Decreto legislativo - 19/08/2016 - n. 175 art. 16 - Societa' in house

Giuseppe Dongiacomo

Società in house

 

1. Le società in house ricevono affidamenti diretti di contratti pubblici dalle amministrazioni che esercitano su di esse il controllo analogo o da ciascuna delle amministrazioni che esercitano su di esse il controllo analogo congiunto solo se non vi sia partecipazione di capitali privati, ad eccezione di quella prescritta da norme di legge e che avvenga in forme che non comportino controllo o potere di veto, né l'esercizio di un'influenza determinante sulla società controllata.

2. Ai fini della realizzazione dell'assetto organizzativo di cui al comma 1:

a) gli statuti delle società per azioni possono contenere clausole in deroga delle disposizioni dell'articolo 2380-bis e dell'articolo 2409-novies del codice civile;

b) gli statuti delle società a responsabilità limitata possono prevedere l'attribuzione all'ente o agli enti pubblici soci di particolari diritti, ai sensi dell'articolo 2468, terzo comma, del codice civile;

c) in ogni caso, i requisiti del controllo analogo possono essere acquisiti anche mediante la conclusione di appositi patti parasociali; tali patti possono avere durata superiore a cinque anni, in deroga all'articolo 2341-bis, primo comma, del codice civile.

3. Gli statuti delle società di cui al presente articolo devono prevedere che oltre l'ottanta per cento del loro fatturato sia effettuato nello svolgimento dei compiti a esse affidati dall'ente pubblico o dagli enti pubblici soci [e che la produzione ulteriore rispetto al suddetto limite di fatturato sia consentita solo a condizione che la stessa permetta di conseguire economie di scala o altri recuperi di efficienza sul complesso dell'attività principale della società.] 1

3-bis. La produzione ulteriore rispetto al limite di fatturato di cui al comma 3, che può essere rivolta anche a finalità diverse, è consentita solo a condizione che la stessa permetta di conseguire economie di scala o altri recuperi di efficienza sul complesso dell'attività principale della società 2.

4. Il mancato rispetto del limite quantitativo di cui al comma 3 costituisce grave irregolarità ai sensi dell'articolo 2409 del codice civile e dell'articolo 15 del presente decreto.

5. Nel caso di cui al comma 4, la società può sanare l'irregolarità se, entro tre mesi dalla data in cui la stessa si è manifestata, rinunci a una parte dei rapporti [di fornitura] con soggetti terzi, sciogliendo i relativi rapporti contrattuali, ovvero rinunci agli affidamenti diretti da parte dell'ente o degli enti pubblici soci, sciogliendo i relativi rapporti. In quest'ultimo caso le attività precedentemente affidate alla società controllata devono essere riaffidate, dall'ente o dagli enti pubblici soci, mediante procedure competitive regolate dalla disciplina in materia di contratti pubblici, entro i sei mesi successivi allo scioglimento del rapporto contrattuale. Nelle more dello svolgimento delle procedure di gara i beni o servizi continueranno ad essere forniti dalla stessa società controllata 3.

6. Nel caso di rinuncia agli affidamenti diretti, di cui al comma 5, la società può continuare la propria attività se e in quanto sussistano i requisiti di cui all'articolo 4. A seguito della cessazione degli affidamenti diretti, perdono efficacia le clausole statutarie e i patti parasociali finalizzati a realizzare i requisiti del controllo analogo.

7. Le società di cui al presente articolo sono tenute all'acquisto di lavori, beni e servizi secondo la disciplina di cui al decreto legislativo n. 50 del 2016. Resta fermo quanto previsto dagli articoli 5 e 192 del medesimo decreto legislativo n. 50 del 2016 4.

Inquadramento

Le società in house erano definite come quelle società in cui sussiste la contemporanea presenza di tre requisiti: 1) il capitale sociale sia integralmente detenuto da uno o più enti pubblici per l'esercizio di pubblici servizi e lo statuto vieti la cessione delle partecipazioni a privati; 2) la società esplichi statutariamente la propria attività prevalente in favore degli enti partecipanti, in modo che l'eventuale attività accessoria non implichi una significativa presenza sul mercato e rivesta una valenza meramente strumentale; 3) la gestione sia per statuto assoggettata a forme di controllo analoghe a quelle esercitate dagli enti pubblici sui propri uffici, con modalità e intensità di comando non riconducibili alle facoltà spettanti al socio ai sensi del codice civile.

Su tale nozione, il d.lgs. n. 175, come ora si dirà, ha in parte inciso, modificando la definizione tradizionale.

Resta fermo, però, che, nonostante i (numerosi) profili di disciplina speciale di seguito esposti, esse sono soggetti privati.

Con riguardo all'assoggettabilità a fallimento (e alla liquidazione giudiziale) ed a concordato preventivo delle società in house, si rimanda al commento all'art. 14 d.lgs. n. 175/ 2016.

La nozione di società in house

Le norme comuni, in via tendenziale, trovano applicazione anche per le società c.d. in house.

Si tratta delle società – il cui modello è stato delineato dalla sentenza Teckal della Corte di Giustizia CE 18 novembre 1999, in causa C-107/98, per escludere la necessità di una gara nell'affidamento di un determinato contratto pubblico «solo nel caso in cui, nel contempo, l'ente locale eserciti sulla persona di cui trattasi un controllo analogo a quello da esso esercitato sui propri servizi e questa persona realizzi la parte più importante della propria attività con l'ente o gli enti locali che la controllano» (in senso conf., le successive sentenze della Corte di Giustizia CE Parkin Brixen del 13 ottobre 2005 e Stadt Halle del 11 gennaio 2005) – costituite da uno o più enti pubblici di cui, almeno in linea di principio, solo tali enti possono essere soci, che statutariamente svolgono la propria attività esclusivamente o comunque prevalentemente in favore degli enti partecipanti e la cui gestione sia per statuto assoggettata a forme di controllo analoghe a quello esercitato dagli enti pubblici sui propri uffici (in giurisprudenza, in tal senso Cass. S.U., n. 26283/2013; in precedenza, in tal senso Cass. S.U., n. 10299/2013, che però ne aveva escluso la sussistenza nel caso deciso; in seguito, in senso conf., Cass. S.U., n. 16622/2014; Cass. S.U., n. 16240/2014; Cass. S.U. , n. 15943/2014 e n. 15942; Cass. S.U., n. 15594/2014; Cass. S.U., n. 5491/2014; Cass. S.U., n. 7177/2014, secondo la quale «la verifica in ordine alla ricorrenza dei requisiti propri della società in house ... deve compiersi con riguardo alle previsioni contenute nello statuto della società al momento in cui risale la condotta ipotizzata come illecita e non a quelle, eventualmente differenti, esistenti al momento in cui risulti proposta la domanda di responsabilità del P.G. presso la Corte dei conti»; Cass. S.U., n. 23306/2015, in motiv.; Cass. S.U., n. 5848/2015, per la quale sono in house solo le società «le cui azioni non possono per statuto appartenere neppure in parte a soci privati, il cui oggetto sociale prevede un'attività da prestare prevalentemente in favore dell'ente pubblico partecipante e che, sempre in base ad apposite previsioni statutarie, sono assoggettate ad una minuziosa forma di controllo da parte del socio pubblico così da implicare una subordinazione dei suoi organi amministrativi alla volontà di quello al punto da renderle assimilabili ad una sua articolazione interna»; si è, tuttavia, ammesso che i requisiti per qualificare una società di capitali come in house providing possono risultare, oltre che dalle disposizioni statutarie in vigore all'epoca dei fatti, anche dall'esterno ove la sussistenza di un controllo analogo, che diverso da quello gerarchico è posto in essere da un soggetto distinto da quello controllato, sia ricavabile da normative che consentono all'ente pubblico partecipante di dettare le linee strategiche e le scelte operative, con il presidio a monte di un adeguato flusso di informazioni tale da incidere sulla complessiva governance della società in house, preservando le finalità pubbliche che comunque la permeano e costituiscono la stella polare del controllo, quale elemento dinamico che connette concretamente la stessa società con il pubblico ente. (Cass. S.U. n. 20632/2022, che ha confermato la decisione del giudice contabile, che aveva ritenuto sussistente la propria giurisdizione qualificando società in house providing una società di gestione di un acquedotto il cui statuto riservava alla preventiva approvazione dell'assemblea dei soci, il cui maggiore azionista era un ente locale, l'autorizzazione del programma annuale e triennale della gestione e degli investimenti, nonché la sottoscrizione di convenzioni pubbliche e la realizzazione di investimenti eccedenti un predeterminato limite di valore; sulle società in house, cfr., in dottrina, tra gli altri, Corradino-Rizzo, 843 ss.; sulle società in house alla luce del d.lgs. n. 175, D'Orazio, 2017, 30 ss.).

I predetti requisiti devono sussistere contemporaneamente e trovare il loro fondamento in precise e non derogabili disposizioni dello statuto sociale (Cass. S.U., n. 5848/2015, che non ha dato rilievo al fatto che la società fosse divenuta in house nel corso della sua esistenza, non essendo tale «al tempo in cui i suoi amministratori e sindaci hanno tenuto i comportamenti dai quali scaturirebbe la responsabilità loro imputata nel giudizio di cui trattasi né al tempo in cui si è verificato il pregiudizio patrimoniale cui l'azione risarcitoria tende a porre rimedio»; Cass. S.U., n. 15942/2014, con riferimento ad una società già in house ma poi, all'epoca dei fatti, partecipata da un socio privato; Cass. S.U., n. 7177/2014, con riferimento ad una società non in house all'epoca dei fatti ma divenuta tale in seguito): la società può, in tal modo, essere affidataria diretta di contratti pubblici dalle amministrazioni che, in via esclusiva o congiunta, esercitano su di esse il controllo analogo (art. 16, comma 1, d.lgs. n. 175).

In ordine al primo, il capitale sociale può anche far capo ad una pluralità di soci, purché si tratti di enti pubblici: nel passato, peraltro, si è ritenuto necessario non solo che i soci fossero tutti pubblici, ma pure che lo statuto inibisse in modo assoluto la possibilità di cessione a privati delle partecipazioni societarie di cui gli enti pubblici siano titolari (Cass. S.U., n. 7177/2014; Cass. S.U., n. 27992/2013); la società in house, quindi, non era configurabile nel caso in cui il capitale fosse formato anche dalla partecipazione, sia pur minoritaria, di un socio privato o, più in generale, quando lo statuto sociale non lo vietasse inequivocamente (questa previsione può anche conseguire all'entrata in vigore di una successiva disposizione normativa imperativa con la conseguente nullità delle clausole statutarie incompatibili: Cass. S.U., n. 16622/2014, in motiv.). Il d.lgs. n. 175, invece, coerentemente a quanto disposto dalla Direttiva 2014/24 UE, ha stabilito che alle società in house non partecipano capitali privati, con salvezza dei casi previsti da norme di legge e sempre che la partecipazione di capitali privati avvenga in forme che non comportino controllo o potere di veto, né l'esercizio di un'influenza determinante sulla società controllata (art. 16, comma 1).

Il requisito della destinazione esclusiva o, comunque, prevalente dell'attività esercitata dalla società in favore dell'ente o degli enti soci, pur presentando innegabilmente un qualche margine di elasticità, postulava che, in ogni caso, l'attività accessoria (che era, quindi, possibile), oltre ad essere marginale, rivestisse una valenza meramente strumentale rispetto alla prestazione del servizio d'interesse economico generale svolto dalla società in via principale. Il d.lgs. n. 175, confermando tale principio, ha, tuttavia, quantificato la misura della destinazione dell'attività esercitata dalla società in favore dell'ente o degli soci, stabilendo che gli statuti di tali società devono prevedere che oltre l'ottanta per cento del loro fatturato sia effettuato nello svolgimento dei compiti a esse affidati dall'ente pubblico o dagli enti pubblici soci (art. 16, comma 3). Per i criteri di calcolo del fatturato si può far riferimento a quanto previsto dall'art.  12, comma 5, Direttiva 2014/24/UE, recepito, con identica formulazione, dall'art.  5, comma 7, del nuovo codice dei contratti pubblici: «per determinare la percentuale delle attività di cui al paragrafo 1, primo comma, lettera b), al paragrafo 3, primo comma, lettera b), e al paragrafo 4, lettera c), si prende in considerazione il fatturato totale medio, o una idonea misura alternativa basata sull'attività, quali i costi sostenuti dalla persona giuridica o amministrazione aggiudicatrice in questione nei campi dei servizi, delle forniture e dei lavori per i tre anni precedenti l'aggiudicazione dell'appalto» (Fimmanò-Occorsio, 372 ss., 384, nt. 48; D'Orazio, 2017, 34).

Il requisito del controllo analogo (il d.lgs. n. 175, in effetti, definisce, all'art. 2, comma 1, lett. o, le società in house proprio con riferimento al controllo analogo: sono tali, infatti, «le società sulle quali un'amministrazione esercita il controllo analogo o più amministrazioni esercitano il controllo analogo congiunto»), infine, sussiste quando l'ente pubblico socio abbia il potere, previsto dallo statuto ovvero, come consentito dall'art. 16, comma 2, lett. c), del d.lgs. n. 175, mediante la stipula di «appositi patti parasociali», anche di durata superiore a cinque anni (in precedenza, sui patti parasociali, quali strumenti per realizzare il controllo analogo, v. Novelli-Venturini, 441 ss.; in senso contrario, Guerra, 774 ss., 789, 790), di dettare, in via diretta, le linee strategiche e le scelte operative della società in house.

Il controllo analogo.

L'art. 2, comma 1, lett. c) e d), del d.lgs. n. 175 definisce, in effetti, il «controllo analogo» come «la situazione in cui l'amministrazione esercita su una società un controllo analogo a quello esercitato cui propri servizi, esercitando un'influenza determinante sia sugli obiettivi strategici che sulle decisioni significative della società controllata», precisando che tale controllo può essere esercitato anche da una persona giuridica diversa, a sua volta controllata allo stesso modo dall'amministrazione partecipante, e che il «controllo analogo congiunto» è «la situazione in cui l'amministrazione esercita congiuntamente con altre amministrazioni su una società un controllo analogo a quello esercitato sui propri servizi», chiarendo che tale situazione si verifica al ricorrere delle condizioni previste dall'art. 5, comma 5, del d.lgs. n. 50/2016, vale a dire quando: a) gli organi decisionali della persona giuridica controllata sono composti da rappresentanti di tutte le amministrazioni aggiudicatrici o enti aggiudicatori partecipanti; b) tali amministrazioni aggiudicatrici o enti aggiudicatori sono in grado di esercitare congiuntamente un'influenza determinante sugli obiettivi strategici e sulle decisioni significative di detta persona giuridica; c) la persona giuridica controllata non persegue interessi contrari a quelli delle amministrazioni aggiudicatrici o degli enti aggiudicatori controllanti.

Gli organi amministrativi di tale società sono, quindi, privi di reale autonomia gestionale ed in posizione di vera e propria subordinazione gerarchica rispetto al potere gerarchico dell'ente pubblico titolare della partecipazione sociale (Cass. S.U., n. 26283/2013; Cons. St. n. 1181/2014: «è necessario che il consiglio di amministrazione della società affidataria in house non abbia rilevanti poteri gestionali e che l'ente pubblico affidante ..., eserciti, pur se con moduli societari su base statutaria, poteri di ingerenza e di condizionamento superiori a quelli tipici del diritto societario, che sono invece caratterizzati da un margine di rilevante autonomia della governance rispetto alla maggioranza azionaria»; Cons. St. n. 762/2013, per cui: «secondo la giurisprudenza comunitaria il «controllo analogo» dei soci pubblici sulla società in house costituisce un «potere assoluto» di direzione, coordinamento e supervisione dell'attività del soggetto partecipato, e che riguarda l'insieme dei più importanti atti di gestione del medesimo»).

L'ente pubblico esercita in via diretta un potere di comando sulla gestione con modalità e con un'intensità peculiari, che non possono essere ricondotti né all'influenza dominante, che, in base alle norme del codice civile, il titolare della partecipazione maggioritaria o totalitaria è normalmente in grado di esercitare sull'assemblea della società (e neppure quella particolare facoltà, riconosciuta all'ente pubblico socio, di procedere alla nomina degli amministratori a norma dell'art. 2449 c.c.: Cass. S.U., n. 27992/2013) e, di riflesso, sulla scelta degli organi sociali; né al potere di direzione e coordinamento che il socio eserciti sulla società, per effetto del controllo ai sensi dell'art. 2359 c.c. o per effetto di particolari vincoli contrattuali, a norma degli artt. 2497 ss. c.c., situazione che attiene all'individuazione delle linee strategiche dell'attività d'impresa, ma non arriva al punto di annullare del tutto l'autonomia gestionale della società controllata; né, infine, ai «particolari diritti riguardanti l'amministrazione» (art. 2468, comma 3, c.c.) che l'atto costitutivo di una società a responsabilità limitata può riservare ai soci: in tali ipotesi, gli amministratori conservano una propria sfera di autonomia decisionale ed hanno, quindi, il dovere, se del caso, di discostarsi da direttive ove illegittime, nello stesso modo in cui, nella società a responsabilità limitata, i diritti speciali di amministrazione non sono equiparabili, in presenza di un amministratore non socio, ad un rapporto di natura gerarchica da cui quest'ultimo sia vincolato, restando comunque intatto il suo primario dovere di perseguire l'interesse sociale, che conserva pur sempre un qualche grado di autonomia rispetto a quello personale del socio, tant'è che risponde dei danni arrecati insieme al socio che ne abbia autorizzato o deciso gli atti dannosi ai sensi dell'art. 2476, comma 7, c.c.

Nelle società in house, invece, la subordinazione dei suoi amministratori all'ente pubblico partecipante ed al suo potere di intervento diretto sulla gestione sociale non lascia spazio a possibili aree di autonomia né consente agli amministratori di esprimere un eventuale motivato dissenso (come, in effetti, talvolta consentito da leggi speciali che prevedono l'adozione di direttive vincolanti: cfr. in tal senso, l'art. 1, comma 9, d.l. 12 luglio 2004, n. 168, conv. con legge 30 luglio 2004 n. 191 e l'art. 3, commi 12-16, della legge 24 dicembre 2007, n. 244).

Tale impostazione è stata, tuttavia, criticata da chi ha evidenziato l'impossibilità di rinvenire nel diritto societario gli strumenti per articolare il controllo analogo così come preteso dalle Sezioni Unite, affermando, in particolare, la nullità delle clausole statutarie che, in vista o in costanza di un affidamento in house, sottraggano il potere di gestione agli amministratori affidandolo, ad organi atipici in «organismi intercomunali di coordinamento», «comitati tecnici di controllo», «organismi paritetici dei sindaci», «comitati di controllo analogo», ecc.: infatti, «nessuna norma, né interna né comunitaria, autorizza il superamento di norme imperative della disciplina codicistica al fine di ottenere il controllo analogo, e nessuna norma attribuisce agli enti locali, in relazione alle società affidatarie dirette di servizi, alcuna potestà normativa che li abiliti a derogare al diritto comune», per cui «devono ritenersi illegittime le clausole statutarie che sottraggano il potere di gestione agli amministratori affidandolo ad organi atipici», né può dubitarsi della validità delle delibere o degli atti con i quali gli organi amministrativi della società decidano di non rispettare gli ordini formulati dal socio pubblico sulla base delle predette clausole (Ibba, 2014, 15; nonché Cossu, 2016, 808 ss.; Salvato, 2014, 46, il quale rileva che «né la S.p.a., né la S.r.l., per definizione, sono idonee a permettere la configurazione del controllo analogo nei rigorosi termini richiesti dalla Corte di giustizia ... siffatto controllo non sarebbe ipotizzabile in base alle regole civilistiche (neanche in forza di patti parasociali), in quanto impediscono un controllo così invasivo del socio sull'amministrazione»; nello stesso senso, Fimmanò, 2014, 74 ss., il quale, almeno per la società per azioni, rileva che tale tipo impedisce per la sua natura un controllo invasivo del socio sull'amministrazione del tipo di quello richiesto dalla corte per la sussistenza del controllo analogo e che «la riforma del diritto societario ha accentuato questa caratteristica inibendo agli azionisti, o meglio all'assemblea, qualsiasi forma di «intrusione» nell'attività gestoria»: «in caso di società per azioni ... non c'è alcuna possibile previsione statutaria o parasociale che possa rendere gli amministratori degli «automi». Si tratterebbe in ogni caso di soggetti che possono gestire la società come vogliono anche contro le direttive impartite o contro «improbabili» clausole c.d. «di controllo analogo», pena la revoca dalla carica e l'azione risarcitoria. Ma evidentemente il potere di nomina e revoca (e di deliberare l'eventuale azione di responsabilità) non è certo eccezionale rispetto a ciò che si verifica nel diritto comune. Davvero non vediamo nel diritto delle società per azioni modalità per realizzare nei confronti degli organi della società partecipata ”un rapporto gerarchico che non lascia spazio a possibili aree di autonomia e di eventuale motivato dissenso” ... Anche laddove il dominio dell'ente-socio, ... venga realizzato nella s.p.a. attraverso il contratto di servizio ... trattandosi peraltro di controllo analogo a quello realizzato sui propri servizi (e quindi anche nel nomen più adeguato), questo al massimo può realizzarsi attraverso una vera e propria “sostituzione” nella gestione dell'attività, laddove l'amministratore “ribelle” non dia seguito alle direttive dell'ente-dominus. In questo caso tuttavia non si porrà un problema di “immedesimazione” ma al limite di una gestione di fatto dell'impresa effettuata dall'esterno, od in via sostitutiva, che comunque non realizza alcuno squarcio del velo della personalità giuridica. Ma anche in questo caso non si realizzerà “un rapporto gerarchico che non lascia spazio a possibili aree di autonomia e di eventuale motivato dissenso”, in quanto comunque l'amministratore “ammutinato” sarà libero di fare quel che vuole, pena la revoca e la reazione risarcitoria. Discorso analogo può essere fatto nella società a responsabilità limitata, dove è possibile addirittura che il socio in sostanza ... amministri. Tuttavia anche in questo caso ciò non comporta alcuna eccezione al diritto comune. La S.r.l. partecipata dalla P.A. che intervenga direttamente a gestire al posto degli amministratori non realizza «un rapporto gerarchico che non lascia spazio a possibili aree di autonomia e di eventuale motivato dissenso», ma configura una situazione tipica che l'ordinamento prevede e che in caso di mala gestio sanziona .... ex art. 2476, comma 7, c.c. Anche in questo caso non c'è alcuna ipotesi di piercing the corporate veil»; Guerrera, 2015, 785).

La giurisprudenza, invece, ha ritenuto la validità di tali clausole statutarie (Trib. Mantova, 8 maggio 2007).

Quanto al giudice amministrativo (Cons. St., n. 5808/2009; Cons. St. n. 5082/2009), in particolare, esso si è occupato della previsione statutaria concernente un'assemblea dei sindaci dei comuni, con la quale i comuni soci si riservano il potere, ad esercizio necessariamente congiunto, di approvare in via preventiva tutti gli atti più rilevanti della società, come le deliberazioni da sottoporre all'assemblea straordinaria, quelle in materia di acquisti e cessioni di beni e partecipazioni, quelle relative alle modifiche dei contratti di servizio, quelle in tema di nomina degli organi e quelle in relative al piano industriale); ed ha ritenuto che «in definitiva, il requisito del “controllo analogo” postula un rapporto che lega gli organi societari della società affidataria con l'ente pubblico affidante, in modo che quest'ultimo sia in grado, con strumenti pubblicistici o con mezzi societari di derivazione privatistica, di indirizzare “tutta” l'attività sociale attraverso gli strumenti previsti dall'ordinamento; risulta quindi indispensabile che le decisioni più importanti siano sempre sottoposte al vaglio preventivo dell'ente affidante o, in caso di in house frazionato, della totalità degli enti pubblici soci» (Cons. St. n. 8970/2009).

E tale indirizzo è stato, alla fine, recepito dal legislatore: l'art. 16, comma 2, lett. a) e c) del d.lgs. n. 175, in deroga alle norme codicistiche sul funzionamento e sulla ripartizione di competenze degli organi ed allo scopo di assicurare il ruolo penetrante svolto dall'ente o dagli enti pubblici soci nei confronti dell'organo amministrativo delle società in house, ha, infatti, espressamente ammesso che gli statuti di tali società, ove abbiano la forma della società per azioni, possano contenere clausole che derogano il principio, stabilito dall'art. 2380- bisc.c., per la gestione della società spetta esclusivamente agli amministratori (o, nel sistema dualistico, al consiglio di gestione: art. 2409-novies c.c.) e che gli statuti delle società in house a responsabilità limitata possono prevedere l'attribuzione all'ente o agli enti pubblici soci di particolari diritti, a norma dell'art. 2468, comma 4, c.c., in materia di amministrazione della società, aventi ad oggetto potere di decidere direttamente, senza passare per l'organo amministrativo, gli atti più rilevanti nella vita sociale ovvero – in modo più mediato – l'attribuzione del diritto di nominare o revocare l'amministratore.

Si reputa (Fimmanò-Occorsio, 387) dunque che, in ambito statutario, per realizzare il controllo analogo non sarebbe sufficiente prevedere un sistema di autorizzazioni assembleari ex art. 2364, n. 5, c.c., ovvero, per le società che abbiano adottato il sistema dualistico, di deliberazioni ex art. 2409-terdecies, comma f-bis: ciò perché permarrebbe in capo ai gestori (come osservato da Guerrera, 2015, 780) un «margine di discrezionalità incompatibile con la richiesta situazione di asservimento», con la conseguente necessità di consentire clausole statutarie o parasociali che, in deroga alle disposizioni previste dagli artt. 2380-bis e 2409-novies c.c., possono riguardare, oltre alla modalità di nomina degli amministratori, proprio le competenze dell'organo amministrativo, che deve condividere il potere gestorio con la pubblica amministrazione controllante.

Fino ad arrivare ad altre possibili forme di autoregolamentazione negoziale del gruppo, non necessariamente contenute nello statuto della società in house, come il contratto di coordinamento gerarchico con l'ente controllante ed il c.d. regolamento di gruppo, quali luoghi e strumenti più appropriati per formalizzare e disciplinare il rapporto di asservimento funzionale della società alla cura dell'interesse pubblico (Guerrera, 2015, 781), compresa l'introduzione di organi sociali atipici (Fimmanò, Occorsio, 390, al fine di provvedere a tutte le deliberazioni ed approvazioni, preliminari a quelle degli organi sociali ad esse deputati dal codice civile, per alcune decisioni societarie), non trovando, dunque, applicazione, con riferimento alle società in house, l'art. 11, comma 9, lett. d), del d.lgs. n. 175, ai sensi del quale gli statuti delle società a controllo pubblico prevedono «il divieto di istituire organi diversi da quelli previsti dalle norme generali in tema di società

».

Altra questione riguarda, invece, il fatto che l'art. 16 consente ma non impone la deroga al principio di cui all'art. 2380-bis c.c. da parte degli statuti societari, tant'è che il Consiglio di Stato, nel parere n. 638 del 14 marzo 2017, richiama l'esigenza di un chiarimento delle questioni inerenti, in primo luogo, alla facoltatività delle modifiche statutarie che consentirebbero l'attribuzione di poteri gestionali al socio («in assenza delle modifiche statutarie adottate in deroga all'art. 2380-bis non sarebbe possibile disporre affidamenti in house in favore di società per azioni, perché non potrebbe concretizzarsi il requisito del controllo analogo»); in secondo luogo, circa la sussistenza della responsabilità degli amministratori, «perché la disciplina non deroga espressamente al disposto dell'art. 2364 c.c., n. 5 che mantiene la responsabilità degli amministratori per gli atti eventualmente rimessi alla competenza dell'assemblea»; in terzo luogo, per quanto riguarda la mancata previsione della possibilità di derogare all'art. 2355- bis c.c., il quale prevede che ogni vincolo alla trasferibilità delle azioni non possa eccedere il limite quinquennale: «il superamento del limite quinquennale è consentito solo per i patti parasociali, con chiare differenze rispetto al regime di opponibilità ai terzi».

La società in house come articolazione dell'ente pubblico

Resta, comunque, il fatto che, in ragione dei suoi connotati tipici, le società in house hanno della società di capitali solo la forma esteriore, mutuandone il «paradigma organizzativo»: nella realtà, esse si configurano come una mera articolazione operativa dell'ente pubblico da cui promanano, a guisa di un'azienda speciale, rispetto al quale, pertanto, non si pongono in termini di alterità soggettiva, con la conseguenza, per un verso, che gli amministratori di tali società, in quanto preposti ad una struttura corrispondente ad un'articolazione interna dell'ente (e, precisamente, dell'ente pubblico socio), sono, a differenza degli amministratori delle altre società a partecipazione pubblica, personalmente legati all'ente partecipante da un vero e proprio rapporto di servizio, non diversamente da quel che accade per i dirigenti preposti ai servizi erogati direttamente dall'ente pubblico, e, per altro verso, che la distinzione tra il patrimonio dell'ente e quello della società si può porre in termini di separazione patrimoniale ma non di distinta titolarità, per cui il danno eventualmente inferto al patrimonio della società dagli amministratori della società è arrecato da soggetti legati da un rapporto di servizio con l'ente pubblico che danneggia un patrimonio (separato, ma pur sempre) riconducibile a quest'ultimo: la natura erariale di tale danno attribuisce, pertanto, alla Corte dei conti la giurisdizione sui giudizi che riguardano la relativa responsabilità.

L'applicabilità della disciplina civilistica per le parti non derogate.

Per ogni altro profilo, tuttavia, le società in house restano società private, come tali assoggettate, salvo che per le deroghe previste dallo stesso d.lgs. n. 175, alla norme che il codice civile detta in tema di società di capitali. In tal senso, in effetti, depongono, oltre all'art. 1, comma 3, cit., anche l'art. 12, per il quale «i componenti degli organi di amministrazione e controllo delle società partecipate sono soggetti alle azioni civili di responsabilità previste dalla disciplina ordinaria delle società di capitali, salva la giurisdizione della Corte dei conti per il danno erariale causato dagli amministratori e dai dipendenti delle società in house», nonché l'art. 14, il quale non solo stabilisce che «le società a partecipazione pubblica sono soggette alle disposizioni sul fallimento e sul concordato preventivo, nonché, ove ne ricorrano i presupposti, a quelle in materia di amministrazione straordinaria delle grandi imprese insolventi», ma, soprattutto, testualmente menziona, nell'ultimo comma, la «dichiarazione di fallimento di una società a controllo pubblico titolare di affidamenti diretti», facendo così inequivoco ed esplicito riferimento alle società in house, che, appunto, sono le società titolari di affidamenti diretti (art. 16, comma 1).

Tali disposizioni non solo definitivamente esplicitano la riconduzione delle società a partecipazione pubblica all'ordinario regime civilistico ma, soprattutto, eliminano ogni dubbio circa il fatto che le società in house siano regolate dalle medesime norme che regolano, in generale, le società partecipate, ad eccezione, quanto alle prime, della giurisdizione della Corte dei conti per il danno erariale causato dai loro amministratori e dipendenti.

Risultano, così, legislativamente confermate (ed, in effetti, la stessa Relazione illustrativa al decreto legislativo in commento spiega che «le osservazioni volte a sottrarre le società in house al diritto comune delle crisi d'impresa non sono state accolte») le conclusioni alle quali era ormai da tempo pervenuta la giurisprudenza di legittimità: la quale, per un verso, ha riconosciuto la sottoponibilità a fallimento (e alla liquidazione giudiziale) delle società partecipate (sul rilievo che la scelta del legislatore di consentire all'ente pubblico l'esercizio di determinate attività mediante società di capitali, e dunque di perseguire l'interesse pubblico attraverso lo strumento privatistico, comporta che queste assumano i rischi connessi alla loro insolvenza, pena la violazione dei principî di uguaglianza e di affidamento dei soggetti che con esse entrano in rapporto ed attesa la necessità del rispetto delle regole della concorrenza, che impone parità di trattamento tra quanti operano all'interno di uno stesso mercato con identiche forme e medesime modalità: Cass. n. 22209/2013) e, per altro verso, ha assoggettato amministratori e dipendenti delle società in house alla giurisdizione della Corte dei conti per danno erariale (Cass. S.U., n. 26283/2013). In siffatto contesto si può affermare che le società a partecipazione pubblica costituiscono, in ambito societario, una categoria nella quale sono comprese, in termini di specialità, le società (non solo partecipate, ma) controllate da enti pubblici e le società in house, sicché il principio generale dettato dal citato comma 3 dell'art. 1 è destinato a valere anche per le società in house, ove non vi siano disposizioni specifiche di segno diverso (Cass. S.U., n. 24591/2016, in motiv.).

L'oggetto sociale.

La norma dell'art. 4 prevede, al comma 4, che le società in house hanno come oggetto sociale esclusivo «una o più» delle attività di cui alle lettere a), b), d) ed e) del comma 2.

La norma, nella sua iniziale formulazione, faceva generico riferimento alle attività di cui alle lettere in questione, e poteva, dunque, prestarsi a due interpretazioni.

Una prima opzione ermeneutica, più restrittiva, al fine di evitare che l'eccezionalità di figure giuridiche derogatorie del principio dell'affidamento di servizi mediante gara possa determinare, poi, in concreto, un'alterazione o comunque una distorsione della concorrenza all'interno di un mercato di riferimento, riteneva che l'oggetto sociale esclusivo resterebbe solo una delle attività indicate alle lettere a), b), d) ed e).

Secondo altra ricostruzione, invece, rilevando come la norma non facesse riferimento ad una delle attività, bensì alle attività indicate alle lettere a), b), d) ed e), era legittimo il ricorso a processi di aggregazione, consentendo, ad esempio, di abbandonare l'idea che l'esercizio di un'attività di servizio pubblico sia incompatibile con quella di servizio strumentale.

La versione definitiva del decreto, prevedendo che le società in house possono avere come oggetto sociale esclusivo una o più attività di cui alle lettere a), b), d) ed e) di cui al comma 2, aderisce alla prospettazione più ampia, consentendo, in definitiva, alle società in house di avere come oggetto sociale esclusivo tutte le attività consentite di cui al comma 2 – ad eccezione della realizzazione e gestione di un'opera pubblica ovvero organizzazione e gestione di un servizio d'interesse generale attraverso un contratto di partenariato, prevista alla lett. c) – e non solamente una di esse, vale a dire, in sintesi: — produzione di servizio di interesse generale; — progettazione e realizzazione di un'opera pubblica; — autoproduzione di bene e servizi strumentali; — servizi di committenza in base al Codice dei contratti.

L'attività che costituisce l'oggetto sociale della società in house dev'essere, quindi, espressamente limitata ad «una o più delle attività di cui alle lettere a), b), d) ed e) del comma 2» (art. 4, comma 4), sicché qualsiasi attività che fuoriesca da questi limiti è un'attività compiuta al di fuori dell'oggetto sociale, che tuttavia rimarrà valida, stante la conformazione del potere di rappresentanza nelle società di capitali (cfr. artt. 2384 e 2475-bis c.c.), che non risulta derogata in alcun modo dalla norma in esame (Fimmanò-Occorsio, 383, 384).

Tali attività, però, come detto, devono essere prevalentemente svolte nei confronti degli enti costituenti o partecipanti o affidanti: e tale prevalenza è rispettata, secondo quanto indicato nelle Direttive 2014/23-24-25/UE sugli appalti pubblici, se la percentuale di fatturato derivante dall'attività affidata alla società dall'amministrazione controllante sia superiore all'80% del totale (art. 16, comma 3). L'attività nei confronti di soggetti diversi è, quindi, ammessa, sempre nei limiti dell'esclusività dell'oggetto, ma solo se essa generi fatturato inferiore al 20% del totale. Inoltre, l'attività nei confronti dei terzi è possibile solo laddove consenta «di conseguire economie di scale o altri recuperi di efficienza sul complesso dell'attività principale della società» (art. 16, comma 3-bis).

Si tratta, a questo punto, di stabilire le conseguenze del mancato rispetto, da un lato, dell'esclusività dell'attività sociale e, dall'altro, della proporzione tra percentuale di fatturato che deve essere generata dall'attività verso la pubblica amministrazione controllante e fatturato derivante dall'attività con terzi, si ripercuotono anche sugli statuti delle società coinvolte.

Nella prima ipotesi, valgono i criteri generali che regolano i rapporti con i terzi, ai quali, a norma degli artt. 2380-bis e 2384 c.c., l'estraneità all'oggetto sociale è inopponibile.

Nella seconda ipotesi, invece, l'art. 16 contempla una disciplina che può portare ad effetti, oltre che sul piano gestorio, anche nei confronti dei terzi. Infatti, il comma 4 di tale articolo prevede che il mancato rispetto del «limite quantitativo di cui al comma 3 costituisce grave irregolarità ai sensi dell'articolo 2409 c.c.» . 

Il comma 5, tuttavia, regola una particolare procedura di “sanatoria” dell'irregolarità, che comporta importanti effetti anche nei confronti dei terzi. La società, infatti, entro tre mesi dalla data in cui l'attività extra moenia si è manifestata, può rinunciare a una parte dei rapporti con soggetti terzi ovvero agli affidamenti diretti da parte dell'ente o degli enti pubblici soci. In entrambi i casi, la società potrà (e dovrà) procedere, con l'esercizio di un potere di recesso legale unilaterale (Fimmanò-Occorsio, 386), “sciogliendo i relativi rapporti” (e non soltanto, come era nella originaria formulazione della norma, i rapporti “di fornitura” con i soggetti terzi: pertanto la sanatoria potrà aversi mediante rinuncia a qualsivoglia rapporto con soggetti terzi).

Nel caso in cui si opti per una rinuncia agli affidamenti diretti, le attività precedentemente affidate alla società controllata «devono essere riaffidate, dall'ente o dagli enti pubblici soci, mediante procedure competitive regolate dalla disciplina in materia di contratti pubblici, entro i sei mesi successivi allo scioglimento del rapporto contrattuale, e nelle more dello svolgimento delle procedure di gara i beni o servizi continueranno ad essere forniti dalla stessa società controllata» (art. 16, comma 5), che potrà continuare la propria attività se e in quanto sussistano i requisiti di cui all'art. 4 (art. 16, comma 6). A seguito della cessazione degli affidamenti diretti, «perdono efficacia le clausole statutarie e i patti parasociali finalizzati a realizzare i requisiti del controllo analogo» (art. 16, comma 6), configurandosi, in tal modo, una particolare condizione risolutiva legale di clausole statutarie, di cui dovrà essere data pubblicità (con effetti costitutivi, secondo la norma di cui all'art. 2436 c.c.) nel competente registro delle imprese non sulla base, come di regola avviene, di una delibera assembleare di modifica statutaria bensì ad una comunicazione da parte dell'organo amministrativo (che di per sé non richiede la forma notarile), al verificarsi della rinuncia – compiuta, anch'essa, da parte dell'organo amministrativo – agli affidamenti diretti (Fimmanò-Occorsio, 386, 387).

Bibliografia

Corradino-Rizzo, L'affidamento in house, in L'appalto pubblico e gli altri contratti della P.A., diretto da Caringella e Protto, Bologna, 2012; Cossu, Le Sezioni Unite non compongono il contrasto di giurisdizione in materia di società a partecipazione pubblica totalitaria, in Giur. comm. 2016, II, 792; D'Orazio, La nozione di impresa pubblica, Procedure concorsuali e diritto pubblico, a cura di D'Orazio e Monteferrante, Milanofiori Assago, 2017; Fimmanò, La giurisdizione sulle «società in house providing», in Soc. 2014, 55; Fimmanò, Occorsio, Atti e statuti delle società pubbliche alla luce della riforma «corretta», in Not. 2017, 372; Guerra, Il «controllo analogo», in Giur. comm. 2011, I, 774; Guerrera, Autonomia statutaria e tipologia delle società in house, in Giust. civ. 2015, 775; Ibba, Responsabilità erariale e società in house, in Giur. comm. 2014, II, 13; Novelli-Venturini, La responsabilità amministrativa di fronte all'evoluzione delle pubbliche amministrazioni ed al diritto delle società, Milano, 2008; Salvato, Responsabilità degli organi sociali nelle società in house, in Soc. 2014, 33.

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