Codice Civile art. 2188 - Registro delle imprese (1).Registro delle imprese (1). [I]. È istituito il registro delle imprese per le iscrizioni previste dalla legge [99-101 att.]. [II]. Il registro è tenuto dall'ufficio del registro delle imprese sotto la vigilanza di un giudice delegato dal presidente del tribunale [101 att.]. [III]. Il registro è pubblico. (1) V. art. 8 l. 29 dicembre 1993, n. 580 e d.P.R. 7 dicembre 1995, n. 581 e successive modifiche. Per l'approvazione dei modelli e la modulistica v. i d.m. 7 febbraio 1996 e la circ. 8 febbraio 1996, n. 3385/c (G.U. 14 febbraio 1996, n. 37, s.o. n. 27). InquadramentoIl codice civile prevede un sistema organico di pubblicità per tutti gli imprenditori, individuali e collettivi, da realizzarsi mediante un pubblico registro (Cavanna, 3 ss.). Tuttavia, tale sistema è per lungo tempo rimasto incompiuto, essendo stato il registro delle imprese istituito solo con la l. 29 dicembre 1993, n. 580 e completato con il regolamento attuativo di cui al d.P.R. 7 dicembre 1995, n. 581. Sino all'entrata in vigore di dette norme, la pubblicità commerciale poteva essere eseguita solo per alcuni atti (procure institorie, autorizzazioni degli incapaci per l'esercizio d'impresa) e società ed era materialmente curata presso i registri di cancelleria dai tribunali, ai sensi dell'art. 100 disp. att. c.c. (Luoni-Cavanna, 1016). Il registro realizza una pubblicità soggettiva, proprio perché incentrata sui soggetti che a vario titolo svolgono attività d'impresa, rendendo noti i fatti e gli atti che li riguardano, e segnatamente le informazioni relative all'inizio dell'impresa e le loro successive vicende (Luoni-Cavanna, 1018; Nazzicone, 78); pertanto, le iscrizioni pubblicitarie non hanno ad oggetto mutamenti giuridici dei «beni», ma direttamente gli imprenditori: e, in questa prospettiva, anche la pubblicità avente ad oggetto il trasferimento in proprietà o godimento dell'azienda investe comunque in primo luogo l'imprenditore mirando a rendere conoscibili la conclusione dell'attività d'impresa in capo al cedente, ovvero a chi affitta o concede in comodato l'azienda, e in parallelo l'inizio della medesima ad opera del cessionario, dell'affittuario o comodatario (Pavone La Rosa, 10). Si rinvia al commento dell'art. 2193 per gli effetti della pubblicità (dichiarativa, costitutiva, pubblicità notizia). L'organizzazione dell'ufficio.Oggi, il registro delle imprese è istituito in ciascuna provincia presso la camera di commercio ed è retto da un conservatore nominato dalla giunta nella persona del segretario generale ovvero di un dirigente della camera di commercio. Sull'operato dell'ufficio del registro vigila il giudice del registro delle imprese ossia un giudice delegato dal presidente del tribunale del capoluogo della provincia al quale è attribuito in via esclusiva il sindacato sui provvedimenti del conservatore, nell'ambito di un procedimento di volontaria giurisdizione che esclude il ricorso ad altri procedimenti di matrice amministrativa (Luoni-Cavanna, 1019). È stato correttamente osservato che il giudice del registro esercita un duplice sindacato: uno lato sensu amministrativo, attinente alla funzione di vigilanza al medesimo assegnata, che consiste nella verifica del regolare andamento dell'ufficio che comprende anche il controllo dell'efficienza degli strumenti informatici utilizzati e nella supervisione degli indirizzi assunti dall'ufficio medesimo; altro, tipicamente giurisdizionale, afferente alla legittimità delle iscrizioni eseguite dall'ufficio o di quelle omesse (Luoni-Cavanna, 1019; Pavone La Rosa, 17). Sezione ordinaria e sezioni speciali.Come già evidenziato, il registro delle imprese rappresenta un registro soggettivo, ossia un elenco di imprenditori e delle loro vicende. Il registro delle imprese si articola in una sezione ordinaria ed in alcune sezioni speciali. Nella sezione ordinaria sono iscritti: 1) gli imprenditori individuali commerciali non piccoli; 2) le società, ad eccezione delle società semplici, anche se non svolgono attività commerciale; 3) i consorzi tra imprenditori con attività esterna; 4) i gruppi europei di interesse economico; 5) gli enti pubblici che hanno per oggetto esclusivo o principale un'attività commerciale; 6) le società che hanno in Italia la sede dell'amministrazione ovvero l'oggetto principale delle loro attività (art. 25 l. 31 maggio 1995, n. 218). Nelle sezioni speciali vanno iscritti i piccoli imprenditori (art. 2083); le società semplici; gli imprenditori agricoli (art. 2136); le imprese sociali. Nella medesima sezione vanno annotati gli imprenditori artigiani, già iscritti nell'albo istituito dalla legge sull'artigianato (Campobasso, 116 ss. il quale evidenzia come gli artigiani non qualificabili come piccoli imprenditori sono tenuti anche all'iscrizione nella sezione ordinaria). Il principio di tassatività delle iscrizioni. Il «caso» delle domande giudiziarie.L'articolo in commento prevede che il registro è istituto per le iscrizioni previste dalla legge. La formula è ripetuta dall'art. 7, comma 2, lett. b), d.P.R. 7 dicembre 1995, n. 581, a mente del quale nel registro delle imprese sono iscritti gli atti previsti dalla legge. Gli atti da iscrivere riguardano essenzialmente gli elementi necessari per individuare l'imprenditore e l'impresa e la struttura delle società. Le iscrizioni nel registro delle imprese sono obbligatorie (Ragusa Maggiore, 2002, 51). Si ritiene, dunque, che viga il principio di tassatività delle iscrizioni, non essendo consentita l'iscrizione di atti non previsti dalla legge (Campobasso, 117; Ibba-Marasà, 80; Bocchini, 1988, 1021; Ferri, 10 ss.). Una simile conclusione si fonda non solo sul tenore letterale dell'art. in commento (che, come detto, circoscrive il perimetro delle iscrizioni a quelle previste dalla legge), ma anche dal duplice rilievo che il risultato dell'opponibilità è raggiungibile esclusivamente in relazione ad iscrizioni legislativamente previste e che sarebbe invero impossibile collegare ad un'eventuale iscrizione non prevista dalla legge effetti che siano in qualche modo sfavorevoli ai terzi (Ibba-Marasà, 81). Infatti, il principio di tassatività delle iscrizioni realizza la tutela dei terzi, in quanto questi ultimi, sapendo quali atti debbono essere iscritti nel registro delle imprese, sono in grado di individuare in quali casi consultare il registro delle imprese (Fimmanò-Ranucci, 484). D'altra parte, anche a volere ammettere l'iscrizione di un atto non previsto (segnatamente, delle domande giudiziarie), quest'ultima non avrebbe, in assenza di specifica disposizione di legge, effetto dichiarativo e, dunque, il fatto che ne costituisce l'oggetto non sarebbe comunque opponibile ai terzi, non potendosi neppure riconoscere una efficacia prenotativa non tipizzata dall'ordinamento. Una parte della dottrina e della giurisprudenza, tuttavia, propendono per una lettura meno rigida del principio di tassatività, in quanto quest'ultimo, pur funzionale ad esigenze di certezza formale, rischia di rappresentare un inadeguato limite alla completezza dell'informazione reperibile nel registro (Luoni-Cavanna, 1025; contra, Fimmanò-Ranucci, 484, i quali evidenziano che una eccessiva dilatazione del concetto di tipicità rischia di allargare oltremodo gli atti iscrivibili, con il paradossale risultato di non soddisfare la certezza e la sicurezza dei traffici che il registro è chiamato a perseguire). In questa prospettiva, si afferma che la mancanza di una specifica previsione di legge che testualmente sancisca un obbligo di registrazione non esclude la possibilità che questo sia ricavabile mediante interpretazione sistematica delle disposizioni legislative sul registro delle imprese, rimanendo anche in tal modo soddisfatto il principio della tipicità. Secondo tale prospettiva, infatti, tipicità delle iscrizioni non starebbe a significare che vi sia una norma specifica la quale dica che il particolare evento deve essere iscritto, dovendo ritenersi rispettato il principio, purché dal sistema legislativo si ricavi la necessità di iscrivere quell'atto (Luoni-Cavanna, 1024). È stato, così, richiamato il principio (non codificato) di «completezza» del registro delle imprese secondo il quale devono essere iscritti, pur in assenza di una espressa previsione normativa, tutti gli eventi modificativi o estintivi di situazioni soggette ad iscrizione e, all'uopo, sono state richiamate le disposizioni di cui agli artt. 2196 u.c.; 2300, 2346, 2332 u.c., 2385 u.c.; 2400, 2497-bis comma 1 e 3 ed il disposto dell'art. 8 co. 6 l. 29 dicembre 1993, n. 580, il quale sottolinea l'obiettivo di «assicurare completezza ed organicità di pubblicità». Il problema si è posto con riferimento alla possibilità di iscrivere le domande giudiziarie aventi ad oggetto il trasferimento di partecipazioni sociali, ovvero gli atti costitutivi di diritti reali minori su quote di società a responsabilità limitata (per una casistica completa, Luoni-Cavanna, 1025 ss., i quali manifestano favore per l'ampliamento delle ipotesi di iscrivibilità; Donativi, 61 ss.; contra, Ibba, 2014, 1062; Ibba, 2017, 13 secondo il quale solo le sentenze che eventualmente accolgano tali domande possono dirsi modificative o estintive dell'atto o della situazione su cui incidono, con la conseguenza che solo tali sentenze devono considerarsi soggette a iscrizione sulla base del principio di completezza). Secondo un orientamento della giurisprudenza dei giudici del registro, che si fonda sul (discusso) principio di completezza dell'informazione resa dal registro delle imprese, è legittima l'iscrizione nel registro stesso della domanda giudiziale con cui si chiede il trasferimento di una quota di s.r.l., in virtù del disposto dell'art. 2470 comma 3 – che prevede l'anteriorità dell'iscrizione nel registro delle imprese quale criterio di preferenza tra più acquirenti in buona fede della quota – e dei profili di analogia con il sistema di pubblicità immobiliare ex art. 2643 ss., ove è consentita l'iscrizione non solo del titolo d'acquisto, ma anche della domanda giudiziale prodromica: una lettura in senso contrario dell'art. 2470 sarebbe incostituzionale per violazione dell'art. 3 Cost. (in questo senso, Trib. Modena, 28 febbraio 2006, in Mass. Giur. it., 2006; Trib. Pavia, 16 luglio 2012, in Soc., 2013, 141; Trib. Verona, 1° aprile 2012, in Soc., 2013, 27, in tema di intestazione fiduciaria delle quote; Trib. Oristano, 10 maggio 2007, in Giur. comm., 2008, II, 908; Trib. Milano, 16 giugno 2011, in Corr. giur., 2012, 390 con riferimento al sequestro giudiziario; Trib. Asti, 24 giugno 2015, in Ilsocietario.it, 2015 con riferimento al pignoramento di quote). Si segnala che il Tribunale di Milano, in sede di reclamo, ha affermato come l'iscrizione della domanda giudiziale avrebbe effetti prenotativi dell'opponibilità (Trib. Milano, 4 luglio 2014, in Giur. it., 2014, 2489). Altra parte della giurisprudenza, sul presupposto secondo cui dal principio di tassatività discende che solo gli atti indicati dalla legge come iscrivibili possono e debbono essere iscritti, costituendo essi un numerus clausus, evidenzia come, ai sensi dell'art. 14 disp. prel., non sia possibile applicare analogicamente le norme che stabiliscono ipotesi tipiche di iscrizione degli atti per affermare l'iscrivibilità di atti non considerati dal legislatore. Il principio di completezza rappresenta, in questa prospettiva, la ratio legis cui si uniforma la disciplina degli atti suscettibili di iscrizione nel registro delle imprese, ma nulla dice in ordine a quali condizioni le informazioni contenute nel registro delle imprese dovrebbero ritenersi in astratto complete; conseguentemente, il sistema di informazione proprio del registro delle imprese è completo – non perché essenzialmente tale – ma nella misura in cui tutti e solo gli atti per cui la legge prevede l'iscrizione risultino effettivamente iscritti (Trib. Roma, 23 dicembre 2013, in Ilsocietario.it; Trib. Avellino, 16 settembre 2011, in Soc., 2013, 659; Trib. Avellino, 8 gennaio 2018, secondo il quale, in virtù del principio di tipicità, in mancanza di alcuna disposizione espressa, non può essere iscritta nel registro delle imprese la domanda giudiziale avente ad oggetto il trasferimento coattivo ex art. 2932 c.c. di una quota di partecipazione sociale, in quanto il vigente sistema di pubblicità di impresa non conosce il meccanismo dell'effetto prenotativo relativo alle domande giudiziali, né è possibile importarlo dalla disciplina speciale della trascrizione e la mera opponibilità ai terzi della domanda, derivante dall'eventuale iscrizione, non ha alcuna utilità in mancanza del suddetto principio prenotativo). Anche in dottrina, si evidenza come la pubblicizzazione di una domanda determina uno stato di incertezza sulla commerciabilità del bene che ne è oggetto, ostacolandone la circolazione e che, anche a volere ammettere la iscrivibilità della domanda giudiziaria, andrebbe ancora dimostrato che essa possa produrre l'effetto prenotativo che ha nel sistema della trascrizione immobiliare; effetto che va al di là della normale efficacia della trascrizione e che si produce in virtù di specifiche disposizioni (art. 2652 c.c.) aventi carattere eccezionale e non applicabili, quindi, in via analogica (Ibba, 2017, 14). Registro delle imprese e diritto all'oblio.La pubblicità è realizzata attraverso un sistema di registri che riguardano fatti relativi a persone, a beni anche immateriali o all'attività economica organizzata. La pubblicità commerciale realizza che determinati fatti riguardanti gli imprenditori siano resi conoscibili dai terzi che possono venire in contatto con essi. Si è così posto il problema dell'esistenza o meno di limiti all'accessibilità o all'ostensibilità dei fatti o atti dei quali la legge prescrive l'iscrizione nel registro delle imprese (sulla tematica, in generale, Carraro, 297 ss.; Nazzicone, 79 ss.). In particolare, viene in rilievo l'art. 11, lett. e), del d.lgs. 30 giugno 2003, n. 196 secondo il quale i dati personali oggetto di trattamento sono conservati in una forma che consenta l'identificazione dell'interessato per un periodo di tempo non superiore a quello necessario agli scopi per i quali essi sono stati raccolti o successivamente trattati. Una recente vicenda – che ha interessato sia la giurisprudenza di legittimità che quella della Corte di giustizia dell'Unione Europea – ha consentito di approfondire le interferenze tra le esigenze sottese alla pubblicità commerciale ed i diritti alla riservatezza dei privati, anche imprenditori. In particolare, un soggetto, già amministratore unico e liquidatore di una società fallita chiedeva, in un giudizio instaurato nei confronti della Camera di commercio, la condanna di quest'ultima alla cancellazione o alla trasformazione in forma anonima o al blocco dei dati che ricollegano il proprio nome a quello della società fallita ed il conseguente danno all'immagine cagionatogli. La Corte di cassazione, investita della vicenda (Cass. ord., n. 15096/2015), sottoponeva alla Corte di giustizia dell'Unione Europea le seguenti questioni pregiudiziali: se il principio di conservazione dei dati personali in modo da consentire l'identificazione delle persone interessate per un arco di tempo non superiore a quello necessario al conseguimento delle finalità per le quali sono rilevati o sono successivamente trattati, previsto dall'art. 6, lett. e), della Direttiva 46/95/CE del Parlamento Europeo e del Consiglio del 24 ottobre 1995, attuata d.lgs.30 giugno 2003, n. 196, debba prevalere e, quindi, osti al sistema di pubblicità attuato con il registro delle imprese, previsto dalla Prima Direttiva 68/151/CE del Consiglio del 9 marzo 1968 nonché dal diritto nazionale agli artt. 2188 c.c. e 8 l. 29 dicembre 1993, n. 580, laddove esso esige che chiunque, senza limiti di tempo, possa conoscere i dati relativi alle persone fisiche ivi risultanti; se, quindi, l'art. 3 della Prima Direttiva 68/151/CE del Consiglio del 9 marzo 1968 consenta che, in deroga alla durata temporale illimitata e ai destinatari indeterminati dei dati pubblicati sul registro delle imprese, i dati stessi non siano più soggetti a pubblicità, in tale duplice significato, ma siano invece disponibili solo per un tempo limitato o nei confronti di destinatari determinati, in base ad una valutazione casistica affidata al gestore del dato. La Corte di giustizia (Corte giustizia UE, 9 marzo 2017, C-398/15) ha così avuto modo di stabilire che non esiste un diritto all'oblio assoluto per i dati personali contenuti nel registro delle imprese; tuttavia, decorso un periodo sufficientemente lungo dopo lo scioglimento della società interessata, gli Stati membri possono prevedere in casi eccezionali che l'accesso dei terzi a tali dati venga limitato. Tale soluzione protegge l'interesse fondamentale del sistema alla certezza del diritto nelle relazioni tra le società di capitali e terzi e tutela, in particolare, gli interessi dei terzi nei confronti delle società che offrono una garanzia limitata al patrimonio sociale. Allo stesso tempo, non è escluso che, in situazioni particolari, e decorso un periodo di tempo sufficientemente lungo dopo le vicende estintive di una società iscritta nel registro delle imprese, la persona interessata dal trattamento dati personali possa chiedere, in via eccezionale, che l'accesso a detti dati venga limitato ai terzi che dimostrino un interesse specifico alla loro consultazione. La possibilità di adottare una tale soluzione pratica, che può solo essere frutto di una valutazione da compiersi caso per caso, spetta eventualmente al singolo Stato membro in coerenza con le normative specifiche del proprio ordinamento giuridico. Così, la Corte di giustizia ha precisato che il trattamento dei dati personali rientra nell'adempimento di un obbligo legale, nell'esercizio di pubblici poteri e per il perseguimento di un interesse legittimo, essendo il fine dell'iscrizione dei dati nel registro delle imprese la certezza del diritto nelle relazioni tra le società ed i terzi (sul punto, Nazzicone, 80). A chiusura della questione, la Corte di cassazione ha, quindi, avuto modo di precisare che l'ordinamento italiano non contempla il diritto dell'ex amministratore di ottenere la limitazione temporale o soggettiva dell'ostensione a terzi del proprio nome, iscritto nel registro delle imprese, pur quando la società sia fallita e poi cancellata dal registro e ciò ove pure l'interessato invochi un proprio interesse a non rendere più conoscibili i dati che lo riguardano. In altre parole, è stato così stabilito che le esigenze della pubblicità commerciale prevalgono sull'interesse del privato ad impedirla, in funzione delle ragioni di certezza nelle relazioni commerciali che il detto registro soddisfa (Cass. n. 19761/2017). Conformemente a quanto statuito dalla giurisprudenza nel caso segnalato, si evidenzia come, quando si tratti di notizie afferenti gli imprenditori, è assai arduo fissare un termine congruo per la cancellazione del dato (Nazzicone, 81, ove il caso del creditore insoddisfatto che, dopo la cancellazione della società, può ancora esercitare le azioni ex art. 2495 c.c.). BibliografiaBocchini, Registro delle imprese, in Enc. dir., Milano, 1988, 515; G.F. Campobasso, Diritto commerciale. 1. 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