Decreto legislativo - 19/08/2016 - n. 175 art. 12 - Responsabilita' degli enti partecipanti e dei componenti degli organi delle societa' partecipate

Giuseppe Dongiacomo

Responsabilità degli enti partecipanti e dei componenti degli organi delle società partecipate

 

1. I componenti degli organi di amministrazione e controllo delle società partecipate sono soggetti alle azioni civili di responsabilità previste dalla disciplina ordinaria delle società di capitali, salva la giurisdizione della Corte dei conti per il danno erariale causato dagli amministratori e dai dipendenti delle società in house. E' devoluta alla Corte dei conti, nei limiti della quota di partecipazione pubblica, la giurisdizione sulle controversie in materia di danno erariale di cui al comma 2.

2. Costituisce danno erariale il danno, patrimoniale o non patrimoniale, subito dagli enti partecipanti, ivi compreso il danno conseguente alla condotta dei rappresentanti degli enti pubblici partecipanti o comunque dei titolari del potere di decidere per essi, che, nell'esercizio dei propri diritti di socio, abbiano con dolo o colpa grave pregiudicato il valore della partecipazione.

Inquadramento

L'assoggettamento degli amministratori di società pubbliche alle norme ordinarie, ivi comprese quelle in tema di responsabilità degli organi sociali, comporta che, in linea di principio, la giurisdizione sulle relative azioni appartenga, a norma dell'art. 1 c.p.c., al giudice ordinario.

Tuttavia, l'esigenza di un controllo ad iniziativa del pubblico ministero contabile – laddove, in sede civile, per il risarcimento del danno potrebbe agire solo la società o l'ente stesso – ha consigliato un'attenta ripartizione della giurisdizione sui danni cagionati nell'ambito della gestione delle società partecipate.

I criteri di riparto tra giurisdizione ordinaria e giurisdizione contabile sono stati, così, dapprima individuati, in un lungo percorso, dalle Sezioni Unite, e, quindi, fissati dalla norma in commento.

La responsabilità degli amministratori tra giurisdizione civile e giurisdizione contabile

Come detto, la regola che vuole gli «amministratori di società pubbliche sottoposti alla comune disciplina comporta la loro responsabilità secondo il codice civile e la giurisdizione» del giudice ordinario.

In tal senso, di recente, si è pronunciata Cass. S.U.n. 5848/2015, la quale, con riferimento al caso in cui la società danneggiata sia partecipata dallo Stato o da altri enti pubblici, ha rilevato come «tali società non si sottraggono alla disciplina dettata dal codice civile, se non espressamente derogata, come agevolmente può arguirsi dall'art. 2449 c.c. e come anche in tempi più recenti è confermato dall'espressa indicazione contenuta nell'art. 4, comma 13, d.l. n. 95/2012, (convertito con modificazioni dalla l. 7 agosto 2012, n. 135) secondo cui “per quanto non diversamente stabilito e salvo deroghe espresse, si applica comunque (alle società a partecipazione pubblica) la disciplina del codice civile in materia di società di capitali” ...; l'assoggettamento di siffatte società alle regole ed ai principî civilistici vigenti in materia ha comportato ... l'ovvia affermazione della giurisdizione del giudice ordinario in ordine alle azioni sociali di responsabilità esperibili a norma degli artt. 2392 e 2393 c.c.».

Ed, in effetti, così la giurisprudenza, specie delle Sezioni Unite, per lungo tempo ha opinato, limitando la giurisdizione della Corte dei conti ai soli casi in cui il danno all'ente pubblico sia stato la conseguenza di un'attività di natura pubblica, e cioè autoritativa, posta in essere da un agente organicamente inserito nei ranghi della pubblica amministrazione: con esclusione, quindi, come affermato in tema di enti pubblici economici, dei casi in cui il danno arrecato all'ente sia stato la conseguenza di atti compiuti iure privatorum.

Nel passato, le Sezioni Unite avevano, infatti, fondato il riparto della giurisdizione tra giudice ordinario e Corte dei conti alla natura dell'atto adottato dall'amministratore di un ente pubblico economico, per cui gli eventuali danni imputabili ai cosiddetti «atti di organizzazione» ovvero a carattere autoritativo erano devoluti alla cognizione del giudice contabile, mentre quelli derivanti dagli «ordinari atti di gestione», rispetto ai quali non era configurabile alcun rapporto di servizio con lo Stato, erano attribuiti alla giurisdizione civile (Cass. S.U., n. 1282/1982; in senso conf., Cass. S.U.n. 11037/1991; Cass.S.U., n. 11560/1992; Cass. S.U., n. 12654/1997; Cass.S.U., n. 1193/2000; Cass. S.U., n. 1945/2002; Cass. S.U., n. 2605/2003). In tale contesto era, evidentemente, del tutto inconcepibile l'idea stessa di una possibile giurisdizione della Corte dei conti sui danni, a chiunque arrecati, da parte degli amministratori della società partecipata dallo Stato o da un ente pubblico: per la natura privata del patrimonio sociale, in quanto appartenente alla società, e per la natura privatistica dell'attività degli amministratori, ove il danno fosse stato arrecato direttamente all'ente pubblico socio.

La successiva e più recente evoluzione dell'ordinamento ha reso, tuttavia, questi confini della giurisdizione contabile assai meno chiari: la pubblica amministrazione, infatti, ha sempre più spesso perseguito le proprie finalità istituzionali mediante l'utilizzo di strumenti tipicamente privatistici ovvero affidandone la realizzazione direttamente a soggetti privati.

Di qui la necessità di ricercare, a fondamento della giurisdizione della Corte dei conti, non più lo svolgimento dell'attività nelle forme del diritto pubblico o la natura pubblica del soggetto agente, quanto, piuttosto, il perseguimento di finalità pubbliche, che può avvenire sia nelle forme del diritto pubblico, quanto in quelle del diritto privato, e da parte sia di agenti pubblici, che di soggetti privati: a fronte dell'utilizzo, negli uni e negli altri casi, di mezzi e risorse messe a disposizione dalla collettività e, quindi, dei danni ad essere arrecati (Cass. S.U., n. 10063/2011, in motiv: «si esercita attività amministrativa non solo quando si svolgono pubbliche funzioni e poteri autoritativi, ma anche quando, nei limiti consentiti dall'ordinamento, si perseguono le finalità istituzionali proprie dell'amministrazione pubblica mediante un'attività disciplinata in tutto o in parte dal diritto privato; con la conseguenza – si è precisato – che, nell'attuale assetto normativo, il dato essenziale che radica la giurisdizione della corte contabile è rappresentato dall'evento dannoso verificatosi a carico di una pubblica amministrazione e non più dal quadro di riferimento – pubblico o privato – nel quale si colloca la condotta produttiva del danno»).

Le Sezioni unite della Cassazione, pertanto, onde evitare il rischio di un sostanziale svuotamento o comunque di un grave indebolimento della giurisdizione della corte contabile in materia di responsabilità, hanno, in tale nuovo contesto, cominciato a privilegiare un approccio, non più formale o soggettivo, ma, appunto, di carattere funzionale ed oggettivo: ritenendo, in particolare, che, quando si discute del riparto della giurisdizione tra Corte dei conti e giudice ordinario, ciò che rileva è bensì il rapporto di servizio tra l'agente e la pubblica amministrazione, intendendo, però, come tale non solo il rapporto organico o il rapporto di impiego, ma qualunque relazione funzionale con quest'ultima che si caratterizzi per il fatto che un soggetto, altrimenti estraneo all'amministrazione medesima, sia investito, anche di fatto o temporaneamente, purché in modo continuativo, del compito di porre in essere, in sua vece, un'attività ad essa istituzionalmente spettante ovvero ad essa strumentale, senza che a tal fine rilevi la natura giuridica dell'atto di investitura (che può essere un provvedimento, una convenzione o un contratto) o la natura del soggetto che direttamente la riceve, che può essere una persona giuridica o fisica, privata o pubblica, unicamente rilevando, invece, che quest'ultimo, pur nell'esercizio di un'attività meramente privatistica, abbia, con la propria condotta, danneggiato un ente pubblico (Cass. S.U., n. 4309/2010, in motiv.; nello stesso senso, Cass. S.U .,n. 15599/2009; in dottrina, Novelli, Venturini, 550).

Non importa, quindi, la natura pubblica del soggetto che agisce ed il suo organico inquadramento nei ranghi della pubblica amministrazione e neppure la natura pubblica dell'atto di investitura e neppure, infine, che l'attività dannosa sia stata compiuta nell'esercizio di funzioni pubblicistiche: rileva unicamente la lesione arrecata agli scopi perseguiti dalla pubblica amministrazione ed alle corrispondenti risorse pur se da parte di un soggetto privato che abbia agito iure privatorum.

Tale evoluzione non poteva che investire anche le società partecipate da un ente pubblico che, per molti aspetti, costituiscono il punto di approdo di quel processo di trasformazione della funzione amministrativa, caratterizzato dall'abbandono di una concezione autoritativa della P.A. in favore di una sua concezione funzionale, nella quale i poteri di cui essa è dotata sono intesi come meramente strumentali alla tutela dell'interesse pubblico, con il convincimento diffuso che tale interesse possa essere maggiormente garantito attraverso il ricorso ad istituti di diritto comune (Cass. n. 22209/2013).

Ed infatti, con la sentenza Cass. S.U. , n. 3899/2004, le Sezioni Unite hanno affermato che spetta alla giurisdizione della Corte dei conti l'azione per il danno cagionato dall'amministratore di una società per azioni quasi interamente partecipata dal Comune, avente ad oggetto l'esercizio dei mercati all'ingrosso, a seguito della stipulazione di un contratto svantaggioso per l'ente frutto di un accordo illecito basato sulla percezione di «tangenti», dovendo, appunto, essere ravvisato il rapporto di servizio, necessario per l'assoggettamento alla giurisdizione della Corte dei conti, ogni qualvolta si instauri una relazione funzionale tale da collocare il soggetto esterno nell'iter procedimentale dell'ente pubblico, come compartecipe fattivo dell'attività amministrativa, non rilevando, in contrario, né la natura privatistica dell'ente stesso, né la natura privatistica dello strumento contrattuale con il quale è stato costituito ed attuato il rapporto in questione. La Corte, peraltro, ha affermato che la giurisdizione contabile sull'amministratore della società pubblica sussiste, oltre che in caso di danno diretto all'ente pubblico socio, anche in ipotesi di pregiudizio arrecato al patrimonio sociale.

Il medesimo orientamento è stato affermato dalla giurisprudenza contabile, che, a partire dal 2000, ha costantemente affermato la propria giurisdizione in materia di responsabilità di amministratori di società controllate, anche indirettamente, dalle pubbliche amministrazioni, per i danni causati al patrimonio sociale (C. conti, 3 dicembre 2008, n. 532; C. conti, sez. Lombardia, 22 febbraio 2006, n. 114; C. conti, 3 novembre 2005, n. 356), ferma restando, in ogni caso, la giurisdizione ordinaria per le azioni risarcitorie intraprese dal socio privato della società a maggioranza pubblica dirette alla reintegrazione delle lesioni direttamente arrecate al suo patrimonio dagli amministratori a norma dell'art. 2395 c.c. (C. conti, 3 novembre 2005, n. 356, in motiv.).

In senso critico a tale orientamento si era, tuttavia, osservato che la Corte, dopo aver riconosciuto la sussistenza di un rapporto di servizio tra il Comune socio e la società partecipata, ha finito per estenderlo all'amministratore della società, configurando, cioè, un rapporto di servizio diretto tra il Comune socio e l'amministratore della società partecipata. Sennonché, un rapporto giuridico, nell'ambito del quale può ravvisarsi – sul piano sostanziale – una responsabilità per i danni arrecati al patrimonio della società, è configurabile, in via diretta, solo tra la società danneggiata ed i suoi amministratori (e cioè il c.d. mandato ad amministrare: artt. 2392,2393 e 2476 c.c.) e non anche tra quest'ultimi e l'ente pubblico socio, a meno che gli amministratori della società abbiano arrecato allo stesso un danno diretto, e cioè un danno che non sia il mero riflesso del pregiudizio al patrimonio della società. Solo in quest'ultimo caso, infatti, sia pure in via occasionale, si innesta, in via diretta, un rapporto di servizio tra l'amministratore e l'ente pubblico socio che è stato danneggiato.

E così, nel 2009, le Sezioni Unite della Corte di cassazione – superando l'indistinta affermazione della giurisdizione contabile in tema di responsabilità erariale dell'amministratore di società pubblica pur in caso di pregiudizio arrecato al patrimonio sociale – hanno fissato, con la sentenza n. 26806, un diverso criterio di riparto, incardinandolo sull'oggettiva direzione del pregiudizio cagionato dall'amministratore e distinguendo, in particolare, a seconda che il danno sia stato arrecato direttamente al patrimonio della società ovvero direttamente al patrimonio del socio pubblico. La Corte, infatti, ha rilevato che, in difetto di norme esplicite in tal senso, occorre aver riguardo ai principî generali e, quindi, per un verso, alla distinzione di fondo tra la responsabilità che gli organi sociali possono assumere nei confronti della società (e, possiamo aggiungere, dei creditori sociali), in ragione dei danni arrecati al patrimonio della stessa (a norma degli artt. 2392 ss. e 2476, commi 1, 3, 4 e 5, c.c.), e la responsabilità che gli amministratori possono assumere nei confronti di singoli soci o terzi, in ragione dei danni ad essi direttamente arrecati (a norma degli artt. 2395 e 2476, comma 6, c.c.), e, per altro verso, alla necessità, perché possa ravvisarsi una responsabilità contabile, di un rapporto di servizio tra l'autore della condotta dannosa e l'ente pubblico danneggiato: rapporto che, nel caso della società partecipata, è al più ravvisabile tra la società e l'ente socio ma non anche, almeno di regola, tra l'ente pubblico socio e gli amministratori della società partecipata, salvo, appunto, che per il caso del danno diretto. Ed infatti, ha rilevato la Corte, solo in caso di danno diretto al patrimonio dell'ente pubblico socio, la configurabilità dell'azione del procuratore contabile, non incontra particolari ostacoli. Così, in seguito, anche Cass. S.U., n. 26283/2013, in motiv., per cui «risulta ... configurabile l'azione del procuratore contabile quando sia volta a far valere la responsabilità dell'amministratore o del componente di organi di controllo della società partecipata dall'ente pubblico che sia stato danneggiato dall'azione illegittima non di riflesso, quale conseguenza indiretta del pregiudizio arrecato al patrimonio sociale, bensì direttamente. Si è allora innegabilmente in presenza di un cosiddetto danno erariale, ossia di un danno provocato dall'agente al patrimonio dell'ente pubblico, come ad esempio accade nel caso del danno all'immagine della pubblica amministrazione, la cui riconducibilità entro i parametri della giurisdizione del giudice contabile è confermata dal disposto dell'art. 17, comma 30-ter, della legge 3 agosto 2009, n. 102 (quale risulta dopo le modifiche apportate dal d.l. in pari data, n. 103, convertito con ulteriori modificazioni nella legge 3 ottobre 2009, n. 141)», come, in particolare, nel caso del danno all'immagine dell'ente pubblico.

Ad opposta conclusione – ha continuato la Corte nel 2009 – deve, invece, pervenirsi nel caso di danno cagionato al patrimonio della società. In tal caso, infatti, non solo non è configurabile alcun rapporto di servizio tra l'ente pubblico partecipante e l'amministratore della società partecipata, il cui patrimonio sia stato leso dall'atto di mala gestio (così anche Cass. S.U, n. 26283/2013, in motiv., per cui «risulta impossibile imputare personalmente agli amministratori o ad altri soggetti investiti di cariche sociali la titolarità del rapporto di servizio intercorrente tra l'ente pubblico e la società cui sia stato affidato l'espletamento di compiti riguardanti un pubblico servizio»), ma neppure sussiste – in mancanza di una espressa disposizione normativa (necessaria, in materia estranea alla contabilità pubblica, a norma dell'art. 103 Cost.: c.d. interpositio legislatoris) – un danno qualificabile come danno erariale, inteso come pregiudizio direttamente arrecato al patrimonio dello Stato o di altro ente pubblico che della suindicata società sia socio: il danno arrecato dagli organi della società «al patrimonio sociale, che nel sistema del codice civile può dar vita all'azione sociale di responsabilità ed eventualmente a quella dei creditori sociali, non è idoneo a configurare anche un'ipotesi di azione ricadente nella giurisdizione della Corte dei conti perché non implica alcun danno erariale, bensì unicamente un danno sofferto da un soggetto privato, appunto la società, riferibile al patrimonio appartenente soltanto a quel soggetto e non certo ai singoli soci – pubblici o privati – i quali sono unicamente titolari delle rispettive quote di partecipazione ed i cui originari conferimenti restano confusi ed assorbiti nell'unico patrimonio sociale». In siffatta ipotesi, non è configurabile l'azione contabile ma solo l'azione sociale di responsabilità, che è proponibile secondo le regole generali. Né rileva – ha continuato la Corte – che il danno sofferto dal patrimonio della società è, in via riflessa, destinato a ripercuotersi anche sui soci, ivi compresi quelli pubblici, incidendo negativamente sul valore o sulla redditività della loro quota di partecipazione. Ed infatti, con salvezza delle limitate eccezioni introdotte dall'art. 2497 c.c. in tema di responsabilità dell'ente che abbia abusato della direzione e coordinamento, il sistema del diritto societario (e, precisamente, le norme previste dagli artt. 2392,2393 c.c., da un lato, e dall'art. 2395 c.c., dall'altro) impone di tener distinti i danni direttamente inferti al patrimonio del socio da quelli che il socio subisca quale mero riflesso dei danni arrecati alla società: e solo dei danni diretti, cioè di quelli prodotti immediatamente nella sfera giuridico-patrimoniale del socio e che non siano il mero riflesso del danno inferto alla società, il socio danneggiato è legittimato, in via diretta, a dolersi, agendo in responsabilità nei confronti degli amministratori responsabili; di quelli arrecati al patrimonio sociale, invece, solo la società è legittimata a dolersi. L'unica particolarità, in caso di società pubblica, è che il danno direttamente arrecato al socio pubblico legittima l'azione risarcitoria: ma, trattandosi di danno erariale, ad iniziativa esclusiva del pubblico ministero contabile.

Né, infine – ha osservato ancora la Corte – l'esclusione dell'ipotizzata giurisdizione del giudice contabile per l'azione di risarcimento di danni cagionati al patrimonio della società partecipata da un ente pubblico provoca il rischio di una lacuna nella tutela dell'interesse pubblico coinvolto nella descritta situazione.

Nell'attuale disciplina della società azionaria – ed in misura ancor maggiore in quella della società a responsabilità limitata – l'esercizio dell'azione sociale di responsabilità, in caso di mala gestio imputabile agli organi della società, non è più riservata all'assemblea dei soci ed alla relativa decisione, assunta secondo le maggioranze ordinarie: a seguito della riforma del diritto societario, infatti, la minoranza qualificata dei soci della società per azioni (art. 2393-bis c.c.) ed il singolo socio nella società a responsabilità limitata (art. 2476, comma 3, c.c.), sono legittimati a proporre, a beneficio esclusivo della società, l'azione sociale di responsabilità.

Nella società a partecipazione pubblica, quindi, il socio pubblico è, per lo più, in condizione di tutelare direttamente i propri interessi, promuovendo, in caso di danno al patrimonio della società, l'azione sociale di responsabilità(artt. 2393,2393-bis e 2476, comma 3, c.c.).

E se non dovesse farlo ed, in conseguenza di tale omissione, l'ente pubblico socio avesse a subìre un pregiudizio derivante dalla perdita di valore della partecipazione, è sicuramente prospettabile l'azione del procuratore contabile nei confronti (non già dell'amministratore della società partecipata, per il danno arrecato al patrimonio sociale, bensì nei confronti) di chi, quale rappresentante dell'ente partecipante o comunque titolare del potere di decidere per esso, abbia colpevolmente trascurato di esercitare i propri diritti di socio ed abbia, per l'effetto, pregiudicato il valore della partecipazione (in tal senso: Cass. S.U., n. 13702/2004, che ha riconosciuto la giurisdizione della Corte dei conti nei confronti degli ex sindaci di un comune che, in qualità di socio di una società interamente partecipata dal comune stesso non avevano deliberato l'azione sociale di responsabilità di cui all'art. 2393 c.c. nei confronti degli amministratori della società. Cass. S.U., n. 20941/2011, per cui «l'azione di responsabilità per danno erariale, può, ... configurarsi nei confronti di chi, essendone incaricato, non abbia esercitato i poteri ed i diritti sociali spettanti al socio pubblico al fine d'indirizzare correttamente l'azione degli organi sociali o di reagire opportunamente agli illeciti da questi ultimi commessi»).

In definitiva, ha concluso la Corte, spetta al giudice ordinario la giurisdizione in ordine all'azione di risarcimento dei danni subiti da una società a partecipazione pubblica per effetto di condotte illecite degli amministratori, non essendo in tal caso configurabile, avuto riguardo all'autonoma personalità giuridica della società, né un rapporto di servizio tra l'agente e l'ente pubblico titolare della partecipazione, né un danno direttamente arrecato allo Stato o ad altro ente pubblico, idonei a radicare la giurisdizione della Corte dei conti, la quale, invece, ha giurisdizione quando l'azione di responsabilità trovi fondamento o nel comportamento di chi, quale rappresentante dell'ente partecipante o comunque titolare del potere di decidere per esso, abbia colpevolmente trascurato di esercitare i propri diritti di socio, in tal modo pregiudicando il valore della partecipazione, ovvero in comportamenti degli amministratori o dei sindaci tali da arrecare direttamente pregiudizio al suo patrimonio.

L'orientamento espresso nella indicata sentenza è stato, in seguito, ribadito da numerose pronunce: Cass. S.U., n. 26283/2013, in motiv.; Cass. S.U., n. 5848/2015; Cass. S.U., n. 3201/2014.

Non sono mancate, peraltro, pronunce che hanno ribadito l'orientamento precedente: cfr. in tal senso Cass. S.U., n. 10063/2011, che ha affermato la giurisdizione della Corte dei conti in caso di azione di responsabilità per danno erariale promossa dalla Procura regionale della Corte dei conti nei confronti degli amministratori e dei sindaci di società costituita da enti pubblici, con capitale interamente pubblico, al fine di perseguire finalità proprie di tali enti per i danni arrecati alla medesima società, per effetto del pagamento (evidentemente lesivo del patrimonio sociale) di compensi non dovuti. Nella giurisprudenza contabile, la giurisdizione della Corte dei conti è stata riaffermata anche in ipotesi di danno al patrimonio sociale da C. conti 22 luglio 2013, n. 568.

L’interpretazione sostenuta dalle Sezioni Unite nel 2009 ha, peraltro, trovato, oltre che fondamento nelle norme generali in tema di responsabilità degli amministratori di società di capitali (fondate, come è noto, proprio sulla distinzione tra danno al patrimonio sociale (artt. 2392,2393,2394 e 2476 c.c.) e danno direttamente arrecato al socio o al terzo (art. 2395 e 2476, comma 6, c.c.), ma anche, almeno implicitamente, conferma nell'art. 16- bis della l. 28 febbraio 2008, n. 31 (che ha convertito il d.l. 31 dicembre 2007, n. 248), rubricato «responsabilità degli amministratori di società quotate partecipate da amministrazioni pubbliche», che ha espressamente previsto che «per le società con azioni quotate in mercati regolamentati, con partecipazione anche indiretta dello Stato o di altre amministrazioni o di enti pubblici, inferiore al 50%, nonché per le loro controllate, la responsabilità degli amministratori e dei dipendenti è regolata dalle norme del diritto civile e le relative controversie sono devolute esclusivamente alla giurisdizione del giudice ordinario»: a dimostrazione, quindi, che, in tutti gli altri casi, la giurisdizione sia o comunque possa essere affidata, in presenza dei relativi presupposti (quale, in particolare, il danno direttamente inferto al patrimonio dell'ente pubblico socio), alla Corte dei conti.

Più di recente, le Sezioni Unite hanno ribadito che, in tema di società di capitali a partecipazione pubblica, prive dei requisiti per essere qualificate in house, la giurisdizione della Corte dei conti sussiste solo qualora sia prospettato un danno arrecato dalla società partecipata al socio pubblico in via diretta, e non quale mero riflesso della perdita di valore della partecipazione sociale, o sia contestato al rappresentante del socio pubblico di aver colpevolmente trascurato di esercitare i propri diritti di socio, così pregiudicando il valore della partecipazione, o, infine, sia configurabile la speciale natura dello statuto legale di alcune società partecipate (Cass S.U. n. 4264/2023, che ha dichiarato il difetto di giurisdizione contabile, non essendosi prospettato lo sviamento ad altri fini del capitale pubblico, bensì il pregiudizio economico al patrimonio della società partecipata, che solo indirettamente si ripercuoteva sull'ente pubblico socio, attraverso la diminuzione del valore della quota di partecipazione; conf., Cass S.U. n. 22712/2019, Il danno al patrimonio di una società a partecipazione pubblica conseguente a "mala gestio" da parte degli amministratori (o componenti dell'organo di controllo) e dei dipendenti, non è qualificabile in termini di danno erariale, inteso come pregiudizio direttamente arrecato al patrimonio dello Stato o di altro ente pubblico che della detta società sia socio, atteso che la distinzione tra la società di capitali e i singoli soci e la piena autonomia patrimoniale della prima rispetto ai secondi non consentono di riferire al patrimonio del socio pubblico il danno che l'illecito comportamento degli organi sociali abbia eventualmente arrecato al patrimonio dell'ente, né di configurare un rapporto di servizio tra l'ente medesimo e l'agente).  

Il criterio di riparto delineato dalle Sezioni Unite ha trovato, infine, un implicito ma inequivoco riconoscimento nel d.lgs. n. 175/2016.

L'art. 12, infatti, ha previsto che i componenti degli organi di amministrazione e controllo delle società partecipate sono soggetti alle azioni civili di responsabilità previste dalla disciplina ordinaria delle società di capitali, con l'espressa salvezza della giurisdizione della Corte dei conti per il pregiudizio (direttamente) arrecato dagli amministratori (e, sebbene non espressamente previsti, anche dai componenti degli organi di controllo) agli enti pubblici partecipanti, «nei limiti della quota di partecipazione pubblica», ivi compreso il danno conseguente alla condotta dei rappresentanti degli enti pubblici partecipanti o comunque dei titolari del potere di decidere per essi, che, nell'esercizio dei propri diritti di socio, abbiano con dolo o colpa grave pregiudicato il valore della partecipazione: ferma restando, dunque, la giurisdizione ordinaria per il caso del pregiudizio al patrimonio della società (cfr., in tal senso, il parere n. 638/2017 del Consiglio di Stato, il quale ha osservato che il solo danno erariale che viene in rilievo è quello «diretto» al patrimonio dell'ente, quale è, ad esempio, il danno all'immagine, e non anche un «danno indiretto» quale conseguenza mediata del pregiudizio subito dall'ente pubblico alla propria «partecipazione sociale»), così anche Cass. S.U. n. 15979/2022, per cui, nella società di capitali a partecipazione pubblica, la responsabilità degli amministratori degli enti partecipanti per danno erariale diretto all'ente pubblico socio è configurabile anche qualora la partecipata non abbia natura di società in house providing, poiché la previsione dell'art. 12, comma 2, del d.lgs. n. 175/2016 non riveste una portata delimitatrice o abrogatrice della comune responsabilità contabile.

Non è chiaro, invece, se, nella società a responsabilità limitata a partecipazione pubblica, la norma in esame trovi applicazione, relativamente ai soci che abbiano concorso con gli amministratori nel compimento degli atti di mala gestio (per la soluzione negativa, Ibba, 2016, 1233 ss., per il quale sono proponibili, ove ne sussistano i presupposti, solo le azioni previste dall'art. 2476, penultimo comma, c.c., la cui applicabilità discende dalla soggezione residuale delle società pubbliche al diritto societario comune ai sensi dell'art. 1, comma 3, ma non le azioni dinanzi alla magistratura contabile regolate nell'art. 12).

Il criterio di riparto della giurisdizione, fondato sulla diversa incidenza del fatto dannoso sul patrimonio sociale ovvero su quello del socio pubblico, non è, peraltro, assoluto.

Non si applica, infatti, in caso di «società a partecipazione pubblica il cui statuto sia soggetto a regole legali sui generis» e di società in house.

Quanto alle prime, si tratta delle c.d. società legali, caratterizzate da un regime pubblicistico di matrice legale, rispetto al quale l'autonomia privata non esplica ruolo alcuno ovvero esplica un ruolo del tutto marginale (Ibba, 2010, 13, 17).

Il tema è più specificamente affrontato in un'ordinanza, sempre delle Sezioni Unite della Cassazione, di soli pochi giorni successiva alla sentenza sopra indicata, vale a dire l'ordinanza 22 dicembre 2009, n. 27092. In tale decisione la Corte, dopo aver richiamato espressamente il nuovo criterio di riparto della giurisdizione sancito dalla sentenza n. 26806/2009, precisa che la deroga a tale criterio, prevista dalla medesima sentenza con riferimento alle società a partecipazione pubblica il cui statuto sia soggetto a regole legali sui generis, deve intendersi riferito, appunto, a quelle società che, nonostante l'abito formale di società per azioni, hanno, in realtà, la «natura sostanziale di ente assimilabile a una amministrazione pubblica», con la conseguenza – rileva la Corte – che, per tali società, il danno cagionato alle stesse dai suoi agenti è qualificabile come danno erariale, ed è, quindi, assoggettato all'azione di responsabilità amministrativa dinanzi alla Corte dei conti.

Si pensi, in particolare, ai casi:

- della RAI s.p.a. (Cass. S.U., n. 15594/2014, per la quale la Corte dei conti ha giurisdizione «sulle azioni di risarcimento del danno cagionato da componenti del consiglio d'amministrazione e da dipendenti perché, nonostante la veste di società per azioni, essa ha natura sostanziale di ente pubblico, con uno statuto assoggettato a regole legali in forza delle quali è designata direttamente dalla legge quale concessionaria dell'essenziale servizio pubblico radiotelevisivo, sottoposta a penetranti poteri di vigilanza da parte di un'apposita commissione parlamentare, destinataria di un canone d'abbonamento avente natura di imposta, compresa tra gli enti sottoposti al controllo della Corte dei conti cui lo stato contribuisce in via ordinaria, nonché tenta all'osservanza delle procedure di evidenza pubblica nell'affidamento degli appalti»; va, tuttavia, osservato che, a norma dell'art. 3 della l. n. 220/ 2015, che ha aggiunto nel d.lgs. 31 luglio 2005, n. 177 l'art. 49-bis, «l'amministratore delegato e i componenti degli organi di amministrazione e controllo della RAI-Radiotelevisione italiana Spa sono soggetti alle azioni civili di responsabilità previste dalla disciplina ordinaria delle società di capitali»; d'altra parte, la RAI resta pur sempre una società per azioni ed è, come tale, soggetta, ove non diversamente disposto, alle regole privatistiche: cfr. Cass. S.U., n. 28329/2011);

- dell'ENAV s.p.a. (Cass. S.U., n. 5032/2010, in motiv., sul rilievo che la totalità delle azioni dell'ENAV sono dello Stato, che molte attività dell'ENAV sono svolte ex lege con oneri totalmente a carico dello Stato, che l'ente presta un servizio pubblico essenziale, che, a norma dell'art. 5 della l. n. 665/1996, la Corte dei conti esercita il controllo sulla gestione finanziaria dell'Ente con le modalità previste dall'art. 12 della l. n. 259/1958, in tema di partecipazione della Corte dei conti al controllo sulla gestione finanziaria degli enti a cui lo Stato contribuisce in via ordinaria, che l'art. 7 della l. n. 665 cit., prevede che all'ENAV si applicano gli artt. 25 e 30 della l. n. 468/1978 e successive modificazioni e integrazioni, in tema di contabilità generale dello Stato in materia di bilancio;

- dell'ANAS s.p.a., pur dopo la sua trasformazione da ente pubblico economico in società per azioni, secondo quanto previsto dall'art. 7 del d.l. 8 luglio 2002, n. 138, conv. con modif. con la l. 8 agosto 2002 n. 178 (Cass. S.U., n. 15594/2014, per la quale spetta alla Corte dei conti la giurisdizione sull'azione di responsabilità promossa nei confronti degli organi e dei dipendenti dell'ANAS s.p.a. poiché la sua trasformazione in società per azioni non ne ha modificato gli essenziali connotati pubblicistici, essendosi tradotta nella mera adozione di una formula organizzativa corrispondente a quella della società azionaria, invocando in tal senso «la genesi stessa dell'Anas s.p.a., direttamente derivante da un atto normativo e non, come è naturale in società di diritto privato, da un atto negoziale, ancorché posto in essere dalla pubblica amministrazione in forza della sua capacità di agire iure privatorum che ad essa compete ... la circostanza che il suo statuto e le eventuali successive modificazioni di esso debbano essere approvati con decreto ministeriale, e che sempre con decreto ministeriale sia determinato il capitale sociale», nonché le numerose disposizioni contenute nel citato art. 7 in tema di rapporto di lavoro, disciplinato dalle norme in tema di enti pubblici economici, di esercizio dei diritti sociali, da svolgere nelle forme del decreto interministeriale, di autorizzazione ad avvalersi del patrocinio dell'Avvocatura dello Stato, di funzioni pubbliche attribuite alle strade statali con i connessi poteri autoritativi, con la conseguente necessità, a fronte della sua natura sostanziale di ente pubblico, di «riconoscere la giurisdizione della Corte dei conti nel giudizio di responsabilità instaurato ... non solo per i danni direttamente cagionati all'immagine del Ministero dell'economia e delle finanze, quale socio unico dell'Anas s.p.a., ma anche per quelli inferti al patrimonio dell'Anas medesima». Nello stesso senso, Cass. S.U. n. 976/2023, secondo cui l'ANAS s.p.a., avendo i connotati essenziali di un ente pubblico, non può essere assimilata ad una società azionaria di diritto privato, senza che assuma rilievo, in senso contrario, l'avvenuto conferimento - di valenza esclusivamente formale - della totalità delle azioni a Ferrovie dello Stato Italiane s.p.a., con la conseguenza che spetta alla Corte dei conti la giurisdizione sull'azione di responsabilità promossa nei confronti dei suoi organi.

Quanto alle società in house, sulle quali v. sub art. 16, le Sezioni Unite della Corte di cassazione, con la sentenza Cass. S.U., n. 26283/2013, dopo aver ribadito, in linea di principio, la validità del criterio di riparto di giurisdizione, come sopra esposto, hanno, tuttavia, ritenuto che, in deroga a siffatto criterio, la Corte dei conti ha giurisdizione sull'azione di responsabilità diretta a far valere la responsabilità degli organi sociali anche per i danni da essi cagionati al patrimonio della società allorché, appunto, quest'ultima assuma le caratteristiche della società in house: tali società, infatti, hanno della società di capitali solo la forma esteriore, mutuandone il paradigma organizzativo ma, nella realtà, esse si configurano come una mera articolazione operativa dell'ente pubblico da cui promanano, a guisa di un'azienda speciale, rispetto al quale, pertanto, non si pongono in termini di alterità soggettiva.

E se non risulta possibile configurare un rapporto di alterità soggettiva tra l'ente pubblico partecipante e la società in house che ad esso fa capo, consegue, per un verso, che gli amministratori di tali società, in quanto preposti ad una struttura corrispondente ad un'articolazione interna dell'ente (e, precisamente, dell'ente pubblico socio), sono, quindi, a differenza degli amministratori delle altre società a partecipazione pubblica, personalmente legati all'ente partecipante da un vero e proprio rapporto di servizio, non diversamente da quel che accade per i dirigenti preposti ai servizi erogati direttamente dall'ente pubblico, e, per altro verso, che la distinzione tra il patrimonio dell'ente e quello della società si può porre in termini di separazione patrimoniale [evidentemente, per evitare che dei debiti della società possa essere chiamato a rispondere l'ente pubblico socio: Ibba, 2014, II, 13, 17, 18, per il quale la sentenza ha configurato la società in house come un patrimonio separato perfetto, tale cioè che, per un verso, tale patrimonio è riservato solo ai creditori il cui titolo sia correlato all'attività svolta dalla società (e non anche i creditori dell'ente pubblico) e, per altro verso, i creditori della società non possono agire, neanche in via sussidiaria, sul patrimonio generale dell'ente pubblico], ma non di distinta titolarità, con la conseguenza, quindi, che il danno eventualmente inferto al patrimonio della società dagli amministratori della società è arrecato da soggetti legati da un rapporto di servizio con l'ente pubblico che danneggia un patrimonio (separato, ma pur sempre) riconducibile a quest'ultimo. Si tratta, conclude la Corte, di un danno erariale, che attribuisce alla Corte dei conti la giurisdizione sulla relativa azione di responsabilità.

L'orientamento delle Sezioni unite in tema di società in house – anticipato da Cass. S.U.n. 10299/2013, che però ne aveva escluso la sussistenza nel caso deciso – è stato, in seguito, ribadito da: Cass. S.U., n. 16622/2014; Cass. S.U., n. 16240/2014; Cass.S.U. , n. 15943/, e Cass. S.U., n. 15942/2014; Cass. S.U., n. 15594/2014; Cass. S.U., n. 5491/2014; Cass. S.U., n. 7177/2014, secondo la quale «la verifica in ordine alla ricorrenza dei requisiti propri della società in house, come delineati dall'art. 113, comma 5, lett. c), del d.lgs 18 agosto 2000, n. 267 (come modificato dall'art. 15, comma 1, lett. d, del d.l. 30 settembre 2003, n. 269, convertito con modificazioni nella legge 24 novembre 2003, n. 326), la cui sussistenza costituisce il presupposto per l'affermazione della giurisdizione della Corte dei conti sull'azione di responsabilità esercitata nei confronti degli organi sociali per i danni da essi cagionati al patrimonio della società, deve compiersi con riguardo alle previsioni contenute nello statuto della società al momento in cui risale la condotta ipotizzata come illecita e non a quelle, eventualmente differenti, esistenti al momento in cui risulti proposta la domanda di responsabilità del P.G. presso la Corte dei conti»; Cass. S.U., n. 23306/2015, in motiv. (in senso critico all'attribuzione alla Corte dei conti della giurisdizione in caso di società in house, v. Ibba, 2012, 651; Ibba, 2014, 14, 15).

Il d.lgs. n. 175/2016 sembra aver confermato le conclusioni espresse dalle Sezioni Unite.

L'art. 12, comma 1, infatti, dopo aver stabilito che i componenti degli organi di amministrazione e controllo delle società partecipate sono soggetti alle azioni civili di responsabilità previste dalla disciplina ordinaria delle società di capitali, fondate, come visto, sulla distinzione tra danno al patrimonio della società (artt. 2392,2393,2394 e 2476 c.c.), devolute alla giurisdizione del giudice ordinario, e danno (diretto) al patrimonio del socio (ente pubblico), compreso il valore della partecipazione, devolute alla giurisdizione della Corte dei conti (art. 12, comma 2), ha espressamente fatto salva, in deroga al predetto criterio, la giurisdizione della Corte dei conti per il danno erariale causato dagli amministratori delle società in house : la quale, pertanto, è configurabile non solo in caso di danno diretto al socio pubblico, ma anche in ipotesi di danno arrecato al patrimonio della società. In tal senso, Cass. S.U., n. 24591/2016, per la quale «la riconduzione della materia in questione alla disciplina civilistica è attuata oggi dal d.lgs n. 175/2016 ..., del quale vanno particolarmente segnalate tre disposizioni. Quella del terzo comma dell'art. 1, secondo cui: “Per tutto quanto non derogato dalle disposizioni del presente decreto, si applicano alle società a partecipazione pubblica le norme sulle società contenute nel codice civile e le norme generali del diritto privato”. Quella dell'art. 12 (Responsabilità degli enti partecipanti e dei componenti degli organi delle società partecipate), a norma della quale “I componenti degli organi di amministrazione e controllo delle società partecipate sono soggetti alle azioni civili di responsabilità previste dalla disciplina ordinaria delle società di capitali, salva la giurisdizione della Corte dei conti per il danno erariale causato dagli amministratori e dai dipendenti delle società in house”. Quella dell'art. 14 (Crisi d'impresa di società a partecipazione pubblica), la quale non solo stabilisce che “Le società a partecipazione pubblica sono soggette alle disposizioni sul fallimento e sul concordato preventivo, nonché, ove ne ricorrano i presupposti, a quelle in materia di amministrazione straordinaria delle grandi imprese insolventi”, ma, soprattutto, testualmente menziona nell'ultimo comma la “dichiarazione di fallimento di una società a controllo pubblico titolare di affidamenti diretti”, facendo così inequivoco ed esplicito riferimento alle società in house, che, appunto, sono le società titolari di affidamenti diretti (cfr. art. 16, 10 comma). Disposizioni, queste, che non solo definitivamente esplicitano la riconduzione delle società a partecipazione pubblica all'ordinario regime civilistico ma, soprattutto, eliminano ogni dubbio circa il fatto che le società in house siano regolate dalla medesima disciplina che regola, in generale, le società partecipate, ad eccezione, quanto alle prime, della giurisdizione della Corte dei conti per il danno erariale causato dai loro amministratori e dipendenti. Risultano, così, legislativamente confermate (la stessa Relazione illustrativa al decreto legislativo in commento spiega che “le osservazioni volte a sottrarre le società in house al diritto comune delle crisi d'impresa non sono state accolte”) le conclusioni alle quali era ormai da tempo pervenuta la giurisprudenza di legittimità, la quale, per un verso, ha riconosciuto la sottoponibilità a fallimento delle società partecipate (sul rilievo che la scelta del legislatore di consentire all'ente pubblico l'esercizio di determinate attività mediante società di capitali, e dunque di perseguire l'interesse pubblico attraverso lo strumento privatistico, comporta che queste assumano i rischi connessi alla loro insolvenza, pena la violazione dei principî di uguaglianza e di affidamento dei soggetti che con esse entrano in rapporto ed attesa la necessità del rispetto delle regole della concorrenza, che impone parità di trattamento tra quanti operano all'interno di uno stesso mercato con identiche forme e medesime modalità – cfr. Cass. I n. 22209/2013) e, per altro verso, ha assoggettato amministratori e dipendenti delle società in house alla giurisdizione della Corte dei conti per danno erariale (sulla stregua, dunque, della Cass. S.U. n. 26283/2013)».

In definitiva, secondo la Corte, «le società a partecipazione pubblica costituiscono, in ambito societario, una categoria nella quale sono comprese, in termini di specialità, le società (non solo partecipate, ma) controllate da enti pubblici e le società in house; sicché il principio generale dettato dal citato comma 3 dell'art. 1 è destinato a valere anche per le società in house, ove non vi siano disposizioni specifiche di segno diverso. Ed una disposizione specifica per le società in house si rinviene, nell'art. 12 che, come s'è visto, riguarda la giurisdizione in tema di azioni di responsabilità degli organi sociali, ma non anche per quel che attiene alle controversie in materia di nomina o revoca degli organi sociali designati dal socio pubblico».

In definitiva, in tema di azione di responsabilità promossa nei confronti degli organi di gestione e di controllo di società di capitali partecipate da enti pubblici, sussiste la giurisdizione della Corte dei conti nel caso in cui tali società abbiano, al momento delle condotte ritenute illecite, tutti i requisiti per essere definite in house providing: così, Cass. S.U. n. 20632/2022; conf., Cass. S.U. n. 22712/2019; Cass. S.U. n. 16741/2019.

Il Consiglio di Stato, invece, nel parere n. 638 del 2017, ha espresso la necessità di definire con maggiore chiarezza le regole che presiedono al riparto di giurisdizione in ordine alla responsabilità degli amministratori delle società in house, poiché la formulazione attuale del comma 1 fa sorgere dubbi in ordine alla esclusività della giurisdizione della Corte dei conti per il danno erariale causato dagli amministratori e dai dipendenti delle società in house: «l'espressione “salva la giurisdizione della Corte dei conti per il danno erariale causato dagli amministratori e dai dipendenti delle società in house” che segue la previsione che attribuisce la giurisdizione al giudice ordinario, potrebbe infatti indurre a ritenere che vi possa essere una concorrenza di giurisdizioni anche in relazione alla medesima condotta».

La responsabilità civile e la responsabilità contabile. Il concorso delle azioni.

I criteri di riparto tra giurisdizione ordinaria e giurisdizione contabile, così come delineati dalle Sezioni Unite, lasciano, peraltro, impregiudicato il tema relativo al possibile concorso, ove fondate sul medesimo fatto illecito dannoso, tra le ordinarie azioni civili previste dal codice civile e l'azione del pubblico ministero contabile.

Si tratta, com'è evidente, di una questione che non è importante soltanto sul piano teorico ma, viste le differenze esistenti tra i due tipi di responsabilità, anche di grande rilevanza pratica.

Ed infatti, come è noto, mentre la responsabilità amministrativa è ritenuta contrattuale o extracontrattuale a seconda che sia fatta valere rispetto al danno arrecato all'ente pubblico di appartenenza ovvero ad un ente pubblico diverso (art. 1, comma 4, l. n. 20/1994), la responsabilità societaria è contrattuale verso la società (artt. 2392 e 2476 c.c.) ed è extracontrattuale verso il socio direttamente danneggiato (artt. 2395 e 2476, comma 6, c.c.).

In sede di responsabilità amministrativa, inoltre, rilevano solo le condotte caratterizzate da dolo o colpa grave (art. 1, comma 1, l. n. 20 cit.) mentre, in caso di responsabilità societaria, a meno di non voler applicare l'art. 2236 c.c., rileva anche la colpa lieve.

La responsabilità societaria si trasmette, poi, agli eredi, secondo le regole comuni, mentre responsabilità amministrativa non si trasmette agli eredi salvo il caso dell'indebito arricchimento (art. 1, comma 1, l. n. 20 cit.).

La responsabilità amministrativa è parziaria (art. 1, comma 1-quater, l. n. 20 cit.), nel senso che ciascuno risponde solo per la parte di danno che gli è imputabile (salvi i casi di illecito arricchimento o di dolo: art. 1, comma 1-quinquies, l. n. 20 cit.), mentre la responsabilità societaria è, di regola, solidale(artt. 2392,2476,2055 c.c.), per cui il contributo causale di ciascuno nella determinazione del danno rileva solo nei rapporti interni, in sede di regresso (art. 1299 c.c.), ma non anche verso il danneggiato, il quale, pertanto, può agire, nei confronti di ciascuno dei concorrenti al fatto, per l'intero (art. 1292 c.c.).

La responsabilità societaria si estende, oltre che agli amministratori che hanno partecipato alla deliberazione dell'atto dannoso, anche agli amministratori che non abbiano espressamente dissentito, ed, in ogni caso, coinvolge anche gli amministratori che non abbiano fatto il possibile per evitare o limitare il danno (art. 2392, comma 3, c.c.), mentre la responsabilità amministrativa coinvolge solo chi abbia votato favorevolmente all'atto che ha provocato il danno (art. 1, comma 1-ter, l. n. 20 cit.).

La responsabilità amministrativa consente al giudice contabile di limitare il risarcimento anche ad una parte del danno arrecato o del valore perduto (art. 52 del r.d. n. 1214/1934; art. 1, comma 1-bis, l. n. 20 cit.; art. 1, commi 231-232, l. n. 266/2005) mentre, in sede di responsabilità societaria, vige il principio generale della completa ed integrale risarcibilità del danno arrecato (art. 1223 c.c.), salvo il solo caso in cui il danno sia provato ma ne sia impossibile o estremamente difficile la liquidazione (art. 1226 c.c.).

La responsabilità amministrativa si prescrive in cinque anni con decorrenza in ogni caso dal fatto dannoso (art. 1, comma 2, l. n. 20 cit.) e tale termine può essere interrotto, prima del giudizio, solo una volta, con l'aggiunta al tempo residuo per raggiungere il quinquennio di un periodo massimo di due anni (art. 66, comma 1, d.lgs. n. 174/2016), mentre la responsabilità civile verso la società si prescrive in cinque anni dalla cessazione dall'incarico (art. 2393, comma 4, c.c., nella società per azioni; artt. 2476,2935 e 2941, n. 6, c.c., nella società a responsabilità limitata) mentre verso il socio direttamente danneggiato in cinque anni dall'atto illecito (artt. 2395 e 2476, comma 6, c.c.), suscettibili di interruzione secondo le regole ordinarie

In sede di responsabilità amministrativa rilevano in ogni caso i vantaggi ricevuti dall'amministrazione di appartenenza o da altra amministrazione (art. 1, comma 1-bis, l. n. 20 cit.) mentre, nella responsabilità societaria, i vantaggi compensativi non rilevano salvo che nel caso dei gruppi (art. 2497, comma 1, in fine, c.c.).

La responsabilità amministrativa è fatta valere dal pubblico ministero contabile (art. 73 del d.lgs. n. 174 cit.) e non è suscettibile di rinuncia o transazione, mentre la responsabilità societaria è suscettibile sempre di rinuncia o transazione, sia pur con la necessità di rispettare regole particolari a garanzia della minoranza, e non è obbligatoria.

In caso di fallimento, (o, con l’entrata in vigore del codice della crisi e dell’insolvenza, di liquidazione giudiziale), liquidazione coatta amministrativa o amministrazione straordinaria della società la responsabilità amministrativa rimane in capo al pubblico ministero contabile mentre la responsabilità societaria verso la società (ed i suoi creditori) si trasmette al curatore, al commissario liquidatore o al commissario straordinario (artt. 146, comma 2, lett. a, l. fall. e 2394-bis c.c.); art. 255, lett. a) e b), c.c.i.i.). In caso di concordato preventivo, invece, l’azione sociale spetta al liquidatore mentre l’azione dei creditori sociali rimane di esclusiva spettanza di ciascuno di essi (art. 115, commi 2 e 3, c.c.i.i.).

A fronte di regimi giuridici così diversi, risulta di particolare rilievo stabilire se l'azione del pubblico ministero contabile è esclusiva, nel senso che, relativamente al danno che lo stesso (nei termini descritti) può azionare, tale iniziativa esclude il possibile concorso delle ordinarie azioni civili, ovvero se, al contrario, l'azione del pubblico ministero contabile concorre, ove fondata sul medesimo fatto illecito, con le azioni civili ordinarie, esperibili, a seconda dei casi, ad iniziativa della società (o dei creditori sociali), in caso di danno al patrimonio sociale (artt. 2392,2393 e 2394 c.c.), ovvero del socio direttamente danneggiato, in caso di danno direttamente arrecato (artt. 2395 e 2476, comma 6, c.c.).

Nelle società partecipate (non qualificabili come società in house), infatti, in ipotesi di pregiudizio al patrimonio della società, non si pone alcun problema di concorso tra l'azione esercitata dal pubblico ministero contabile e l'azione sociale di responsabilità, da chiunque promossa, ivi compreso il curatore in caso di fallimento (artt. 146, comma 2, l. fall. e 2394-bis c.c.): in siffatta ipotesi, la giurisdizione spetta esclusivamente al giudice ordinario e non alla Corte dei conti.

In caso di danno diretto all'ente pubblico socio, invece, si pone il problema del concorso tra azione contabile e azione ordinaria ex art. 2395 c.c., non essendo chiaro se, in tale ipotesi, l'azione del pubblico ministero contabile concorra, pur a fronte della diversa disciplina e dei diversi risultati conseguibili, con l'azione individuale proponibile, innanzi al giudice ordinario, dal socio pubblico danneggiato exartt. 2395 e 2476, comma 6, c.c. (così Cass. S.U., n. 26806/2009, in motiv.; Cass. S.U., n. 4309/2010; Fimmanò, 2014, 72, nt. 57), oppure se, al contrario, l'azione contabile precluda al socio pubblico di azionare il danno direttamente subìto con l'azione civile ordinaria innanzi al giudice ordinario (Arbitro Unico di Torino 15 luglio 2008, est. Cagnasso, in Soc. 2010, 1270 ss., 1273 ss., il quale, peraltro, ha osservato che l'esclusività della giurisdizione della Corte dei conti per il caso del danno diretto al socio pubblico non esclude il concorso con l'azione sociale, in caso di danno al patrimonio sociale, innanzi al giudice ordinario: «l'esclusività comporta che l'ente pubblico possa solo avvalersi dell'azione di responsabilità amministrativa promossa dinanzi alla Corte dei Conti; non esclude che un soggetto privato, quale la società per azioni, possa a sua volta esperire una differente azione di responsabilità dinanzi al giudice ordinario. In tal modo, gli amministratori di società a prevalente partecipazione pubblica, coerentemente con la loro posizione “ibrida”, sarebbero soggetti ad un duplice regime di responsabilità, utilizzabile l'uno solo dall'ente pubblico, l'altro solo dalla società o dagli altri soggetti legittimati».

Sul punto, cfr. Ibba, 2016, 1233, per il quale, a norma dell'art. 73 del codice di giustizia contabile (secondo cui «il pubblico ministero, al fine di realizzare la tutela dei crediti erariali, può esercitare tutte le azioni a tutela delle ragioni del creditore previste dalla procedura civile, ivi compresi i mezzi di conservazione della garanzia patrimoniale di cui al libro VI, Titolo III, Capo V, del codice civile»), la procura contabile potrebbe agire, in via surrogatoria, in caso d'inerzia dei soci pubblici e degli altri soggetti legittimati le azioni di responsabilità verso i componenti degli organi sociali nonché verso i soci nel caso dell'art. 2476, penultimo comma, c.c. Cfr., altresì, al riguardo, Nazzicone, 7 ss.

In tale senso, anche App. Napoli 2 ottobre 2015, che ha sottolineato «la possibilità, non sempre adeguatamente valorizzata, che la Procura contabile agisca  ex  art. 2392 c.c.  nei confronti degli amministratori in via surrogatoria dell'ente socio la cui inerzia pregiudichi il valore della partecipazione sociale».

Lo stesso dubbio vale, con riguardo tanto al danno al patrimonio sociale, quanto al danno diretto al socio (pubblico), nelle società in house, non essendo chiaro se l'azione contabile concorra con le azioni civili ordinarie (ad iniziativa, in caso di danno al patrimonio sociale, della società o del curatore del suo fallimento; ovvero, in caso di danno diretto, ad iniziativa del socio pubblico danneggiato) o se, al contrario, l'azione contabile precluda alla società o al socio pubblico di proporre, innanzi al giudice ordinario, l'azione risarcitoria ordinaria.

In realtà, non sembra possano sussistere dubbi particolari in ordine alla possibilità, nel caso delle società in house (tanto in ipotesi di danno diretto, quanto di danno al patrimonio sociale) e nelle altre società pubbliche (ma solo per il caso del danno diretto), di un concorso tra l'azione contabile e l'azione civile ordinaria: se non altro perché, a ben vedere, ciò che determina l'insorgenza delle azioni (contabile ed ordinaria) e delle corrispondenti giurisdizioni (contabile ed ordinaria) non è, semplicemente, il danno (al patrimonio sociale ovvero al patrimonio dell'ente pubblico socio) ma, più ampiamente, il tipo di inadempimento che l'ha determinato.

Più precisamente, la giurisdizione appartiene alla Corte dei conti solo se l'inadempimento riguarda i doveri giuridici che gli amministratori della società partecipata hanno in conseguenza, appunto, del rapporto di servizio che, sia pur solo occasionalmente, li lega all'ente pubblico socio (Cass. S.U., n. 5163/2004, per cui in tema «di responsabilità per danno erariale, l'esistenza di un rapporto di servizio, quale presupposto per un addebito di responsabilità al detto titolo, non è limitata al rapporto organico o al rapporto di impiego pubblico, ma è configurabile anche quando il soggetto, benché estraneo alla pubblica amministrazione, venga investito, anche di fatto, dello svolgimento, in modo continuativo, di una determinata attività in favore della pubblica amministrazione, con inserimento nell'organizzazione della medesima, e con particolari vincoli ed obblighi diretti ad assicurare la rispondenza dell'attività stessa alle esigenze generali cui è preordinata»; Cass. S.U., n. 4309/2010, in motiv., in relazione al dovere degli amministratori della società, riconducibile al rapporto di servizio, di predisporre una «particolare cura» per evitare comportamenti che possano compromettere la ragione della partecipazione dell'ente pubblico al capitale della società e che possano arrecare un danno diretto al patrimonio dell'ente; Cass. S.U., n. 16240/2014, in motiv., con riferimento alla necessità, perché possa ravvivarsi la giurisdizione contabile, che il danno erariale dipenda da comportamenti illegittimi tenuti dall'agente nell'esercizio di quelle funzioni per le quali possa dirsi che egli è inserito nell'apparato dell'ente pubblico così da assumere la veste di agente dell'amministrazione; Corte Conti, sez. di controllo per la Regione Sardegna, 31 maggio 2010, n. 24, secondo cui «vi sono, quindi, specifici obblighi in capo agli amministratori delle società c.d. in house ma anche a carico dell'ente locale che è tenuto, nell'ambito del c.d. controllo analogo, a porre in essere un'attenta azione di direzione, coordinamento e supervisione delle attività delle società in questione tale da indirizzare le stesse verso la realizzazione di una politica di contenimento della spesa del personale. Pertanto ... Là dove, poi, sia ravvisabile un danno all'erario potrebbe configurarsi un'ipotesi di responsabilità amministrativa degli amministratori perseguibile nelle competenti sedi giurisdizionali».

In effetti, per la devoluzione alla cognizione della Corte dei conti dei giudizi di responsabilità non è sufficiente che l'ente danneggiato per effetto della condotta attiva od omissiva dell'amministratore o del funzionario abbia natura pubblica e che le risorse monetarie siano pubbliche; occorre, anche, che la gestione di quelle risorse sia assoggetta nei vari momenti della destinazione, dell'impegno della erogazione e della contabilizzazione ai vincoli previsti per la spesa del denaro pubblico e che l'evento di danno sia collegato causalmente con la inosservanza, da parte dell'autore della condotta, degli obblighi di servizio su di lui gravanti, a tutela del corretto impiego del pubblico denaro, secondo la disciplina regolatrice dell'esercizio della funzione (Relazione dell'Ufficio del Massimario della Corte di cassazione n. 3/2003, citata da Salvato 2014, 40) e il danno che, per l'effetto, è stato cagionato direttamente al patrimonio dell'ente (e, nel caso della società in house, anche il patrimonio della società): solo in tali ipotesi, infatti, può trovare applicazione, in sede di giurisdizione contabile, la disciplina sostanziale del rapporto di servizio ed, in caso di inadempienza ai correlativi doveri giuridici, la conseguente responsabilità amministrativa.

Se, invece, l'inadempimento ha danneggiato il patrimonio del socio pubblico (e, nel caso della società in house, il patrimonio della società quale sua mera articolazione) ma ha riguardato non i doveri conseguenti al rapporto di servizio ma solo quelli che gravano sull'amministratore della società in funzione della gestione dell'impresa e dell'organizzazione dell'ente, al pari di ogni altra società (Cass. S.U., n. 26283/2013, in motiv., evidenzia che «in mancanza di disposizioni specifiche di segno contrario, il paradigma organizzativo va desunto dal modello societario», ivi compresi, dunque, i doveri giuridici previsti in funzione dell'amministrazione della società; Cass. S.U., n. 24591/2016, per cui «... è, bensì, vero che le Sezioni unite di questa Corte, nella già menzionata sentenza n. 26283/2013, hanno affermato che le società in house costituiscono in realtà articolazioni della pubblica amministrazione da cui promanano e non soggetti giuridici ad essa esterni e da essa autonomi; tuttavia, hanno altresì avuto cura di precisare che siffatta affermazione va intesa ai limitati fini del riparto di giurisdizione. Precisazione, questa, che si riferisce, ovviamente, al riparto di giurisdizione riguardante l'azione di responsabilità per danni arrecati dall'illegittimo comportamento degli organi sociali al patrimonio della società, che costituiva oggetto di quel giudizio. Il tipo di rapporto che lega gli organi di una società in house all'ente pubblico da cui la società promana è, infatti, fin troppo simile a quello che intercorre tra la medesima amministrazione ed i propri dipendenti per poter giustificare un diverso regime di responsabilità, quanto alla giurisdizione ed ai riflessi sulle regole che presidiano la responsabilità di quei soggetti. Ciò non implica però, necessariamente, che anche sotto ogni altro profilo l'adozione del paradigma organizzativo societario che caratterizza le società in house sia irrilevante e che le regole proprie del diritto societario siano poste fuori gioco. Sarebbe illogico postulare che la scelta di quel paradigma privatistico per la realizzazione delle finalità perseguite dalla pubblica amministrazione sia giuridicamente priva di conseguenze, ed è viceversa del tutto naturale che quella scelta, ove non vi siano specifiche disposizioni in contrario o ragioni ostative di sistema, comporti l'applicazione del regime giuridico proprio dello strumento societario adoperato»), la responsabilità che grava sugli amministratori non può essere diversa da quella di ogni altro amministratore di società e la relativa giurisdizione appartiene solo ed esclusivamente al giudice ordinario.

Naturalmente, può accadere che, a fondamento dell'una e dell'altra iniziativa, sia dedotto il medesimo fatto materiale, e cioè quando lo stesso comportamento possa, come in effetti per lo più accade, configurarsi come inadempimento rilevante tanto dell'uno quanto dell'altro gruppo di doveri giuridici (in tal senso, Rordorf, 427 ss., il quale, infatti, pur evidenziando che «... le sezioni unite della Suprema corte hanno affermato la giurisdizione della Corte dei conti nei confronti degli amministratori pubblici di enti privati, in materia di responsabilità patrimoniale per danno erariale, escludendo che rilevi in contrario la natura privatistica dell'ente e dello strumento contrattuale con il quale questo sia stato costituito», ha nondimeno rilevato che «sarebbe arduo dedurre da ciò la non configurabilità di una coesistente eventuale responsabilità anche civile degli amministratori e dei componenti degli organi di controllo di nomina pubblica, ove ricorrano le condizioni postulate dai citati artt. 2392 ss. del codice, non foss'altro per il rapporto di solidarietà passiva che li lega agli altri componenti dei medesimi organi, cui indiscutibilmente quella responsabilità si attaglia»).

In siffatte ipotesi, invero, non si pone un problema di giurisdizione (posto che l'affermazione dell'una non esclude necessariamente l'altra: cfr., in generale, Cass. S.U., n. 25495/2009, per cui, in materia di concessione, la giurisdizione erariale per l'azione di risarcimento dei danni derivanti all'Amministrazione dalla violazione degli obblighi di servizio del concessionario e la giurisdizione per l'azione contrattuale diretta a far valere l'adempimento, ovvero le conseguenze dell'inadempimento nascenti dal rapporto concessorio, sono reciprocamente indipendenti nei loro profili istituzionali, anche quando investono il medesimo fatto materiale, e l'eventuale interferenza, che può determinarsi tra tali giudizi, pone un problema di proponibilità dell'azione di responsabilità davanti alla Corte dei conti e non una questione di giurisdizione; Cass. S.U., n. 22277/2004, per cui giurisdizione penale e giurisdizione civile per risarcimento dei danni derivanti da reato, da un lato, e giurisdizione contabile, dall'altro, sono reciprocamente indipendenti nei loro profili istituzionali, anche quando investono un medesimo fatto materiale, e l'eventuale interferenza che può determinarsi tra tali giudizi pone esclusivamente un problema di proponibilità dell'azione di responsabilità davanti alla Corte dei conti, senza dar luogo a questione di giurisdizione) ma di mera proponibilità dell'azione, ove sia volta al risarcimento del medesimo danno già ottenuto con l'altra (sul rischio, in tal caso, di una soddisfazione prioritaria del socio pubblico rispetto ai soci privati ovvero ai creditori sociali tutte le volte in cui il pubblico ministero contabile abbia proficuamente agito, per il pregiudizio arrecato al patrimonio sociale, prima della società o dei suoi creditori o, in caso di fallimento, del relativo curatore, cfr. Lamorgese, 345, 346) e, nella misura in cui le azioni sia volte al risarcimento di pregiudizi differenti, di mero cumulo delle stesse nei confronti del medesimo responsabile (App. Napoli, 27 ottobre 2015. In generale, sul tema della responsabilità degli amministratori di società pubblica, cfr. Cass. S.U., n. 5848/2015, in motiv., per cui la giurisdizione penale e civile, da un lato, e la giurisdizione contabile, dall'altro, sono reciprocamente indipendenti nei loro profili istituzionali anche quando investono un medesimo fatto materiale per cui «non è sufficiente che, in una determinata situazione, sia ravvisabile la giurisdizione della Corte dei conti per escludere che sussista anche la giurisdizione del tribunale civile».

Cass. S.U. n. 22406/ 2018; Cass. S.U. n. 10019/2019, per cui l'azione di responsabilità esercitata, ex art. 146, comma 2, l.fall., dal curatore del fallimento di una società cd. in house nei confronti degli amministratori, dei componenti degli organi di controllo e del direttore generale della stessa, è devoluta alla giurisdizione del giudice ordinario, in conseguenza della scelta del paradigma privatistico, che comporta, in mancanza di specifiche disposizioni in contrario o di ragioni ostative di sistema, l'applicazione del regime giuridico proprio dello strumento societario adoperato, salva la giurisdizione contabile sulle controversie in materia di danno erariale eventualmente ascrivibile alla condotta degli anzidetti soggetti, sicché, ove sia prospettato anche un danno erariale, deve ritenersi ammissibile la proposizione, per gli stessi fatti, di un giudizio civile e di un giudizio contabile risarcitorio.  

Le due giurisdizioni, quindi, possono anche concorrere e, quando investono il medesimo fatto materiale, l'interferenza tra i due giudizi non si pone in termini di giurisdizione ma solo di proponibilità dell'azione risarcitoria, a fronte dell'impossibilità di risarcire due volte lo stesso danno e della conseguente improponibilità dell'azione proposta dopo l'esito vittorioso della prima: C. conti, 3 novembre 2005, n. 356).

L'affermazione della sussistenza, accanto alla responsabilità amministrativa in sede contabile – e nei limiti della stessa così come delineati dall'art. 1 della legge n. 20/1994 – della responsabilità civile degli amministratori della società pubblica, specie se si tratta di società in house, comporta, evidentemente, che, in caso di inadempimento ai doveri giuridici stabiliti dalla legge o dallo statuto per l'amministrazione della società, sono azionabili, innanzi al giudice ordinario, i rimedi risarcitori ordinari, così come stabiliti e disciplinati dagli artt. 2392,2393,2394,2394-bis, 2395,2476 c.c., ad iniziativa dei soggetti ordinariamente legittimati al loro esperimento, ivi compreso, ad es., l'amministratore giudiziario (art. 2409, comma 5, c.c.), il collegio sindacale (art. 2393, comma 3, c.c.), il singolo socio della società a responsabilità limitata (art. 2476, comma 3, c.c.) nonché, in caso di fallimento, liquidazione coatta amministrativa ed amministrazione straordinaria, ove utilizzabili, il curatore, il commissario liquidatore o il commissario straordinario (artt. 146, comma 2, lett. a, l.fall. e 2394-bis c.c.).

E non solo: con riguardo alle società a partecipazione pubblica, devono ritenersi esperibili, specie in caso di società in house con socio pubblico diverso dallo Stato (l'art. 19, comma 6, del d.l. 1 luglio 2009, n. 78, conv. con l. 3 agosto 2009, n. 102, ha chiarito che, ai fini di cui all'art. 2497, comma 1, c.c., per enti debbano intendersi i soggetti giuridici collettivi, diversi dallo Stato, che detengono la partecipazione sociale nell'ambito della propria attività imprenditoriale ovvero per finalità di natura economica o finanziaria), i rimedi previsti, per il caso di abusivo esercizio del potere di direzione e coordinamento (ossia quando tale potere sia esercitato in violazione delle regole di corretta gestione imprenditoriale e societaria e nell'interesse imprenditoriale proprio o di altri) dall'art. 2497 c.c. (Codazzi, 2015, I, 1041), vale a dire: a) l'azione volta al risarcimento dei danni cagionati al patrimonio della società eterodiretta, ad iniziativa della società stessa (o dal curatore del relativo fallimento o liquidazione giudiziale); b) l'azione volta al risarcimento del danno arrecato al valore ed alla redditività della partecipazione, ad iniziativa dei soci della società eterodiretta; c) l'azione volta al risarcimento dei danni arrecati ai creditori della società eterodiretta, per la lesione inferta al suo patrimonio, nei limiti in cui sia diventato insufficiente alla loro soddisfazione (arg. ex art. 2394 c.c.).

Tali rimedi, peraltro, sono esperibili nei confronti non solo dell'ente che abbia abusato del proprio potere di direzione e coordinamento, ma anche, in via solidale, di chiunque abbia preso parte del fatto lesivo (come gli amministratori dell'ente che abbia abusato e degli amministratori della società eterodiretta, che non si siano opposti alle direttive pregiudizievoli della capogruppo) e, nei limiti del vantaggio ricevuto, anche di chi ne abbia tratto consapevolmente beneficio.

In effetti, in caso di controllo analogo, così come delineato dalle Sezioni Unite della Corte di cassazione, non può negarsi che il potere di direzione e coordinamento – che, come è noto, sussiste in capo alla società o all'ente che controlla la società ai sensi dell'art. 2359 c.c., salvo prova contraria, ovvero quando, a norma degli artt. 2497-sexies e 2497-septies c.c., se ne provi la sussistenza sulla base di un contratto con la società medesima o di clausole del suo statuto, come, ad es., la riserva esclusiva all'ente pubblico del potere di nomina e revoca di tutti gli amministratori e sindaci (Caprara, 557 ss., 559) – sia, per definizione, esercitato non nell'interesse della società eterodiretta ma, proprio perché mera articolazione interna dell'ente pubblico socio, nell'interesse esclusivo di quest'ultimo o della comunità che lo stesso rappresenta, integrando ex se l'abuso sanzionato dall'art. 2497 c.c. (Fimmanò, 2014, 81, 82, con riferimento all'ente pubblico, ai suoi amministratori e dirigenti, oltre che agli organi ed ai dirigenti della stessa società in house.

Le responsabilità dei dirigenti degli enti partecipanti al capitale.

L'art. 12, dopo aver previsto che «i componenti degli organi di amministrazione e controllo delle società partecipate sono soggetti alle azioni civili di responsabilità previste dalla disciplina ordinaria delle società di capitali, salva la giurisdizione della Corte dei conti per il danno erariale causato dagli amministratori e dai dipendenti delle società in house» e che «è devoluta alla Corte dei conti, nei limiti della quota di partecipazione pubblica, la giurisdizione sulle controversie in materia di danno erariale di cui al comma 2» (comma 1), ha stabilito che «costituisce danno erariale il danno, patrimoniale o non patrimoniale, subito dagli enti partecipanti, ivi compreso il danno conseguente alla condotta dei rappresentanti degli Enti pubblici partecipanti o comunque dei titolari del potere di decidere per essi, che, nell'esercizio dei propri diritti di socio, abbiano con dolo o colpa grave pregiudicato il valore della partecipazione» (comma 2).

La giurisprudenza contabile aveva, del resto, già evidenziato che, anche per evitare di incorrere in responsabilità personali, gli amministratori dell'ente socio devono far sì che l'ente pubblico esplichi un'effettiva vigilanza ed è stato rilevato che «il controllo dell'Amministrazione pubblica, nei confronti delle società a partecipazione totale, non possa limitarsi ad una verifica successiva sulla gestione, attraverso l'approvazione del bilancio, né ridursi al mero esercizio del potere di nomina dei rappresentanti dell'ente in seno al Consiglio di Amministrazione della società partecipata, ma deve essere un controllo attuale, puntuale e concomitante all'attività gestionale della società, da effettuarsi anche con l'ausilio di specifici poteri ispettivi» (C. conti, sez. giurisd. Toscana, 28 aprile 2009, n. 267).

Pertanto, ove gli amministratori della società non rispettino le indicazioni ricevute ovvero gestiscano la società in modo da mettere a repentaglio il patrimonio investito dall'ente o le risorse comunque fornite da quest'ultimo, i soggetti che hanno la gestione della partecipazione sono tenuti ad intraprendere le iniziative necessarie a salvaguardia dell'ente medesimo, che possono giungere sino alla proposta della revoca ed alla proposizione dell'azione di responsabilità nei confronti dell'amministratore della società che non adempia correttamente al suo incarico. In caso di omissione, non può che emergere la loro responsabilità per i danni subiti dall'ente.

Valgano in proposito le conclusioni affermate dalla giurisprudenza contabile in una situazione nella quale è stato ritenuto che l'insieme dei comportamenti di alcuni sindaci dei Comuni soci di una società, che aveva perso l'intero capitale sociale a seguito dell'intervenuto fallimento, fossero idonei a configurare responsabilità amministrativa nei loro confronti per «l'aver nominato, quali componenti del c.d.a., persone prive dei necessari requisiti di professionalità e competenza; l'aver approvato i bilanci quando erano già emerse numerose irregolarità nella gestione; l'aver omesso un'adeguata vigilanza sulla gestione e l'aver omesso di esperire l'azione di responsabilità di cui all'art. 2393 c.c. nei confronti degli amministratori» (C. conti, sez. giurisd. Toscana, 28 aprile 2009, n. 267).

Sussiste la giurisdizione della Corte dei conti nei confronti dei soggetti, amministratori o dirigenti dell'ente locale, che in qualità di rappresentante dell'ente partecipante o comunque titolare del potere di decidere per suo conto, abbiano trascurato di esercitare i diritti spettanti al socio, finendo col pregiudicare il valore della partecipazione, ovvero abbiano compromesso la ragione stessa della partecipazione sociale dell'ente pubblico, strumentale al perseguimento di finalità pubbliche ed implicante l'impiego di risorse pubbliche, ovvero, ancora, abbiano arrecato direttamente pregiudizio al patrimonio della società (in tal senso Cass. S.U., n. 10299/2013, sul rilievo che «non v'è ragione per dubitare della giurisdizione del giudice contabile in ordine all'azione proposta nei confronti del Sindaco e dell'Assessore comunale, restando evidentemente poi rimessa a quel medesimo giudice, in sede di merito, ogni valutazione circa la possibilità d'individuare nel caso di specie un danno imputabile ad azioni o omissioni di quei soggetti e riferibile (non già al patrimonio della società partecipata, bensì) direttamente all'Ente pubblico comunale»).

Bibliografia

Caprara, Attività di direzione e coordinamento di società: la responsabilità dell'ente pubblico, in Soc. 2008, 557; Codazzi, Enti pubblici e direzione e coordinamento di società: considerazioni alla luce dell'art. 2497, comma 1, c.c., in Giur. comm. 2015, I, 1041; Fimmanò, La giurisdizione sulle «società in house providing», in Soc. 2014, 55; Ibba, Responsabilità erariale e società in house, in Giur. comm. 2014, II, 13; Ibba, Crisi dell'impresa e responsabilità degli organi sociali nelle società pubbliche dopo il testo unico, in Nuove leggi civ. comm. 2016, 6, 1233; Ibba, Responsabilità degli amministratori di società pubbliche e giurisdizione della Corte dei conti, in Giur. comm. 2012, I, 641; Ibba, Tipologia e «natura» delle società a partecipazione pubblica, in Le società a partecipazione pubblica, a cura Guerrera, Torino, 2010; Lamorgese, Società a partecipazione pubblica, responsabilità, giurisdizione, in Giur. comm. 2011, II, 332; Nazzicone, La riforma delle “società pubbliche”: note di diritto societario, in giudicedonna.it, n. 4/2016; Novelli-Venturini, La responsabilità amministrativa di fronte all'evoluzione delle pubbliche amministrazioni ed al diritto delle società, Milano, 2008; Rordorf, Le società pubbliche nel codice civile, in Soc. 2005, 427; Salvato, Responsabilità degli organi sociali nelle società in house, in Soc. 2014, 33.

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