Codice Civile art. 13 - Società.Società. [I]. Le società sono regolate dalle disposizioni contenute nel libro V [2247 ss.]. InquadramentoUn’evoluzione nel diritto degli enti ha interessato l’ordinamento, specie negli ultimi decenni. In origine, nel c.c. netta era la distinzione tra gli enti del libro I e quelli del libro V del codice civile: esemplari le tre “disposizioni generali” di esordio agli artt. 11, 12 e 13 c.c., che enucleano un’ordinata tripartizione tra persone giuridiche pubbliche, persone giuridiche private, società. Le persone giuridiche pubbliche erano menzionate solo per unità di sistema, perché l’art. 11 c.c. si riduce ad un rinvio extracodice. Le persone giuridiche private erano richiamate soprattutto per sancire un principio: la loro esistenza era subordinata ad autorizzazione governativa, perché si prevedeva un controllo di merito delle autorità preposte alla concessione del riconoscimento (la norma è stata abrogata dall’art. 11, comma 1, lett. a, d.P.R. 10 febbraio 2000, n. 361). La terza norma è quella sulle società, menzionate solo per armonia di sistema: perché è ancora un mero rinvio al libro V. Ora, sebbene gli enti fossero accomunati da alcuni caratteri, chiaro ne era il disegno differenziatore. Ed infatti, già nell’assetto originario del codice, le esigenze dell’attività economica si imponevano e valevano a differenziare i modelli. Basti pensare: - al sistema concessorio o normativo di attribuzione della personalità giuridica: per gli enti del primo libro, attraverso il riconoscimento della personalità giuridica e il successivo controllo delle modalità organizzative, lo Stato controlla il soggetto dal momento della sua istituzione, mediante l’attribuzione, con efficacia costitutiva, della personalità; al contrario, per le società il procedimento di costituzione o scioglimento è di regola libero, perché le società per azioni, se storicamente nascono come sottoposte ad un regime concessivo ad hoc (es. nel diritto inglese erano create dalla Corona, «by Royal Charter»: così la East India Company e la Hudson’s Bay Company), in tutti i paesi sviluppati si sono presto liberate dal vincolo dell’attribuzione della personalità giuridica mediante concessione, e si costituiscono mediante una diversa procedura (dichiarazione degli interessati, di cui in ultima istanza l’autorità giudiziaria verifica la conformità alle leggi); - alla semplicità o complessità di organizzazione: non vi è paragone tra la complessità delle regole, di cui molte imperative, dettate in materia di società, e la scarna disciplina degli enti del libro primo; ciò che mancava non era tanto un regime di norme imperative, quanto di norme suppletive, idonee ad evitare costi di transazione e di consulenza; - se il regime del consenso e il principio di maggioranza valgono necessariamente per tutti gli enti collettivi, ben diverso è il regime delle invalidità: per l’art. 23 c.c., l’annullamento (senza altre specificazioni) delle deliberazioni può essere chiesto anche dal p.m. e l’autorità governativa può sospendere le deliberazioni delle associazioni riconosciute contrarie all’ordine pubblico o al buon costume, né vi sono termini stretti, tanto che si ritiene applicabile l’ordinaria prescrizione quinquennale ex art. 1442 c.c., e per l’art. 36 c.c., in tema di associazioni non riconosciute, l’ordinamento interno è senz’altro regolato dagli accordi degli associati; tutt’altro il regime delle società, che prende nettamente le distanze dal diritto civile, ad esempio quanto alla nullità del contratto sociale ex art. 2332 c.c., mera causa di scioglimento, con molte eccezioni al regime della nullità, o quanto all’annullabilità e nullità delle deliberazioni, con rapporto invertito tra genere e specie; - su tutte, comunque lo si voglia indicare – scopo egoistico o altruistico, attività economica o non economica, divieto o obbligo di distribuzione di utili – la distinzione tra enti senza scopo di lucro ed enti a scopo di lucro. Il progressivo avvicinamento incomincia con l’espansione dell’economia di mercato. Da un lato, per le persone giuridiche private, il sistema di acquisizione della personalità giuridica delle associazioni riconosciute diviene automatico; nascono le fondazioni di partecipazione e le fondazioni d’impresa. Ecco aprirsi la strada alla neutralità dello statuto organizzativo, volto al perseguimento di qualsiasi scopo ed ammettendo una attività di impresa. Dall’altro lato, le società: dapprima, le direttive in materia societaria, mosse dall’intento di espansione del sistema economico del capitalistico, mediante l’aumento della trasparenza per i terzi e dell’efficienza per l’impresa; poi, la riforma del diritto societario, attuata con il d.lgs. 17 gennaio 2003, n. 6, che non mancò di consolidare molti risultati cui si era pervenuti in via interpretativa. Vennero, così, recepiti alcuni degli orientamenti pregressi della giurisprudenza: come l’impugnazione delle deliberazioni consiliari lesive dei diritti del socio, i limiti all’esonero da responsabilità di un’assemblea approvante atti gestòri, i gruppi; in altri casi, al contrario, si è assistito alla smentita delle tesi giurisprudenziali, come per l’estinzione della società ex art. 2495 c.c., che non si vuole più sopravviva alla cancellazione dal registro delle imprese. Molte le principali linee direttrici della riforma del 2003: la salvezza degli atti societari; l’accentuazione dell’autonomia dell’organo gestorio e la migliore disciplina delle deleghe; la restrizione della generale responsabilità per la vigilanza sulla gestione; i sistemi monistico e dualistico; la disciplina propria del tipo s.r.l. e il maggiore accesso al mercato; il ridimensionamento del rilievo del capitale sociale; i patrimoni destinati; l’ingresso del fair value nella redazione del bilancio; l’ampia fattispecie delle trasformazioni; la definitiva estinzione delle società con la cancellazione dal registro delle imprese; i gruppi (laddove prima esisteva solo la nozione di controllo all’art. 2359 c.c.). Non sono invece toccate le società personali. In séguito, ulteriori riforme hanno ampliato la pluralità di modelli di s.r.l. Le evoluzioni provengono – per lunghi anni – dall’intento di rendere sempre più sicuro il “mercato”, perché l’attività di un’impresa, in particolare societaria, coinvolge gli interessi di altri soggetti. Si passa così, sempre però in tale logica, dalla tutela degli shareholders alla tutela degli stakeholders: dipendenti, creditori, altre imprese, consumatori, utenti, in diretto contatto con la società. Nella fase attuale, può parlarsi piuttosto di ibridazione dei modelli. Da una parte, il c.d. terzo settore, con il codice di cui al d.lgs. 3 luglio 2017, n. 117, che ha voluto offrire riconoscimento ed inquadramento al complesso fenomeno del volontariato, espressamente enunciando i fini di tali enti, quale un campo che, questo il pensiero sotteso, non è lo Stato, né il mercato. Gli enti del terzo settore sono caratterizzati non solo, in negativo, dalla mancanza del lucro soggettivo ma altresì, in positivo, dallo svolgimento di attività d’interesse generale e dal perseguimento di finalità civiche, solidaristiche e di utilità sociale. È curioso che tale legge abbia – in definitiva, e proprio mentre ne evidenziava in ogni modo il divieto di perseguimento di un lucro – esteso alle associazioni e alle fondazioni del settore una disciplina scopertamente mutuata da quella delle società: ecco il chiarissimo richiamo alle norme sulle società di capitali, ad esempio, per il contenuto dello statuto e dell’atto costitutivo, le competenze e le modalità di funzionamento dell’assemblea (compreso l’art. 2372 c.c. sulla rappresentanza), i meccanismi della delega gestoria e della responsabilità (ove l’esplicito rinvio all’art. 2475-ter sul conflitto d’interessi, agli artt. 2392 ss. in tema di s.p.a., alle norme sui sindaci, alla denuncia al tribunale ex art. 2409 c.c.), i patrimoni destinati ad uno specifico affare ex artt. 2447-bis e seguenti del codice civile, i libri sociali obbligatori, del tutto simili a quelli dell’art. 2422 c.c. Il legislatore del 2017 ha seguìto le disposizioni sulle società del libro V, modello per eccellenza di organizzazione. Con la conseguente responsabilità degli interpreti del diritto societario, destinato ad offrire le linee guida per la corretta gestione di tutti gli enti. Dall’altra parte, l’evoluzione del diritto delle società: si portano gli esempi della responsabilità sociale dell’impresa, oggi declinata come gestione sostenibile che riguarda le società lucrative, già considerata negli art. 41, comma 2, Cost. e 50, par. 2, lett. g), TFUE; il bilancio non finanziario ex d.lgs. 30 dicembre 2016, n. 254, di attuazione della Direttiva 2014/95/UE, che prevede nuovi obblighi di comunicazione di informazioni attinenti alla “sostenibilità” dell’impresa, circa l’attenzione per ambiente, trattamento dei dipendenti, rispetto dei diritti umani, lotta alla corruzione, e rischi connessi alle loro attività, unicamente per le imprese di grandi dimensioni (il 28 novembre 2022 è stata adottata la nuova direttiva europea sui principi di rendicontazione di sostenibilità delle imprese, c.d. Corporate Sustainability Reporting Directive – CSRD); le società benefit, introdotte dall’art. 1, commi 376-384, l. 28 dicembre 2015, n. 208 (Legge di stabilità 2016), e le impresa sociali, di cui al d.lgs. 3 luglio 2017, n. 112, entrambe trattate con l’apposito commento in questo Codice. Sono tutti elementi che palesano l’affacciarsi prepotente di interessi “altri” nell’impresa. Questo segnala che se, per lunghi anni, tutte le discipline mirano a rendere più sicuro il “mercato”, nella coscienza che l’attività d’impresa coinvolge gli interessi di molti soggetti, gli stakeholders, ma pur sempre nell’intento di rafforzare il sistema capitalistico, nei tempi più recenti non più singole categorie di soggetti sono protette, nella prospettiva latente di una maggior crescita del capitalismo, ma si vogliono tutelare i “beni comuni” (basti pensare all’ambiente e alla salute collettiva), in una riflessione più generale circa i limiti del capitalismo (non “ad ogni costo”). Il suggello di questi cambiamenti nel diritto degli enti sta nell’estensione dell’istituto tipico della trasformazione, dapprima ammessa con gli artt. 2500-septies e 2500-octies c.c. come trasformazione eterogenea da e in società di capitali, per consorzi, società consortili, comunioni d’azienda, associazioni riconosciute e fondazioni; nonché con gli artt. 2545-decies e 2545-undecies c.c. sulla trasformazione di società cooperative in società lucrative e consorzi; poi, completato dall’art. 42-bis c.c., non solo ammettendo le operazioni, ma anche richiamando in gran parte la disciplina del libro V. Società di persone e di capitaliUna distinzione tradizionale, che tuttavia fino alla riforma attuata con il d.lgs. n. 6/2003 non trovava riscontri nel linguaggio legislativo, è quella tra società di persone e società di capitali (Marasà, 92). Se l'individuazione delle società appartenenti all'una e all'altra categoria e il riconoscimento della loro diversa origine storica non davano luogo a dubbi, meno pacifica era la rilevanza, sul piano della disciplina positiva, di tale contrapposizione. Secondo l'opinione prevalente l'elemento di distinzione andava individuato nel diverso rilievo assunto dalla persona del socio nell'ambito della struttura organizzativa delle società e nel rapporto fiduciario (intuitus personae) intercorrente tra i singoli soci (Galgano, 69). È stato peraltro evidenziato che la riforma del 2003 ha determinato un'attenuazione dei principî di ordine pubblico economico in tema di struttura giuridica delle società di capitali quanto alle articolazioni imperative di competenze, che accompagnavano a tutela dei terzi la limitazione della responsabilità dei soci (Gambino, Santosuosso, 12). Occorre, inoltre, qui ricordare almeno gli artt. 49, 50 e 54 del Trattato sul funzionamento dell'Unione Europea (TFUE), secondo cui, rispettivamente: sono vietate le restrizioni alla libertà di stabilimento, ivi espressamente compresa «la costituzione e la gestione di imprese e in particolare di società»; il Parlamento europeo e il Consiglio provvedono all'attuazione della libertà di stabilimento mediante direttive, «coordinando, nella necessaria misura e al fine di renderle equivalenti, le garanzie che sono richieste, negli Stati membri, alle società... per proteggere gli interessi tanto dei soci come dei terzi»; per «società», all'interno dell'Unione, si intendono «le società di diritto civile o di diritto commerciale, ivi comprese le società cooperative, e le altre persone giuridiche contemplate dal diritto pubblico o privato, ad eccezione delle società che non si prefiggono scopi di lucro». Che l'intuitus personae non possa funzionare come elemento di distinzione tra società di persone e di capitali è sotteso ad una pronuncia della Cassazione nella quale è stato affermato, in tema di patto di prelazione per il caso di vendita delle azioni di una società per azioni, che l'impegno pattizio di preferire i soci nella conclusione dell'affare implica, in applicazione dei criteri evincibili dalle ipotesi di prelazione legale ed in difetto di diversa regolamentazione negoziale, l'obbligo di comunicare a tutti i soci titolari dello stesso diritto di prelazione tutti gli elementi della offerta pervenuta al terzo; ne consegue che la denuntiatio deve contenere anche l'indicazione del nome del terzo offerente, trattandosi di tutelare, in relazione al riscontro di una volontà delle parti che assegni rilevanza all'intuitus personae, non soltanto uno specifico interesse a conservare una particolare omogeneità (anche familiare) della compagine sociale, ma anche l'esigenza di permettere una completa valutazione circa l'opportunità di esercitare o meno la prelazione, atteso che la serietà e congruità dell'offerta possono dipendere anche dalla persona dell'offerente, e dovendosi d'altra parte consentire ai soci titolari del diritto di prelazione la valutazione circa l'ingresso nella società di nuovi soci (Cass. I, n. 7879/2001). Anche a seguito della riforma è stato affermato che nelle società di persone può essere prevista la libera trasferibilità delle quote: in un giudizio relativo alla titolarità di una quota di società di persone, gli altri soci della medesima società non sono incapaci a deporre, perché l'esito della causa non è destinato in alcun modo a riflettersi sul loro patrimonio o sulla loro sfera giuridica individuale; né il loro eventuale interesse al modo in cui la compagine sociale è formata, volta che la libera trasferibilità delle quote non sia in discussione, ne giustificherebbe la personale partecipazione al predetto giudizio (Cass. I, n. 11314/2010). La riforma delle società di capitali del 2003 ha offerto un nuovo elemento per fondare la distinzione tra le due categorie di società, su basi più nette di quelle desumibili dalla disciplina previgente. Nel nuovo sistema, le società di capitali si configurano, infatti, come «forme organizzative» dirette a facilitare l'acquisizione di capitali per l'esercizio di un'impresa non necessariamente di carattere collettivo e che possono, pertanto, essere costituite anche per atto unilaterale, mentre le società personali rientrano, a pieno titolo, nella nozione dell'art. 2247 c.c. e possono quindi, avere origine solo da un contratto stipulato tra più soggetti , non necessariamente persone fisiche (arg. ex art. 2361 c.c.), per l'esercizio in comune di un'attività economica allo scopo di dividerne gli utili (Spada, 5; Di Sabato, 61). Inoltre, mentre secondo gli artt. 2325 e 2462 c.c. nelle s.p.a. e nelle s.r.l. per le obbligazioni sociali risponde soltanto la società con il suo patrimonio (e solo nelle s.a.a. è stabilita dall'art. 2452 c.c. una responsabilità illimitata dei soci accomandatari), nelle società di persone per le obbligazioni sociali rispondono in via di principio anche i soci, sia pure con delle limitazioni (nelle società semplice secondo l'art. 2267 è possibile un patto contrario; nelle s.n.c. l'art. 2304 stabilisce la preventiva escussione del patrimonio sociale; nelle s.a.s. l'art. 2313 stabilisce la responsabilità per le obbligazioni sociali dei soli soci accomandatari e non anche degli accomandanti).La differenza tra s.a.s. e s.a.a. sta nel fatto che solo queste ultime sono dotate di personalità giuridica. La personalità giuridica sembra dunque ancora oggi essere, oltre che fonte della autonomia patrimoniale perfetta, elemento fondamentale di distinzione tra società di persone e società di capitali.
Soggettività e personalità giuridica delle società
La Relazione al codice civile è netta nell'affermare che la personalità giuridica «è stata riconosciuta alle società per azioni, in accomandita per azioni e a responsabilità limitata, mentre è stata negata, pur riconoscendosi una limitata autonomia patrimoniale, alla società in nome collettivo e in accomandita semplice», oltre che alla società semplice (ivi, nn. 927-928). L'intendimento del legislatore non poteva essere espresso in maniera più chiara, e secondo l'opinione prevalente in dottrina, trovava corrispondenza in specifiche disposizioni di legge, come ad esempio gli artt. 2331,2498 c.c. e l'art. 19 c.p.c., altrettanto inequivoche nel considerare persone giuridiche solo le società di capitali e non anche le società di persone (Ferri, 73). Il riconoscimento della personalità giuridica non può essere desunto implicitamente dalla disciplina giuridica, ma richiede sempre un provvedimento esplicito dell'autorità pubblica (Ferri, 75). Va tuttavia considerato che, a seguito della riformulazione dell'art. 2659 (art. 1, l. n. 52/1985), anche le società personali, non escluse le società semplici, possono rendersi intestatarie di beni immobili ed hanno quindi assunto, non diversamente dalle associazioni non riconosciute, la capacità di essere titolari di diritti reali immobiliari, riscattandosi dalla situazione di inferiorità in cui le aveva relegate il legislatore del 1942. Si è osservato, in proposito, che tale innovazione, risolvendosi in un'attribuzione implicita di soggettività, ridimensiona la rilevanza, sul piano normativo, del riconoscimento espresso della personalità giuridica «perché l'attribuzione della personalità ad un organismo già implicitamente soggettivato, non potendo riprodurre un effetto giuridico già prodotto, aggiunge a detto organismo una qualifica essenzialmente formale, e ne modifica la condizione soltanto nella misura in cui quella qualifica ha rilievo sul piano del diritto» (Basile, 176). Anche in giurisprudenza è ricorrente l'affermazione che le società di persone, a differenza di quelle di capitali, pur avendo una soggettività giuridica, sono prive di personalità giuridica, avendo questa la sua genesi imprescindibile nella legge (Cass. I, n. 16779/2007; e v. ancora Cass. III, n. 21066/2016; Cass. I, n. 5391/2014; Cass. VI, n. 123/2013). Ritiene la Cassazione che la società di fatto, ancorché irregolare e non munita di personalità giuridica, è tuttavia un soggetto di diritto, in quanto titolare di un patrimonio formato con i beni conferiti dai soci, ed è, come tale, legittimata ad esercitare l'azione di concorrenza sleale e quella, ad essa dipendente, di risarcimento dei danni (Cass. I, n. 17792/2014). Tuttavia, mentre alcune decisioni risalenti deducono, da tale affermazione, che la società di persone non può essere, in quanto tale, annoverata tra i soggetti di diritto, essendo null'altro che il gruppo dei soci unitariamente considerati (Cass. I, n. 907/1984), in altre più numerose e più recenti si rileva che «l'attitudine ad essere titolare di diritti non è, nel nostro ordinamento, fenomeno esclusivo della dualità persona fisica-persona giuridica, essendo individuabile tutta una serie di fenomeni collettivi, di entità non personificate, considerati dall'ordinamento quali centri di imputazione di situazioni giuridiche da riconoscersi, in quanto tali, nella loro autonomia dalla posizione delle persone fisiche componenti la compagine operante in forma associata, e di cui l'autonomia patrimoniale costituisce eminente manifestazione»: da ciò la conclusione che le società di persone, pur non essendo munite di personalità giuridica, costituiscono «un autonomo soggetto di diritto, che può essere entro di imputazione di situazioni negoziali e processuali distinte rispetto alla posizione dei soci, sia nei confronti dei terzi che dei soci stessi, ed altresì titolare di diritti reali (su beni mobili ed immobili) acquisiti in virtù dei conferimenti o dell'esercizio della capacità negoziale che la disciplina positiva le consente». La Cassazione ha così affermato che è valida la fideiussione prestata dal socio illimitatamente responsabile in favore della società di persone che, pur se sprovvista di personalità giuridica, costituisce un distinto centro di interessi e di imputazione di situazioni sostanziali e processuali, dotato di una propria autonomia e capacità rispetto ai soci stessi (Cass. I, n. 26012/2007). E quest'ultimo orientamento (corrispondente all'indirizzo seguito in via generale in tema di soggettività degli enti non riconosciuti: Cass. I, n. 6985/2003) si è progressivamente consolidato (Cass. V, n. 1225/2021;Cass. I, n. 8882/2020; Cass. I, n. 4528/2014; Cass. I, n. 4060/2010) ed è oggi da ritenere sicuramente granitico. È stato peraltro specificato che i fondi comuni d'investimento (nella specie, fondi immobiliare chiusi), disciplinati nel d.lgs. n. 58/1998, sono privi di un'autonoma soggettività giuridica ma costituiscono patrimoni separati della società di gestione del risparmio; pertanto, in caso di acquisto nell'interesse del fondo, l'immobile acquistato deve essere intestato alla società promotrice o di gestione la quale ne ha la titolarità formale ed è legittimata ad agire in giudizio per far accertare i diritti di pertinenza del patrimonio separato in cui il fondo si sostanzia (Cass. I, n. 12062/2019; Cass. I, n. 16605/2010). Anche i gruppi di società non sono stati ritenuti dotati di una propria soggettività giuridica : la Cassazione ha infatti stabilito che in tema di rapporto di agenzia, il collegamento economico-funzionale fra imprese (nel caso di specie, società di assicurazione) facenti parte dello stesso gruppo – pur non realizzando un'unitaria soggettività giuridica, né essendo sufficiente a far ritenere che gli obblighi inerenti al rapporto costituito con una società si estendano anche alle altre – determina una convergenza di interessi economici, tale per cui, ove l'agente abbia in atto una pluralità di distinti rapporti con le singole società collegate, il verificarsi di un evento interruttivo del rapporto fiduciario tra l'agente ed una delle stesse è idoneo a determinare la cessazione della fiducia anche con riguardo agli altri rapporti ed a legittimare, conseguentemente, il recesso dai contratti conclusi con l'agente (Cass. I, n. 14771/2008; analogamente è stato deciso che l'esistenza di un gruppo di società o di imprese, pur se privo di soggettività giuridica e non coincidente con un centro d'interessi autonomo rispetto alle società collegate, esige la prova di un accordo fra le varie entità, diretto a creare un'impresa unica, con direzione unitaria e patrimoni tutti destinati al conseguimento di una finalità comune e ulteriore: Cass. I, n. 15879/2007). Si è invece precisato che lo studio professionale associato anche se privo di personalità giuridica rientra a pieno titolo nel novero di quei fenomeni di aggregazione di interessi (quali le società personali, le associazioni non riconosciute, i condomini edilizi, i consorzi con attività esterna e i gruppi europei di interesse economico di cui anche i liberi professionisti possono essere membri) cui la legge attribuisce la capacità di porsi come autonomi centri di imputazione di rapporti giuridici e che sono perciò dotati di capacità di stare in giudizio come tali, in persona dei loro componenti o di chi, comunque, ne abbia la legale rappresentanza secondo il paradigma indicato dall'art. 36, fermo restando che il suddetto studio professionale associato non può legittimamente sostituirsi ai singoli professionisti nei rapporti con la clientela, ove si tratti di prestazioni per l'espletamento delle quali la legge richiede particolari titoli di abilitazione di cui soltanto il singolo può essere in possesso (principio affermato dalla Cassazione relativamente ad azione revocatoria rivolta nei confronti di studio professionale associato relativa ad un pagamento eseguito con assegno intestato a professionista: Cass. I, n. 17683/2010; nello stesso senso, Cass. II, n. 2332/2022; Cass. V, n. 1290/2021; Cass. VI, n. 26067/2017; Cass. II, n. 3926/2016; Cass. I, n. 6285/2016; Cass. VI, n. 443/2016; Cass. I, n. 15694/2011; v. pure Cass. III, n. 756/2023). La capacità delle societàLa Cassazione ha statuito che il mancato perseguimento dell'oggetto sociale non comporta alcuna limitazione della capacità delle società, che ha carattere generale: esse, pertanto, rimangono capaci «anche se trascendono e perfino se tradiscono il loro scopo» (Cass. I, n. 2224/1968). Il concetto è stato ribadito anche da decisioni numerose che confermano la generale capacità giuridica della società (Cass. III, n. 18449/2015; Cass. I, n. 5522/2015). Nello stesso senso, e con specifico riferimento alle società di persone, è G. Ferri, 525, il quale rileva che problema diverso è quello dell'incidenza della determinazione dell'oggetto sociale sul potere di rappresentanza degli amministratori. Per le società di persone l'art. 2266, comma 2, c.c. stabilisce che il potere di rappresentanza «si estende a tutti gli atti che rientrano nell'oggetto sociale»: gli atti ultra vires non vincolano quindi la società; la giurisprudenza appare tuttavia propensa ad accordare un qualche rilievo alla buona fede dei terzi. Diversa è la disciplina per le società di capitali, per le quali l'art. 2384-bis, aggiunto dall'art. 6 del d.P.R. 29 dicembre 1969, n. 1127 (con il quale era stata data attuazione alla Direttiva CEE n. 68/151 del 9 marzo 1968), aveva negato l'opponibilità ai terzi in buona fede dell'estraneità all'oggetto sociale degli atti compiuti dagli amministratori in nome della società. Tale disposizione è stata abrogata dalla riforma del 2003, ma il nuovo testo dell'art. 2384 c.c. stabilisce analogamente che il potere di rappresentanza degli amministratori, sia esso attribuito con l'atto costitutivo o dalla delibera di nomina, «è generale»: ciò sta ad indicare che tale potere si estende a tutti gli atti compiuti dagli amministratori muniti di potere rappresentativo, ivi compresi quelli estranei all'oggetto sociale, i quali pertanto vincolano la società, salva restando la responsabilità, nei rapporti interni, dell'amministratore che li abbia posti in essere. Le società occasionali«Nel sistema del nuovo codice la società è una forma di esercizio [...] di un'attività economica produttiva e normalmente di un'attività economica organizzata durevolmente ad impresa» (Relazione introduttiva al codice civile, n. 923). Secondo la Cassazione è possibile costituire una società occasionale, il cui fine degli associati consista nel compimento di una opera unica, purché di obiettiva complessità (Cass. I, n. 4588/2010). Ha affermato in particolare la Suprema Corte che qualora l'amministrazione ipotizzi la costituzione di una società di fatto esercente attività commerciale, l'indagine sulla sussistenza dei presupposti per l'imposizione non va condotta con riguardo ai requisiti dell'abitualità, sistematicità e continuità dell'attività, assunti dall'art. 2082 c.c. quali indici della professionalità necessaria per l'acquisto della qualità di imprenditore individuale, ma con riferimento a quelli richiesti dall'art. 2247 del codice medesimo (intenzionale esercizio in comune tra i soci di un'attività commerciale a scopo di lucro e conferimento a tal fine dei necessari beni o servizi), atteso che la disciplina tributaria (artt. 5, terzo comma, lett. b, e 6, terzo comma, del d.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917) non richiede, per la tassazione del reddito di una società di fatto, altro requisito se non la ravvisabilità nel suo oggetto dell'esercizio di un'attività commerciale, e che la costituzione di una società è ammessa anche per l'esercizio occasionale di attività economiche (Cass. V, n. 2200/2014). I redattori del codice erano quindi propensi ad ammettere l'utilizzazione della società anche per l'esercizio di attività economiche «non» organizzate durevolmente ad impresa (c.d. società occasionali): in questi casi, secondo la dottrina prevalente, si sarebbe in presenza di una società senza impresa, per difetto del requisito della professionalità stabilito in via generale dell'art. 2082 (Bigiavi, 13; Delli Priscoli, 56). Tale conclusione non è naturalmente condivisa da quanti ritengono che detto elemento (come pure quello dell'organizzazione) inerisca necessariamente alla nozione di società e che quindi la società costituita nel rispetto dei requisiti stabiliti dall'art. 2247 c.c. sia per ciò stesso un'impresa (Ascarelli, 132). È difficile tuttavia stabilire quando ricorra l'ipotesi di una «società occasionale». Generalmente si tende ad escludere la configurabilità di una società quando l'affare si risolve nel compimento di un solo atto (ad es. una vendita in comune di beni che appartengono separatamente a persone diverse), non essendo in tal caso ravvisabile lo svolgimento di un'attività (vale a dire di una serie di atti coordinati e unificati in vista di un fine unitario), che l'art. 2247 pone tra gli elementi caratterizzanti l'istituto: in tale ipotesi, seguendo questa opinione, non solo non vi è impresa, ma non vi sarebbe neppure società. L'esistenza di una società «occasionale» è quindi esclusa in radice (G. Ferri, 56; M. Campobasso, 12; Galgano, 245), il che non escluderebbe, peraltro, l'applicabilità, in via analogica, di alcune disposizioni in tema di società (G. Ferri, 60). Per opposte ragioni, la ricorrenza di una società «occasionale» è certamente da escludere in presenza di un unico affare complesso, la cui realizzazione implichi il compimento di atti molteplici e complessi tra loro coordinati (ad esempio, acquisto, ristrutturazione e vendita di un edificio) e, quindi, «lo svolgimento di un'attività a tal punto protratta nel tempo da assumere il carattere dell'attività professionalmente esercitata» (Galgano, op. cit., 246): la qualità di imprenditore può infatti determinarsi anche in base ad un unico affare, in considerazione della sua rilevanza economica e delle operazioni che il suo svolgimento comporta (Cass. I, n. 3690/1986; Campobasso, 13; Ferri, 57). Resta l'ipotesi in cui l'attività sociale «si esaurisce nel compimento di pochi atti elementari coordinati, che non richiedono la predisposizione di alcun apparato produttivo oggettivamente apprezzabile» (Campobasso, 13), la quale è oggetto di valutazioni diverse: la giurisprudenza, specie della C.S., è in genere propensa a riconoscere in queste ipotesi l'esistenza di una società «occasionale» (Cass. I, n. 4009/1968; v., inoltre, Cass. V, n. 2200/2014; Cass. V, n. 15538/2002). Inizio dell’attività d’impresa e assoggettabilità a liquidazione giudizialeLa Cassazione è dell'avviso che le società, a differenza delle persone fisiche, acquistano la qualità di imprenditore fin dal momento della loro costituzione, indipendentemente dall'effettivo inizio dell'attività d'impresa: per il c.d. principio della commercialità programmatica, le società costituite nelle forme previste dal codice civile ed aventi ad oggetto un'attività commerciale sono assoggettabili a fallimento, indipendentemente dall'effettivo esercizio di una siffatta attività, in quanto esse acquistano la qualità di imprenditore commerciale dal momento della loro costituzione, non dall'inizio del concreto esercizio dell'attività d'impresa, al contrario di quanto avviene per l'imprenditore commerciale individuale. Sicché, mentre quest'ultimo è identificato dall'esercizio effettivo dell'attività, relativamente alle società commerciali è lo statuto a compiere tale identificazione, realizzandosi l'assunzione della qualità in un momento anteriore a quello in cui è possibile, per l'impresa non collettiva, stabilire che la persona fisica abbia scelto, tra i molteplici fini potenzialmente raggiungibili, quello connesso alla dimensione imprenditoriale. La Cassazione ha così confermato la sentenza di merito che aveva attribuito la qualità di imprenditore commerciale ad un consorzio con attività esterna, costituito in forma di società, il cui statuto prevedeva l'esecuzione, con autonoma organizzazione di mezzi e per conto delle imprese consorziate, di attività di lavori edili, di trasporto, nonché di servizi amministrativi e contabili, con divisione degli utili tra i soci; e ciò senza compiere alcuna verifica sull'effettivo svolgimento delle attività statutariamente previste (Cass. I, n. 28015/2013). Ha ribadito la Cassazione che le società costituite nelle forme previste dal codice civile ed aventi ad oggetto un'attività commerciale sono assoggettabili al fallimento indipendentemente dall'effettivo esercizio di una siffatta attività, in quanto esse acquistano la qualità di imprenditore commerciale dal momento della loro costituzione, non dall'inizio del concreto esercizio dell'attività d'impresa, al contrario di quanto avviene per l'imprenditore commerciale individuale. Sicché, mentre quest'ultimo è identificato dall'esercizio effettivo dell'attività, relativamente alle società commerciali è lo statuto a compiere tale identificazione, realizzandosi l'assunzione della qualità in un momento anteriore a quello in cui è possibile per l'impresa non collettiva stabilire che la persona fisica abbia scelto, tra i molteplici fini potenzialmente raggiungibili, quello connesso alla dimensione imprenditoriale (Cass. I, n. 25730/2016). Nell'affermare l'identico principio, la Cassazione in altra occasione ha confermato la sentenza di merito che aveva attribuito la qualità di impresa commerciale ad una società mista, nel cui oggetto sociale erano ricomprese attività pacificamente esercitabili da società di diritto privato (Cass. I, n. 21991/2012). Società a partecipazione pubblica e questioni di giurisdizioneHanno affermato le Sezioni Unite che la controversia riguardante l’azione di responsabilità a carico di amministratori e sindaci di una società per azioni a partecipazione pubblica, anche se totalitaria – ma la cui attività statutaria sia di svolgere un servizio in regime di concorrenza – per il danno patrimoniale subito dalla società a causa della loro condotta illecita (nella specie, pagamento di fatture, a fronte di prestazioni mai rese o eseguite in modo incompleto) appartiene alla giurisdizione del giudice ordinario e non del giudice contabile, atteso che, da un lato, dette società non perdono la loro natura di enti privati disciplinati dal codice civile e, dall’altro lato, il danno cagionato dall’illecito incide in via diretta solo sul patrimonio della società, che resta privato e separato da quello dei soci; né è di ostacolo alla affermata giurisdizione la trasformazione, avvenuta dopo il pagamento delle suddette fatture, in società cosiddetta in house (Cass. S.U., n. 8352/2013). In tal senso, spetta al giudice ordinario la giurisdizione sull'azione di responsabilità promossa nei confronti degli organi di gestione e controllo di società di capitali partecipate (anche in via totalitaria) da enti pubblici, ove il danno sia al patrimonio della stessa, e resta altresì irrilevante la successiva fusione per incorporazione della società nell’ente pubblico socio (Cass. S.U., n. 13088/2023). Mentre per taluni soggetti, in cui sono presenti i connotati essenziali dell’ente pubblico non si può assimilare ad una società azionaria di diritto privato, onde spetta alla Corte dei conti la giurisdizione sull’azione di responsabilità promossa nei confronti dei suoi organi e dipendenti (nella specie, l’ANAS s.p.a.: Cass. S.U., n. 976/2023). Ritiene la Cassazione che la scelta del legislatore di consentire l’esercizio di determinate attività a società di capitali, e dunque di perseguire l’interesse pubblico attraverso lo strumento privatistico, comporta che queste assumano i rischi connessi alla loro insolvenza, pena la violazione dei principî di uguaglianza e di affidamento dei soggetti che con esse entrano in rapporto ed attesa la necessità del rispetto delle regole della concorrenza, che impone parità di trattamento tra quanti operano all’interno di uno stesso mercato con identiche forme e medesime modalità (Cass. I, n. 22209/2013). Peraltro, secondo il Consiglio di Stato, non sussiste alcun elemento sistematico o testuale che depone nel senso che le società di persone possano – in modo sostanzialmente automatico – invocare il possesso di taluni requisiti di ordine oggettivo per il solo fatto che tali requisiti siano posseduti da alcuno dei soci. La disposizione di cui al comma 3 dell’art. 41 del d.lgs. n. 163/2006 non si configura come una sorta di clausola generale di commutazione dei requisiti di partecipazione, laddove non posseduti dal singolo partecipante. Al contrario, la medesima disposizione mira soltanto a consentire a chi vanti il possesso dei requisiti di partecipazione, ma non sia in grado di attestarne il possesso attraverso la produzione dei documenti richiesti dalla lex specialis, di produrre una documentazione alternativa, laddove sussistano giustificati motivi (Cons. St. VI, n. 4950/2013). Sul tema, si rimanda al commento specifico sulle società a partecipazione pubblica, in questo Codice. Compromettibilità in arbitri delle liti societarieCompromettibilità in arbitri delle liti societarieSecondo la dottrina le controversie in materia societaria possono, in linea generale, formare oggetto di compromesso, con esclusione di quelle che hanno ad oggetto interessi della società o che concernono la violazione di norme poste a tutela dell'interesse collettivo dei soci o dei terzi (Licci, 1379). Peraltro, l'area della indisponibilità deve ritenersi circoscritta a quegli interessi protetti da norme inderogabili , la cui violazione determini una reazione dell'ordinamento svincolata da qualsiasi iniziativa di parte, quali le norme dirette a garantire la chiarezza e la precisione del bilancio di esercizio; pertanto, non è compromettibile in arbitri l'azione di revoca per giusta causa di un amministratore di società in accomandita semplice ex art. 2259, in relazione agli artt. 2315 e 2293, non facendo eccezione – come invocato nella specie – la avvenuta insorgenza della controversia fra coniugi altresì soci in detta società (Cass. I, n. 18600/2011). L'impugnazione di delibere societarie, aventi ad oggetto operazioni sul capitale sociale, per aumento o riduzione, è compromettibile in arbitri allorquando, in ragione della prospettazione offerta dalle parti, la corrispondente controversia non investa, in modo diretto e non semplicemente mediato, gli interessi – dei soci, della società o di terzi ad essa estranei – protetti da norme inderogabili, la cui violazione determina una reazione dell'ordinamento svincolata da qualsiasi iniziativa di parte, diversamente finendosi per devolvere agli arbitri diritti (sostanziali) inderogabili protetti da una specifica norma che li regola ( Cass. I, n. 9434/2023 ), ed in caso di fallimento resta opponibile al curatore ( Cass. I, n. 24444/2019 ); l'impugnazione della deliberazione per omessa convocazione del socio è arbitrabile ( Cass. VI-1, n. 27736/2018 ); pure la delibera di trasformazione ( Cass. VI-1, n. 10433/2022 ) e quelle di esclusione ( Cass. I, n. 25927/2022 ) e di recesso del socio ( Cass. VI-1, n. 15697/2019 ) sono deferibili in arbitri . Per altri approfondimenti, si veda il commento ai profili processuali di questa stessa parte del Codice BibliografiaAa.Vv., Manuale di diritto commerciale, a cura di Buonocore, Torino, 2017; Ascarelli, Lezioni di diritto commerciale, Milano, 1955, 132; Bigiavi, La professionalità dell’imprenditore, Padova, 1948; Basile, Le persone giuridiche, in Tr. I.-Z., Milano, 2003; Bonelli, Gli amministratori di s.p.a., dopo la riforma delle società, Milano, 2004, 76; G.F. Campobasso, Diritto commerciale, II, Diritto della società, a cura di M. Campobasso, II, Torino, 2017; Delli Priscoli, Mercato e diritti fondamentali, Torino, 2011; Denozza, Due concetti di stakeholderism, in Rivista Orizzonti del diritto commerciale, n. 1/2022; Di Sabato, Diritto delle società, Milano, 2011; G. Ferri, Manuale di diritto commerciale, a cura di Angelici e G.B. Ferri, Torino, 2016; Galgano, Le società in genere, le società di persone, in Trattato di diritto civile e commerciale, già diretto da Cicu-Messineo-Mengoni, continuato da Schlesinger, Milano, 2015; Gambino e Santosuosso, Società di capitali, Fondamenti di diritto commerciale, III, Torino, 2015; Gazzoni, Manuale di diritto privato, Napoli, 2017; Licci, Limiti alla compromettibilità delle liti societarie, in Riv. dir. proc. 2012, 1379; Marasà, Le società, in Tr. I.-Z., Milano, 2000; Spada, C’era una volta la società..., in Riv. not. 2004, I, 92. |