La risarcibilità del danno causato dalla diffamazione a mezzo stampa

Davide Luigi Ferrari
01 Ottobre 2018

La questione che ci occupa è la seguente: quando un pezzo giornalistico può essere considerato diffamatorio e in che termini e a carico di quale soggetto l'accertamento dell'illiceità della notizia può dare luogo al risarcimento in favore della persona offesa?
Massima

La diffamazione a mezzo stampa comporta l'obbligo solidale del risarcimento del danno a carico di tutti i responsabili della pubblicazione e della diffusione della notizia, ovvero del giornalista, del direttore responsabile e dell'editore.

Il caso

Tizio e Caia, padre e figlia, convenivano in giudizio la testata giornalistica on line Alfa, unitamente al legale rappresentante pro-tempore Sempronio e al giornalista Mevio, per ottenere una pronuncia di accertamento del carattere diffamatorio di un articolo scritto su di loro dalla testata. A fronte dell'eventuale accertamento, Tizio e Caia domandavano, altresì, sia il risarcimento dei danni subiti per la lesione dell'onore e della reputazione personale, sia la condanna al pagamento della sanzione pecuniaria prevista dall'art. 12 l. n. 47/1948 a titolo di riparazione. In particolare, gli attori lamentavano il carattere diffamatorio dell'articolo redatto dalla testata on-line Alfa e comparso sulla pagina locale della città Beta ove gli attori risiedevano, poiché Mevio, dando atto del superamento della prova scritta per il concorso di accesso alla magistratura da parte di Caia, poneva in risalto la circostanza che la stessa fosse figlia di Tizio, noto boss camorrista della zona di diffusione del giornale. A seguito della pubblicazione della notizia, gli attori avevano lamentato un repentino mutamento delle abitudini di vita e un turbamento che nasceva dall'accostamento alla criminalità organizzata senza che mai Tizio fosse stato oggetto di indagini o di condanne precedenti. I convenuti si costituivano in giudizio chiedendo il rigetto delle domande e sostenendo due diverse tesi difensive: la non riferibilità dell'articolo agli attori per omessa menzione di nome e cognome; la sussistenza del diritto di cronaca in ordine alla veridicità del contenuto, tesi sostenuta da un avviso di conclusione delle indagini preliminari ex art. 415-bis c.p.p. emesso dalla Procura della Repubblica di Napoli, sezione Direzione Distrettuale Antimafia, nei confronti di Tizio un anno dopo la pubblicazione dell'articolo.

La questione

La questione che ci occupa è la seguente: quando un pezzo giornalistico può essere considerato diffamatorio e in che termini e a carico di quale soggetto l'accertamento dell'illiceità della notizia può dare luogo al risarcimento in favore della persona offesa?

Le soluzioni giuridiche

La Sentenza in esame tratta in maniera esaustiva e approfondita un tema già oggetto di molteplici pronunce pregresse, con il merito di sviscerare l'argomento con grande logicità e affrontando tutte le tematiche ad esso sottese. In particolare, per giungere alla pronuncia di condanna dei convenuti, il Giudice si è soffermato sulle questioni tipiche in tema di diffamazione a mezzo stampa, ripercorrendo tutte le argomentazioni che negli ultimi anni hanno reso stabile l'orientamento della Giurisprudenza sul punto.

I temi trattati dal Tribunale di Torre Annunziata per giungere alle proprie conclusioni sono sostanzialmente quattro:

A) riferibilità dell'articolo diffamatorio ad un soggetto determinato;

B) sussistenza del diritto di cronaca;

C) portata territoriale della lesività della pubblicazione;

D) individuazione dei soggetti responsabili.

A) Riferibilità dell'articolo diffamatorio

Per quanto attiene alla prima questione, il Giudicante si è limitato ad indicare i parametri dettati dalla Corte Suprema in tema di riferibilità di un articolo ad una determinata persona, sostenendo che l'omissione di nome e cognome non possa costituire un valido motivo di rigetto della domanda di risarcimento, laddove l'individuazione del soggetto possa avvenire con metodi diversi dall'esplicito richiamo, quali, ad esempio, l'individuazione per esclusione in via deduttiva in una categoria di persone, ovvero attraverso elementi della fattispecie concreta che, considerati nella totalità delle circostanze fattuali, possano ragionevolmente portare all'inequivoca identificazione dell'offeso.
Nel caso di specie, il Tribunale ha dato atto di molteplici elementi fattuali che avrebbero potuto portare i lettori ad una corretta identificazione di Tizio e Caia, soprattutto in considerazione di due elementi ritenuti cardine nel riconoscimento del principio di attribuibilità della pubblicazione, ovvero il riferimento ad un pregresso fatto di cronaca in cui era stato coinvolto Caio e la diffusione locale del giornale che ha contribuito, in una comunità ristretta e di cui la famiglia di Tizio e Caia è esponente di spicco, a riconoscere nei due attori le persone oggetto di diffamazione.

B) Sussistenza del diritto di cronaca

Per quanto attiene alla seconda questione trattata, ovvero la sussistenza o meno del diritto di cronaca in capo ai convenuti, il Giudicante ha fatto esplicito riferimento ai principi cardine dettati dalla Giurisprudenza sul tema che nel corso degli anni sono divenuti granitici.

Ripercorrendo con logicità e intelligenza i passaggi dell'articolo incriminato, il Tribunale di Torre Annunziata è giunto alla conclusione che nel caso di specie non possa trovare applicazione il diritto di cronaca poiché mancante dei requisiti tipici richiesti dalla Giurisprudenza, ovvero:

a) pertinenza, intesa come sussistenza di un interesse pubblico alla conoscenza dei fatti oggetto della pubblicazione, in relazione ad attualità e utilità sociale del suo contenuto;

b) continenza, intesa come corretta esposizione dei fatti che non travalichi la semplice narrazione dei fatti e che non lasci spazio a gratuiti attacchi alla reputazione altrui;

c) verità, intesa come corrispondenza rigorosa fra i fatti accaduti e i fatti narrati.

Nell'articolo de quo, il Giudice ha correttamente evidenziato la mancanza dei tre principi suindicati, argomentando, nello specifico:

a) una totale mancanza di interesse alla notizia, posto che Caia, principale oggetto della pubblicazione, non sarebbe stata neanche indirettamente o astrattamente responsabile delle condotte del padre, anche ove queste fossero state connotate da veridicità; inoltre, argomenta il Tribunale, la figura di Caia, al contrario di quella paterna, non potrebbe essere ammantata di alcun rilievo pubblico, con la conseguenza che il contenuto dell'articolo si sia tradotto in un mero attacco alla sua dignità morale per il solo fatto di essere figlia di Tizio;

b) totale mancanza di neutralità della pubblicazione, laddove la stessa si sia tradotta in sporadici aggressioni morali nei confronti di Tizio, mediante espressioni icastiche volte certamente a suggestionare il lettore e a travalicare in maniera goffa il dato fattuale cui il giornalista fa riferimento, come ad esempio l'espressione: “Tizio si trova invischiato – come un insetto avvicinatosi troppo alla carta moschicida – in una storiaccia di estorsioni e rapporti con la delinquenza organizzata”;

c) assoluta inconferenza delle condotte ascritte a Tizio, posto che al momento della pubblicazione dell'articolo non era stato raggiunto da alcun avviso di conclusione delle indagini e non avesse mai riportato alcuna condanna (sul tema il Giudicante fa riferimento all'orientamento consolidato della Corte di Cassazione, secondo il quale il requisito della verità debba essere valutato con riferimento all'epoca della pubblicazione); sul punto il Tribunale di Torre Annunziata riprende quanto già espresso in più occasione dalla Giurisprudenza circa la veridicità della pubblicazione, ponendo in evidenza come la anche l'erronea convinzione della veridicità dei fatti in capo al giornalista non comporti l'automatico riconoscimento della scriminante del diritto di cronaca, laddove la verità putativa debba essere comunque passata al vaglio critico e rigoroso della verifica delle fonti o debba derivare da una ritenuta attendibilità dell'informatore (che, nel caso di specie, era un collaboratore di giustizia).

C) Portata territoriale della lesività della pubblicazione

Il tema in esame attiene più alla determinazione del danno che alla sussistenza o meno della qualità diffamatoria della pubblicazione.

Anche in questo caso il Giudicante ha rigettato le conclusioni dei convenuti circa la bassa offensività del contenuto della pubblicazione, poiché apparsa solo in un ambito locale ristretto.

Affrontando in maniera puntuale gli ipotetici effetti lesivi di un articolo di giornale che sia destinato ad un ambito locale piuttosto che alla diffusione nazionale, il Tribunale, anche in questo caso, ha attinto a piene mani dal più recente panorama giurisprudenziale, partendo dall'analisi di un orientamento superato per poi abbracciare l'impostazione interpretativa più moderna.

A discapito, infatti, di una vecchia impostazione che ipotizzava una ridotta potenzialità lesiva della notizia diffamatoria fornita in ambito locale piuttosto che nazionale, in ordine al mero dato numerico sui lettori, la Corte di Cassazione ha poi rettificato la propria posizione affermando che una notizia fornita in ambito locale ed avente ad oggetto un individuo che in tale ambito lavori, viva o abbia stabilito il centro dei propri interessi, debba essere considerata altamente lesiva in re ipsa, poiché rivolta specificatamente a soggetti tra i quali vi è maggiore possibilità di espressione di un discredito sociale verso l'offeso.

D) Individuazione dei soggetti responsabili

Sul punto, il Tribunale di Torre Annunziata si è limitato ad indicare i soggetti che, per legge, sono legittimati passivi delle istanze risarcitorie derivanti da una pubblicazione a carattere diffamatorio.

L'orientamento giurisprudenziale sul punto è risalente nel tempo e non è mai stato oggetto di significativi cambiamenti: nel caso di specie è necessario applicare il principio secondo il quale dell'articolo a carattere illecito debbano rispondere tutti coloro che hanno partecipato alla sua pubblicazione e, più precisamente, il giornalista autore dello scritto, il direttore responsabile ai sensi dell'art. 57 c.p. (per omesso esercizio del dovere di controllo, di censura e di sostituzione), e l'editore ai sensi dell'art. 11 della l. n. 47 del 1948 (Legge sulla stampa).

In ordine a tali figure, il Giudicante spende un maggior numero di parole sulla figura dell'editore, responsabile dello scritto diffamatorio a prescindere da qualsiasi colpa e condannabile al risarcimento secondo il principio del rischio di impresa: chi esercita un'attività traendone benefici, deve accollarsi anche i rischi derivanti dai danni procurati per mezzo di essa.

Osservazioni

La sentenza in esame tratta in maniera esaustiva una questione di grande attualità e su cui la Giurisprudenza è stata più volte chiamata ad intervenire. A parere di chi scrive la pronuncia è più vicina ad un saggio in materia che ad una sentenza vera e propria, ma ha il merito di condensare in poche pagine tutti gli aspetti argomentativi che sottendono alla diffamazione a mezzo stampa.

L'aspetto di maggiore interesse è certamente la verifica della sussistenza, e al contempo dei limiti, del diritto di cronaca, spesso invocato dalle testate giornalistiche ogni qualvolta siano chiamate a rispondere delle loro pubblicazioni.

Come si può evincere dall'elevato numero di pronunce in merito, il confine fra un contenuto diffamatorio e un contenuto che possa essere definito “neutro” è labile e soggetto a molteplici interpretazioni demandate ai giudici di merito. L'idea prospettata dall'orientamento tratteggiato nella sentenza de qua, è che, al di là della veridicità della notizia, sia il taglio pratico fornito all'articolo a colorare maggiormente la pubblicazione di una maggiore o minore carica diffamatoria.

Per evitare ripercussioni negative, sarebbe opportuno - per quanto meno suggestivo e meno attraente per gli utenti - dare un taglio neutro alle pubblicazioni aventi ad oggetto argomenti delicati, di modo da allontanare giudizi di valore e coloriture che possano suggestionare la percezione del pubblico nel momento della lettura.