Il baratto amministrativo

Stefano Villamena
04 Luglio 2017

Il focus offre l'occasione per svolgere alcune riflessioni sul nuovo istituto del baratto amministrativo introdotto all'art. 190 Codice appalti, nonché per indicare sinteticamente le differenze con la precedente disciplina contenuta all'art. 24 del c.d. decreto legge sblocca Italia.
Nozione

Rigenerazione e riqualificazione del territorio possono oggigiorno essere perseguiti anche tramite «baratto amministrativo»: una nuova figura prevista, dapprima col c.d. decreto sblocca Italia del 2014 (art. 24, d.l. n. 133/2014, come modificato dalla legge di conversione n. 164/2014), successivamente con l'approvazione del nuovo codice appalti del 2016 (art. 190, d.lgs. n. 50/2016). Entrambe le previsioni menzionate sono per altro tuttora vigenti e ciò pone qualche problema applicativo (infra).

Il «baratto» consiste essenzialmente in uno scambio avente ad oggetto, da una parte lo svolgimento di interventi di pubblica utilità a carico di taluni soggetti privati, dall'altra parte lo sconto tributario a favore di quegli stessi soggetti ad opera dell'ente pubblico competente.

Gli interventi traducibili nel baratto amministrativo sono indicati direttamente dalla legge, ossia dalle norme sopraindicate, con la precisazione che l'ultima normativa del 2016, corrispondente come detto all'art. 190 del nuovo codice appalti, opera nel senso di ampliare il novero degli stessi. Da ciò può subito desumersi l'orientamento favorevole del Legislatore per questo nuovo istituto.

Gli interventi indicati sono suddivisibili in due grandi blocchi: il primo relativo alle «aree verdi, piazze o strade» rispetto a cui gli interventi ammissibili riguardano pulizia, manutenzione, abbellimento ovvero valorizzazione mediante iniziative culturali; il secondo relativo alle «aree e beni immobili inutilizzati» su cui gli interventi ammissibili riguardano decoro urbano, ovvero recupero e riuso con finalità di interesse generale

Baratto amministrativo nel nuovo codice appalti

Anzitutto, a livello generale, può rilevarsi che è poco condivisibile la scelta di inserire nella disciplina sugli appalti pubblici il particolare istituto in esame. Infatti, al più potrebbe ipotizzarsi che in tal caso le amministrazioni pubbliche possano essere tenute al rispetto dei principi basilari di qualsiasi azione amministrativa, ossia non discriminazione, trasparenza e parità di trattamento (principi richiamati all'articolo precedente rispetto a quello del «baratto» e che comunque possono applicarsi alla fattispecie in esame anche in forza dell'art. 12, l. n. 241/1990), ma non certo ad una disciplina di gara in senso proprio.

Ma, se a livello generale è poco condivisibile la scelta di inserire un istituto di questo genere nel codice appalti, allo stesso modo è poco condivisibile la sua inclusione fra gli istituti del «partenariato pubblico privato», cui la parte IV del nuovo codice ascrive l'istituto (artt. 179 e ss.). Le stesse caratteristiche strutturali del contratto di partenariato pubblico privato sconsigliano questo accostamento. Vediamo perché.

a) Il primo (partenariato pubblico privato) è un contratto «a titolo oneroso» fra amministrazione ed operatori economici; il secondo (baratto amministrativo) non possiede evidentemente spiccate caratteristiche di onerosità, pur se, come noto, nella prospettiva della disciplina degli appalti pubblici, la nozione di contratto a «titolo oneroso» è piuttosto ampia, riguardando tutti quei rapporti che realizzano comunque uno scambio di vantaggi tra un privato e l'amministrazione.

b) Il partenariato pubblico privato opera fra enti pubblici ed operatori economici, mentre il baratto amministrativo opera fra enti pubblici e «cittadini singoli o associati». In tal caso emerge come la componente imprenditoriale e professionale della parte privata costituisca, a differenza di quanto accade nelle normali gare di appalto, un vero e proprio limite al baratto amministrativo.

c) Il contratto di partenariato pubblico privato ha ad oggetto, in base al codice appalti: «attività consistenti nella realizzazione, trasformazione, manutenzione e gestione operativa di un'opera in cambio della sua disponibilità, o del suo sfruttamento economico, o della fornitura di un servizio connesso all'utilizzo dell'opera stessa, con assunzione di rischio da parte dell'operatore» (corsivo nostro); al contrario, il baratto amministrativo ha ad oggetto «la pulizia, la manutenzione, l'abbellimento di aree verdi, piazze o strade, ovvero la loro valorizzazione mediante iniziative culturali di vario genere, interventi di decoro urbano, di recupero e riuso con finalità di interesse generale, di aree e beni immobili inutilizzati» in cambio di «riduzioni o esenzioni di tributi». In entrambe i casi sussiste evidentemente uno scambio, tuttavia, come emerge chiaramente dal tenore della normativa sopraindicata, natura e finalità dello scambio sono molto diverse fra loro.

Bastano forse queste rapide battute per sottoporre a vaglio critico l'inclusione di questo nuovo istituto nel codice appalti; così come nella parte relativa al contratto di partenariato pubblico privato. Al contrario, se si prende come punto di riferimento il criterio della materia trattata, guardando alla tipologia e allo scopo degli interventi che ne sono alla base (retro), il baratto amministrativo sembra più adeguatamente collocato in una fonte che si occupi di urbanistica e/o di edilizia che in una che si occupa di appalti pubblici.

Baratto amministrativo e doppia disciplina (2014 e 2016)

Basilari esigenze di certezza giuridica imponevano la previsione di questo nuovo istituto, non foss'altro per il rilievo degli interessi contabili (e connesse responsabilità) coinvolti. Per le stesse esigenze di certezza serviva risolvere preliminarmente il problema della compresenza nell'ordinamento di due fonti di pari rango che si occupano, anche se in maniera abbastanza similare, del baratto amministrativo. Trattasi delle già richiamate discipline del 2014 e del 2016 (retro).

Dall'esame dell'art. 190 cit. si apprezzano modifiche in senso ampliativo rispetto a quella precedente del 2014, segnatamente:

a) in relazione agli enti pubblici che possono utilizzare il baratto, poiché prima si parlava solo di «Comuni», ora invece si parla di «Enti territoriali»;

b) ai soggetti privati che possono utilizzarlo, prima si stabiliva che il baratto poteva essere concesso «prioritariamente a comunità di cittadini costituite in forme associative stabili e giuridicamente riconosciute», mentre ora questo limite non compare più;

c) agli interventi ammissibili col baratto, in questo caso basta effettuare un rapido confronto sul punto fra disciplina del 2014 e disciplina del 2016 per verificare il menzionato ampliamento; del resto, si ritiene che gli interventi indicati non siano una categoria chiusa, poiché a livello di ciascun ente si potrebbero probabilmente indicare interventi ulteriori, naturalmente se corrispondenti agli obbiettivi dell'istituto;

d) infine, in relazione all'indebolimento del precedente requisito della inerenza dell'attività svolta e sconto fiscale ottenibile, sostituito da un forse più debole rapporto di corrispondenza, ma su questo punto si nutrono dei dubbi, trattandosi forse di una questione più formale, o nominalistica, che sostanziale;

e) merita infine segnalare che, nella disciplina del 2014, quando la stessa si riferisce ai benefici fiscali concedibili, si parla di benefici concessi per un «periodo limitato e definito». Specificazione che invece manca nella disciplina più recente. Si ritiene, tuttavia, per ragioni logiche prima ancora che giuridiche, che una durata ragionevole dei benefici costituisca in ogni caso elemento essenziale della fattispecie, senza bisogno di una specifica previsione normativa.

In conclusione

Appare evidente che la normativa superiore statale dovrà essere integrata da quella di livello inferiore poiché sono molte le lacune (o comunque la flessibilità) lasciate dalla stessa. In particolare saranno necessarie delle delibere di natura regolamentare per disciplinare più concretamente i settori in cui, nella dimensione di ciascun ente, il baratto amministrativo risulterà praticabile. L'uso della fonte regolamentare in tema è necessaria trattandosi di regolare aspetti inerenti al profilo tributario, ambito come noto coperto da riserva di legge.

Saranno inoltre necessari singoli provvedimenti da parte di ciascun settore, cui la relativa amministrazione risulta organizzata, per precisare le modalità attraverso le quali il baratto amministrativo potrà essere praticato: specificando, ad esempio, il tempo massimo per lo svolgimento dell'iter istruttorio; i termini di risposta della P.A. alla proposta di baratto dei privati; le conseguenze derivanti da eventuali danni occorsi a persone o cose a causa degli interventi oggetto di baratto; il monitoraggio periodico dell'andamento e la rendicontazione delle risorse utilizzate; la misurazione dei risultati; nonché le eventuali sanzioni che l'ente potrà irrogare laddove l'esecuzione delle prestazioni oggetto del baratto non siano state svolte in maniera corretta.

Ma soprattutto ciascuna amministrazione che si avvarrà di questo nuovo istituto dovrà fissare l'importo massimo relativamente alla riduzione/esenzione del tributo coinvolto nel baratto, potendo così determinare anche la connessa riduzione delle entrate tributarie corrispondenti.

Guida all'approfondimento

Corte dei Conti, Sez. regionale di controllo Emilia Romagna, 9 marzo 2016, n. 27

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