Convenzione di arbitrato in materia non contrattuale

Mauro Di Marzio
01 Ottobre 2018

Il nuovo art. 808-bis c.p.c. ha sancito che le parti possono stabilire, con apposita convenzione, che siano decise da arbitri le controversie future relative a uno o più rapporti non contrattuali determinati.
Inquadramento

L'arbitrato si fonda sulla volontà delle parti, che si manifesta attraverso la «convenzione di arbitrato», la quale, fino alla riforma del 2006, poteva sostanziarsi nel compromesso o nella clausola compromissoria: con l'uno le parti convenivano di affidare agli arbitri l'incarico di decidere una già insorta controversia, sia di natura contrattuale che extracontrattuale; con l'altra, contenuta in un contratto, le stesse parti devolvevano alla cognizione arbitrale le controversie, future ed eventuali, nascenti dal contratto medesimo. Si riteneva viceversa, prima della riforma, che le liti extracontrattuali, nonostante il contrario avviso di una parte pur autorevole della dottrina, non potessero essere oggetto di clausola compromissoria: e ciò sulla base della stessa formulazione dell'art. 808 c.p.c., che nel vecchio testo si riferiva, come fa anche il testo attuale, alle «controversie nascenti dal contratto». L'esclusione dell'impiego della clausola compromissoria in ambito extracontrattuale si giustificava, poi, in breve, perché essa, mancando del riferimento agli individuati obblighi nascenti da un contratto, avrebbe avuto un oggetto non solo indeterminato, ma anche indeterminabile, in violazione dell'art. 1346 c.c..

Il nuovo art. 808-bis c.p.c. ha soppresso tale limitazione, ed ha sancito che le parti possono stabilire, con apposita convenzione, che siano decise da arbitri le controversie future relative a uno o più rapporti non contrattuali determinati.

Quantunque il punto sia discusso, sembra che il risultato sia stato realizzato non tanto ampliando la nozione di clausola compromissoria, che continua ad essere il patto con il quale le parti deferiscono agli arbitri le controversie future nascenti da un determinato contratto (la clausola compromissoria è, cioè, per l'appunto una clausola di un più ampio contratto), bensì prevedendo, accanto al compromesso e alla clausola compromissoria, una diversa convenzione arbitrale, quale la «convenzione di arbitrato in materia non contrattuale», che in sé ha certo natura contrattuale (trattandosi dell'accordo tra le parti volto a deferire le future controversie alla cognizione arbitrale), ma che accede ad un rapporto non contrattuale.

L'oggetto della convenzione di arbitrato in materia non contrattuale

L'art. 808-bis c.p.c. dispone che la convenzione di arbitrato in materia non contrattuale deve riferirsi ad «uno o più rapporti giuridici determinati», e con ciò intende garantire l'osservanza del principio di determinatezza o determinabilità dell'oggetto del contratto previsto dall'art. 1346 c.c., secondo cui l'oggetto del contratto deve essere, oltre che lecito e possibile, anche determinato o determinabile, a pena di nullità ex art. 1418, comma 2, c.c..

Oggetto della convenzione d'arbitrato sono le controversie future relative ad uno o più rapporti sostanziali di natura non contrattuale.

In particolare, con riguardo al secondo libro del codice civile, è stato prospettato l'impiego della convenzione di arbitrato in materia non contrattuale nell'ambito delle successioni per causa di morte successorio (v. Zucconi Galli Fonseca, Note sulla convenzione arbitrale nel diritto successorio, in Riv. arb., 2006, 281 ss.; Zucconi Galli Fonseca, Ancora su successione ed arbitrato, in Riv. trim. dir. proc. civ., 2008, 1363 ss.; Festi, 809 ss.): da un lato, desta interesse l'ipotesi dell'inserimento nel testamento della disposizione con cui il testatore stabilisce che le controversie relative alla sua eredità saranno devolute ad arbitri; dall'altro lato, può pensarsi alle controversie tra coloro che a diverso titolo partecipano alla successione ormai apertasi (eredi, legatari, esecutore testamentario).

Quanto al primo aspetto, parte della dottrina ha sostenuto che l'art. 808-bis c.p.c. avrebbe fatto cadere l'impedimento all'inserimento di una convenzione arbitrale in un atto unilaterale quale il testamento (Zucconi Galli Fonseca, Ancora su successione, cit., 1368). Può osservarsi in contrario che il testamento, proprio per la sua natura di atto unilaterale, non può come tale contenere una convenzione tra soggetti che eredi o legatari per definizione ancora non sono. Né, d'altro canto, può immaginarsi un rapporto obbligatorio facente capo al testatore, nel quale abbiano a succedere gli eredi, dal momento che la convenzione di arbitrato non contrattuale contenuta nel testamento non vincola, evidentemente, il de cuius. Con riguardo ai legatari non persuade l'equiparazione di essi, sostenuta da parte della dottrina, ai terzi beneficiari di un contratto a favore di terzo.

Quanto al secondo aspetto, la convenzione arbitrale non contrattuale può essere utilizzata nelle controversie che sorgono in sede ereditaria, per l'amministrazione e la distribuzione del patrimonio ereditario (petizione di eredità, tutela della legittima, impugnazione del testamento, ecc.). Qui non sembra potersi dubitare che i soggetti coinvolti nella successione possano stipulare detta convenzione in riferimento alle possibili insorgende controversie ereditarie. In particolare, sembra indubbia l'arbitrabilità, mediante la convenzione, dell'azione di riduzione per lesione della legittima: difatti l'art. 557, comma 2, c.c. assegna ai legittimari la facoltà di rinunciare al diritto di domandare la riduzione delle disposizioni lesive della legittima dopo che questo sia venuto ad esistenza, e dunque ne sancisce implicitamente la disponibilità. È da ritenere inoltre compromettibile l'azione di petizione ereditaria, nella misura in cui essa non coinvolga diritti indisponibili, come pure le azioni di nullità e annullamento di cui all'art. 606 c.c.. È da dire ancora che la convenzione in discorso potrebbe, secondo un'opinione, essere adottata per le controversie originanti dal patto di famiglia (Zucconi Galli Fonseca, Art. 808-bis, in Menchini (a cura di), La nuova disciplina dell'arbitrato, 2010, 60): ma, se il patto di famiglia, quale atto inter vivos, ha natura contrattuale, la convenzione arbitrale contenuta nel patto di famiglia altro non è che una normale clausola compromissoria.

In materia di diritti reali, può pensarsi a convenzioni stipulate per dirimere future liti concernenti fondi confinanti, o derivanti da rapporti vicinato (apposizione di termini, regolamento di confini, rivendicazioni, negatorie, osservanza delle distanze legali, immissioni etc.), o riguardanti il rapporto tra proprietario e titolare di diritti reali minori (p. es. nudo proprietario-usufruttuario), o anche i rapporti tra comproprietari derivanti dalla comunione. Naturalmente, si ipotizza che le parti della convenzione non siano legate da un contratto (come, ad esempio, nel caso di una servitù contrattuale), nel qual caso si rientra nell'ipotesi della clausola compromissoria o del compromesso.

Con riguardo ancora al terzo libro possono immaginarsi convenzioni di arbitrato attinenti a rapporti condominiali e volte a dirimere controversie aventi ad oggetto: i diritti sulle parti comuni ed l'uso di esse; i diritti sulle parti proprietà solitarie, sia con riguardo all'esistenza ed all'estensione del diritto, sia alla destinazione d'uso; le spese ed oneri condominiali; i diritti risarcitori insorti in ambito condominiale. È stato detto che tali convenzioni sarebbero suscettibili di essere altresì inserite nel regolamento condominiale di natura contrattuale, così da potersi estendere anche alle impugnazioni di delibere assembleari (v. in argomento Zucconi Galli Fonseca, La convenzione arbitrale rituale rispetto ai terzi, Milano, 2004, 627 ss.).

In ambito contrattuale, si presentano talora fattispecie di responsabilità aquiliana collocate nella fase esecutiva del rapporto. Il caso di maggior rilievo sembra essere quello previsto, con riguardo all'appalto, dall'art. 1669 c.c.: norma che, secondo la ferma giurisprudenza — la dottrina è di opinione diversa — pone per l'appunto un'ipotesi di responsabilità da fatto illecito. Ora, in passato si era posto il problema se la clausola compromissoria contenuta nel contratto di appalto potesse estendersi anche alle controversie relative alla responsabilità dell'appaltatore per gravi difetti costruttivi ex art. 1669 c.c. La giurisprudenza ha in proposito affermato che:

In evidenza

La clausola compromissoria riferita genericamente alle controversie nascenti dal contratto cui essa inerisce va interpretata, in mancanza di espressa volontà contraria, nel senso che rientrano nella competenza arbitrale tutte e solo le controversie aventi causa petendi nel contratto medesimo, con esclusione quindi delle controversie che in quel contratto hanno unicamente un presupposto storico, come nella specie, in cui la causa petendi ha titolo aquiliano ex art. 1669 c.c., avendo gli attori dedotto gravi difetti dell'immobile da loro acquistato presso il costruttore (Cass. civ., 3 febbraio 2012, n.1674)

Nello stesso senso Cass. civ., 13 ottobre 2016, n. 20673, in un caso di controversia originatasi da un memorandum of understanding con il quale le parti si erano scambiate informazioni riservate, impegnandosi alla conclusione di un accordo di acquisizione definitivo, acquisizione cui la convenuta non aveva dato seguito, comportamento, secondo la società attrice, tale da configurare una ipotesi di responsabilità extracontrattuale ai sensi degli artt. 2598 c.c. e 1337 c.c., in quanto posta in violazione delle norme civilistiche sulla concorrenza (in senso critico, al riguardo, v. Licci, 737).

Si è posto in passato il quesito se gli arbitri, attraverso la clausola compromissoria contenuta nel contratto, potessero decidere anche le domande aventi ad oggetto le pretese consequenziali alla declaratoria di invalidità del contratto, come la domanda di ingiustificato arricchimento ex art. 2041 c.c. o la domanda di ripetizione dell'indebito di cui all'art. 2033 c.c.. Non sembra dubbio, oggi, che l'azione di ingiustificato arricchimento e quella di ripetizione dell'indebito siano ricomprese nell'ambito oggettivo della clausola compromissoria alla luce del nuovo art. 808-quater c.p.c., il quale estende il vincolo compromissorio a tutte le liti derivanti «dal rapporto cui la convenzione si riferisce», e dunque anche a quelle che non hanno propriamente la loro fonte nel contratto. È chiaro, tuttavia, che in simile ipotesi si è nel campo della clausola compromissoria, e non della convenzione di arbitrato in materia non contrattuale.

Al di fuori del codice civile, è stata ipotizzata l' applicazione della convenzione di arbitrato in materia non contrattuale alle controversie in tema di cd. «danno da prodotto difettoso», regolata dagli art. 114 ss. d.lgs. 6 settembre 2005, n. 206 (c.d. «codice del consumo»). Oggetto della convenzione di arbitrato in materia non contrattuale potrebbero essere anche le controversie relative all'utilizzo dei segni distintivi (artt. 2563 ss. c.c. e codice della proprietà industriale) e quelle relative al compimento di atti di concorrenza sleale (artt. 2598 ss. c.c. e codice della proprietà industriale) (Carpi, 13 ss.; Zucconi Galli Fonseca, Art. 808-bis, in Nuove leggi civ. comm., 2007, 1178; Motto, 535).

Si è inoltre ritenuto che la convenzione arbitrale possa essere sottoscritta nel quadro di accordi e convenzioni tra pubbliche amministrazioni, ovvero tra queste ultime e privati, sempre che la materia sia disponibile (Luiso, Diritto processuale civile, V, Milano, 2011, 89). Si è ad esempio pensato a convenzioni di lottizzazione, nelle quali siano previsti oneri ed obblighi a carico di coloro che hanno ottenuto la lottizzazione, e si è affermato che le controversie attinenti all'interpretazione ed esecuzione di tali obblighi o oneri potrebbero essere deferite alla cognizione degli arbitri (Verde, 12).

Sembra da escludere, invece, almeno in generale, che la convenzione possa avere ad oggetto obblighi risarcitori derivanti da fatti illeciti, salvo che in detto campo non possano individuarsi «uno o più rapporti giuridici determinati» — come nella citata ipotesi dell'art. 1669 c.c. — da assoggettare alla convenzione.

La forma della convenzione di arbitrato in materia non contrattuale

Con riguardo alla convenzione di arbitrato il legislatore impiega la medesima formula già utilizzata per la clausola compromissoria dall'art. 808, comma 1, c.p.c., esigendo che essa risulti «da atto avente la forma richiesta per il compromesso».

Secondo parte della dottrina, la forma scritta del patto sarebbe prevista ad probationem tantum. Al contrario, la giurisprudenza è ferma nel ritenere che anche per la clausola compromissoria, la forma scritta sia richiesta ad substantiam (Cass. civ., 30 settembre 2010, n. 20504): la stessa soluzione sembra doversi dunque accogliere con riguardo alla convenzione di arbitrato in materia non contrattuale.

Ed invero, è certamente richiesta ad substantiam la forma del compromesso, che deve «a pena di nullità essere fatto per iscritto», ex art. 807 c.p.c.. Orbene, l'interpretazione dell'inciso contenuto negli artt. 808 e 808-bis c.p.c., secondo cui la convenzione «deve risultare» da un atto avente i caratteri formali richiesti dall'art. 807 c.p.c., introdurrebbe un'irragionevole disparità di trattamento tra i soggetti che intendano sottoporre ad arbitrato le controversie tra di essi già insorte in relazione ad un determinato rapporto non contrattuale e i soggetti che intendano invece sottoporre al giudizio di arbitri la decisione delle controversie future relative al medesimo rapporto. Sarebbe, in altri termini, irragionevole prevedere per chi stipula un compromesso condizioni più severe di quelle prescritte per la stipula di una convenzione di arbitrato in materia non contrattuale o di una clausola compromissoria, giacché con queste ultime — e non con il compromesso — i compromittenti si impegnano a sottrarre al giudice dello Stato la decisione di controversie di cui, al tempo della stipula, non sono in grado di apprezzare la gravità (Ruffini, 719).

In definitiva, l'art. 808-bis c.p.c. rinvia all'art. 807 c.p.c. e, dunque, lascia ritenere che la convenzione di arbitrato in materia non contrattuale richieda la forma scritta ad substantiam.

Capacità richiesta per la stipula della convenzione di arbitrato

L'art. 808-bis c.p.c. non prende posizione sulla capacità necessaria per la pattuizione della convenzione di arbitrato in materia non contrattuale.

È da credere che il requisito della capacità vada parametrato alla disponibilità del rapporto sostanziale cui la convenzione si riferisce. E cioè, valgono sulla forma le considerazioni accolte con riguardo all'art. 808.

Estensione soggettiva di efficacia della convenzione

In generale, terzi, ossia coloro che non sono parte, né formale, né sostanziale, della convenzione arbitrale, non sono di regola destinatari degli effetti di questa, giacché la convenzione è un contratto e dunque le si applica la regola di cui all'art. 1372 c.c., secondo la quale il contratto produce i suoi effetti soltanto tra le parti.

Ciò detto, occorre interrogarsi se colui che succede nella situazione giuridica soggettiva dedotta in arbitrato sia anche vincolato alla convenzione arbitrale stipulata dal titolare originario della situazione medesima.

In caso di cessione del credito, la Suprema Corte ha affermato che:

In evidenza

Il cessionario di un credito nascente da un contratto nel quale sia inserita una clausola compromissoria non subentra nella titolarità di tale negozio, autonomo e distinto rispetto al contratto al quale aderisce, e non può pertanto avvalersi a suo favore della clausola stessa nei confronti del debitore ceduto (Cass. civ., Sez. Un., 17 dicembre 1998, n. 12616).

La pronuncia distingue il regime della opponibilità del patto compromissorio a seconda della posizione dei rispettivi contraenti: si afferma che la clausola non è opponibile dal cessionario al debitore ceduto, in ragione del principio di autonomia del detto negozio, mentre è opponibile all'inverso dal debitore ceduto al cessionario, sulla base del principio desunto dall'art. 1260 c.c. della trasferibilità delle eccezioni che il debitore ceduto avrebbe potuto opporre al cessionario, tra le quali va annoverata l'exceptio compromissi derivante dal negozio compromissorio stipulato con l'originario creditore e inserito nel contratto dal quale nasce il credito ceduto.

Per l'estensione soggettiva di efficacia della convenzione in discorso, considerata la sua riconducibilità al paradigma della clausola compromissoria, e dunque la sua autonomia, occorre dunque verificare di volta in volta se il subentro nella situazione sostanziale dedotta nella convenzione comporti il subentro anche nel relativo patto compromissorio.

Riferimenti
  • Carpi, Libertà e vincoli nella recente evoluzione dell'arbitrato, in Libertà e vincoli nella recente legislazione dell'arbitrato, in Quaderni della Riv. trim. dir. proc. civ., Milano, 2006, 13;
  • Festi, Testamento e devoluzione ad arbitri delle liti tra i successori, in Riv. trim. dir. proc. civ., 2002, 809 ss.;
  • Licci, L'interpretazione della convenzione arbitrale in materia non contrattuale, in Riv. arb., 2017, 737;
  • Motto, La convenzione di arbitrato per controversie future relative a rapporti non contrattuali, in Briguglio-Capponi (a cura di), Commentario alle riforme del processo civile, 2, Padova, 2009;
  • Ruffini, Patto compromissorio, in Riv. arb., 2005, 719;
  • Verde, Nuove riflessioni su arbitrato e pubblica amministrazione, in Riv. arb., 2007, 12;
  • Zucconi Galli Fonseca, Note sulla convenzione arbitrale nel diritto successorio, in Riv. arb., 2006, 281 ss.;
  • Zucconi Galli Fonseca, Ancora su successione ed arbitrato, in Riv. trim. dir. proc. civ., 2008, 1363 ss.;
  • Zucconi Galli Fonseca, Art. 808-bis, in Menchini (a cura di), La nuova disciplina dell'arbitrato, 2010;
  • Zucconi Galli Fonseca, La convenzione arbitrale rituale rispetto ai terzi, Milano, 2004;
  • Zucconi Galli Fonseca, Art. 808-bis, in Nuove leggi civ. comm., 2007, 1178.
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