Decreto legislativo - 19/08/2016 - n. 175 art. 2 - Definizioni

Giuseppe Dongiacomo

Definizioni

 

1. Ai fini del presente decreto si intendono per:

a) «amministrazioni pubbliche»: le amministrazioni di cui all'articolo 1, comma 2, del decreto legislativo n. 165 del 2001, i loro consorzi o associazioni per qualsiasi fine istituiti, gli enti pubblici economici e le autorità di sistema portuale 1;

b) «controllo»: la situazione descritta nell'articolo 2359 del codice civile. Il controllo può sussistere anche quando, in applicazione di norme di legge o statutarie o di patti parasociali, per le decisioni finanziarie e gestionali strategiche relative all'attività sociale è richiesto il consenso unanime di tutte le parti che condividono il controllo;

c) «controllo analogo»: la situazione in cui l'amministrazione esercita su una società un controllo analogo a quello esercitato sui propri servizi, esercitando un'influenza determinante sia sugli obiettivi strategici che sulle decisioni significative della società controllata. Tale controllo può anche essere esercitato da una persona giuridica diversa, a sua volta controllata allo stesso modo dall'amministrazione partecipante;

d) «controllo analogo congiunto»: la situazione in cui l'amministrazione esercita congiuntamente con altre amministrazioni su una società un controllo analogo a quello esercitato sui propri servizi. La suddetta situazione si verifica al ricorrere delle condizioni di cui all'articolo 5, comma 5, del decreto legislativo 18 aprile 2016, n. 50;

e) «enti locali»: gli enti di cui all'articolo 2 del decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267;

f) «partecipazione»: la titolarità di rapporti comportanti la qualità di socio in società o la titolarità di strumenti finanziari che attribuiscono diritti amministrativi;

g) «partecipazione indiretta»: la partecipazione in una società detenuta da un'amministrazione pubblica per il tramite di società o altri organismi soggetti a controllo da parte della medesima amministrazione pubblica;

h) «servizi di interesse generale»: le attività di produzione e fornitura di beni o servizi che non sarebbero svolte dal mercato senza un intervento pubblico o sarebbero svolte a condizioni differenti in termini di accessibilità fisica ed economica, continuità, non discriminazione, qualità e sicurezza, che le amministrazioni pubbliche, nell'ambito delle rispettive competenze, assumono come necessarie per assicurare la soddisfazione dei bisogni della collettività di riferimento, così da garantire l'omogeneità dello sviluppo e la coesione sociale, ivi inclusi i servizi di interesse economico generale;

i) «servizi di interesse economico generale»: i servizi di interesse generale erogati o suscettibili di essere erogati dietro corrispettivo economico su un mercato;

l) "società": gli organismi di cui ai titoli V e VI, capo I, del libro V del codice civile, anche aventi come oggetto sociale lo svolgimento di attività consortili, ai sensi dell'articolo 2615-ter del codice civile 2;

m) «società a controllo pubblico»: le società in cui una o più amministrazioni pubbliche esercitano poteri di controllo ai sensi della lettera b);

n) «società a partecipazione pubblica»: le società a controllo pubblico, nonché le altre società partecipate direttamente da amministrazioni pubbliche o da società a controllo pubblico;

o) «società in house»: le società sulle quali un'amministrazione esercita il controllo analogo o più amministrazioni esercitano il controllo analogo congiunto , nelle quali la partecipazione di capitali privati avviene nelle forme di cui all'articolo 16, comma 1, e che soddisfano il requisito dell'attività prevalente di cui all'articolo 16, comma 3 3;

p) «società quotate»: le società a partecipazione pubblica che emettono azioni quotate in mercati regolamentati; le società che hanno emesso, alla data del 31 dicembre 2015, strumenti finanziari, diversi dalle azioni, quotati in mercati regolamentati [; le società partecipate dalle une o dalle altre, salvo che le stesse siano anche controllate o partecipate da amministrazioni pubbliche] 45.

[5] A norma dell'articolo 51, comma 1-bis, del D.L. 17 maggio 2022, n. 50, convertito con modificazioni dalla Legge 15 luglio 2022, n. 91, il termine di cui alla presente lettera è fissato, per le società del comparto energetico, al 31 dicembre 2021.

Inquadramento

Le società pubbliche sono società costituite o comunque partecipate, in una percentuale, di volta in volta, minoritaria, maggioritaria o totalitaria, dallo Stato o da un ente pubblico, anche locale, sia economico, che non economico.

Si tratta di strumenti operativi dei quali l'amministrazione pubblica si serve al fine di realizzare, in via indiretta, finalità pubbliche connesse all'esercizio delle proprie competenze istituzionali.

Il loro sviluppo è direttamente connesso ad una più generale evoluzione dello Stato nell'epoca contemporanea, in base alla quale quest'ultimo tende ad utilizzare, soprattutto nel campo dei servizi pubblici, moduli di azione e di organizzazione propri del diritto privato (Corte cost. n. 35/1992, in motiv.).

Le società partecipate da un ente pubblico, in effetti, non perdono, in linea di principio, la loro natura di enti privati per il solo fatto che il loro capitale sia formato – anche per intero – da conferimenti provenienti dallo Stato o da altro ente pubblico.

La Relazione ministeriale al codice civile, del resto, è sul punto esplicita: «in questo caso lo Stato medesimo si assoggetta alla legge delle società per azioni per assicurare alla propria gestione maggiore snellezza di forme e nuove possibilità realizzatrici. La disciplina comune delle società per azioni deve, pertanto, applicarsi anche alle società con partecipazione dello Stato o di enti pubblici senza eccezioni, in quando norme speciali non dispongono diversamente».

Il codice civile, in effetti, pur dedicando alle «società con partecipazione dello Stato o di enti pubblici» un'apposita sezione del capo della società per azioni – attualmente composta dal solo art. 2449, nel testo risultante dalle modifiche apportate (a seguito della pronuncia della Corte UE 6 dicembre 2007, in C-464/04) dall'art. 13 della l. 25 febbraio 2008, n. 34 (l'art. 2450 c.c. è stato, invece, abrogato dall'art 3, comma 1, del d.l. 15 febbraio 2007, n. 10, convertito con modificazioni dalla legge 6 aprile 2007, n. 46) – non detta, salvo che per i profili inerenti alla nomina e alla revoca degli organi sociali, ivi specificamente contemplati, uno statuto speciale delle società a partecipazione pubblica.

E così, in effetti, ha disposto, più di recente, l'art. 4, comma 13, quarto periodo, del d.l. 6 luglio 2012, n. 95, convertito, con modificazioni, dalla l. 7 agosto 2012, n. 135, secondo cui «le disposizioni del presente articolo e le altre disposizioni, anche di carattere speciale, in materia di società a totale o parziale partecipazione pubblica si interpretano nel senso che, per quanto non diversamente stabilito e salvo deroghe espresse, si applica comunque la disciplina del codice civile in materia di società di capitali»: tale norma, infatti, ancorché introdotta in un provvedimento legislativo volto specificamente al contenimento della spesa pubblica (cosiddetta spending review), ha natura esplicitamente interpretativa e si caratterizza quale clausola normativa ermeneutica generale, imponendo all'interprete (il quale dubiti dell'interpretazione di disposizioni, anche di carattere speciale, in materia di società a totale o parziale partecipazione pubblica) di optare, salvo deroghe espresse, per l'applicazione della disciplina del codice civile in materia di società di capitali: in tal senso, Cass. S.U., n. 24591/2016, per la quale tale disposizione «... elimina qualsiasi dubbio circa l'inquadramento privatistico delle società con partecipazione dello Stato o di enti pubblici, la cui specifica disciplina sia contenuta esclusivamente o prevalentemente nello statuto sociale».

La riconduzione della materia in questione alla disciplina civilistica è stata, infine, completata (come ha riconosciuto Cass. S.U., n. 24591/2016, in motiv.) dal d.lgs. n. 175/2016, contenente il «Testo Unico in materia di società a partecipazione pubblica», il quale, per un verso, ha abrogato (con l'art. 28, comma 1, lett. q) l'art. 4, comma 13, del d.l. n. 95/2012, quarto periodo, prima citato e, per altro verso, ha stabilito, con l'art. 1, comma 3, che, per tutto quanto non derogato dalle disposizioni contenute nello stesso decreto, «si applicano alle società a partecipazione pubblica le norme sulle società contenute nel codice civile e le norme generali del diritto privato». D'altra parte, «la pubblica amministrazione, nell'adozione di atti di natura non autoritativa, agisce secondo le norme di diritto privato, salvo che la legge disponga altrimenti» (art. 1, comma 1-bis, l. n. 241/1990).

Le società pubbliche tra natura privatistica e normativa pubblicistica.

L'inquadramento privatistico delle società con partecipazione dello Stato o di enti pubblici è, del resto, conforme agli orientamenti espressi sia dalla Corte di giustizia della UE, che, con le sentenze Volkswagen (Corte giustizia UE 23 ottobre 2007, nella causa C-112/05) e Federconsumatori (Corte giustizia UE 6 dicembre 2007, nei procedimenti riuniti nn. C-463/04 e C-464/04), ha giudicato collidenti con l'art. 56 del Trattato CE le disposizioni che incidano sul principio della parità di trattamento tra gli azionisti; sia dalla Corte costituzionale, la quale, pur ammettendo, talvolta, che una «società, per essere a capitale interamente pubblico, ancorché formalmente privata, può essere assimilata, in relazione al regime giuridico, ad enti pubblici» (sentenza del 1° febbraio 2006, n. 29, la quale ha affermato la legittimità di una legge regionale che imponeva alle società a capitale interamente pubblico, affidatarie del servizio pubblico, l'obbligo del rispetto delle procedure di evidenza pubblica imposte agli enti locali per l'assunzione del personale dipendente), specie se si tratta di società per azioni a capitale totalmente pubblico derivanti dalla trasformazione di enti pubblici (sentenza Corte cost. 28 dicembre 1993, n. 466, che ha riconosciuto la legittimità della sottoposizione al controllo della Corte dei conti degli enti pubblici trasformati in società per azioni a capitale totalmente pubblico), ha ricondotto al diritto privato, con le sentenze Corte cost. n. 35/1992, e Corte cost. n. 233/2006, le disposizioni sulla nomina e sulla revoca degli amministratori di tali società; così come, con la sentenza Corte cost. 1° luglio 2013, n. 167, ha ritenuto che «la modalità privatistica scelta dall'ente pubblico controllante per realizzare le proprie finalità, che connota tutta l'azione contrattuale posta in essere da tali società commerciali, ivi comprese le modalità di reclutamento del personale, rende non assimilabile il rapporto di lavoro con tali società a un rapporto di lavoro pubblico».

Le società pubbliche, quindi, almeno di regola, sono assoggettate alle norme che il codice civile detta per tutte le società (per tale conclusione, in dottrina, Ibba, 2006, II, 145 ss., 148; Rordorf, 427 ss.; Fimmanò, 2011, 15; più di recente, Casavecchia, 343 ss.; in giurisprudenza, Cass. S.U., n. 26283/2013, in motiv., ha ritenuto che «le società  di capitali eventualmente costituite o comunque partecipate da enti pubblici per il perseguimento delle finalità  loro proprie non cessano sol per questo di essere delle società  di diritto privato, la cui disciplina, se non diversamente disposto, riposa tuttora sulle norme dettate dal codice civile, come confermato anche dal dettato dell'art. 2449 dello stesso codice ...»; in senso conf., Cass. S.U., n. 8352/2013, in motiv.; Cass. S.U., n. 10299/2013; Cass. S.U., n. 3692/2012; Cass. S.U., n. 7799/2005; di recente, in tal senso, Cass. n. 3196/2017 e Cass. S.U., n. 21299/2017; nella giurisprudenza di merito, Trib. Napoli 7 agosto 2015, in Giur. comm. 2016, II, 639), ivi comprese – come si vedrà in seguito – quelle che regolano la responsabilità dei relativi organi (Cass. S.U., n. 26283/2013, in motiv., per cui «la responsabilità nei confronti della società, dei soci, dei creditori e dei terzi in genere che grava sugli organi sociali, assoggettati alle medesime norme sia quando designati dai soci secondo le regole generali dettate in proposito dal codice sia quando eventualmente designati dal socio pubblico in forza dei particolari poteri a lui spettanti (art. 2449, cit., comma 2), opera ... sempre nei termini stabiliti dagli artt. 2392 c.c. e ss., non diversamente che in qualsivoglia altra società  privata»).

Il rapporto giuridico che si instaura tra la società e l'ente pubblico socio, del resto, non è, in linea di principio (e, quindi, con salvezza delle norme speciali eventualmente stabilite dalla legge e/o dallo statuto, come in tema di nomina e revoca ai sensi dell'art. 2449, commi 1 e 2, c.c.), giuridicamente dissimile da quello che di regola sussiste tra qualunque società ed i suoi soci. L'ente pubblico socio, infatti, salvo, appunto, che per l'eventuale previsione statutaria del potere di nomina e di revoca degli amministratori a norma dell'art. 2449 c.c. (i quali, peraltro, una volta nominati sono assoggettati alle norme ordinarie), non può incidere unilateralmente, mediante l'esercizio di poteri autoritativi (Cass. S.U., n. 9534/2013: «la totale partecipazione pubblica caratterizzante la società non ne muta la sua natura di soggetto di diritto privato, essendo il rapporto tra la stessa e l'ente pubblico di assoluta autonomia, a quest'ultimo non essendo consentito incidere unilateralmente sullo svolgimento del rapporto medesimo e sull'attività della prima mediante l'esercizio di poteri autoritativi o discrezionali, ma solo avvalendosi degli strumenti previsti dal diritto societario, da esercitare a mezzo dei membri di nomina dell'ente presenti negli organi della società») ovvero direttivi (Cass. n. 23381/2013, la quale, in motiv., ha ritenuto «... la pretesa del Comune quale socio di maggioranza di godere di una situazione di privilegio nei rapporti con la società assolutamente ingiustificata»), sullo svolgimento del rapporto medesimo (ed, a fortiori, sull'attività della società e le scelte dei suoi amministratori: Cass. n. 23381/2013, la quale ha evidenziato l'«inesistente soggezione degli amministratori alle direttive del Comune quale socio di maggioranza».

Ciò significa che «l'amministratore della società ... ha l'obbligo di perseguire l'oggetto sociale anche a discapito degli interessi del socio che lo ha nominato, interesse che si configura come extrasociale e, quindi, non necessariamente coincidente con quello della società... tali soggetti dovranno agire per perseguire l'interesse sociale e, solo laddove possibile, dovranno optare per modalità tali da non porsi in contrasto con gli obiettivi e le indicazioni, informali o formali, ricevute dal soggetto che li ha nominati, senza dunque poter privilegiare o anterporre l'interesse pubblico extra sociale a quello sociale» (Ranucci, 456, 457; in tal senso, nel passato, Bonelli, 1985, 12 ss; più di recente, Ibba, 2006, II, 145 ss., 151; per la conferma di tale impostazione dopo la riforma del diritto societario, Bonelli, 2004, 63, nt. 65; in altra prospettiva, invece, il rapporto tra amministratori o sindaci e l'ente pubblico designante ha natura pubblicistica: Di Chio,  168, per il quale, di conseguenza, gli amministratori ed i sindaci nominati dallo Stato o da altro ente pubblico sono tenuti al rispetto delle direttive e delle istruzioni promananti dall'ente pubblico, purché queste siano conformi ai doveri che su di loro gravano nello svolgimento dell'incarico; così, in precedenza, Roversi Monaco, 270).

L'ente pubblico socio può solo avvalersi degli strumenti previsti dal diritto societario, da esercitare a mezzo dei componenti, di nomina pubblica, presenti negli organi della società (Cass. S.U., n. 7799/2005, ha ritenuto che «la società per azioni con partecipazione pubblica non muta la sua natura di soggetto di diritto privato solo perché il Comune ne possegga, in tutto o in parte, le azioni: il rapporto tra società ed ente locale è di assoluta autonomia, al Comune non essendo consentito incidere unilateralmente sullo svolgimento del rapporto medesimo e sull'attività della società per azioni mediante l'esercizio di poteri autoritativi o discrezionali, ma solo avvalendosi degli strumenti previsti dal diritto societario, da esercitare a mezzo dei membri di nomina comunale presenti negli organi della società»; in tal senso, di recente, Cass. S.U., n. 21299/2017, per cui «... il rapporto tra società ed ente locale è di assoluta autonomia, al soggetto pubblico non essendo consentito incidere unilateralmente sullo svolgimento del rapporto medesimo e sull'attività della società per azioni mediante l'esercizio di poteri autoritativi o discrezionali, potendo solo avvalersi degli strumenti previsti dal diritto societario, da esercitare a mezzo dei membri di nomina pubblica presenti negli organi della società»), a meno che non vi siano disposizioni normative che depongano in modo diverso (Bonelli, 1985, 14 ss.).

Ed infatti, in caso di società partecipate, le controversie relative all'impugnazione degli atti societari appartengono al giudice ordinario, spettando, invece, al giudice amministrativo solo le azioni di impugnazione degli atti amministrativi ad essi prodromici, a partire dalla scelta del socio privato.

Invero, si è chiarito che «spettano alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo le controversie aventi ad oggetto l'attività unilaterale prodromica alla vicenda societaria, considerata dal legislatore di natura pubblicistica, con cui un ente pubblico delibera di costituire una società (provvedendo anche alla scelta del socio) o di parteciparvi o di procedere ad un atto modificativo o estintivo della società medesima o di interferire, nei casi previsti dalla legge, nella vita della stessa. Sono invece attribuite alla giurisdizione ordinaria le controversie aventi ad oggetto gli atti societari a valle della scelta di fondo di utilizzo del modello societario, le quali restano interamente soggette alle regole del diritto commerciale proprie del modello recepito, dal contratto di costituzione della società, alla successiva attività della compagine societaria partecipata con cui l'ente esercita, dal punto di vista soggettivo e oggettivo, le facoltà proprie del socio (azionista), fino al suo scioglimento. Nell'ambito di quest'ultima categoria rientrano le controversie volte ad accertare l'intero spettro delle patologie e inefficacie negoziali, siano esse inerenti alla struttura del contratto sociale, siano estranee e/o alla stessa sopravvenute e derivanti da irregolarità-illegittimità della procedura amministrativa a monte, perciò comprendenti le fattispecie sia di radicale mancanza del procedimento di evidenza pubblica (o di vizi che ne affliggono singoli atti), sia di successiva mancanza legale provocata dall'annullamento del provvedimento di aggiudicazione, ivi compresi i profili di illegittimità degli atti consequenziali compiuti dalla società già istituita, i quali costituiscono espressione non di potestà amministrativa, bensì del sistema delle invalidità-inefficacia del contratto sociale che postula una verifica, da parte del giudice ordinario, di conformità alla normativa positiva delle regole in base alle quali l'atto negoziale è sorto ovvero è destinato a produrre i suoi effetti tipici» (Cass. S.U., n. 30167/2011).

In senso conforme, è stato affermato (Cass. S.U., n. 21588/2013; Cass. S.U., n. 15121/2013) che, «in tema di costituzione di una società da parte di un ente pubblico, rientra nella giurisdizione del giudice ordinario la controversia diretta alla declaratoria di illiceità dell'oggetto di una società mista pubblico-privata, costituita da un Comune».

Parimenti, nella giurisprudenza amministrativa, si reputa (Cons. St. Ad. plen., n. 10/2011) che «la giurisdizione amministrativa sussiste per gli atti che, incidendo sull'organizzazione dell'ente, sono espressione di potestà pubblica, atti tra i quali rientrano certamente quelli di costituzione, modificazione ed estinzione della società, ivi compresa evidentemente la scissione, che comporta la costituzione di una nuova società; per converso, resta fermo il modello privatistico, e la conseguente giurisdizione ordinaria, sugli atti societari a valle della scelta di fondo di utilizzo o meno del modello societario (e salve specifiche espresse attribuzioni di giurisdizione al giudice amministrativo, come nel caso di cui all'art. 2 del d.l. n. 332/1994)», in ordine ai quali «l'ente pubblico esercita i poteri ordinari dell'azionista, che si traducono in atti societari, sia dal punto di vista soggettivo che oggettivo, coerentemente con i principî di diritto comunitario, che non ammettono poteri speciali da parte dell'azionista pubblico»: la giurisdizione del giudice amministrativo sussiste in ordine agli «atti unilaterali prodromici ad una vicenda societaria, con cui un ente pubblico delibera di costituire una società, o di parteciparvi, o di procedere ad un atto modificativo o estintivo della società medesima», in quanto «tali atti prodromici vanno, sul piano logico, cronologico e giuridico, tenuti nettamente distinti dai successivi atti negoziali, sempre imputabili all'ente pubblico, con cui l'ente, spendendo la sua capacità di diritto privato, pone in essere un atto societario (costituzione di una società, acquisto o vendita di quote societarie, modifica o scioglimento di una società)»; «... per converso, resta fermo il modello privatistico, e la conseguente giurisdizione ordinaria, sugli atti societari a valle della scelta di fondo di utilizzo o meno del modello societario (e salve specifiche espresse attribuzioni di giurisdizione al giudice amministrativo, come nel caso di cui all'art. 2 del d.l. n. 332/1994)», giacché, per questi, «l'ente pubblico esercita i poteri ordinari dell'azionista, che si traducono in atti societari, sia dal punto di vista soggettivo che oggettivo, coerentemente con i principî di diritto comunitario, che non ammettono poteri speciali da parte dell'azionista pubblico».

Quanto, in particolare, alla revoca diretta degli amministratori ex artt. 2458 c.c., nel testo anteriore alla riforma del diritto societario, Cass. S.U., n. 7799/2005, ha ritenuto che «... rientra nella giurisdizione del giudice ordinario la controversia avente ad oggetto la domanda di annullamento di provvedimenti comunali di non approvazione del bilancio e conseguente revoca degli amministratori di società per azioni di cui il Comune sia unico socio, costituendo gli atti impugnati espressione non di potestà amministrativa ma dei poteri conferiti al Comune dagli artt. 2383,2458 e 2459 c.c., nella specie trasfusi nello statuto della società per azioni, e quindi manifestazione di una volontà essenzialmente privatistica».

In tal senso, anche Cass. S.U., n. 1237/2015, per cui «in tema di società per azioni partecipata da ente locale, la revoca dell'amministratore di nomina pubblica, ai sensi dell'art. 2449 c.c., può essere da lui impugnata presso il giudice ordinario, non presso il giudice amministrativo, trattandosi di atto uti socius, non jure imperii, compiuto dall'ente pubblico “a valle” della scelta di fondo per l'impiego del modello societario, ogni dubbio essendo risolto a favore della giurisdizione ordinaria dalla clausola ermeneutica generale in senso privatistico di cui all'art. 4, comma 13, del d.l. 6 luglio 2012, n. 95, conv. in legge 7 agosto 2012, n. 135. L'amministratore revocato dall'ente pubblico, come l'amministratore revocato dall'assemblea dei soci, può chiedere al giudice ordinario solo la tutela risarcitoria per difetto di giusta causa, a norma dell'art. 2383 c.c., non anche la tutela “reale” per reintegrazione nella carica, in quanto l'art. 2449 c.c. assicura parità di status tra amministratori di nomina assembleare e amministratori di nomina pubblica».

La stessa conclusione è stata affermata con riguardo alla nomina diretta dell'amministratore, per disposizione statutaria, da parte dell'ente pubblico socio: si vedano Cass. S.U., n. 19676/2016, in ordine ad un atto del Comune compiuto, con la deliberazione impugnata, uti socius e non iure imperii, sulla base della previsione statutaria della società e nell'esercizio da parte del Comune non di un potere, bensì della facoltà di regolare il suo agire di socio in sede di nomina dei componenti del consiglio di amministrazione; Cass. S.U., n. 24591/2016, in motiv., per cui «la nomina e la revoca degli amministratori da parte dell'ente pubblico debbono essere ascritte agli atti societari a valle della scelta di fondo di utilizzazione del modello societario e restano perciò interamente assoggettate alle regole del diritto commerciale proprie del modello recepito» sicché «le azioni concernenti la nomina o la revoca di amministratori e sindaci delle società a totale o parziale partecipazione pubblica sono sottoposte alla giurisdizione del giudice ordinario, anche nel caso in cui le società stesse siano costituite secondo il modello del c.d. in house providing».

Secondo Cass. S.U., n. 21299/2017, sono attribuite alla giurisdizione del giudice ordinario le controversie aventi ad oggetto le vicende concernenti la revoca degli amministratori di società per azioni di cui la P.A. sia anche unico socio, costituendo gli atti impugnati espressione non già di potestà amministrativa bensì dei poteri alla medesima dalla legge attribuiti e trasfusi nello Statuto della società per azioni, e quindi manifestazione di una volontà essenzialmente privatistica, sicché la posizione soggettiva degli amministratori revocati – che non svolgono né esercitano un pubblico servizio – è configurabile in termini di diritto soggettivo, dovendo inoltre escludersi la riconducibilità di detta controversia al novero di quelle attribuite alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo dall'art. 33 d.lgs. n. 80/1998, novellato dall'art. 7 della l. n. 205/2000. Trattasi infatti di atti compiuti uti socius, e non già iure imperii, «a valle» della scelta di fondo per l'impiego del modello societario.

Nello stesso senso, più di recente, Cass. S.U., n. 29078/2019, per cui, nelle  società per azioni con partecipazione pubblica, spetta al giudice ordinario la cognizione della controversia relativa alla revoca dell'amministratore nominato ai sensi dell'art. 2449 c.c., trattandosi di atto posto in essere dall'ente pubblico "a valle" della scelta iniziale di avvalersi dello strumento societario, compiuto avvalendosi degli strumenti che il diritto comune attribuisce al socio e dunque interamente regolato dal diritto privato, come si evince chiaramente dal testo del richiamato art. 2449 c.c., il quale, da un lato, individua nello statuto sociale, e dunque in un atto fondamentale di natura negoziale, la fonte esclusiva dell'attribuzione al socio pubblico della facoltà di nominare un numero di amministratori proporzionale alla sua partecipazione, con la correlata facoltà di revocarli, e, dall'altro, precisa che gli amministratori così nominati hanno i medesimi diritti e i medesimi obblighi di quelli designati dall'assemblea, sicché, al pari di questi ultimi, godono dei soli diritti previsti dall'art. 2383, comma 3, c.c., tra i quali non può rientrare, senza violare il principio normativo di uguaglianza dei diritti, la pretesa alla reintegrazione a seguito del sindacato sulla legittimità del provvedimento di revoca, spettando loro solo il diritto al risarcimento dei danni, ove il giudice ritenga che la revoca non sia sorretta da giusta causa. Così anche Cass. S.U., n. 16335/2019, la quale ha ritenuto che la controversia concernente la legittimità dell'atto emesso dal Sindaco, ai sensi dell'art. 50, commi 8 e 9, del d.lgs. n. 267/2000, di revoca degli amministratori di una società partecipata dal Comune spetta alla giurisdizione ordinaria, poiché si tratta di un provvedimento attinente ad una situazione giuridica successiva alla costituzione della società stessa, idoneo ad incidere internamente sulla sua struttura ed espressione di una potestà di diritto privato ascrivibile all'ente pubblico uti socius ed esercitata dal medesimo Sindaco in conformità degli indirizzi stabiliti dal Consiglio comunale.

Gli atti compiuti dalle società pubbliche non sono, quindi, provvedimenti amministrativi (cfr., in tal senso, Cass. S.U., n. 4989/1995 secondo la quale le società per azioni costituite dai comuni e dalle province, a norma dell'art. 22, comma 3, l. n. 142/1990, previa costruzione od acquisizione delle opere ed infrastrutture necessarie, operano come persone giuridiche private, nell'esercizio della propria autonomia negoziale, senza alcun collegamento con l'ente pubblico, nei confronti del quale hanno assunto l'obbligo di gestire il servizio, atteso che, da un lato, il rapporto tra l'ente territoriale e la società non è riconducibile né alla figura della concessione di pubblico servizio, né all'ipotesi di concessione per la costruzione di opere pubbliche e che, dall'altro, non è consentito all'ente pubblico locale di incidere unilateralmente sullo svolgimento del rapporto medesimo e sull'attività della società mediante l'esercizio di poteri autoritativi e discrezionali; conf., Cass. S.U., n. 8454/1998).

Con la conseguenza che – almeno fino alla innovazione legislativa di cui al d.lgs. n. 80/1998, con la quale sono state devolute alla cognizione del giudice amministrativo, in sede di giurisdizione esclusiva, «tutte le controversie aventi ad oggetto le procedura di affidamento di appalti pubblici di lavori servizi e forniture svolte da soggetti comunque tenuti all'applicazione delle norme comunitarie o della normativa nazionale o regionale» – le controversie promosse nei confronti di tali società da parte di terzi interessati alle gare di appalto indette per la costruzione di opere destinate all'esercizio del pubblico servizio sono attribuite alla cognizione del giudice ordinario.

Nello stesso senso, Cass. S.U., n. 392/2011, per la quale «il principio secondo il quale le controversie tra privati non possono essere assoggettate alla giurisdizione del giudice amministrativo trova applicazione anche nell'ipotesi in cui una delle parti sia una società a responsabilità limitata a partecipazione comunale, in quanto tale partecipazione non muta la natura di soggetto privato della società e il rapporto di assoluta autonomia con l'ente territoriale, non essendo al soggetto pubblico consentito di incidere unilateralmente sullo svolgimento dell'attività della società mediante l'esercizio di poteri atutoriativi e discrezionali, ma solo di avvalersi degli ordinari strumenti privatistici previsti dal diritto societario da esercitare a mezzo dei membri di nomina comunale presenti negli organi della società».

L'art. 1, comma 3, del d.lgs. n. 175 cit. fa, tuttavia, espressamente salve le disposizioni derogatorie, sempre che siano contenute nello stesso decreto, che estendono alle società pubbliche (o ad una parte di esse) determinate norme di diritto pubblico.

Si tratta, in particolare, delle norme previste dall'art. 11, commi 6 e 7, del d.lgs. n. 175 cit., il quale, da un lato, fissa, mediante il rinvio ad un decreto ministeriale, il limite dei compensi massimi al quale gli organi di dette società devono fare riferimento, secondo criteri oggettivi e trasparenti, per la determinazione del trattamento economico annuo onnicomprensivo da corrispondere agli amministratori, ai titolari e componenti degli organi di controllo, ai dirigenti e ai dipendenti, e, dall'altro, prevede che gli amministratori delle società a controllo pubblico non possono essere dipendenti delle amministrazioni pubbliche controllanti o vigilanti, con l'aggiunta che, qualora siano dipendenti della società controllante, in virtù del principio di onnicomprensività della retribuzione, fatto salvo il diritto alla copertura assicurativa e al rimborso delle spese documentate, nel rispetto del limite di spesa di cui al comma 6, essi hanno l'obbligo di riversare i relativi compensi alla società di appartenenza.

Nello stesso contesto si pone l'art. 19 del d.lgs. n. 175 cit., dettato in tema di gestione del personale, il quale, dopo aver stabilito che ai rapporti di lavoro dei dipendenti delle società a controllo pubblico si applicano, in linea di principio, le disposizioni del capo I, titolo II, del libro V del codice civile, dalle leggi sui rapporti di lavoro subordinato nell'impresa, ivi incluse quelle in materia di ammortizzatori sociali, secondo quanto previsto dalla normativa vigente, e dai contratti collettivi, ha previsto che le società a controllo pubblico stabiliscono, con propri provvedimenti, criteri e modalità per il reclutamento del personale «nel rispetto dei principî, anche di derivazione europea, di trasparenza, pubblicità e imparzialità e dei principî di cui all'articolo 35, comma 3, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165» e che, «in caso di mancata adozione dei suddetti provvedimenti, trova diretta applicazione il suddetto articolo 35, comma 3, del decreto legislativo n. 165/2001», aggiungendo che, con salvezza di quanto previsto dall'art. 2126 c.c., ai fini retributivi, «i contratti di lavoro stipulati in assenza dei provvedimenti o delle procedure di cui al comma 2, sono nulli» e che resta ferma, infine, la giurisdizione ordinaria sulla validità dei provvedimenti e delle procedure di reclutamento del personale.

L'art. 1 fa, inoltre, salve «le specifiche disposizioni, contenute in leggi o regolamenti governativi o ministeriali, che disciplinano società a partecipazione pubblica di diritto singolare costituite per l'esercizio della gestione di servizi di interesse generale o di interesse economico generale o per il perseguimento di una specifica missione di pubblico interesse»: si tratta delle c.d. società legali, caratterizzate da un regime pubblicistico di matrice legale, rispetto al quale l'autonomia privata non esplica ruolo alcuno ovvero esplica un ruolo del tutto marginale, come, in particolare, nei casi della RAI s.p.a., della ENAV s.p.a. e dell'ANAS s.p.a. Ciò rileva (o, come nel caso della RAI s.p.a., ha avuto rilievo), come si vedrà in seguito, al fine di attribuire alla Corte dei conti la giurisdizione sulla responsabilità per i danni arrecati al patrimonio sociale dai relativi organi.

Per quanto riguarda, specificamente, le società in house, le società miste pubblico-private e le società quotate si vedano, rispettivamente, i commenti agli artt. 16,17 e 18 d.lgs. n. 165/2001.

Bibliografia

Bonelli, Gli amministratori di s.p.a. dopo la riforma delle società, Milano, 2004; Bonelli, Gli amministratori di società per azioni, Milano, 1985; Casavecchia, Le società pubbliche alla luce del TU 175/2016: riflessioni su costituzione e statuti, Le società pubbliche, a cura di Fimmanò e Catricalà, Universitas Mercatorum Press 2016; Di Chio, Società a partecipazione pubblica, in Digesto delle discipline privatistiche, Sezione Commerciale, XIV, Torino, 1997; Fimmanò, L'ordinamento delle società pubbliche tra natura del soggetto e natura dell'attività, in Le società pubbliche, Ordinamento, crisi ed insolvenza, a cura Fimmanò, Milano, 2011; Ibba, Azioni ordinarie di responsabilità e azione di responsabilità amministrativa nelle società in mano pubblica. Il rilievo della disciplina privatistica, in Riv. dir. civ. 2006, II, 145; Nazzicone, La riforma delle “società pubbliche”: note di diritto societario, in giudicedonna.it, n. 4/2016; Ranucci, Gli amministratori delle società a partecipazione pubblica, Le società pubbliche, a cura di Fimmanò e Catricalà, Universitas Mercatorum Press, 2016; Rordorf, Le società pubbliche nel codice civile, in Soc. 2005, 427; Roversi Monaco, Revoca e responsabilità dell'amministratore nominato dallo Stato. Osservazioni sugli artt. 2458 ss. cod. civ., in Riv. dir. civ. 1968, I, 258 .

Vuoi leggere tutti i contenuti?

Attiva la prova gratuita per 15 giorni, oppure abbonati subito per poter
continuare a leggere questo e tanti altri articoli.

Sommario