016; Trib. Roma 23 gennaio 2018).

Sul punto, tuttavia, è stato osservato (Trib. Roma 11 maggio 2018) che, nonostante la durata annuale dell'incarico, come prevista dall'art. 1129, comma 10, c.c. per il quale l'incarico “si intende rinnovato per uguale durata”, la scelta formale del legislatore appare poco chiara. In effetti lo stesso Tribunale e Sezione in precedenti pronunce (Trib. Roma 10 gennaio 2018 e Trib. Roma 16 dicembre 2015) aveva escluso che il legislatore del 2012 avesse introdotto un meccanismo idoneo a garantire il protrarsi dell'investitura, anno dopo anno, attraverso una sequenza di rinnovi taciti (così sovvertendo il principio generale della temporaneità degli incarichi di gestione degli enti collettivi), ritenendo – al contrario – che il meccanismo di rinnovo automatico vada limitato alla scadenza successiva al primo conferimento dell'incarico.

In buona sostanza, secondo il giudice capitolino, la ratio del rinnovo al termine del primo anno può rinvenirsi nella correlazione tra la durata dell'incarico e l'obbligo di presentazione del rendiconto, per il quale sono concessi, in forza dell'art. 1130, n. 10), c.c., 180 giorni, costituendo ciò il principale elemento di valutazione dell'operato di un amministratore del condominio.

È stato ancora evidenziato che poiché la nomina dell'amministratore può avvenire “a cavallo” tra due annualità di gestione e la prima scadenza si può verificare antecedentemente allo spirare del termine per la presentazione del rendiconto, l'esigenza di una conferma assembleare della fiducia è meno avvertita, mentre all'amministratore, col meccanismo del rinnovo tacito, viene assicurata una maggiore stabilità nel periodo iniziale del rapporto, cui spesso sono collegati i maggiori investimenti di tempo ed energie professionali.

Nella pratica si è posta la questione se la c.d. prorogatio trovi applicazione anche nel supercondominio, ovvero se il rappresentante dimissionario di uno dei condominii possa deliberare in merito alla nomina dell'amministratore del complesso edilizio e se la conseguente delibera conservi validità.

La domanda ha avuto riscontro positivo, in quanto è stato affermato che la normativa in tema di condominio si estende, anche per questi profili, al rappresentante del condominio in seno al supercondominio, giusto il combinato disposto degli artt. 1129 c.c. e 67 disp. att. c.c. Il regime della prorogatio trova applicazione anche in detta ipotesi, per richiamo analogico alla precedente giurisprudenza della Corte di Cassazione (ivi sent. Cass. II, n. 18660/2012), poiché l'obbligo previsto dalla norma in esame trova giustificazione nell'applicazione del principio della buona fede oggettiva, che deve connotare qualsivoglia rapporto contrattuale in essere tra le parti e che impone la salvaguardia della sfera giuridica delle parti negoziali, nei limiti di un apprezzabile sacrificio (Trib. Milano 4 maggio 2016).

Quanto alle attività che l'amministratore cessato dall'incarico può continuare ad esercitare in regime di  prorogatio si evidenzia che la norma, pur nella sua genericità, non può che essere interpretata nel senso che il carattere di urgenza deve avere una connotazione obiettiva ed estranea alla percezione del soggetto. Si deve trattare, in buona sostanza, di attività che non possono essere ritardate, sia da un punto di vista sostanziale che processuale (come nel caso in cui sia stata impugnata una delibera assembleare e sia necessaria la costituzione in giudizio per evitare la scadenza di termini; oppure allorché l'amministratore dimissionario, già munito di delega anche per la fase esecutiva, debba proseguire l'attività nei confronti del condomino pena l'inefficacia del precetto già notificato).

La ratio della norma è quella di evitare il cristallizzarsi di una situazione di illegalità, stimolare i condomini a nominare un nuovo amministratore per sbloccare una gestione che rimarrebbe paralizzata a pochi atti, costringere l'amministratore a convocare l'assemblea per  la nomina del suo successore dovendo, diversamente, lavorare senza compenso. Tuttavia, qualora sia stato promosso un procedimento per la nomina giudiziale dell'amministratore, la convocazione dell'assemblea allo stesso fine da parte del rappresentante condominiale dimissionario è  illegittima (Trib. Vicenza 7 agosto 2018).

È stato osservato che «urgenza» di un atto non equivale a «scadenza» (ad es. il pagamento della bolletta scaduta) e che l'ipotesi considerata dal legislatore del 2012 resta circoscritta agli «atti conservativi» e, forse, alla disciplina dell'uso delle cose e dei servizi comuni sempre che sussistano immediate esigenze di intervento (Lazzaro, 356).

La nuova disciplina del condominio, peraltro, avendo consentito anche all'amministratore dimissionario di rivolgersi all'autorità giudiziaria per ottenere la nomina del suo avente causa, dovrebbe avere ridotto al minimo indispensabile il periodo della prorogatio, che in passato veniva regolarmente coperto di fatto dall'ex amministratore, il quale si trovava a dover proseguire nella gestione della vita condominiale con lo svolgimento di attività corrispondenti a quelle previste per il cessato rapporto contrattuale.

Anche l'amministratore in prorogatio può essere soggetto a revoca da parte dell'autorità giudiziaria quando si renda responsabile di gravi irregolarità. A questa soluzione sono pervenuti i giudici di merito (App. Bari 27 giugno 2019)  i quali  hanno ribaltato la decisione di primo grado, che aveva dichiarato inammissibile il ricorso presentato da un condomino. E' stato, infatti, affermato che negare tale possibilità implicherebbe il venire meno di qualsiasi controllo giudiziale sull'operato dell'amministratore (Conf. Trib. Catanzaro 15 giugno 2022, n. 2313, con nota di Bordolli, 2022), a discapito delle minoranze dell'assemblea condominiale o dei singoli condomini dissenzienti, la cui tutela dovrebbe essere il perno della disciplina legislativa inerente alla funzione assembleare. Rischio che sussiste allorchè il regime della prorogatio  si prolunghi nel tempo per l'obiettiva difficoltà di addivenire alla nomina di un nuovo amministratore. Ed ancora, la circostanza per cui l'amministratore operi in regime di prorogatio non è di ostacolo alla pronuncia di sua revoca giudiziale, discendendo da essa precisi effetti (cfr. art. 1129, comma 13, c.c.). In siffatti casi, infatti, l'amministratore potrebbe essere nuovamente nominato dall'assemblea, possibilità che viene meno a seguito della sua revoca giudiziale (Trib. Bari 23 febbraio 2024). 

Diversamente, sarebbe incompatibile il ricorso alla revoca giudiziale dell'amministratore quando questi eserciti il mandato in regime di prorogatio imperii, eseguendo le sole attività urgenti. Ma tale principio non potrebbe trovare applicazione se l'amministratore decaduto dalla carica prosegue regolarmente negli anni successivi, redigendo più bilanci e continuando ad operare sul conto corrente condominiale (App. Firenze 21 aprile 2021).

La riscossione forzosa delle somme

Uno degli obblighi più importanti per l'amministratore è quello di garantire che nella cassa del condominio affluiscano le somme necessarie per una costante gestione della vita condominiale. In tale attività il rappresentante ha, in primo luogo, il dovere di riscuotere i contributi ed erogare le spese occorrenti per la manutenzione ordinaria delle parti comuni e per l'esercizio dei servizi comuni (art. 1130, comma 1, n. 3, c.c.) e, successivamente, quello di recuperare le somme non versate, tramite il ricorso alla «riscossione forzosa» dei crediti, disciplinata dal combinato disposto degli artt. 1129, comma 9, c.c. e 63, comma 1, disp. att. c.c. (al cui specifico commento si rinvia).

In un quadro complesso e modificato per effetto dell'entrata in vigore della novella del 2012, il legislatore, per evitare che l'amministratore, senza giustificato motivo, rinvii i tempi del recupero forzoso di quanto di spettanza del condominio, ha introdotto una nuova disposizione che sancisce l'obbligo per lo stesso di agire in via ingiuntiva entro sei mesi dalla chiusura dell'esercizio nel quale il credito è divenuto esigibile, anche ai sensi dell'art. 63 citato. L'unico limite al rispetto di tale dovere è costituito da un'espressa dispensa dell'assemblea.

La legittimazione del nuovo amministratore al recupero delle spese condominiali sussiste anche nel caso in cui la morosità si riferisca a situazioni pregresse alla sua nomina, trovando fondamento detta legittimazione nell'approvazione, da parte dell'assemblea, di bilanci consuntivi, divenuti definitivi in assenza  di impugnativa. Qualora l'assemblea decida di escludere il potere di agire per la riscossione dei relativi crediti in capo all'amministratore, che costituisce specifica e rilevante limitazione delle sue attribuzioni, deve disporre espressamente in tal senso (Cass. VI, n. 33046/2018).  

Alcune precisazioni in merito alla natura del credito, oggetto di eventuale decreto ingiuntivo, sono pervenute dalla giurisprudenza di merito. È stato, infatti, escluso che il credito condominiale diventi esigibile solo dopo la diffida (Trib. Roma 3 maggio 2018). In base alle norme richiamate, infatti, il credito condominiale si considera “certo” e “liquido” con l'approvazione da parte dell'assemblea dello stato di ripartizione, indifferentemente che si tratti di riparto preventivo o consuntivo. Lo stato di ripartizione, infatti, ha un valore probatorio privilegiato in ordine alla certezza del credito del condominio corrispondente a quello dei documenti esemplificativamente elencati nell'art. 642, comma 1, c.p.c. Ove, tuttavia, sia mancata l'approvazione da parte dell'assemblea dello stato di ripartizione, l'amministratore è comunque munito di legittimazione all'azione per il recupero degli oneri condominiali in forza dell'art. 1130, n. 3, c.c. In tale evenienza l'amministratore può agire in sede di ordinario processo di cognizione, oppure ottenere ingiunzione di pagamento senza esecuzione provvisoria ex art. 63, comma 1, disp. att. c.c. (Cass. VI, n. 15696/2020). Mentre si parla di “esigibilità” quando la scadenza del termine, eventualmente riferito alle singole rate, rende attuale l'obbligo di pagamento ai sensi dell'art. 1182 c.c.

Per quanto concerne, poi, la diffida, la messa in mora nei confronti del condomino non è obbligatoria, può essere considerata una condizione di procedibilità del recupero del credito, neppure se il regolamento preveda tale adempimento da parte dell'amministratore. Dalla violazione di tale incombente può discendere, al più, in capo all'amministratore stesso una responsabilità da inesatto adempimento del mandato (Cass. II, n. 9181/2013).

Trattasi di principio che ha trovato nuovo vigore nella normativa del 2012 secondo la quale, per laprima volta, il ricorso alla procedura monitoria è stato previsto come obbligo specifica dell'amministratore.

La norma, per come formulata, ha sollevato qualche perplessità da parte degli interpreti.

È stato rilevato che rimettere all'assemblea una sostanziale possibilità di derogare ad un obbligo imposto all'amministratore che comporta, anche nella fase successiva a quella ingiuntiva, il dovere di curare la conseguente esecuzione coattiva, significa permettere all'organo deliberante di ratificare il tardivo operato dell'amministratore, condividendo in tal modo le ragioni che lo abbiano spinto a non agire tempestivamente per la condanna dei ritardatari (Terzago, 380).

In realtà dall'esame testuale dell'art. 1129, comma 9, c.c. e dalla sua ratio emerge che la dispensa dell'assemblea deve essere preventiva e non successiva alla scadenza dei sei mesi. Sembra, infatti, più corretto escludere una qualsivoglia ratifica in questo senso, poiché la dispensa accordata dall'assemblea dovrebbe essere finalizzata ad evitare al condominio di intraprendere azioni ingiuntive che si potrebbero rivelare sproporzionate in rapporto al credito vantato, oppure non produttive di risultato utile per il condominio. In tali casi assume valore la piena discrezionalità dell'organo deliberante, che non può essere sottoposta al libero apprezzamento del giudice.

Nulla vieta, naturalmente, che in caso di ritardo protratto oltre i sei mesi di legge, l'assemblea ratifichi l'operato dell'amministratore.

Per entrambi i casi, dispensa preventiva e ratifica, va rilevato il silenzio della legge sull'entità del  quorum  per una regolare delibera. Si propende per la maggioranza prevista dall'art. 1136, comma 2, c.c. in considerazione della delicatezza dell'argomento, rispetto al quale una maggioranza semplice potrebbe spingere i condomini a derogare troppo facilmente ad obblighi di legge chiaramente dettati per limitare i tempi del recupero dei crediti comuni.

E' stato osservato che nel condominio possono coesistere morosità per grandi somme e per importi modesti per cui, non essendo stato previsto con quale maggioranza l'assemblea debba liberare l'amministratore da un obbligo di legge, il quorum deliberativo è quello previsto dall'art. 1136, comma 3, c.c. (in seconda convocazione: maggioranza degli intervenuti all'assemblea pari ad almeno un terzo dei millesimi). Lo specifico argomento, inoltre, deve essere inserito nell'ordine del giorno come punto autonomo (Bosso, 463).

È stato ancora sollevato qualche dubbio sulla coerenza sistematica del termine semestrale assegnato all'amministratore e decorrente dalla chiusura dell'esercizio di maturazione del credito. Si è, infatti, rilevato che il bilancio consuntivo ha cadenza annuale e, comunque, deve essere approvato entro sei mesi da tale scadenza, per cui, per individuare l'esercizio in cui sia compreso il credito condominiale, ovvero il dies a quo del termine semestrale sarebbe necessario distinguere tra la maturazione delle varie spese in relazione ai diversi tipi di intervento (Celeste-Scarpa, 70).

Ancora una volta sembra che, in questo senso, la norma sia chiara, avendo individuato nell'approvazione del bilancio consuntivo la definitività delle spese (si parla, infatti, di esigibilità delle stesse) per le quali agire.

Piuttosto se di debolezza del legislatore si deve parlare, si potrebbe evidenziare come non sia stata data rilevanza al fatto che la morosità dei condomini interessa molto spesso anche la fase successiva all'approvazione del bilancio preventivo e programmatico della gestione annuale, nel quale sono indicate le scadenze per il versamento dei relativi contributi. Una morosità in questo caso, anche se il credito non è definitivo, perché soggetto alle variazioni riportate a consuntivo, ugualmente ed altamente pericolosa per il condominio, il quale non vede affluire nelle proprie casse gli importi che consentono di proseguire la gestione dell'Ente. E ciò tanto più in quanto la giurisprudenza ha chiarito, senza doversi pronunciare nuovamente sul punto, che per il recupero della morosità condominiale l'amministratore può chiedere l'emissione del decreto ingiuntivo, anche sulla base del solo bilancio preventivo, senza necessità di attendere l'approvazione assembleare di quello consuntivo (Cass. II, n. 24299/2008).

Va da sé che un ritardo ingiustificato dell'amministratore nell'attivare il recupero forzoso del credito condominiale, anche se non previsto come grave irregolarità ai fini della sua revoca, potrebbe comunque tradursi in fonte di responsabilità risarcitoria per eventuali danni subiti dal condominio.

La revoca assembleare dell'amministratore

Va subito precisato che l'amministratore del condominio può essere revocato in qualunque momento dall'assemblea dei condomini (art. 1129, comma 11, c.c.) con la maggioranza speciale stabilita dall'art. 1136 c.c. (ovvero con il voto della maggioranza degli intervenuti e di almeno la metà del valore dell'edificio), come previsto per la sua nomina.

La fattispecie configura un'ipotesi di recesso unilaterale dal contratto di amministrazione.

È stato osservato (Voi) che l'art. 1129, comma 11, c.c. sembra parificare il potere di revoca dell'assemblea a quello del giudice, quasi fosse un primo giudizio sul presunto non conforme comportamento dell'amministratore nella gestione dei beni e servizi comuni dei condomini. Tuttavia, poiché detto comma dell'art. 1129 c.c. è composto di due capoversi e quando si riferisce all'intervento dell'autorità giudiziaria il secondo capoverso elenca una serie di ipotesi – dalla mancata convocazione dell'assemblea per informarla di un'attività giudiziaria contro il condominio che esuli dai poteri dell'amministratore alle gravi irregolarità di cui all'art. 1129, comma 12, c.c. fino al mancato rendimento dei conti – si potrebbe anche sostenere che mentre l'assemblea ha un ampio potere e discrezionalità sulla revoca dell'amministratore, l'autorità giudiziaria, seppur attivata dopo la mancata revoca da parte dei condomini, può solo esprimersi in ordine alle tipizzate fattispecie di irregolarità di cui all'art. 1129, comma 12, c.c.

L'art. 1129, comma 11, si applica sia per l'incarico a titolo gratuito, sia per quello a titolo oneroso. Per quest'ultimo, tuttavia, si pone il problema, essendo pacifico che la figura del legale rappresentante del condominio si identifica quale mandatario dello stesso, se sussista un diritto o meno dell'amministratore, revocato prima della scadenza annuale, al risarcimento danni, previsto per legge ex art. 1725 c.c. nell'ambito appunto del rapporto di mandato.

La norma, rubricata «revoca del mandato oneroso», prevede, infatti, che la revoca dell'ufficio conferito per un tempo determinato o per un determinato affare, obbliga il mandante (nella specie, quindi, il condominio) a risarcire i danni «se fatta prima della scadenza del termine o del compimento dell'affare, salvo che non ricorra una giusta causa (ovvero salva la cosiddetta revoca giustificata). Inoltre, al comma 2, l'art. 1725 c.c. citato dispone che «se il mandato è a tempo indeterminato, la revoca obbliga il mandante al risarcimento, qualora non sia stato dato un congruo preavviso, salvo che non ricorra una giusta causa».

Già prima dell'entrata in vigore della riforma del 2012 era stata criticata la posizione di chi sosteneva, sulla base del fatto di un'assenza di distinzione tra incarico gratuito ed oneroso, che l'amministratore nulla potesse pretendere a titolo di risarcimento nell'ipotesi di revoca immotivata. Ciò in quanto, in mancanza di condizioni cui fosse subordinata la legittimità della revoca, non era ipotizzabile neppure un risarcimento per danni per comportamento illegittimo. I critici osservavano, infatti, che l'organizzazione dell'attività amministrativa gestionale di un condominio può comunque implicare un impianto di attività professionale, con predisposizione di mezzi e spese delle quali il condominio non può non tenere conto nell'assumere una decisione priva di motivazioni valide (Bucci-Nicoletti- Redivo, 31).

Oggi la dottrina nettamente prevalente riconosce tale risarcibilità a favore dell'amministratore revocato prima della scadenza senza giustificazione (Cassano, 286; Lazzaro, 358; Peretti-Griva, 410; Triola, 409), mentre alcuni autori, con un ritorno al passato, riaffermano che nulla sarebbe dovuto a titolo risarcitorio all'amministratore che sia stato «licenziato» dall'assemblea in qualsiasi momento e senza giustificazione, osservando che se il legislatore avesse ammesso detto risarcimento avrebbe consentito la revoca assembleare solo per giusta causa (Terzago, 351).

Altri autori ritengono che il danno deve essere individuato nelle indennità perse ed il risarcimento non può che essere limitato, quindi, al lucro cessante e ad un'eventuale perdita dichance (Lazzaro — Stincardini, 82).

Per quanto concerne la giusta causa, costituente motivo di esenzione per il condominio dal dovere risarcire eventuali danni all'amministratore revocato, si è ritenuto che questa può rinvenirsi nell'abuso di rappresentanza, nella mancata presentazione del rendiconto annuale, nel versamento delle somme ricevute dai condomini su un conto personale (ipotesi di inammissibile confusione dei patrimoni); nell'incuria e nei ritardi dell'amministratore nel fornire i dati personali; nell'omessa convocazione assemblea straordinaria in ipotesi di urgenze; nel rifiuto ripetuto di indire l'assemblea richiesta dai condomini, ammissibile solo se la richiesta sia assurda o se l'assemblea l'ha già disattesa (Cassano, 177; Lazzaro, 363). Caso diverso, invece, è quello dell'apertura del conto corrente condominiale senza l'autorizzazione dell'assemblea (fattispecie sempre opponibile al condominio e, quindi, non costituente giusta causa), trattandosi di adempimento obbligatorio per disposizione legislativa.

Con risalente giurisprudenza della quale non sussistono ulteriori pronunce sull'argomento, era stato affermato che la revoca dell'amministratore di un condominio, che può avvenire in qualsiasi tempo, non richiede la sussistenza di una giusta causa, in considerazione della natura fiduciaria del rapporto fra amministratore e condominio (Cass. II, n.11472/1991). Differente l’impostazione di parte della giurisprudenza di merito, secondo la quale il mero modesto ritardo nell’assunzione di un’incombenza, qualora non si traduca in una forma di incolpevole inerzia, non è sufficiente ad integrare una grave violazione dei doveri dell’amministratore tale da portare alla revoca dello stesso ex art. 1129 (Trib. Milano 3 marzo 2017. Nella specie all’amministratore era stato contestato di non essersi mosso con solerzia nell’attività di risarcimento dei danni subiti dalla ricorrente, ritardo dovuto ai rallentamenti decisionali ed operativi connessi alle decisioni assembleari).

Il giudice della domanda risarcitoria dovrà, in ogni caso, valutare anche il profilo della gravità in concreto dell'inadempimento dell'amministratore ai sensi dell'art. 1455 c.c., quando questi sia stato revocato per giusta causa al fine di poterne (ed in quali limiti) accogliere la domanda di risarcimento del danno.

Peraltro, molte giuste cause (con elenco che, va ribadito, non è esaustivo) sono state tipizzate dall'art. 1129 c.c. riformato dalla l. n. 220/2012. Tali fattispecie costituiscono la base per considerare la revoca giustificata e, come tale, comportante l'esclusione di ogni risarcimento a carico del condominio che ha licenziato l'amministratore. Si aggiunga che la revoca è sempre possibile nell'ipotesi del venire meno del rapporto fiduciario tra le parti. 

In caso di revoca deliberata dall’assemblea prima del termine previsto nell’atto di nomina, in ogni caso, l’amministratore ha diritto oltre che al soddisfacimento dei propri eventuali crediti, altresì al risarcimento dei danni, in applicazione dell’art. 1725, comma 1, c.c., salvo che sussista una giusta causa, indicativamente ravvisabile tra quelle che giustificano la revoca giudiziale dello stesso dall’incarico (Cass. II, n. 7874/2021).

 

Va ancora sottolineato che la dottrina ha anche ammesso la possibilità di un'azione surrogatoria dei creditori del condominio, nell'ipotesi di inerzia dell'amministratore di richiedere ai condomini i fondi necessari per il mantenimento stabile del fondo comune (Lazzaro, 360; Terzago, 308; Celeste-Scarpa, 135).

Mentre la nuova normativa esclude espressamente il diritto a compensi (art. 1129, comma 8, c.c.) a favore dell'amministratore revocato, il quale, oltre a dover consegnare la documentazione al nuovo legale rappresentante del condominio, sarà tenuto anche ad «eseguire le attività urgenti al fine di evitare pregiudizi agli interessi comuni, senza diritto ad ulteriori compensi».

Tali ultime attività potranno, in ogni caso, essere evitate, quanto meno sotto il profilo temporale, dal soggetto revocato, il quale, ove l'assemblea non vi provveda tempestivamente (o, comunque, in tempi ragionevoli), potrà richiedere all'assemblea, prontamente da lui convocata all'uopo, di provvedere alla nuova nomina, ovvero, se non vi sarà alcun provvedimento in merito da parte di un'inerte assemblea, rivolgersi al Tribunale competente, in sede di volontaria giurisdizione, per ottenere in tempi brevi la nomina del suo successore.

Ancora in tema la giurisprudenza ha ritenuto la legittimità di una revoca tacita dell'amministratore, affermando che l'assemblea condominiale può ben procedere, in ogni tempo indipendentemente da una giusta causa, alla nomina di un nuovo amministratore, senza avere preventivamente revocato quello uscente, ciò comportando la revoca tacita del mandato conferito a quest'ultimo (Cass. II, n. 9082/2014).

Infine, va sottolineato che l'undicesimo comma dell'art. 1129 c.c., oltre a disporre che l'assemblea può deliberare in ogni tempo la revoca dell'amministratore con la maggioranza prevista per la sua nomina, ha previsto che ciò possa avvenire anche con le modalità previste dal regolamento del condominio.

Tale ultimo profilo appare di difficile interpretazione, non essendo chiaro se il regolamento possa così derogare al disposto di cui all'art. 1136 c.c., dichiarato inderogabile dal successivo art. 1138 c.c. (Triola, 700).

Sembra, comunque, logico affermare che la disposizione si attaglia a previsioni regolamentari che non pongono problemi (non comportando un'eccezione al problema della inderogabilità della norma, ma anzi conferendo un'ulteriore garanzia a favore dei condomini) quale, ad esempio, una clausola del regolamento che preveda l'obbligo di preventiva, rispetto alla eventuale richiesta di revoca giudiziale, comunicazione all'assemblea in una riunione appositamente convocata, della volontà e delle relative motivazioni di sostituire l'amministratore in carica al fine di consentirgli (come previsto dalla disciplina per le irregolarità fiscali) di giustificare, prima di adire l'autorità giudiziaria, il comportamento da lui tenuto e contestato da uno o più condomini.

L'amministratore del supercondominio revocato dall'assemblea dei suoi amministratori

Il supercondominio, realtà edilizia/urbanistica che pacificamente nasce ipso iure et de facto, ovvero senza che siano necessari atti formali, è stato riconosciuto definitivamente come struttura condominiale dall'art. 1117-bis c.c., secondo il quale tutte le norme in materia di condominio si applicano, in quanto compatibili, anche a questa compagine costituita da più unità immobiliari o più edifici ovvero più condominii di unità immobiliari o di edifici che abbiano parti comuni ai sensi dell'art. 1117 c.c.

Per costante elaborazione giurisprudenziale formatasi intorno al concetto disupercondominio, riferito a “più unità immobiliari o più edifici ovvero più condomìni di unità immobiliari o di edifici aventi parti comuni ai sensi dell'art. 1117 c.c.”, poi confluita nell'art. 1117-bis, l'elemento identificativo del supercondominio risiede nella natura specificamente condominiale - ex art. 1117 c.c. - della relazione di accessorietà tra le parti comuni serventi e la pluralità di immobili serviti, a prescindere dalla circostanza che questi ultimi integrino un condominio unitario, ovvero più condomìni. Per quanto non possa escludersi, nell'odierna multiforme fenomenologia degli aggregati immobiliari, la coesistenza di beni a godimento strumentale e beni a godimento autonomo (la dottrina, infatti, considera l'eventualità di un “doppio regime”), criteri di preminenza funzionale devono orientare il giudice di merito verso la definizione prevalente della fattispecie, nell'un senso o nell'altro (Cass. II, n. 2580/2024).

Poiché la questione concernente la revoca dell'amministratore del supercondominio non è stata disciplinata dalla novella del 2012, si è posto immediatamente il problema di individuare quale sia il soggetto a ciò deputato.

Ad avviso della giurisprudenza di merito è nulla, per difetto di competenza assembleare, la deliberazione dell'assemblea dei rappresentanti del supercondominio che ne abbia revocato l'amministratore. Ciò in quanto la revoca in questione esula dalle attribuzioni previste dall'art. 67, comma 3, disp. att. c.c. (anche dopo la riforma di cui alla l. n. 220/2012), che si riferisce espressamente solo alla gestione ordinaria delle parti comuni a più edifici ed alla nomina dell'amministratore. Allo stesso modo l'assemblea dei rappresentanti del supercondominio non può nominare un revisore dei conti, nuova figura prevista dall'art. 1130-bis c.c. Il giudicante in particolare ha evidenziato che la norma richiamata ha un carattere eccezionale e che la delibera di revoca costituisce un atto di straordinaria amministrazione, per cui non sussistono ragioni per derogare alla partecipazione di tutti i partecipanti alla formazione della stessa (Trib. Milano 30 agosto 2016).

Parte della dottrina è di diverso avviso, avendo rilevato che se l'assemblea dei rappresentanti del supercondominio ha il potere di nominare l'amministratore di tale ente, non può non avere anche quello di revocarlo. Infatti, un divieto in tal senso esproprierebbe l'assemblea stessa di un'attribuzione, ad essa spettante per legge dopo la riforma, di nominare un nuovo legale rappresentante di detto ente. È stato, quindi, ritenuto coerente, oltre che imposto dal carattere fiduciario del rapporto che si instaura tra assemblea nominante ed amministratore nominato, riservare all'organo collegiale costituito dai rappresentanti in seno al supercondominio, tanto la competenza alla designazione quanto, in forza del principio del contrarius actus, ovvero del principio di normale simmetria tra potere di nomina e potere di revoca, quanto quella in ordine alla revoca del suo amministratore dalla stessa in precedenza nominato (Scarpa, 19). L'opinione è condivisibile sotto il profilo logico giuridico.

Va, tuttavia, evidenziato che secondo l'orientamento giurisprudenziale, formatosi sotto il vigore della precedente disciplina, era stata dichiarata nulla, per contrarietà a norme imperative, la clausola del regolamento contrattuale di condominio prevedente che l'assemblea di un c.d. supercondominio sia composta dagli amministratori dei singoli condomìni o da singoli condomini delegati a partecipare in rappresentanza di ciascun condominio, anziché da tutti i comproprietari degli edifici che lo compongono, atteso che le norme concernenti la composizione ed il funzionamento dell'assemblea non sono derogabili dal regolamento di condominio (Cass. II, n. 15476/2001), ciò anche in considerazione che la volontà assembleare maggioritaria, in tal modo espressa, può non corrispondere a quella dei condomini (Cass. II, n. 5333/1997).

Ulteriore argomentazione a favore della tesi critica rispetto alla decisione del giudice meneghino, va individuata nella circostanza che la stessa Suprema Corte ha affermato che la nomina di un nuovo amministratore non richiede la previa formale revoca del suo predecessore, poiché il conferimento del nuovo incarico ad altro soggetto comporta, automaticamente e tacitamente, la revoca del precedente mandato, ai sensi del disposto di cui all'art. 1724 c.c. (Cass. II, n. 9082/2014).

Resta il fatto che il silenzio della legge sul punto non ha chiarito la questione sulla quale non mancheranno future decisioni che potranno portare a novità interpretative.

La revoca giudiziale dell'amministratore

Dopo l'entrata in vigore della l. n. 220 del 2012, il nuovo testo dell'art. 1129 c.c., con l'undicesimo comma, ha previsto che, su ricorso di ciascun condomino (e, ovviamente anche di più condomini), l'amministratore possa essere revocato dall'autorità giudiziaria, anzitutto nel caso previsto dal successivo art. 1131, comma 4, c.c. a norma del quale se l'atto di citazione passivo o il provvedimento a lui notificato dall'autorità giudiziaria abbia un oggetto che esorbiti dalle sue attribuzioni, il legale rappresentante è tenuto a darne notizia senza indugio all'assemblea condominiale, a pena anche di un'eventuale condanna al risarcimento danni ove non abbia adempiuto a detto obbligo. Ciò significa sostanzialmente che, in questa ipotesi, in rappresentante del condominio non deve attendere l'espletamento della convocazione annuale dell'assemblea per effettuare la comunicazione in questione, ma indire una riunione straordinaria.

L'interpretazione strettamente letterale dell'art. 1129 c.c. (riserva dell'istanza di revoca giudiziale in favore dei soli condomini) andrebbe ad eludere il ruolo attivo dell'usufruttuario in seno al condominio, riconosciutogli dall'art. 67, disp.att.c.c. comma  ed in forza del quale (comma 6) l'usufruttuario  di un piano o porzione di piano è titolare del diritto di voto negli affari attinenti all'ordinaria amministrazione e al semplice godimento delle cose e dei servizi comuni. Là dove in tutte le altre materie il diritto di voto spetta al nudo proprietario. Per quanto con la modifica del codice civile siano stati riconosciuti ufficialmente all'usufruttuario specifici diritti, non è stata espressamente estesa al medesimo la legittimazione attiva a chiedere la revoca dell'amministratore in via giudiziale. E' opportuno, quindi, che la domanda sia proposta congiuntamente al nudo proprietario per evitare future contestazioni (Orefice, 2019).

Sulla particolare questione concernente il soggetto passivamente legittimato all'azione risarcitoria proposta dall'amministratore a seguito della revoca disposta dall'autorità giudiziaria, il giudice di legittimità ha escluso che il condominio possa essere chiamato in causa, poiché i condomini che chiedono la revoca esercitano un diritto proprio e non agiscono in virtù di un mandato reciproco esistente tra tutti condomini. In tal caso, infatti, la tesi della responsabilità del condominio e dei condomini rimasti estranei alla iniziativa è priva di base giuridica, a prescindere dalla configurabilità stessa di un diritto al risarcimento dei danni di fronte ad un provvedimento giudiziale che abbia ritenuto, invece, fondata tale iniziativa (Cass. II, n. 12636/1995).

La revoca dell'amministratore è un provvedimento da adottare in sede di giurisdizione non contenziosa, poiché è diretto a gestire interessi (del condominio), non a risolvere controversie su diritti soggettivi (o status). Pertanto, la correlativa istanza, se proposta in sede contenziosa, è inammissibile, senza possibilità di traslare il giudizio in sede non contenziosa, che dovrà essere adita ex novo in modo autonomo. (Cass. II, n. 7385/2023).

La revoca può essere, altresì, richiesta se l'amministratore non abbia reso per un anno (si ricorda che prima della riforma il termine massimo era biennale) il conto della sua gestione ed ancora nell'ipotesi delle gravi irregolarità, previste specificamente nel comma 12 dello stesso art. 1129.

La norma, molto rilevante sotto il profilo pratico perché finalizzata a garantire il più possibile la corretta gestione dello stabile condominiale, prevede, inoltre, che, in altre due fattispecie (gravi irregolarità fiscali e mancata apertura ed utilizzazione del conto corrente condominiale, ove debbono affluire tutti gli incassi e le spese effettuate per la gestione) è necessaria, prima di poter adire l'autorità giudiziaria per la revoca, una preventiva richiesta di convocazione dell'assemblea per fare cessare la violazione e procedere direttamente alla sostituzione dell'amministratore.

Da ultimo, per quanto concerne le spese legali, la novella prevede espressamente che, in caso di accoglimento del ricorso del condomino/i, l'istante/i ha titolo alla rivalsa nei confronti del condominio, il quale – a sua volta – può rivalersi nei confronti dell'amministratore revocato.

Nel procedimento promosso per la revoca dell'amministratore di condominio, ai sensi dell'art. 1129, comma 12, c. c., l'unico soggetto legittimato a contraddire è l'amministratore medesimo, con l'effetto che il regolamento delle spese non può che esaurirsi tra il ricorrente e quest'ultimo, senza poter essere esteso anche al condominio, il cui intervento adesivo va dichiarato inammissibile (Cass. VI, n. 19669/2022; Cass. VI, 4696/2020).

La eventuale compensazione delle spese tra le parti richiede sempre un'indagine da parte del giudice adito – riprodotto nella motivazione -  sulle ragioni che possano connotare in concreto la complessità degli accertamenti e delle questioni esaminate, in termini che consentano di apprezzarle quali sopravvenienze relative a questioni dirimenti e a profili di assoluta incertezza o comunque munite di una gravità ed eccezionalità equiparabili a quella delle altre ipotesi considerate dall'art. 92, comma 2, c.p.c. (Cass. VI, n. 14969/2017) . La generica e non meglio specificata complessità degli accertamenti  delle questioni dibattute (oltre che sulla natura del procedimento di revoca giudiziaria dell'amministratore per gravi irregolarità), sganciata dal riscontro dei particolari requisiti richiesti dall'attuale formulazione della norma, non integra, quindi, il presupposto indispensabile per disporre la compensazione delle spese (Cass. VI, n. 25798/2019).

Avverso la statuizione di condanna al pagamento delle  spese del procedimento è ammesso il ricorso per Cassazione, trattandosi di posizioni giuridiche soggettive di debito e di credito discendenti da un rapporto obbligatorio autonomo. Il procedimento diretto alla revoca giudiziaria dell'amministratore soggiace, comunque, all'applicabilità dell'art. 91 c.p.c., in materia di spese processuali, che si riferisce a qualsiasi provvedimento che, nel risolvere contrapposte pretese, definisce il procedimento, e ciò indipendentemente dalla natura e dal rito del procedimento medesimo. Pertanto, la norma trova applicazione anche ai nei provvedimenti di natura camerale e non contenziosa, come quelli in materia di revoca dell'amministratore di condominio (Cass. VI, n. 9485/2021;Cass.VI, n. 15995/2020).

L'amministratore revocato in via giudiziale non può più essere nominato dall'assemblea. Trattasi di novità legislativa che ha modificato il precedente orientamento contrario della giurisprudenza. La ripetuta nomina, tuttavia, è ancora consentita all'assemblea nel corso del procedimento di revoca, ovvero prima che il provvedimento del Tribunale sia divenuto definitivo.

In ogni caso, tuttavia, resta ferma l'opportunità, seppure non l'obbligo, prima di agire con il ricorso per la revoca in via giudiziale del legale rappresentante di chiedere, da parte degli interessati, la convocazione di un'apposita assemblea sia per far conoscere a tutti i condomini i motivi che si adducono per la cessazione del rapporto, sia per consentire allo stesso amministratore di difendersi, ovvero di spiegare le motivazioni che l'hanno indotto al suo comportamento contestato da uno o più partecipanti al condominio. 

In sede di legittimità è stato affermato che il divieto di nomina dell'amministratore revocato (esterno al rapporto processuale determinato dal procedimento camerale di revoca, che si instaura unicamente tra il condomino istante e l'amministratore, senza imporre e nemmeno consentire l'intervento dei restanti condomini) è temporaneo, e non comprime definitivamente il diritto di ricevere l'incarico, rilevando soltanto per la designazione assembleare immediatamente successiva al decreto di rimozione (Cass. II, n. 23743/2020).

Nell'ipotesi di revoca giudiziaria avvenuta prima dell'entrata in vigore della l.n. 220/2012, qualora l'assemblea abbia nominato nuovamente l'amministratore revocato lo stesso non è esonerato dall'obbligo di rendiconto, con conseguente obbligo di dare prova delle somme incassate e degli esborsi per l'esercizio corrente (Cass. II, n. 19436/2021).

Il provvedimento di revoca giudiziale diviene efficace, ai sensi dell'art. 741 c.p.c., dalla data dell'inutile spirare del termine per il reclamo avverso di esso, per cui gli atti compiuti dall'amministratore prima di detta scadenza non sono viziati da un'automatica invalidità e continuano ad essere giuridicamente vincolanti nei confronti del condominio (Cass. II, n. 454/2017). Si è sostenuto che in caso di revoca dell'amministratore da parte dell'autorità giudiziaria l'avverbio “nuovamente”, che impedisce la nomina, da parte dell'assemblea, dell'amministratore revocato, va riferito all'immediata rinnovazione della nomina e non può trasformarsi, per l'assemblea, in una limitazione sine die della libertà decisionale e, per l'amministratore di condominio, in una sanzione a tempo indeterminato, in palese violazione del principio di proporzionalità laddove non si tenga conto degli specifici motivi, più o meno gravi, che abbiano condotto alla revoca (Trib. Trieste, 11 dicembre 2018, n. 72 con nota di Nicoletti, 2019). La decisione lascia spazio a dubbi in quanto appare indicare una via per aggirare la legge, in quanto la logica ratio dell'art. 1129, comma 13 porta a ritenere che l'amministratore, che abbia compiuto irregolarità tali da dover essere sollevato dall'incarico in via giudiziaria, non possa più esercitare il mandato in quel condominio.

 La deliberazione resa in violazione dell'art. 1129, comma 13, c. c. (introdotto dalla legge 11 dicembre 2012, n. 220, ), norma che impedisce all'assemblea di nominare nuovamente l'amministratore revocato dall'autorità giudiziaria, è comunque annullabile, e non nulla, avendo la delibera  per oggetto la nomina dell'amministratore del condominio e, quindi, il limitato ambito dei rapporti tra i condómini senza alcuna incidenza sull'interesse della collettività. Pertanto, la relativa impugnazione resta soggetta al termine di trenta giorni di cui all'art. 1137, co. 2, c. c. ( Cass. II, n. 35979/2023).

Il divieto di nomina dell'amministratore revocato dal tribunale (peraltro, esterno al rapporto processuale determinato dal procedimento camerale di revoca, il quale intercorre unicamente tra il condomino istante e l'amministratore, senza imporre e nemmeno consentire l'intervento dei restanti: cfr. Cass. VI, n. 4696/2020) è temporaneo, e non comprime definitivamente il diritto dello stesso di ricevere l'incarico, rilevando soltanto per la designazione assembleare, immediatamente successiva al decreto di rimozione. Il divieto di nomina posto dal riformato art. 1129, comma 13, c.c. funziona, in realtà, nei confronti dell'assemblea, precludendole di rendere inoperativa la revoca giudiziale con una delibera che riconfermi l'amministratore rimosso dal tribunale (e ciò pure se siano ormai venute meno le ragioni che avevano determinato la sua revoca). Tale divieto non oblitera, perciò, il tipico connotato di provvisorietà ed intrinseca modificabilità dei provvedimenti giudiziari camerali in tema di nomina e revoca dell'amministratore di condominio, lasciando all'amministratore revocato la facoltà di avvalersi della tutela giurisdizionale piena in un ordinario giudizio contenzioso a fini risarcitori (Cass. II, n. 1569/2024Cass. II, n. 23743/2020). 

Va ancora rilevato che nell'ipotesi di condotta dell'amministratore condominiale rientrante tra le ipotesi tipiche di cui all'art. 1129 c.c. (nella specie: revoca disposta, non avendo egli provveduto, tra l'altro, alla convocazione dell'assemblea) il giudice è privo di discrezionalità circa la pronuncia di revoca, la quale discende dall'avere il legislatore determinato ex ante, a livello normativo, le conseguenze di una cattiva gestione dell'amministratore (Trib. Cagliari 2 febbraio 2016).

Il procedimento di revoca di cui all'art. 1129 c.c. si sostanzia in un giudizio di risoluzione anticipata e definitiva del rapporto di mandato esistente tra tutti i condomini e l'amministratore sicchè, in tema di prova, trova applicazione il principio generale operante in materia di inadempimento di una obbligazione, in virtù del quale il condomino che agisca per la risoluzione del mandato deve provare la fonte del suo diritto e limitarsi alla mera allegazione dell'inadempimento, mentre l'amministratore convenuto rimane gravato dell'onere della prova del fatto estintivo della pretesa di revoca, costituito dall'avvenuto adempimento ai suoi obblighi di gestione (Trib. S.M.Capua Vetere, decr. 7 novembre 2023).

Il  medesimo principio vale per il condominio che lamenti un malaccorto o, addirittura, infedele impiego del proprio denaro operato da parte dell'amministratore che lo abbia gestito. La prova del fatto (da fornire attraverso tanto la contabilità – se regolarmente tenuta ed approvata e/o i versamenti eseguiti e le uscite comprovate da documenti di spesa - quanto i movimenti del conto corrente) è rappresentata dalla circostanza che l'esercizio in contestazione si è in realtà chiuso non già con debiti di gestione, ma con veri e propri avanzi di cassa (o riportati nel bilancio successivo come partite in entrata e, poi, “disperse” senza un corrispondente in uscita, oppure sin dall'inizio fraudolentemente occultati). L'amministratore, in quanto contrattualmente debitore verso il condominio della propria prestazione di mandatario, deve provare di avere correttamente gestito l'ente amministrato mediante l'effettivo ed accorto impiego di tutte le somme riscosse. Accertato, quindi, che l'amministratore ha esercitato la propria attività in modo non corretto ed in violazione delle regole dettate in materia di mandato è ammessa, in favore del condominio, la risarcibilità del danno extrapatrimoniale (Cass. II, n. 9394/2019, annotata da RIZZO, 2020).

Da considerare ancora le conseguenze del comportamento inescusabile dell'amministratore e la sussistenza di eventuale prorogatio dei poteri dell'amministratore revocato.

Per il primo profilo, è stato affermato che la condotta non scusabile dell'amministratore integra gli estremi per determinarne la revoca giudiziale, a nulla rilevando la conoscenza concreta da parte dei condomini dei dati richiesti dalla ultima riforma del condominio. Fattispecie di apertura di un foro al di sopra della porta tagliafuoco autonomamente operata dall'amministratore con modalità che abbiano poi determinato la decadenza del certificato prevenzione incendi, nonché di superficialità nella tenuta dei registri condominiali e nella comunicazione dei dati personali di cui al comma 2 dell'art. 1129 c.c. (App. Trento 7 novembre 2014).

La revoca giudiziale dell'amministratore comporta l'immediata cessazione del mandato esistente tra lo stesso ed il condominio, non trovando applicazione in tale ipotesi – contrariamente a quelle di scadenza del mandato, dimissioni o mancato rinnovo dell'incarico – l'istituto della prorogatio dei poteri. Ne consegue che, non potendo da quel momento esercitare alcuna attività – sia ordinaria che straordinaria – in nome e per conto dei condomini, l'ex amministratore deve considerarsi privo tanto di legittimazione attiva a proporre ricorso per decreto ingiuntivo, quanto di legittimazione passiva a costituirsi nel giudizio di opposizione a tale decreto (Giud. Pace Fermo 30 settembre 2015).

In sede di revoca giudiziaria promossa da uno o più condomini non può essere accolta la domanda di nomina di un amministratore giudiziario, perché la nomina dell'amministratore spetta, innanzi tutto, all'assemblea e il potere attribuito dall'art. 1129,  comma 1, c.c. al Giudice è fondato sull'inerzia dell'assemblea e non sulla intervenuta revoca dell'amministratore in carica per gravi irregolarità (Trib. Civitavecchia 3 novembre 2022, n. 15096). 

Una motivazione convincente e giuridicamente valida, pur dovendosi tenere conto che la revoca in questione deve essere definitiva, nel senso che dalla pubblicazione del provvedimento debbono anche essere anche trascorsi i dieci giorni stabiliti per proporre, da parte dell'amministratore revocato dal tribunale, reclamo alla Corte d'Appello, ovvero che la Corte, ove investita del reclamo, abbia provveduto in senso conforme al tribunale (non essendo, come si dirà in sede di esame del disposto di cui all'art. 64 disp. att. c.c., ammissibile l'impugnazione per cassazione di detto provvedimento del giudice d'appello).

Le gravi irregolarità prima e dopo la riforma

Il precedente testo del comma 3 dell'art. 1129 c.c., con un termine del tutto generico, aveva indicato tra le possibili cause di revoca giudiziaria dell'amministratore anche i fondati sospetti di gravi irregolarità, delegando sostanzialmente alla libera valutazione del giudice l'individuazione dei concreti comportamenti negativi del soggetto in questione.

Pur dovendosi precisare che, in questo ambito, l'attività del giudicante doveva essere finalizzata ad una valutazione complessiva di tutti gli elementi presuntivi, che singolarmente presentassero una positività parziale, o almeno potenziale, di efficacia probatoria e tale da configurare un concorso di situazioni valide per individuare la fondatezza dei sospetti (De Renzis-Ferrari-Nicoletti-Redivo, 1089).

L'interpretazione logica e sistematica dell'art. 1129 c.c., quindi, induceva a ritenere che i fondati sospetti di gravi irregolarità dovevano rivestire la caratteristica di indizi precisi, gravi, molteplici e concordanti, da non confondere né con illazioni gratuite, né con mere congetture, né con presunzioni di natura soggettiva (Trib. Pescara 5 ottobre 1977). Talché per specificare le gravi irregolarità, che potevano giustificare la revoca dell'amministratore, era necessario fare riferimento a quegli eventi di carattere oggettivo e soggettivo che mettessero effettivamente in pericolo la gestione economica e sociale del condominio, ovvero minassero alla base il rapporto di fiducia posto a fondamento di ciascun mandato (Trib. Lecco 2 giugno 1987). La grave irregolarità, inoltre, si doveva tradurre in un danno immediato, oppure in un pericolo di danno (Trib. Napoli 13 dicembre 1994).

Più nello specifico era stato, ad esempio, affermato che si poteva parlare di grave irregolarità allorché l'amministratore, in sede assembleare e con riferimento a deliberazioni particolarmente importanti, avesse influenzato in maniera determinante soluzioni gradite ad alcuni condomini piuttosto che ad altri (App. Genova 6 novembre 1990), oppure qualora si fosse accertato che un'illegittimità dell' iter di convocazione dell'assemblea non fosse stato casuale ma scientemente voluto per ostacolare l'informazione di tutti i condomini (App. Genova 5 aprile 1991).

Alla luce della vigente normativa le gravi irregolarità, invece, sono state specificamente individuate nel comma 11 dell'art. 1129 c.c. e costituiscono esempi tassativi di violazioni imputabili all'amministratore. Come nel passato, comunque, è pacifico che detto elenco non deve considerarsi esaustivo, in quanto la nozione di irregolarità tanto grave da comportare la revoca giudiziale dell'amministratore di condominio si inserisce in un àmbito ben più ampio, che si identifica in ogni comportamento scorretto e professionalmente non diligente, anche solamente omissivo, tanto grave da rendere impossibile la prosecuzione del mandato. Prova ne è che lo stesso secondo comma dell'art. 1129 c.c. nell'elencare i comportamenti perentoriamente illegali li ha inquadrarti in un ben più ampio contesto («...costituiscono tra le altre, gravi irregolarità...»).

 

Non sussiste inversione dell’onere della prova verso l’amministratore, poiché per il ricorrente non è sufficiente allegare in modo generico l’inadempimento del primo, essendo, invece, necessario dedurre in modo specifico e documentare le gravi irregolarità idonee a determinare la revoca giudiziale del proprio rappresentante (Trib. Foggia 01 luglio 2019, n. 273)

L'elenco delle ipotesi costituenti gravi irregolarità contenuto nell'undicesimo comma dell'art. 1129 c.c. deve ritenersi meramente esemplificativo, dovendo essere completato da altre fattispecie ricomprendenti tutti quei comportamenti che fanno sospettare una gestione anomala della cosa comune da parte dell'amministratore o che siano indici di una condotta poco trasparente da parte di quest'ultimo (Trib. Milano 10 maggio 2018, con nota di Amendolagine, 2019).

E' da chiarire, in considerazione del fatto che il novellato art. 1129 c.c. nulla dispone in merito,  se sia sufficiente il verificarsi di una singola grave irregolarità per ottenere la revoca giudiziaria dell'amministratore oppure ne occorrano più d'una. A tal fine è stato fatto richiamo alla giurisprudenza concernente la precedente formulazione della norma (Sforza Fogliani, 248) secondo la quale una sola “grave irregolarità” aveva determinato la revoca forzata del rappresentante condominiale (Trib. Salerno 3 maggio 2011, con riferimento alla mancata apertura ed utilizzazione del conto corrente condominiale, e App. Genova 5 aprile 1991 in relazione alla convocazione dell'assemblea volontariamente ostacolata dall'amministratore).

Superando, quindi, le ipotesi teorizzate dal legislatore nella norma in esame è evidente che tutti i principi giurisprudenziali espressi nel passato rimangono oggi ancora pienamente validi, anche se è stata abbandonata, solo sulla carta, la formula originaria della fondatezza dei sospetti di grave irregolarità.

Omessa convocazione o ripetuto rifiuto di convocare l'assemblea

La violazione si riferisce alle tre ipotesi ben definite nel n. 1) dell'art. 1129 c.c.

Ai sensi del riformato art. 1130, n. 10), c.c. il rendiconto annuale della gestione condominiale (nelle forme di cui al nuovo art. 1130-bis c.c.) deve essere approvato dall'assemblea, appositamente convocata all'uopo, entro 180 giorni dalla chiusura del bilancio.

Tenuto conto del lasso temporale individuato dalla norma per consentire la presentazione del rendiconto, il comportamento omissivo ed inerte dell’amministratore nella presentazione del rendiconto (soprattutto quando questo si protragga per più annualità: nella specie cinque anni) non può ritenersi scusabile, neppure quando il rappresentante condominiale produca in giudizio verbali assembleari da cui risulti il rinvio della discussione in ordine all’approvazione dei bilanci per l’esame di altre questioni più urgenti. Tale grave omissione si ripercuote sulla gestione ordinaria del condominio, non consentendo il recupero degli oneri condominiali dai condomini morosi né una chiara ripartizione delle spese tra i singoli partecipanti (Trib. Bari. 13 luglio 2018, annotata da Frivoli, 2019). 

Tale inadempimento ostacola, quindi, l’assemblea nell’esercizio dei suoi poteri di controllo e di verifica, pregiudicando il diritto dei singoli condomini ad una gestione corretta e trasparente e legittimando ciascun partecipante a chiedere la revoca dell’amministratore. Questi, pertanto, potrà liberarsi da qualsivoglia responsabilità solo dimostrando di avere provveduto alla convocazione dell’assemblea (entro il termine di legge) per giustificare l’impossibilità di redigere il rendiconto (Trib. Palermo 14 febbraio 2020).

È stato rilevato che con la nuova previsione legislativa con l'annualità della gestione condominiale (prima il tempo era dato dal bilancio consuntivo biennale) si è ribaltata la precedente soglia di tolleranza. L'obbligo dell'amministratore si può considerare adempiuto a condizione che l'amministratore abbia presentato il rendiconto in assemblea o, comunque, abbia sottoposto ai condomini una relazione contabile che evidenzi una chiara situazione della gestione condominiale (Terzago, 353).

Va precisato al riguardo che, al di là della convocazione dell'assemblea annuale per l'approvazione dei bilanci, non è infrequente che nei condomìni si presentino delle situazioni che esigono ugualmente, in tempi brevissimi, la convocazione dell'assemblea straordinaria per deliberare in merito ad argomenti urgenti (si pensi all'esecuzione di lavori straordinari improvvisi ed improrogabili; alla necessità di comunicare all'assemblea – al fine di una delibera di ratifica – l'avvenuto inizio di interventi intrapresi dall'amministratore senza il preventivo assenso dei condomini, quando ciò sia stato determinato da situazioni di incombente pericolo per la sicurezza dello stabile; all'ipotesi di opere in corso su parti di proprietà esclusiva, che possono determinare un pregiudizio alla stabilità dell'edificio condominiale o alla sua sicurezza o al decoro architettonico e per le quali il legale rappresentante deve immediatamente informare i condomini per una pronta decisione, e così via).

Anche se in dette ipotesi, qualora l'amministratore non abbia provveduto a convocare l'assemblea straordinaria la convocazione, ai sensi dell'art. 66 disp att. c.c., può essere fatta da almeno due condomini che rappresentino un sesto del valore dell'intero edificio, non è da escludere, anzi è plausibile ritenere, che l'inerzia dell'amministratore può essere considerata, in via del tutto analogica, motivo di grave irregolarità ai fini della sua revoca giudiziale.

Parimenti l'amministratore si rende colpevole di grave irregolarità quando vi sia un ripetuto rifiuto di convocare l'assemblea per la sua revoca e la nomina di un nuovo rappresentante. In tal senso, quindi, non è sufficiente una sola omissione. La richiesta di revoca del mandatario sarà, ovviamente, respinta se palesemente pretestuosa, ovvero se l'assemblea si sia già pronunciata, con la regolare maggioranza di legge, in senso negativo sulla richiesta. L'ultima ipotesi contemplata dal legislatore nell'art. 1129, comma 12, n. 1), c.c. è formulata in modo generico («...negli altri casi previsti dalla legge...») e si riferisce a tutte quelle ipotesi in cui la normativa del condominio imponga all'amministratore di convocare l'assemblea, su formale richiesta dei condomini, entro determinati termini di legge.

È questo, ad esempio, il caso disciplinato dall'art. 1117-quater c.c. a tutela delle destinazioni d'uso delle parti comuni, qualora l'attività del singolo incida negativamente ed in modo sostanziale su di esse. La finalità della norma è quella di fare cessare la violazione, anche mediante azioni giudiziarie: in tal caso l'assemblea dovrà deliberare con la maggioranza speciale di cui all'art. 1136, comma 2, c.c.). Ed ancora in materia di innovazioni nella forma del novellato art. 1120, comma 2, c.c.

Mancata esecuzione di provvedimenti giudiziali o amministrativi, nonché di deliberazioni assembleari

La mancata comunicazione ai condomini dell'esistenza di provvedimenti giudiziali o amministrativi concernenti le parti comuni dell'edificio può evidentemente causare notevoli danni ai partecipanti al condominio, quanto meno in relazione al verificarsi della scadenza dei termini perentori per una possibile impugnativa.

Sul punto è stato affermato che in tema di revoca giudiziale non integra mancata esecuzione di provvedimenti giudiziari ex art. 1129 c.c., il comportamento dell'amministratore condominiale che – a fronte dell'intervenuta sospensione giudiziale della delibera assembleare, con cui era stata decisa la chiusura dell'impianto di riscaldamento centralizzato – non sia nelle condizioni di dare immediata attuazione all'accensione del riscaldamento stesso, attesa la mancanza di denaro per l'acquisto di combustibile, per avere l'assemblea – con delibera non impugnata sul punto – eliminato dal bilancio preventivo le voci di spesa relative al riscaldamento (Trib. Udine 22 dicembre 2014).

Pur non essendo previsto dalla legge un termine per dare esecuzione alle delibere condominiali sembra evidente che l'amministratore è obbligato, proprio per effetto della necessità di tenere un comportamento diligente nei confronti del condominio, a procedere in questo senso con tempestività, soprattutto quando la decisione assembleare sia urgente e rilevante per gli interessi comuni. Anche un semplice ritardo nell'esecuzione della delibera, infatti, può rappresentare una grave irregolarità legittimante la revoca del legale rappresentante del condominio.

Sempre in tema di esecuzione di delibera assembleare è stato affermato, con riferimento alla materia di prevenzione degli infortuni sul lavoro, che non può addebitarsi all'amministratore di condominio la mancata osservanza degli obblighi previsti dall'art. 26, commi 1 e 2, d.lgs. n. 81/2008 (avente ad oggetto le norme in materia di tutela della salute e della sicurezza nei luoghi di lavoro), quando l'appalto dei lavori, nel corso dei quali si è verificato l'infortunio, sia stato deciso ed assegnato con delibera assembleare alla quale l'amministratore era tenuto a dare esecuzione (Cass. pen., n. 42347/2013).

La decisione desta qualche perplessità in quanto, anche alla luce delle nuove competenze poste a carico dell'amministratore, con particolare riferimento alle leggi speciali applicabili anche al condominio, questi non può ignorare le norme che lo vedano direttamente destinatario o, quanto meno, interessato, per cui lo stesso non sia sempre tenuto a dare esecuzione ad ogni delibera dell'assemblea dei condomini. Ciò avviene allorché la deliberazione sia contraria all'ordine pubblico, al buon costume ovvero a normative imperative concernenti la sicurezza dello stabile condominiale. Peraltro, in tale circostanza vi è un obbligo preciso in capo all'amministratore di verificare tutte le caratteristiche tecniche dell'impresa appaltatrice.

Mancata apertura ed utilizzazione del conto condominiale

In questa ipotesi il legislatore ha recepito la giurisprudenza, costante e pacifica della Suprema Corte e dei giudici di merito in argomento, con la quale si è sempre ritenuta una grave irregolarità, comportante la revoca dell'amministratore condominiale, l'omessa apertura del conto corrente, bancario o postale, intestato all'ente da lui gestito, sul quale fare affluire tutte le somme pagate dai condomini, con detrazione, altresì, di ogni spesa effettuata per l'amministrazione dello stabile.

La nuova previsione è particolarmente rilevante, perché consente, da un lato, di evitare confusioni tra il patrimonio dell'amministratore e quello dei singoli condominii ovvero direttamente tra i patrimoni di questi ultimi (art. 1129 c.c., con previsione espressa di detta irregolarità direttamente attinente alle modalità di gestione) e, dall'altro, di porre i condomini nella condizione di conoscere in qualunque momento, facilmente ed in tempi brevissimi, la consistenza e la correttezza delle somme depositate nella cassa condominiale.

L'apertura del conto condominiale, che non richiede alcuna autorizzazione in merito da parte dell'assemblea, non si ferma a tale adempimento iniziale, essendo l'incombente strettamente connesso all'intera fase operativa, che concerne anche la tenuta della contabilità condominiale, da intendersi come movimentazione dei rispettivi conti, bancari o postali.

È stato rilevato che il legislatore nulla ha disposto in ordine alla necessità per l'amministratore di ottenere una delibera assembleare che autorizzi la stipula di uno specifico contratto di conto corrente. A questo riguardo, occorre considerare che il contratto di conto corrente è un negozio oneroso e le clausole possono anche essere gravose in caso di scoperto di conto corrente. In questo senso, in un'ottica cautelativa, appare opportuno che l'amministratore, prima di stipulare il contratto di conto corrente, sottoponga all'assemblea uno o più possibili contratti, anche con istituti di credito differenti, e che, solo in caso di mancata scelta da parte dell'assemblea, al fine di garantire l'operatività gestionale, e in adempimento dell'art. 1129 c.c., provveda sua sponte alla stipula di uno di quei contratti [Nasini, Amministratore (revoca giudiziale)].

La prerogativa dell'amministratore di aprire il conto comune direttamente e senza passare per l'assenso dell'assemblea era stato già affermato in passato dalla giurisprudenza che aveva, altresì, precisato che un'eventuale scoperto dello stesso, necessariamente produttivo di interessi passivi, poteva essere opponibile dal rappresentante al condominio (Cass. II, n. 7162/2012).

Mentre la giurisprudenza, anche se antecedente all'entrata in vigore della l. n. 220/2012 ed attinente alla contabilità del condominio sotto il profilo fiscale, aveva affermato che la prova liberatoria, che consente di superare la presunzione di cui all'art. 51 d.P.R. n. 633/1972, secondo cui le movimentazioni dei conti correnti bancari legittimano l'accertamento IVA, non può essere meramente generica e cioè relativa all'attività esercitata, ma deve essere, altresì, specifica in relazione ad ogni singola operazione. Ne consegue che non è sufficiente che il contribuente adduca la qualità di amministratore di condominio, ma è necessario che fornisca la prova specifica – rectius, analitica – della riferibilità di ogni movimentazione bancaria alla sua attività di maneggio di denaro altrui. Diversamente la rispettiva movimentazione, in assenza di altra idonea documentazione, è configurabile quale corrispettivo non dichiarato (Cass. II, n. 13818/2007).

Per un maggiore approfondimento sostanziale sui temi dell'apertura e dell'utilizzazione integrale ed esclusiva del conto condominiale da parte del legale rappresentante del condominio, si rinvia supra.

Cancellazione delle formalità nei registri immobiliari

L'ipotesi riguarda il caso di trascrizione di un pignoramento ovvero di iscrizione di ipoteca a garanzia di un credito del condominio nei confronti di un condomino o anche di un terzo.

Non si comprende bene il significato pratico della disposizione, in quanto non basta sicuramente una mera dichiarazione dell'amministratore, prima della soddisfazione del credito da parte del soggetto debitore, per ottenere la cancellazione della formalità da parte del Conservatore dei Registri Immobiliari competente per territorio. Quest'ultimo, infatti, può procedere alla cancellazione, di norma, per ordine del giudice, oppure anche presentando la copia del verbale assembleare condominiale ove si dichiara e documenta l'avvenuta estinzione del debito sulla base del quale si è trascritto il pignoramento ovvero è stata iscritta l'ipoteca.

Obbligo di seguire la fase di esecuzione nel caso di riscossione forzata degli oneri condominiali

Se, come detto in precedenza, non è stato previsto un termine per procedere all'esecuzione delle delibere assembleari, nel caso di azioni di recupero dei crediti condominiali, concluse con l'emissione di un decreto ingiuntivo emesso in favore del condominio, il livello di attenzione dell'amministratore deve essere massimo. Tale incombente, infatti, se violato, porta alla sua revoca per gravi motivi.

L'art. 1129, comma 12, n. 6), c.c., tuttavia, non stabilisce che l'amministratore deve procedere all'esecuzione, ma che deve seguire il relativo procedimento già avviato dal legale di fiducia del condominio. Ciò significa che in capo al rappresentante del condominio è posto un obbligo di controllo e sollecitazione sul proprio legale e di informativa verso i condomini sullo stato del giudizio intrapreso, fermo restando che sarà onere dell'avvocato incaricato di procedere con solerzia, in modo da evitare il rischio della perdita delle garanzie di recupero del credito.

 Esula dall’ambito applicativo della norma richiamata, il cui tenore letterale non può lasciare spazio a dubbi di sorta, la mancata proposizione di azione giudiziaria nei confronti del condomino moroso. In ogni caso, il potere attribuito all’autorità giudiziaria di risolvere anzitempo il rapporto di mandato tra condomini ed amministratore non è automatico rispetto alla sussistenza di illeciti in parte tipizzati dal legislatore, ma deve essere esercitato verificando se le condotte denunciate rappresentino una gestione anomala dell’ente collettivo in violazione con i doveri anche di diligenza, lealtà e buona fede da parte dell’amministratore nell’esercizio dell’incarico ricevuto (Trib. Livorno 20 marzo 2019, n. 1555)

Inottemperanza agli obblighi di cui all'art. 1130, numeri 6, 7 e 9, c.c.

Per quanto concerne gli obblighi della tenuta dei registri dell'anagrafe condominiale, dei verbali delle assemblee, di nomina dell'amministratore e di contabilità si rinvia al commento sub art. 1130 c.c.

Ai fini della revoca assume, tuttavia, rilevanza anche la questione concernente il termine per la loro conservazione, poiché non fissato dalla legge.

Secondo un primo orientamento giurisprudenziale, che comunque deve oggi essere rivisitato, in quanto espresso immediatamente dopo l'entrata in vigore della riforma del condominio risalente al giugno 2013, ma che può costituire precedente per i giudizi ancora pendenti, si era affermato che non integra(va) motivo di revoca il comportamento dell'amministratore che – a pochi mesi dall'entrata in vigore della riforma che ha introdotto all'art. 1129, comma 12, n. 7), c.c. – non avesse ancora adempiuto all'obbligo di tenere (ovvero di avere completato in relazione a tutte le unità immobiliari dello stabile) il registro dell'anagrafe condominiale, (senza però stabilire espressamente un termine), ma, comunque, non fosse rimasto inerte e si fosse attivato con una lettera ai condomini per richiedere le informazioni necessarie (Trib. Udine 22 dicembre 2013).

L'obbligo del condomino, per consentire all'amministratore l'adempimento in questione, si può dire assolto inviando copia della documentazione relativa agli atti di proprietà, da allegare al registro dell'anagrafe condominiale.

Pari rilievo, ai fini di qualificare l'omissione come grave irregolarità, assume la questione inerente al rifiuto posto dall'amministratore alle richieste dei condomini di fornire l'attestazione relativa allo stato dei pagamenti e delle eventuali liti in corso. Trattasi di nuova attribuzione prevista in capo all'amministratore dal novellato art. 1130 c.c. e che, analogicamente, può essere ricondotta all'obbligo dello stesso di curare diligentemente, non solo l'azione di riscossione dei contributi verso i morosi ma anche la conseguente fase esecutiva.

Mancata o inesatta comunicazione dei dati di cui all'art. 1129, comma 2, c.c.

Alla disposizione contenuta nell'art. 1129, comma 2, c.c., secondo il quale l'amministratore, contestualmente alla nomina ed al rinnovo di ogni incarico, deve comunicare i propri dati anagrafici e professionali; il codice fiscale o, se si tratta di società, anche la sede legale e la denominazione; il locale dove si trovano i quattro registri condominiali, nonché i giorni e le ore in cui ogni interessato, previa richiesta, può prenderne gratuitamente visione e ottenere, con spese a carico dell'istante, copia da lui firmata, si ricollega la violazione espressa nel n. 8) dello stesso articolo.

Considerato il generico richiamo agli obblighi dell'amministratore, per come espressi nell'art. 1129, comma 2, c.c., si pone il problema di come interpretare il termine «dati»: se in senso restrittivo, nel qual caso si riferirebbe solo a quelli concernenti la persona dell'amministratore ed il suo ufficio, oppure estensivo, ed in questo caso vi rientrerebbe anche la comunicazione degli orari per la visione ed estrazione di copia della documentazione.

In dottrina, è stato specificato che i dati sono quelli specificatamente riferiti all'amministratore ed ai luoghi dove si trovano i registri (Nasini 2017, L'amministratore, 704). Per altro autore configura, invece, grave irregolarità anche il mancato consenso per la presa in visione della documentazione (Lazzaro, 363).

Nel silenzio della legge la mancata installazione della targhetta identificativa dei dati dell'amministratore di condominio non costituisce grave irregolarità e, quindi, non è suscettibile di giustificarne la revoca giudiziale (Trib. Firenze 15 dicembre 2014).

Tale adempimento, infatti, rappresenterebbe un successivo atto che l'amministratore deve compiere rispetto a quello iniziale ed obbligatorio di comunicare ai condomini i dati a lui riferibili. Naturalmente la questione dovrà essere valutata in concreto tenendo conto degli effetti che l'omissione possa avere avuto sull'esito di determinati eventi, considerando anche che, nell'inerzia dell'amministratore, vi potrebbero procedere direttamente i condomini già a conoscenza, ab origine, delle credenziali del medesimo. Una semplice omissione, invece, si potrebbe trasformare in grave irregolarità nell'ipotesi di un richiamo inascoltato da parte di uno o più condomini.

Sul tema, infine, della mancata affissione della targa, disposta dal legislatore anche nell'interesse dei terzi, si rinvia al commento all'art. 1130 c.c.

Altre ipotesi di irregolarità

La previsione delle ipotesi previste nell'art. 1129 c.c., pur avendo un carattere tassativo, comporta l'esclusione di ogni discrezionalità del giudice investito del ricorso per la revoca del rappresentante legale del condominio, fatte salve alcune ipotesi in cui la violazione da parte dell'amministratore sia giustificata (ad esempio, mancata esecuzione di una delibera palesemente nulla od omessa convocazione dell'assemblea richiesta da un solo condomino).

In questo ambito, le irregolarità contestate, non hanno una valenza autonoma, ben potendo il giudice valutare la condotta assunta come impropria dal ricorrente ed esaminare se la stessa costituisca o meno una grave irregolarità nel senso di comportare una forte incidenza negativa sugli interessi dei condomini, ovvero una violazione delle regole sul rapporto di mandato, tale da minare il carattere fiduciario che deve necessariamente sussistere tra l'amministratore ed il condominio mandante.

La nozione di irregolarità non coincide necessariamente con la violazione dei doveri o abuso dei poteri di rappresentanza e gestione, potendo configurarsi anche in un comportamento ambiguo, al limite della liceità e tale da contravvenire al principio di correttezza e di diligenza professionale cui deve essere ispirata l'attività dell'amministratore (Lazzaro, 364).

L'istanza di revoca dell'amministratore deve esclusivamente evidenziare al Tribunale condotte che, per essere indici tanto di negligenza macroscopica da parte del legale rappresentante, quanto di una dannosità potenzialmente significativa, giustificano un intervento invasivo (in quanto sostitutivo della volontà assembleare) quale quello della rimozione dell'organo di gestione (Trib. Roma 10 febbraio 2017). Plurimi comportamenti illegittimi e non codificati, infatti, costituiscono un unicum ai fini della revoca giudiziaria (nella specie: pagamenti effettuati dall'amministratore in contanti, non vietati dalla legge ma documentabili nei limiti previsti ai fini della loro tracciabilità; inottemperanza ad un obbligo specifico assunto espressamente in assemblea; distruzione per effetto di un virus dei registri contabili informatici (l'amministratore, infatti, deve prevenire la perdita di dati effettuando non solo un backup della documentazione condominiale, ma anche dotandosi di validi sistemi antivirus).

Nelle ipotesi di condotte tipizzate dall'art. 1129 c.c. il condomino è esonerato dalla dimostrazione della gravità del comportamento dell'amministratore, essendo sufficiente che sia provata la sussistenza di violazione della norma di legge, mentre sarà quest'ultimo, in forza del principio di inversione dell'onere della prova, a dovere dimostrare che la condotta illegittima imputatagli dal ricorrente non possa ritenersi oggettivamente «grave», ovvero sia giustificata.

Sul punto specifico è stato ritenuto che l'amministratore è giustificabile quando sia stata la stessa assemblea ad avallare, con apposita delibera, oppure con reiterato comportamento concludente, la condotta irregolare del legale rappresentante del condominio (Trib. Modena 18 gennaio 2017); come nel caso in cui l’amministratore abbia erroneamente imputato – in maniera chiara e trasparente – ad un singolo condomino una spesa non dovuta allorché tale condotta sia stata implicitamente ratificata dall’assemblea che  abbia approvato il relativo rendiconto (Trib. Massa 20 maggio 2019).

se non esistano prove di una condotta concretamente contraria agli obblighi ed ai doveri imposti dalla legge, con esclusione di ogni automatismo (Trib. Modena 25 ottobre2015: fattispecie relativa ad una ritardata presentazione del rendiconto e della relativa convocazione dell'assemblea in ipotesi di indisponibilità non colpevole della documentazione necessaria per l'approvazione dei bilanci); quando non sia stata posta in esecuzione una delibera assembleare palesemente nulla, perché contraria a norme imperative, all'ordine pubblico o al buon costume (Trib. Salerno 13 Gennaio 2009); nell'ipotesi di gestione non del tutto anomala, né atta a recare un danno, anche futuro, ai partecipanti al condominio (Trib. Bologna 25 maggio 2006).

Se le «altre irregolarità» richiedono una valutazione da parte del giudice della loro gravità, si ribadisce che il negato accesso all'esame della documentazione da parte dei condomini (Cass. II, n. 19210/2011; Cass. II, n. 13350/2003), per poter incidere sulla revoca giudiziaria dell'amministratore deve avere un carattere determinante a tal fine, nel senso che il diniego deve avere impedito al condomino di prendere piena cognizione di tutti gli elementi e dati necessari ai fini di assumere una corretta delibera assembleare.

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