Locazione dei beni condominiali

08 Ottobre 2018

Gli edifici in condominio sono costituiti da parti di proprietà esclusiva e parti comuni il cui elenco (non tassativo) è contenuto nell'art. 1117 c.c. Da sempre, ma ancora di più a fronte di una persistente crisi economica, vi è la tendenza a cercare di trarre dalle parti comuni suscettibili di utilizzazione separata (siano esse dismesse oppure prive, ab origine, di specifica destinazione) il massimo vantaggio per i condomini ricorrendo sia alla vendita, sia alla locazione di quei beni che...
Inquadramento

La locazione di un bene condominiale rientra nell'ambito dell'uso indiretto dello stesso. La fattispecie, tuttavia, pur avendo una sua precisa connotazione giuridica, non può essere presa in considerazione senza un richiamo all'art. 1102 c.c. (disposizione concernente l'istituto della comunione ma applicabile al condominio in virtù del disposto dell'art. 1139 c.c.), che consente a ciascun condomino di servirsi del bene comune ad una duplice condizione: che non sia alterata la destinazione dello stesso e non sia impedito agli altri condomini di farne parimenti uso secondo il proprio diritto. Per destinazione si intende quella che risulta dal titolo o dall'uso costante della cosa. Quanto, invece, alla nozione di pari uso è oramai pacifico che il concetto di parità non deve essere interpretato nel senso di uso identico o contemporaneo, poiché l'identità nel tempo e nello spazio potrebbe determinare un ingiustificato divieto per ogni condomino di fare un uso particolare o un uso a proprio esclusivo vantaggio. In questo quadro si inserisce l'uso indiretto del bene comune, al quale si ricorre allorché sia impossibile e irragionevole il ricorso all'uso diretto del suddetto bene da parte di tutti i condomini, in proporzione alla loro quota, promiscuamente, oppure con turni temporali o frazionamento degli spazi. Il ché richiama alla mente anche la nozione di uso turnario, quale strumento che consente ai condomini di godere, tramite modalità concordate, del bene comune, come ad esempio nel caso della c.d. “turnazione” nell'utilizzo di posti macchina in autorimesse o in cortili comuni qualora il numero dei veicoli sia superiore al numero delle singole aree di parcheggio. Come si vedrà in prosieguo la turnazione è incompatibile con l'utilizzo di un immobile condominiale che, certamente, non può essere occupato a termine dal soggetto interessato.

L'uso indiretto del bene comune nella comunione e nel condominio

In considerazione del fatto che il condominio rappresenta un genus rispetto al più ampio istituto della comunione e che, per effetto di espresso richiamo legislativo (art. 1139 c.c.), alcune norme che disciplinano la comunione stessa trovano piena applicazione in ambito condominiale, anche l'uso indiretto del bene comune, per quanto non disciplinato dal legislatore (al pari dell'art. 1102 c.c.) ma ponendosi come costruzione giurisprudenziale, trova spazio nella regolamentazione della vita dei condominii. Si evidenzia una sovrapposizione sostanziale tra i due istituti quanto alla individuazione delle circostanze che consentono l'uso indiretto del bene comune, mentre per quanto concerne il processo di formazione della volontà assembleare le relative delibere soggiacciono ai rispettivi regimi.

In materia di comunione ordinaria - ed analogicamente in sede condominiale - quando la natura di un bene immobile non ne permette un simultaneo godimento da parte di tutti i comproprietari, l'uso comune può realizzarsi o in maniera indiretta oppure mediante avvicendamento con un uso turnario da parte dei comproprietari. Tale utilizzo (nella specie: mediante locazione) costituisce un corretto esercizio del potere di regolamentazione dell'uso della cosa comune da parte della maggioranza, in quanto non ne impedisce il godimento individuale, ed evita, piuttosto, che, attraverso un uso più intenso da parte di singoli comunisti, venga meno, per i restanti, la possibilità di godere pienamente e liberamente della cosa durante i rispettivi turni (Cass. civ., sez. II, 3 dicembre 2010, n. 24647; Cass. civ., sez. II, 22 marzo 2001, n. 4131; v., più recente, Cass. civ., sez. II 12 dicembre 2017, n. 29747).

Quanto, invece, all'indicazione nell'ordine del giorno della futura assemblea dell'argomento in discussione (nella specie: locazione del bene comune) è stato precisato che la menzione, nell'avviso di convocazione dell'assemblea dei partecipanti ad una comunione, dell'elenco delle materie da trattare, allo scopo di rendere edotti i comunisti degli argomenti sui quali essi dovranno deliberare (art. 1105, comma 3, c.c.), può esser anche sintetica, purché chiara e non ambigua, specifica e non generica, in maniera da consentire la discussione e l'adozione da parte dell'assemblea delle eventuali deliberazioni conseguenziali ed accessorie.

L'assemblea dei partecipanti alla comunione ordinaria, diversamente da quanto stabilito per il condominio degli edifici, è, invero, validamente costituita mediante qualsiasi forma di convocazione, purché idonea allo scopo, in quanto gli artt. 1105 e 1108 c.c. non prevedono per la comunione semplice l'assolvimento di particolari formalità, menzionando semplicemente la preventiva conoscenza dell'ordine del giorno. Gli artt. 1105 e 1108 c.c. non suppongono, anzi, nemmeno la costituzione formale dell'assemblea, ma semplicemente la decisione a maggioranza dei partecipanti (Cass. civ., 12 dicembre 2017, n. 29747 cit.).

Presupposti per l'uso indiretto in condominio

Con specifico riferimento al condominio negli edifici si è affermato che l'uso indiretto della cosa comune mediante locazione può essere disposto con deliberazione a maggioranza solo qualora non sia possibile l'uso diretto dello stesso bene per tutti i partecipanti alla comunione, proporzionalmente alla loro quota, promiscuamente ovvero con sistema di frazionamento degli spazi o di turni temporali (Cass. civ., sez. II, 27 ottobre 2011, n. 22435).

Dalla lettura della decisione richiamata si evincono gli elementi che consentono, nella loro sussistenza disgiunta, il ricorso alla concessione in locazione del bene comune. Infatti, sono stati posti in evidenza i concetti di impossibilità di un godimento diretto o di un uso eterogeneo del bene ovvero della turnazione o della divisione dei beni.

La nozione di impossibilità, originaria o sopravvenuta, implica la condizione di esclusione di parte dei condomini dal godimento di un bene comune. Si realizza, invece, un uso misto del bene comune allorché lo stesso sia suscettibile di più utilizzazioni senza che la sua destinazione originaria ne sia snaturata. In tal senso il lastrico solare, la cui funzione primaria è quella di copertura dell'edificio, può essere anche destinato per stendere i panni, per installare antenne ovvero impianti fotovoltaici e simili, mentre un locale potrebbe avere varie destinazioni, anche solo di fatto e che mutano in ragione delle esigenze condominiali (deposito, spazio per le riunioni assembleari, ecc.).

Va, tuttavia, osservato che i giudici di legittimità (Cass. civ., sez. II, 19 ottobre 1994, n. 8528) avevano ampliato il concetto di impossibilità dell'uso promiscuo del bene a ragionevole impossibilità, lasciando, quindi, alla discrezionalità del giudice il compito di valutare la legittimità della volontà assembleare che avesse deliberato l'uso indiretto del bene comune.

La turnazione è la situazione tipo che si adotta allorché un bene può essere goduto da tutti i condomini ma solo previo un accordo che preveda una rotazione temporale degli stessi. L'ipotesi più comune ha per oggetto gli spazi (aperti o chiusi) dove i condomini parcheggiano le proprie autovetture.

In evidenza

La c.d. turnazione spesso si pone come soluzione imprescindibile per superare l'impossibilità di un godimento di spazi comuni, in parità di condizioni, da parte di tutti i partecipanti. Pertanto, quando i posti auto in un garage comune sono insufficienti in relazione al numero dei condomini sussiste, a carico di tutti, l'obbligo di non occupare gli spazi assegnati a ciascun condomino e questo anche se in quel momento il soggetto non occupi l'area di sosta a lui assegnata. In caso contrario, infatti, si verrebbe a determinare un uso più intenso del bene comune in danno dei restanti condomini e tale da ingenerare incertezza nell'avverarsi dell'avvicendamento sino alla sua totale negazione.

Il frazionamento, infine, si riferisce alla possibilità di dividere uno spazio comune imprimendo alle singole porzioni, ma anche ad una sola di esse, una sua realtà talché la stessa possa essere oggetto di uso indiretto (come nel caso della locazione di parte del lastrico solare o di area esterna non utilizzata in tutta la sua estensione).

La sussistenza di detti presupposti, in ogni caso, deve essere accertata con riferimento alle varie fattispecie concrete.

Locazione di beni comuni e delibera assembleare

La locazione è un atto di ordinaria amministrazione in quanto non presenta le caratteristiche né di un'innovazione, come concepita dall'art. 1120, comma 1, c.c., né di un atto di straordinaria amministrazione. Quanto a ciò il Supremo Collegio (Cass. civ., sez. II, 21 ottobre 1998, n. 10446), in tempi remoti, aveva avuto modo di precisare che la locazione del bene comune non si risolve in una modificazione materiale dello stesso, in un mutamento della sua destinazione economica (la utilizzazione indiretta di un immobile non si differenzia da quella diretta). Nella specie, infatti - sempre ad avviso del giudicante - è anche da escludere il carattere straordinario dell'atto, in quanto finalizzato a conseguire la finalità del miglior godimento delle cose comuni anche con l'accrescimento dell'utilità del bene mediante la sua utilizzazione indiretta (locazione, affitto). Il tutto con un espresso richiamo all'art. 1106, comma 1, c.c. secondo il quale, in materia di comunione, la maggioranza può formare, a tale scopo, un regolamento per l'ordinaria amministrazione. Nel nostro caso, quindi, si tratterebbe di un'applicazione analogica al condominio della norma che disciplina la comunione, anche se nella fattispecie potrebbe essere limitata all'approvazione di delibera assembleare specifica.

Tutto ciò, comunque, con l'accortezza che nel caso del condominio degli edifici la maggioranza deve sempre rispettare il quorum costitutivo e deliberativo previsto dall'art. 1136, comma 3, c.c. per la formazione della volontà assembleare in seconda convocazione. Quanto al primo un terzo dei partecipanti al condominio per un terzo del valore dell'edificio, mentre per il secondo maggioranza degli intervenuti pari ad un numero di voti che rappresenti almeno un terzo delle quote millesimali.

Qualora, invece, la locazione dovesse avere una durata ultranovennale non solo è da escludere il carattere ordinario del contratto ma esso eccede anche il carattere straordinario, tanto è vero che deve essere approvato con l'unanimità dei consensi (Cass. civ., sez. VI, 13 aprile 2016, n. 7201; Trib. Salerno 28 settembre 2011). Ancora una volta vi è stato un rinvio alla normativa sulla comunione che, con l'art. 1108 c.c., impone il consenso di tutti i partecipanti per gli atti di alienazione o di costituzione di diritti reali sul fondo comune e per le locazioni di durata superiore a nove anni.

Quid accidit se l'assemblea, sussistendone i presupposti, non prenda provvedimenti in merito all'uso indiretto della cosa comune attraverso la locazione del bene? Ci si chiede, infatti, se si può ricorrere all'applicazione dell'art. 1105, comma 4, c.c. che consente a ciascun partecipante di ricorrere, in sede di volontaria giurisdizione, all'autorità giudiziaria quando non vengono presi i provvedimenti necessari per l'amministrazione della cosa comune o non si forma una maggioranza ovvero se la deliberazione adottata non viene eseguita.

Anche a parere di chi scrive la risposta è negativa, tranne nel caso di mancata esecuzione della delibera. E ciò per un duplice profilo. Da un lato la stipula di un contratto di locazione di una parte condominiale non può essere considerato come atto doveroso ed essenziale per la gestione e la conservazione del condominio e, dall'altro, un provvedimento giurisdizionale che imponesse la stipula di un qualsivoglia contratto in tal senso si risolverebbe in uno sconfinamento dei poteri del giudicante nell'ambito discrezionale delle prerogative dell'assemblea che, proprio per il tipo di determinazione, è libera di non decidere sul destino di un determinato bene comune, anche se questo si venga a trovare nelle condizioni per poter essere diversamente utilizzato.

Il contratto di locazione

Assunta la regolare delibera assembleare con la quale il bene comune viene concordemente concesso in locazione, il relativo contratto sarà pacificamente sottoscritto dall'amministratore, il quale agisce a nome e per conto del condominio rappresentato, seguendone tutte le direttive e scelte (tipo di contratto; conduttore; durata; canone mensile, ecc.). È, quindi, importante che la delibera sia precisa nell'indicazione di questi elementi, a meno che una volta individuata la destinazione del bene (uso abitativo o diverso) e l'entità dell'affitto sia lasciata all'amministratore la libertà di reperire il soggetto interessato. Trattandosi di attività ordinaria (Cass. civ., sez. II, 21 ottobre 1998, n. 10446) per essa nessun compenso aggiuntivo può essere preteso dall'amministratore.

Una volta perfezionato l'atto questo sarà soggetto al relativo regime previsto dalle leggi in vigore in materia di locazione: l. n. 431/1998 se ad uso abitativo, ovvero l. n. 392/1978 se ad uso diverso, nonché le norme in materia fiscale, ove applicabili alla fattispecie in esame.

Se un condomino possa procedere alla locazione di un bene comune in proprietà indivisa è questione trattata dalla giurisprudenza con riferimento alla normativa sulla comunione.

Nella comunione ordinaria è pacifico che tutti i comproprietari hanno diritto a pari poteri gestori, talché ciascuno o alcuni dei comunisti, salvo prova contraria, gestiscono il bene con il consenso degli altri e nell'interesse di tutti. L'eventuale mancanza di poteri o di autorizzazioni rileva all'interno del rapporto fra i comproprietari ma non nei confronti del terzo conduttore in buona fede (Cass. civ., sez. II, 2 febbraio 2016, n. 1986). Ciò vale anche nel caso di azione per finita locazione contro il conduttore, nei cui confronti il dissenso degli altri comunisti deve essere oggetto di prova (Cass. civ., sez. III, 14 maggio 2013, n. 11553). Secondo la Suprema Corte, inoltre, nell'ambito del rapporto di locazione l'eventualità di una pluralità di locatori integra una parte unica, all'interno della quale gli interessi sono regolati secondo i criteri che disciplinano la comunione (Cass. civ., sez. III, 18 luglio 2009, n. 19929).

A corollario di tali principi la Corte, in tale ultima decisione, ha riconosciuto che il condomino può stipulare un contratto di locazione avente ad oggetto un immobile comune, così come può agire per il suo rilascio senza la necessaria partecipazione degli altri condomini ma, contestualmente, ha evidenziato che tale potere incontra il limite nella volontà della maggioranza. Da ciò consegue che quando un immobile appartenga a più condomini è solo la maggioranza degli stessi che deve stabilire se procedere alla locazione ovvero alla sua disdetta.

Resta, comunque, difficilmente ipotizzabile, in quanto non in linea con il fondamento della normativa condominiale, che in un edificio, nel quale è obbligatoria la presenza dell'amministratore a questi si possa legittimamente sostituire un condomino nell'espletamento di un'attività ordinaria strettamente connessa al mandato affidato al rappresentante. Ciò potrebbe avvenire, al più, nel caso in cui l'amministratore non dovesse eseguire la delibera assembleare e si volesse evitare di ricorrere all'autorità giudiziaria in sede di art. 1105 c.c. Mentre, sicuramente, la sottoscrizione del condomino è ammissibile nel caso del piccolo condominio per il quale la figura dell'amministratore non è prevista.

Locazione e mutamento di destinazione d'uso del bene comune

Può accadere che ad un bene condominiale, che presenti tutti i requisiti per costituire oggetto di un contratto di locazione, sia impressa una destinazione differente da quella prevista nel regolamento di condominio (primo punto di riferimento per accertare la fattibilità dell'operazione) o, comunque, ricoperta di fatto nel corso degli anni. E qui ci si riferisce, ad esempio, alla trasformazione - ove sussistano le condizioni previste dalle leggi urbanistiche - di un immobile da abitativo a non abitativo e viceversa, oppure della porzione di un'area da verde condominiale a spazio per il parcheggio auto e moto e così via.

L'uso indiretto del bene comune, la cui finalità è quella di consentirne - attraverso un atto ordinario - il miglior godimento quando l'uso diretto da parte di tutti i condomini non sia possibile, porta a ritenere che la modifica della destinazione non elimini il vincolo di funzionalità della res rispetto alle proprietà esclusive, cheprosegueanche se con un diverso contenuto. La modifica, infatti, è giustificata in ragione del persistente interesse condominiale a che quel bene, inutilizzato o inutilizzabile, torni ad essere utile per la collettività.

In questo senso, non sembra che la modifica introdotta dalla l.n. 220/2012, con l'inserimento dell'art. 1117-ter c.c.(possibilità di modificare il tipo di destinazione non più all'unanimità, ma con il doppio quorum dei quattro quinti dei consensi), possa trovare applicazione nel caso in esame. La norma, infatti, ha per oggetto la volontà di mutare uno stato giuridico o di fatto di un bene che è attualmente e concretamente goduto dai condomini per sostituirlo con uno differente, anche se l'obiettivo finale è sempre l'interesse condominiale. Presupposto, totalmente differente nell'ipotesi dell'uso indiretto.

In evidenza

A maggior ragione, non si può parlare di mutamento di destinazione d'uso allorché un immobile condominiale abbia subito nel tempo, in occasione del susseguirsi di più contratti di locazioni, variazioni d'uso. In tema di condominio di edifici, infatti, non costituisce innovazione ex art.1120 c.c. qualsiasi modificazione della cosa comune ma solamente quella che alteri l'entità materiale del bene operandone la trasformazione, ovvero determini la trasformazione della sua destinazione, nel senso che detto ben presenti, a seguito delle opere eseguite, una diversa consistenza materiale ovvero sia utilizzato per fini diversi da quelli precedenti l'esecuzione delle opere. Pertanto, la locazione per uso abitativo dell'appartamentino condominiale in precedenza concesso ad un condomino per uso deposito non realizza un mutamento di destinazione nei termini precisati.

Soppressione del servizio di portierato e locazione dell'alloggio del portiere

La soppressione del servizio di portierato ha riflessi sul destino dell'alloggio del portiere, che resterebbe non utilizzato in quanto non può essere oggetto di godimento da parte di tutti i condomini, neppure tramite il ricorso alla c.d. “turnazione”. L'unità, quindi, può essere concessa in locazione a terzi con contratto ad uso abitativo od ad uso diverso. Le maggiori problematiche concernono il destino dei proventi dei canoni di locazione, gli aspetti fiscali legati al reddito e il pagamento delle spese da porsi a carico del conduttore.

Quanto al primo profilo è stato affermato (Cass. civ., sez. II, 28 agosto 1997, n. 8167) che appartiene al potere discrezionale dell'assemblea e non pregiudica né l'interesse dei condomini alla corretta gestione del condominio, né il loro diritto patrimoniale all'accredito della proporzionale somma - perché compensata dal corrispondente minor addebito, in anticipo o a conguaglio - l'istituzione di un fondo - cassa per le spese di ordinaria manutenzione e conservazione dei beni comuni, e la relativa delibera è formalmente regolare, anche se tale istituzione non è indicata tra gli argomenti da trattare, se è desumibile dal rendiconto - depositato prima dell'assemblea convocata per la sua approvazione - in cui l'accantonamento di un'entrata condominiale (nella specie, canone dell'appartamento dell'ex portiere) è destinato alle spese di ordinaria manutenzione.

L'importo dell'affitto può anche essere attribuito a ciascun condomino in ragione della rispettiva quota di proprietà. In questa circostanza nella dichiarazione dei redditi ciascuno deve riportare la quota di reddito spettante in ragione dei millesimi di proprietà generale o, comunque, quella diversamente pattuita mediante accordo tra tutti i condomini, indipendentemente dalla quota di reddito vincolato dalla rendita catastale.

Da ultimo, poiché in generale l'alloggio del portiere non ha una millesimazione specifica in quanto alla sua manutenzione provvedono i condomini sulla base dei rispettivi millesimi di proprietà, i relativi oneri accessori posti a carico del conduttore in base al disposto dell'art. 9 della l. n. 392/1978, potranno essere concordati nella loro entità nel contratto di locazione, assumendo a parametro indicativo le spese gravanti su unità abitative di analoga tipologia.

SOPPRESSIONE DEL SERVIZIO DI PORTIERATO E MAGGIORANZE NECESSARIE: ORIENTAMENTI A CONFRONTO

Maggioranza semplice

Le norme che riguardano in genere l'organizzazione e il funzionamento dei servizi condominiali, anche se inserite in un c.d. regolamento contrattuale hanno natura regolamentare. Pertanto se la soppressione di un servizio, quale quello di portierato, determina la modificazione di una norma del regolamento e se questa norma ha oggettivamente natura regolamentare, allora alla soppressione e quindi alla modificazione della norma del regolamento l'assemblea potrà pervenire in forza non già del consenso di tutti i condomini bensì della volontà espressa anche soltanto da quella maggioranza dei condomini prevista dall'art. 1138, comma 3, c.c. . (Cass. civ., sez. II, 25 maggio 2007, n. 16880).

Maggioranza qualificata

L'istituzione del servizio di portierato, non previsto dal regolamento di condominio, che comporti la destinazione ad alloggio del portiere di locali di proprietà comune aventi in precedenza una diversa funzione, e la soppressione del medesimo servizio, nella opposta ipotesi in cui questo sia previsto dal regolamento anzidetto con destinazione ad alloggio del portiere di locali di proprietà comune, configurano, derivandone, rispettivamente, la nascita e l'estinzione di un vincolo di destinazione pertinenziale a carico di parti comuni, atti eccedenti l'ordinaria amministrazione, per la cui deliberazione - attesa l'equiparazione di tale categoria di atti alle innovazioni disposta dal secondo comma dell'art. 1108 c.c. (applicabile al condominio per il rinvio operato dall'art. 1139 dello stesso codice) - è necessaria la maggioranza qualificata (che rappresenti la maggioranza dei partecipanti al condominio e due terzi del valore dell'edificio) prevista dal quinto comma dell'art. 1136 c.c., il quale non esaurisce la disciplina delle maggioranze in relazione a tutte le deliberazioni assumibili dalla assemblea dei condomini (Cass. civ., sez. II, 25 marzo 1988, n. 2585).

Locazione della facciata e del lastrico solare per insegne pubblicitarie

La facciata dell'edificio, che coincide con il/i muri perimetrali, può essere oggetto di locazione, totale o parziale, per l'apposizione di insegne pubblicitarie. Il problema più evidente nasce quando la locazione interessi un'intera facciata laterale c.d. cieca, ovvero priva di luci (finestre e balconi), che sia occupata per tutta la sua superficie da un cartellone pubblicitario anche dotato di illuminazione notturna. In tal caso più che parlare di uso indiretto si deve vedere se si tratti di innovazione finalizzata al maggior rendimento del bene comune (art. 1120, comma 1, c.c.) oppure vietata in quanto potrebbe provocare un'alterazione del decoro architettonico ovvero rendere la stessa inservibile all'uso od al godimento anche di un solo condomino (art. 1120, ultimo comma, c.c.).

Premesso che il primo punto di riferimento è sempre il regolamento di condominio, la questione non può essere trattata in via teorica ma deve riferirsi sempre al caso concreto e, comunque, non è di semplice soluzione considerando la rilevanza della parte condominiale interessata.

In primo luogo, va evidenziato che, secondo il Supremo Collegio (Cass. civ., sez. III, 3 dicembre 2002, n. 17156), il contratto si qualifica come contratto tipico di locazione di cui all'art. 1571 c.c. e ciò anche nel caso in cui chi dispone di un bene determinato si limiti a concedere ad altri il godimento di una particolare utilità del bene medesimo, senza il trasferimento al conduttore dell'esclusiva sua detenzione. Se, poi, il contratto che abbia ad oggetto la concessione della facciata a scopi pubblicitari sia soggetto all'applicabilità della l. n. 392/1978 ed in particolare dell'art. 27 (locazioni ad uso diverso dall'abitativo) è questione di merito che dipende dalle condizioni contrattuali e dalla volontà espressa dalle parti nell'atto. In tal senso, infatti, la Corte nella citata sentenza aveva rimesso la controversia al giudice di secondo grado per la valutazione in ordine all'assoggettabilità del contratto alla legge del 1978. In effetti va rilevato che la tipicità della fattispecie potrebbe configurare anche un uso del bene limitato nel tempo, rendendo obiettivamente la stessa estranea ai contratti ad uso non abitativo. Il discorso, in ogni caso, può essere esteso anche alla concessione del lastrico solare comune, che può essere utilizzato per lo stesso scopo.

USO DEL BENE COMUNE PER SPAZI PUBBLICITARI E NORMATIVA APPLICABILE: ORIENTAMENTI A CONFRONTO

Legge sul c.d. equo canone

Nel caso di locazione di “vetrinetta” ad uso esclusivo di spazio pubblicitario, si verte in tema di immobile locato per consentire lo svolgimento di una vera e propria attività commerciale, sia pure nella fase di approccio con il cliente. Al relativo contratto deve quindi applicarsi la disciplina di cui alla l. n. 392/1978 (Trib. Milano 9 giugno 1997).

- È soggetto alla disciplina degli artt. 27 ss. l. n. 392/1978 il contratto con cui il proprietario di un edificio concede ad un'impresa pubblicitaria, verso un corrispettivo l'uso di una terrazza dello stabile per l'installazione di insegne pubblicitarie, attese la natura imprenditoriale - commerciale dell'attività svolta dal conduttore e la strumentalità rispetto ad essa dell'immobile (Trib. Genova 30 maggio 1995).

Esclusione della legge sul c.d. equo canone

Esula dallo schema tipico della locazione (e quindi dell'applicazione della l. n. 392/1978) il contratto con cui il proprietario di un edificio concede ad un'impresa, verso un corrispettivo, il diritto di usare il tetto dell'edificio stesso allo scopo specifico di installarvi insegne pubblicitarie, con facoltà di accesso per provvedere alla loro manutenzione (Trib. Milano 2 dicembre 1993).

Altro punto oggetto di discussione riguarda, se di innovazione si tratta, sia l'attentato al decoro architettonico, sia l'inservibilità all'uso o al godimento della facciata anche da parte di un solo condomino. Ancora una volta, per entrambi i profili, si deve fare riferimento alla situazione concreta e si evidenzia che dalla lettura dell'art. 1120, ultimo comma, c.c. si è affermato (Cass. civ., sez. II, 12 luglio 2011, n. 15308) che il concetto diinservibilità non può consistere nel semplice disagio subito rispetto alla sua normale utilizzazione - coessenziale al concetto di innovazione - ma è costituito dalla concreta inutilizzabilità della res communis secondo la sua naturale fruibilità. Mentre si può tenere conto delle specificità - che possono costituire ulteriore limite alla tollerabilità della compressione del diritto del singolo condomino - solo se queste costituiscano una inevitabile e costante caratteristica di utilizzo.

Per quanto concerne, invece, la lesione al decoro architettonico la giurisprudenza di merito è stata concorde nel ritenere che utilizzare nella sua totalità una parete esterna dell'edificio condominiale per l'appoggio di un cartellone pubblicitario costituisce innovazione, in quanto destina il bene ad una funzione diversa da quella originaria e, nel contempo è vietata ai sensi dell'art. 1120, ultimo comma (ante riforma, secondo) c.c. poiché reca indubbiamente un pregiudizio al decoro architettonico dello stabile. Il legislatore, infatti, nel termine decoro ha sintetizzato non solo la piacevolezza e l'armonia dell'aspetto architettonico dell'edificio condominiale, ma anche la rispettabilità e la dignità dello stesso (App. Milano 17 giugno 1997; Trib. Monza 20 giugno 2008). Restano ferme, pertanto, le precedenti considerazioni sull'inopportunità di trattare la questione in via del tutto astratta.

Locazione del lastrico solare per impianti di telefonia mobile

Considerato il carattere dell'operazione il contratto rientra nell'ambito applicativo dell'art. 27 della l. n. 392/1978 con durata di sei anni rinnovabili alla prima scadenza, salvo il diritto di recesso legale o convenzionale e l'applicabilità delle ulteriori disposizioni della normativa di settore. La delibera autorizzativa da parte del condominio non è atto di straordinaria amministrazione mentre può rappresentare un'innovazione finalizzata al maggior rendimento del bene comune (art. 1120, comma 1, c.c.) sulla base della considerazione che il lastrico solare che, per sua natura, non produce reddito per il condominio, diventerebbe un bene fruttifero. In questo caso per la validità della delibera sarebbe sufficiente la maggioranza prevista dall'art. 1136, comma 5, c.c., ovvero quella degli intervenuti pari ad almeno i due terzi del valore dell'edificio.

Non vi è, tuttavia, uniformità di vedute sul punto, visto che secondo un orientamento giurisprudenziale di merito (Trib. Genova 12 aprile 2006; Trib. Milano 23 ottobre 2002) il consenso alla locazione del lastrico solare dovrebbe essere unanime in considerazione di numerose varianti: le dimensioni abnormi dell'impianto di telefonia e delle sue componenti; l'impatto dello stesso sul decoro architettonico dell'edificio e delle porzioni immobiliari esclusive; l'inservibilità di tutto o parte del lastrico solare che, asservito per contratto non temporaneo ma a lungo termine ad un uso diverso rispetto a quello originario, impedirebbe ai singoli condomini l'uso diretto del bene e, da ultimo la costituzione di una servitù di passaggio, quanto ai cavi di collegamento, sulle parti comuni. Né è da sottovalutare, sempre ai fini dell'entità del quorum deliberativo, l'impatto, in termini economici, dell'impianto non solo sull'edificio condominiale ma anche sulle singole proprietà esclusive, poiché - come correttamente affermato (Trib. Bologna 8 marzo 2005) - il valorecommerciale di un immobile dipende anche dalla presenza di determinati impianti in prossimità che, malgrado siano rispettosi dei limiti ad essi normativamente imposti, di fatto possono incidere negativamente sul valore commerciale. A fronte di accertamento in tal senso, pertanto, perde valore quella sorta di compensatio cum damno in relazione al reddito derivante alla parte comune (anche se ridistribuito tra i condomini in ragione dei millesimi di proprietà) dalla locazione alla società installante e che è nettamente inferiore al deprezzamento patito dalla proprietà esclusiva.

Neppure da ignorare che l'impatto dell'impianto in questione deve essere valutato anche in relazione all'estensione della zona di lastrico solare occupata dallo stesso. Infatti, se l'impianto di telefonia occupa solo una piccola parte di un lastrico di ampie dimensioni, l'innovazione non dovrebbe impedire il godimento da parte dei condomini per la parte residua e, quindi può essere approvata con la maggioranza di cui all'art. 1136, comma 5, c.c., mentre se la copertura dell'edificio è di estensione ridotta, talché può contenere solo le strutture concernenti la centrale di ricezione, l'installazione di questa precluderà il godimento del bene in assoluto. Ed in tal caso sarà necessario il consenso unanime dei condomini.

Quanto, infine, al contratto di locazione, che sarà sottoscritto dall'amministratore, dovrà essere redatto in modo da garantire massima tutela per il condominio/locatore soprattutto in relazione all'indicazione dettagliata delle aree che saranno occupate dall'impianto, ivi comprese quelle sulle quali andranno a passare i cavi di alimentazione, elettrici e così via; al rispetto di tutte le normative del settore (anche in termini di sicurezza) e a tal fine il conduttore dovrà fornire tutte le necessarie certificazioni amministrative (concessioni, permessi, nulla-osta, ecc.); all'obbligo della società installatrice, sempre ed in ogni caso, di ripristinare a proprie spese la zona condominiale presa in locazione nello stesso stato di fatto pregresso alla stipula del contratto.

Guida all'approfondimento

Capponi, La locazione di beni condominiali, in Arch. loc. e cond., 2010, 458;

Bordolli, Uso indiretto e locazione del bene comune, in Immob. & proprietà, 2009, 631;

Zerauschek - Magini, La locazione delle parti comuni di un edificio in condominio., in Immob. & proprietà, 2008, 787;

Pellegrini, La locazione di un bene in comproprietà, in Rass. dir. civ., 2006, 776;

Sforza Fogliani, Problemi di locazione e di condominio, in Arch. loc. e cond., 2006, 479;

Avigliano, Locazione di parti condominiali per l'installazione di antenne e stazioni radio e responsabilità del condominio, in Ventiquattrore avvocato, 2005, fasc. 12, 39;

Capponi, Sulla locazione dell'uso di una parte comune al fine di installarvi una insegna pubblicitaria, in Arch. loc. e cond., 2003, 611;

De Tilla, Sulla locazione dell'appartamento condominiale, in Arch. loc. e cond., 1999, 313.

Sommario