Codice Civile art. 230 ter - Diritti del convivente (1)

Renato Bernabai

Diritti del convivente 12

[I]Al convivente di fatto che presti stabilmente la propria opera all'interno dell'impresa dell'altro convivente spetta una partecipazione agli utili dell'impresa familiare ed ai beni acquistati con essi nonché agli incrementi dell'azienda, anche in ordine all'avviamento, commisurata al lavoro prestato. Il diritto di partecipazione non spetta qualora tra i conviventi esista un rapporto di società o di lavoro subordinato.

 

[1] Articolo aggiunto dall'articolo 1, comma 46, l. 20 maggio 2016 n. 76.

[2] La Corte cost. 25 luglio 2024, n. 148, ha dichiarato l'illegittimità costituzionale dell'art. 230-bis, terzo comma, del codice civile, nella parte in cui non prevede come familiare anche il «convivente di fatto» e come impresa familiare quella cui collabora anche il «convivente di fatto» e, in via consequenziale, ai sensi dell'art. 27 della legge 11 marzo 1953, n. 87 (Norme sulla costituzione e sul funzionamento della Corte costituzionale), l'illegittimità costituzionale del presente articolo.

Inquadramento

La l. n. 76/2016 (Regolamentazione delle unioni civili tra persone dello stesso sesso e disciplina delle convivenze), all'art. 1, comma 46, ha introdotto l'art. 230-ter c.c. (Diritti del convivente) nell'ambito della sezione VI (Dell'impresa familiare), in chiusura del capo VI, dedicato al regime patrimoniale della famiglia, del titolo VI (Del matrimonio), del libro primo (Delle persone e della famiglia).

    In tal modo, ha colmato una lacuna della disciplina dell'impresa familiare di cui all'art. 230-bis: ritenuta inestensibile, in via analogica, al rapporto di convivenza more uxorio, in forza dell'eccezionalità dell'istituto, riservato al coniuge, ai parenti entro il terzo grado ed agli affini entro il secondo (Cass. lav., n. 4204/1994).

    Nella nuova fattispecie, anche se si può ritenere scomparsa qualunque presunzione di gratuità delle prestazioni lavorative affectionis vel benevolentiae causa (su cui, prima della novella, Oberto, Ancora sulla pretesa gratuità delle prestazioni lavorative subordinate rese dal convivente more uxorio, in Fam. dir., 2016, 129; Voza, Lavoro domestico e presunzione di gratuità: non basta l'affetto, in Riv. it. dir. lav., 2016, 2, 150), sono però riconosciuti al convivente solo alcuni dei diritti patrimoniali spettanti ai familiari; con esclusione del mantenimento e della prelazione, nonché dei poteri gestori.

Presupposti

I presupposti della tutela approntata dall'art. 230-ter  sono il rapporto di convivenza di fatto e la prestazione, da parte del convivente, di una attività continuativa di lavoro, connessa, anche indirettamente, con un'impresa di cui sia titolare l'altro convivente.

La disciplina è inderogabile, come l'art. 230-bis, e residuale, al pari di quest'ultimo: come dimostrato dal requisito negativo dell'inesistenza di un rapporto di società o di lavoro subordinato (meno ampio della corrispondente esclusione di “un diverso rapporto”, di cui all'incipit dell'art. 230-bis ).

La convivenza more uxorio è caratterizzata dalla precarietà e della revocabilità unilaterale. Anche la riforma del 2016 distingue le unioni civili, assimilate in parte al matrimonio, dalle mere convivenze; per le quali non vi sarebbe possibilità di analogia con il matrimonio, in ragione del rispetto della libera scelta di chi non ha voluto contrarlo (Corte cost. n. 166/1998).

Prima dell'introduzione dell'art. 230-ter, l'unico strumento di tutela del convivente che prestasse attività lavorativa non riconducibile a un contratto di lavoro subordinato, o ad altro contratto tipico, era l'arricchimento senza causa (art. 2041 c.c.).

Per le ragioni soprarichiamate, la disciplina introdotta dalla l. n. 76/2016 a tutela della convivenza non è pari a quella contestualmente introdotta in favore delle parti di un'unione civile, ricavata per applicazione estensiva delle disposizioni che si riferiscono al matrimonio (art. 1, comma 20), ivi compresa la tutela nell'ambito dell'impresa familiare, richiamata dal comma 13. Sebbene la norma riproduca gran parte degli elementi costitutivi della fattispecie di cui all'art. 230-bis  – e cioè, lo svolgimento stabile (e dunque, non saltuario) di prestazioni di lavoro nell'ambito di un'impresa, che non trovino causa nella partecipazione ad una società, o in un contratto di lavoro subordinato – spicca, rispetto ad essa la carenza di alcun riferimento al lavoro domestico svolto in famiglia: omissione, sintomatica di una precisa mens legis, che non sembra eludibile tramite l'applicazione estensiva dell'art. 230-bis, che invece lo prevede.

Analogamente a quanto ritenuto per tale norma, la nozione di imprenditore non comprende il professionista: a differenza della normativa eurounitaria, che vi include, a certi fini, anche gli artisti. Del resto, non sarebbe consono a tali figure soggettive l'obbligazione avente ad oggetto gli utili, i beni con essi acquistati e gli incrementi: valori, tipici di un'economia aziendale.

Non rientrante nella tutela approntata dalla norma in esame, così come dall'art. 230-bis, deve ritenersi altresì il rapporto lavorativo svolto in favore di un convivente che sia socio di una società, stante la natura individuale dell'impresa familiare che ne è il presupposto legale (Cass. S.U., n. 23676/2014).

I soggetti

Ai sensi dell'art. 1, comma 36, l. n. 76/2016, per conviventi di fatto si intendono due maggiorenni uniti stabilmente da legami affettivi di coppia e di reciproca assistenza morale e materiale, non vincolati da rapporti di parentela, affinità o adozione, da matrimonio o da unione civile. Il successivo comma 37 dispone che, “ferma restando la sussistenza dei presupposti di cui al comma 36, per l'accertamento della stabile convivenza si fa riferimento alla dichiarazione anagrafica di cui all'art. 4 e alla lettera b) del comma 1 dell'articolo 13 del regolamento di cui al decreto del Presidente della Repubblica 30 maggio 1989, n. 223”. La disposizione non fa dipendere, quindi, la costituzione della convivenza dalla sola dichiarazione resa dagli interessati all'ufficiale dell'anagrafe di volere dar vita ad un nucleo familiare fondato su ragioni affettive: apparendo necessario, per contro, il concreto accertamento che si tratti davvero di una coabitazione fondata non su un mero rapporto amicale, di convenienza economica, o su ragioni contrattuali, bensì su un rapporto affettivo assimilabile all'affectio coniugalis.

Una valutazione che è rimessa, in ultima analisi, al giudice e desunta da vari indici sintomatici (Iorio, Il disegno di legge sulle unioni civili e sulle convivenze di fatto: appunti e proposte sui lavori in corso, in Nuove leggi civ. comm., 5, 2015, 1014).

Al riferimento anagrafico di cui sopra sembra da annettere, pertanto, unicamente un valore probatorio, di tipo presuntivo; piuttosto che un'eccezionale efficacia costitutiva, di cui sarebbe invero difficile trovare la ratio, in materia di diritto di famiglia (Quadri, Regolamentazione delle unioni civili tra persone dello stesso sesso e disciplina delle convivenze: spunti di riflessione, in Giust. civ., 2016, 1, 271).

È dubbio se la tutela ex art. 230-ter si applichi anche al convivente che sia ancora legato da un rapporto di coniugio con un terzo soggetto: ciò che costituirebbe una causa impeditiva, invece, della costituzione di un'unione civile (art. 1, comma 4, lett. a), l. n. 76/2016).

I diritti patrimoniali

Per quanto riguarda i diritti patrimoniali, essi si compendiano nella partecipazione, commisurata al lavoro prestato, agli utili, ai beni con essi acquistati (è dubbio se solo quelli aziendali, o non anche quelli adibiti ad uso personale dall'imprenditore) e agli incrementi, incluso l'avviamento (oggettivo).

Appare semplicemente lessicale la diversità di formulazione rispetto all'art. 230-bis  (“in proporzione alla quantità e qualità di lavoro prestato”). Il diritto si matura alla cessazione del rapporto individuale, o della stessa impresa.

La liquidazione del quantum debeatur appare, peraltro, particolarmente difficoltosa, dovendosi tener conto, da un lato, di fattori di produzione estranei al convivente creditore, quali il capitale impiegato ed il lavoro dipendente di terzi; e dall'altro, dell'intrinseco valore delle prestazioni erogate, che possono essere estremamente varie, di natura intellettuale o manuale.

Parte della dottrina esclude che si possa fare riferimento orientativo alla retribuzione di un lavoratore subordinato di analoghe mansioni, dato che non si tratterebbe del criterio partecipativo adottato dalla norma (Quadri, 590 ss.).

Nella determinazione dei diritti partecipativi può altresì influire il concorso di familiari (incluso il coniuge separato) dell'imprenditore. Il convivente, a differenza dei familiari, non ha diritto, invece, al mantenimento, stante il silenzio della norma; salvo regolamentazione scritta dei rapporti patrimoniali relativi alla vita in comune, mediante sottoscrizione di un contratto di convivenza (art. 1, comma 50, l. n. 76/2016), che vada al di là dei reciproci doveri ex lege di assistenza morale e materiale, (ibidem, comma 36).

Neppure è prevista la partecipazione a decisioni concernenti l'impiego degli utili e degli incrementi; o inerenti alla gestione straordinaria, agli indirizzi produttivi ed alla cessazione dell'impresa: né sembra possibile colmare la lacuna con un richiamo analogico all'art. 230-bis, che finirebbe con l'equiparare, in parte qua, la posizione del convivente a quella del coniuge, in contrasto con la ricordata giurisprudenza della Corte costituzionale.

La parte tutelata vanta nei confronti dell'imprenditore solo un diritto di credito, e non una contitolarità sui beni aziendali in forma di comunione soggetta a scioglimento: come si evince dal criterio di determinazione, commisurato al lavoro prestato e non ad una quota di proprietà.

Né sussiste un suo diritto di prelazione sull'azienda in caso di trasferimento, a differenza che per i familiari

Le controversie in materia sono soggette al rito del lavoro, così come ritenuto, in giurisprudenza e dottrina, per l'impresa familiare (Cass. lav., n. 7007/2015).

In dottrina , si è messo in evidenza come il livello di protezione assicurato al convivente di fatto, all'interno dell'impresa, sia meno incisivo di quello riconosciuto ai familiari dall'art. 230-bis: onde, dubbi di illegittimità costituzionale della norma.

Con ordinanza Cass., sez. lav., 24 gennaio 2023 n. 2121,  è stata rimessa al primo presidente, per l'eventuale assegnazione alle sezioni unite, la questione di particolare importanza se l'art. 230-bis, comma 3, c.c. possa essere evolutivamente interpretato, nel senso di prevedere l'applicabilità della relativa disciplina anche al convivente more uxorio, laddove la convivenza di fatto sia caratterizzata da un grado accentuato di stabilità. Alla base dell'interpretazione ipotizzata sarebbero da considerare l'evoluzione dei costumi, la giurisprudenza costituzionale e la legislazione nazionale in materia di unioni tra persone dello stesso sesso, in chiave di esegesi orientata sia agli artt. 2,3, 4 e 35 Cost., sia all'art. 8 CEDU, come inteso dalla Corte di Strasburgo.

Tenuto conto, peraltro, che la fattispecie è stata espressamente regolata dall'art. 230-ter, introdotto dall'art. 1, comma 46, l. n. 76/2016, più che di una rimessione alle sezioni unite, sarebbe stato forse il caso di proporre una questione di legittimità costituzionale, basata sulla irragionevole disparità di trattamento tra le unioni civili, introdotte dalla stessa legge citata e parificate, in subiecta materia, al matrimonio (l'art. 1, comma 13, l. n. 76/2016, dichiara, infatti, applicabili ad esse le norme della sezione sesta, libro primo, titolo sesto, capo sesto, c.c., che consta, appunto, degli artt. 230-bis e 230-ter ), e le convivenze di fatto.

Bibliografia

Albanese, Famiglia e impresa dopo la legge n. 76 del 2016 su unioni civili e convivenze, in Contr. impr., 2019, 1586; Forte, Legge Cirinnà: convivenze di fatto con tutele attenuate e disciplina incerta per l’impresa con il convivente, in Corr. trib., 2016, 2449; Guerrieri, Convivenza di fatto e Impresa familiare, in Nuove leggi civ. comm., 2018, 1007; Guerrieri, Contratto di convivenza e gestione (comune) dell’impresa condotta in regime di comunione, in Nuove leggi civ. comm., n. 5, 2020, 1166; Guzzardi, Forma organizzativa e assicurazione delle tutele nell’impresa familiare, in Contr. impr., 2021, 659; Quadri, Le prestazioni di lavoro del convivente alla luce del nuovo art. 230 ter c.c., in Nuove leggi civ. comm., 2017, 590; Tola, Impresa familiare e convivenze, in Riv. dir. civ., 2019, 705; Tola, Famiglia, famiglie e discriminazioni nell’impresa familiare, in Nuova giur. civ., 2017, 888.

 

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