Decreto legislativo - 19/08/2016 - n. 175 art. 8 - Acquisto di partecipazioni in societa' gia' costituite

Giuseppe Dongiacomo

Acquisto di partecipazioni in società già costituite

 

1. Le operazioni, anche mediante sottoscrizione di un aumento di capitale o partecipazione a operazioni straordinarie, che comportino l'acquisto da parte di un'amministrazione pubblica di partecipazioni in società già esistenti sono deliberate secondo le modalità di cui all'articolo 7, commi 1 e 2.

2. L'eventuale mancanza o invalidità dell'atto deliberativo avente ad oggetto l'acquisto della partecipazione rende inefficace il contratto di acquisto della partecipazione medesima.

3. Le disposizioni del presente articolo si applicano anche all'acquisto, da parte di pubbliche amministrazioni, di partecipazioni in società quotate, unicamente nei casi in cui l'operazione comporti l'acquisto della qualità di socio.

Inquadramento

Gli articoli da 4 a 8 enunciano in modo chiaro una serie di limiti e cautele, cui è subordinata la partecipazione pubblica nelle società.

Si tratta, in primo luogo, dei fini che sono sottesi a detta partecipazione, anche con indicazione dell'attività che la società dovrà svolgere; quindi, della corrispondente necessità di enunciare formalmente le motivazioni di tale scelta, mediante l'adozione di una deliberazione amministrativa con il prescritto procedimento; della previsione di modalità di diffusione della relativa informazione; - infine, delle conseguenze in ipotesi di inosservanza.

La costituzione: il vincolo del tipo e la necessità per il perseguimento della finalità istituzionale

La costituzione di società a partecipazione pubblica, così come l'acquisizione (ed il mantenimento) di singole partecipazioni, è subordinata al rispetto di due ordini di vincoli: uno di natura formale, l'altro di natura sostanziale.

Quanto ai vincoli di natura formale, come accennato nel commento a tale disposizione, l'art. 3, comma 1, del d.lgs. n. 175 stabilisce che «le amministrazioni pubbliche possono partecipare esclusivamente a società, anche consortili, costituite in forma di società per azioni o di società a responsabilità limitata, anche in forma cooperativa».

 Le società a partecipazione pubblica, dunque, non possono essere costituite, come in precedenza visto, nelle forme delle della società in accomandita per azioni e delle società di persone (società semplice, società in nome collettivo e società in accomandita semplice), sebbene comprese nella nozione di società prevista dall'art. 2, lett. l), il quale, infatti, chiarisce come, ai fini del testo unico, per «società», si intendono «gli organismi di cui ai titoli V e VI, capo I, del libro V del codice civile». La ragione di tale limitazione è di tutta evidenza: le società di persone, infatti, sia pur in modo differente a seconda dei diversi tipi, si caratterizzano, tra l'altro, per l'assunzione, da parte dei soci, di una responsabilità solidale e illimitata per le obbligazioni sociali (artt. 2267,2291 e 2313 c.c.), che è, come è ovvio, del tutto inconciliabile con una partecipazione pubblica al relativo capitale.

D'altra parte, l'esplicito riferimento normativo alla società per azioni ed alla società a responsabilità limitata esclude che l'amministrazione pubblica possa partecipare ad una società di persone quale socio accomandante, specie se si considera che lo stesso può, in alcune ipotesi (cfr. gli artt. 2314, comma 2, e 2320 c.c.), assumere una responsabilità personale ed illimitata per le obbligazioni assunte dalla società.

La norma, poi, facendo espresso riferimento alla partecipazione di una pubblica amministrazione alla società trova applicazione non solo all'atto di costituzione di una società da parte di una pubblica amministrazione ma, più ampiamente, all'acquisto ed al mantenimento della relativa partecipazione.

La società a partecipazione pubblica può, infine, assumere, per esplicito riconoscimento normativo, anche la forma della società cooperativa, la quale, infatti, a norma dell'art. 2519 c.c., è regolata dalle norme dettate per le società per azioni, salvo che l'atto costitutivo preveda l'applicazione delle norme sulla società a responsabilità limitata.

Infine, a norma dell'art. 2, lett. l), le amministrazioni pubbliche possono, direttamente o indirettamente, costituire società e acquisire o mantenere partecipazioni anche in società aventi come oggetto sociale lo svolgimento di attività consortili, ai sensi dell'art. 2615-ter c.c.

A tali fini, peraltro, come prevede l'art. 2, lett. f), la partecipazione non è soltanto quella che attribuisce la qualità di socio, come la titolarità di un'azione o di una quota, ma anche la titolarità di strumenti finanziari che attribuiscono diritti amministrativi, ai sensi dell'art. 2346, comma 6, c.c.

Quanto ai vincoli di natura sostanziale, l'art. 4, commi 1 e 2, del d.lgs. n. 175 (che ha pressoché integralmente recepito il testo dell'art. 3, commi 27 ss., della l. 24 dicembre 2007, n. 244, contestualmente abrogati) stabilisce che le amministrazioni pubbliche, per un verso, «non possono, direttamente o indirettamente, costituire società aventi per oggetto attività di produzione di beni e servizi non strettamente necessarie per il perseguimento delle proprie finalità istituzionali, né acquisire o mantenere partecipazioni, anche di minoranza, in tali società», a meno che non si tratti di acquisire partecipazioni in società aventi per oggetto sociale esclusivo la valorizzazione del patrimonio delle amministrazioni stesse, tramite il conferimento di beni immobili allo scopo di realizzare un investimento secondo criteri propri di un qualsiasi operatore di mercato, al solo fine di ottimizzare e valorizzare l'utilizzo di beni immobili facenti parte del patrimonio dell'amministrazione (comma 3), e, per altro verso, che, entro il limite previsto dal comma 1, «... possono, direttamente o indirettamente, costituire società e acquisire o mantenere partecipazioni in società esclusivamente per lo svolgimento delle attività ...» ivi espressamente previste.

Il primo vincolo riguarda lo scopo: le amministrazioni pubbliche non possono, a norma dell'art. 4, comma 1, costituire né acquisire o mantenere partecipazioni, anche di minoranza, in società aventi per oggetto attività di produzione di beni e servizi che non siano strettamente necessarie per il perseguimento delle proprie finalità istituzionali e, quindi, degli interessi pubblici cui sono preposte. Si tratta, peraltro, di un nesso più stringente di quello di mera strumentalità, come, invece, richiesto nel passato (cfr. Cons. St. Ad. Plen. n. 10/2011, che, sia pur con riguardo all'art.  27, comma 3, della l. n. 244/2007, a norma del quale «al fine di tutelare la concorrenza e il mercato, le amministrazioni di cui all'articolo 1, comma 2, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, non possono costituire società aventi per oggetto attività di produzione di beni e di servizi non strettamente necessarie per il perseguimento delle proprie finalità istituzionali, né assumere o mantenere direttamente partecipazioni, anche di minoranza, in tali società», ha ritenuto che il collegamento con le finalità istituzionali dell'ente costituisce un limite «non di mera compatibilità, ma di strettastrumentalità»; C. conti, sez. reg. controllo Lombardia, 20 gennaio 2016 n. 7, per la quale «la scelta di esercitare una funzione o erogare un servizio pubblico mediante lo strumento societario è elettivamente demandata all'organo di governo che deve effettuare le opportune verifiche di compatibilità e di inerenza alle finalità istituzionali prima di decidere la costituzione di nuove società ovvero la sorte delle partecipazioni già possedute»): l'attività di produzione e servizi della società, infatti, non dev'essere semplicemente compatibile o utile al perseguimento delle finalità istituzionali dell'ente pubblico ma dev'essere, in concreto, strettamente necessaria al perseguimento di tali finalità, al punto che, in mancanza, tali finalità non potrebbero essere, in tutto o in parte, perseguite o, al più, potrebbero essere perseguite ma a condizioni finanziarie, organizzative, ecc. più gravose o meno efficaci.

Il divieto per le pubbliche amministrazioni di costituire società aventi per oggetto la produzione di beni e servizi, non strettamente necessari al perseguimento delle proprie finalità istituzionali, e di assumere e mantenere le partecipazioni in tali società, mira, da un canto, a rafforzare la distinzione tra attività amministrativa in forma privatistica (posta in essere da società che operano per una pubblica amministrazione) ed attività di impresa di enti pubblici, e, dall'altro, ad evitare che quest'ultima possa essere svolta beneficiando dei privilegi dei quali un soggetto può godere in quanto pubblica amministrazione ed evitare, quindi, che soggetti dotati di privilegi svolgano attività economica al di fuori dei casi nei quali ciò è imprescindibile per il perseguimento delle proprie finalità istituzionali, anche al fine di eliminare eventuali distorsioni della concorrenza (Corte cost. n. 229/2013, in motiv.; conf., Corte cost. n. 326/2008; Corte cost. n. 148/2009).

Una conferma di quanto appena affermato si rinviene, d'altronde, anche nella Relazione illustrativa al d.lgs. n. 175, la quale, infatti, a proposito delle «partecipazioni ammissibili» (art. 3), evidenzia che «tutte le società partecipate hanno una connotazione “pubblicistica”, legata a un'attività di interesse pubblico, mentre sono escluse, salvo alcune eccezioni, quelle aventi una connotazione “privatistica” (cioè che svolgono attività di impresa in regime di mercato)»: le partecipazioni pubbliche nelle società che non svolgono attività di interesse pubblico, ma normali attività d'impresa in regime di mercato, sono, quindi, eccezionalmente ammesse solo se contemplate dal d.lgs. n. 175, come, ad esempio, nel caso, tra l'altro, delle società fieristiche, espressamente “ammesse” dall'art. 4, comma 7.

In altri termini, le partecipazioni pubbliche in società, che svolgono attività di natura meramente commerciale, è ammessa soltanto qualora vi sia una specifica norma di legge che riconosca, in via derogatoria, meritevole di tutela l'interesse delle pubbliche amministrazioni socie a mantenere – attraverso la partecipazione societaria – la presenza di simili operatori di mercato sul loro territorio.

Del resto, tale impostazione era stata già assunta dall'Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato, che, con la sentenza Cons. St., Ad. plen., n. 10/2011, aveva, tra l'altro, affermato che "la società commerciale facente capo ad un ente pubblico, operante sul mercato in concorrenza con operatori privati, necessita di previsione legislativa espressa, e non può ritenersi consentita in termini generali, quanto meno nel caso in cui l'ente pubblico non ha fini di lucro».

Esemplificativo, in tal senso, è il responso offerto dalla sezione regionale di controllo della Corte dei conti della Lombardia, a seguito di specifica richiesta da parte di un'amministrazione comunale sul se fosse ammissibile la costituzione di una società fra alcuni enti locali per la progettazione, sviluppo e realizzazione di impianti di produzione di energia rinnovabile quali impianti eolici, biomasse, fotovoltaici, pannelli solari, oltre che per la commercializzazione dell'energia elettrica prodotta da tali impianti, anche con finalità di abbattimento dell'inquinamento atmosferico: con il parere 15 ottobre 2010, n. 861, la Corte dei conti ha ritenuto non di interesse generale detta attività, proprio perché esulante dalle funzioni istituzionali dell'ente (in tema, cfr. Glinianski, 33).

La necessaria corrispondenza tra l'attività svolta dalla società e le finalità istituzionali dell'ente pubblico dev'essere riscontrata con riguardo non solo all'oggetto sociale, quale dedotto nell'atto costitutivo della società, ma anche all'attività che la stessa concretamente svolge (C. conti, sez. reg. controllo Campania 24 aprile 2015, n. 143), e deve sussistere tanto al momento della costituzione o dell'acquisto della partecipazione quanto dopo la costituzione o l'acquisizione della partecipazione, essendo vietato all'ente pubblico non solo di acquistare, ma anche di conservare partecipazioni azionarie estranee alle finalità istituzionali.

L'ente o gli enti che deliberano la costituzione della società a partecipazione pubblica o l'acquisto di partecipazioni, anche indirette, già costituite devono, tra l'altro, analiticamente motivare, come prescrive l'art. 5, comma 1, in ordine alla necessità della società per il perseguimento delle finalità istituzionali.

Spetta, comunque, alle pubbliche amministrazioni il compito di verificare se una determinata attività è “strettamente necessaria” al perseguimento delle proprie finalità istituzionali (in tal senso, C. conti, sez. regionale di controllo Lombardia, parere 15 ottobre 2010, n. 861, cit.).

A tal riguardo, è stato osservato che, ai fini della predetta valutazione, «non basta guardare alle attività, occorre anche considerare se esistono, sul piano del capitale sociale o organizzativo, i mezzi giuridici sufficienti e utili a condurre un tale “strumento” verso quelle finalità»: diversamente (e cioè qualora l'ente pubblico non fosse dotato degli strumenti, «anche di matrice pubblicistica», necessari «per assicurarsi un'incidenza determinante sul governo della società partecipata»), «si lascerebbe nella mano pubblica un'onerosa e immobile partecipazione, in realtà non in grado di perseguire le necessarie “finalità istituzionali” dell'ente» e, conseguentemente, la partecipazione dell'ente pubblico assumerebbe «nei fatti le incongruenze ed elusive caratteristiche di un mero sostegno finanziario a un'attività d'impresa, che si realizza attraverso la sottoscrizione di parte del capitale ma che non si accompagna alla possibilità di indirizzarla verso finalità di interesse pubblico» (Cons. St. n. 4688/2016).

Le attività esercitabili.

Affermato il generale limite, secondo cui non è ammessa la partecipazione ad una società avente per oggetto attività di produzione di beni e servizi non strettamente necessari per il perseguimento delle finalità istituzionali dell'Amministrazione pubblica, l'art. 4, comma 2, stabilisce che le amministrazioni pubbliche «possono costituire società e acquisire o mantenere partecipazioni in società esclusivamente per lo svolgimento delle attività» di:

«a) produzione di un servizio di interesse generale, ivi inclusa la realizzazione e la gestione delle reti e degli impianti funzionali ai servizi medesimi;

b) progettazione e realizzazione di un'opera pubblica sulla base di un accordo di programma fra amministrazioni pubbliche, ai sensi dell'articolo 193 del decreto legislativo n. 50/ 2016;

c) realizzazione e gestione di un'opera pubblica ovvero organizzazione e gestione di un servizio d'interesse generale attraverso un contratto di partenariato di cui all'articolo 180 del d.lgs. n. 50/2016, con un imprenditore selezionato con le modalità di cui all'articolo 17, commi 1 e 2;

d) autoproduzione di beni o servizi strumentali all'ente o agli enti pubblici partecipanti o allo svolgimento delle loro funzioni, nel rispetto delle condizioni stabilite dalle direttive europee in materia di contratti pubblici e della relativa disciplina nazionale di recepimento;

e) servizi di committenza, ivi incluse le attività di committenza ausiliarie, apprestati a supporto di enti senza scopo di lucro e di amministrazioni aggiudicatrici di cui all'articolo 3, comma 1, lettera a), del decreto legislativo n. 50/2016».

La prima ipotesi riguarda le società di produzione di un servizio di interesse generale. Si tratta, come stabilito dall'art. 2, comma 1, lett. h), dell'attività di produzione e fornitura di beni o servizi che non sarebbero svolte dal mercato senza un intervento pubblico o sarebbero svolte a condizioni differenti in termini di accessibilità fisica ed economica, continuità, non discriminazione, qualità e sicurezza, che le amministrazioni pubbliche, nell'ambito delle rispettive competenze, assumono come necessarie per assicurare la soddisfazione dei bisogni della collettività, così da garantire l'omogeneità dello sviluppo e la coesione sociale.

La seconda ipotesi riguarda le società di progettazione e realizzazione di un'opera pubblica sulla base di un accordo di programma fra amministrazioni pubbliche, ai sensi dell'art. 193 del d.lgs. 18 aprile 2016, n. 50. Si tratta di società non lucrative, funzionali ad una migliore utilizzazione dell'infrastruttura e dei beni connessi, quando è necessaria l'attività coordinata di più soggetti pubblici e partecipate da soggetti aggiudicatori e dagli altri soggetti pubblici interessati. La società pubblica di progetto è istituita allo scopo di garantire il coordinamento tra i soggetti pubblici volto a promuovere la realizzazione ed eventualmente la gestione dell'infrastruttura; alla società pubblica di progetto sono attribuite le competenze necessarie alla realizzazione dell'opera e delle opere strumentali o connesse, nonché alla espropriazione delle aree interessate, e all'utilizzazione delle stesse e delle altre fonti di autofinanziamento indotte dall'infrastruttura.

Le partecipazioni pubbliche sono, poi, ammesse per la realizzazione e gestione di un'opera ovvero organizzazione e gestione di un servizio d'interesse generale attraverso un contratto di partenariato di cui all'art. 180 del d.lgs. n. 50/2016, con un imprenditore selezionato con le modalità di cui all'art. 17, commi 1 e 2. Si tratta delle c.d. società miste, in ordine alle quali l'art. 17 del d.lgs. n. 175 prevede, come nel commento a detto articolo osservato, che la selezione pubblica per la scelta del privato si svolga nel rispetto dell'art. 5, comma 9 del d.lgs. n. 50 cit. e, dunque, con procedure di evidenza pubblica, avendo ad oggetto, nel contempo, la sottoscrizione o l'acquisto della partecipazione societaria da parte del socio privato e l'affidamento del contratto di appalto o di concessione che è l'oggetto esclusivo dell'attività della società mista (c.d. gara a doppio oggetto) e che la quota di partecipazione del soggetto privato non può essere inferiore al trenta per cento.

Le società miste, «che non siano organismi di diritto pubblico, costituite per la realizzazione di lavori o opere o per la produzione di beni o servizi non destinati ad essere collocati sul mercato in regime di concorrenza, per la realizzazione dell'opera pubblica o alla gestione del servizio per i quali sono state specificamente costituite», non sono assoggettate alle disposizioni del nuovo codice dei contratti «se ricorrono le seguenti condizioni: a) la scelta del socio privato è avvenuta nel rispetto di procedure di evidenza pubblica; b) il socio privato ha i requisiti di qualificazione previsti dal d.lgs. n. 50/2016 in relazione alla prestazione per cui la società è stata costituita; c) la società provvede in via diretta alla realizzazione dell'opera o del servizio, in misura superiore al 70% del relativo importo» (art. 17, comma 6, d.lgs. n. 175).

La Corte di giustizia europea si era, del resto, pronunciata sulla possibilità di affidamento diretto a società a partecipazione mista (Corte di giustizia UE, 15 ottobre 2009, C-196/08, Acoset s.p.a.), ritenendo che le norme comunitarie «non ostano all'affidamento diretto di un servizio pubblico che preveda l'esecuzione preventiva di determinati lavori, ..., a una società a capitale misto, pubblico e privato, costituita specificamente al fine della fornitura di detto servizio e con oggetto sociale esclusivo, nella quale il socio privato sia selezionato mediante una procedura ad evidenza pubblica, previa verifica dei requisiti finanziari, tecnici, operativi e di gestione riferiti al servizio da svolgere e delle caratteristiche dell'offerta in considerazione delle prestazioni da fornire, a condizione che detta procedura di gara rispetti i principî di libera concorrenza, di trasparenza e di parità di trattamento imposti dal Trattato CE per le concessioni».

Il legislatore, poi, ammette il ricorso alla partecipazione pubblica per l'autoproduzione di beni o servizi strumentali all'ente o agli enti pubblici partecipanti, nel rispetto delle condizioni stabilite dalle direttive europee in materia di contratti pubblici e della relativa disciplina nazionale di recepimento. Con riferimento all'ambito applicativo della norma, la Relazione illustrativa al decreto specifica che la disposizione in questione non fa riferimento soltanto alle società in house, ammettendo, così, entrambe le tipologie societarie. Si tratta, dunque, delle c.d. società strumentali, così qualificate perché, a differenza del servizio di interesse generale, l'attività che ne costituisce l'oggetto non è destinata ad una indifferenziata generalità di cittadini, bensì rivolta agli stessi enti promotori o, comunque, azionisti, per svolgere funzioni di supporto a tali amministrazioni pubbliche.

Le società strumentali, controllate da enti locali, fatte salve le diverse previsioni di legge regionali adottate nell'esercizio della potestà legislativa in materia di organizzazione amministrativa, non possono, inoltre, come prevede il comma 5, costituire nuove società né acquisire nuove partecipazioni in società, a meno che non si tratti di società che hanno come oggetto sociale esclusivo la gestione delle partecipazioni societarie di enti locali (c.d. holding), fermo restando il rispetto degli obblighi previsti in materia di trasparenza dei dati finanziari e di consolidamento del bilancio degli enti partecipanti.

La norma, che nel suo testo originario si limitava a menzionare l'attività di «autoproduzione di beni o servizi strumentali all'ente o agli enti pubblici partecipanti», contiene, peraltro, a seguito della modifica apportata dal d.lgs. n. 100/2017, un esplicito riferimento allo svolgimento, da parte delle società strumentali, dell'attività di autoproduzione di beni o servizi strumentali anche alle funzioni amministrative dell'ente o degli enti pubblico che ne sono i soci.

L'ultima ipotesi prevista dalla norma riguarda i servizi di committenza, ivi incluse le attività di committenza ausiliarie, apprestati a supporto di enti senza scopo di lucro e di amministrazioni aggiudicatrici, di cui all'art. 3, comma 1, lett. a), del d.lgs. n. 50 cit., potendo, in tal modo, assumere i caratteri dell'organismo di diritto pubblico, ove ne sussistano i presupposti così come stabiliti dall'art.  3, comma 1, lett. d) del d.lgs. n. 50 cit., vale a dire: – la personalità giuridica; la sottoposizione ad “influenza pubblica dominante”; – il perseguimento stabile di “bisogni di interesse generale non aventi carattere industriale o commerciale”.

Ed è, infatti, noto come, secondo le Sezioni Unite, una società può assumere la qualifica di organismo di diritto pubblico quando sia dotata di personalità giuridica, sia sottoposta alla influenza dominante di soggetti pubblici e persegua finalità di carattere non aventi carattere industriale o commerciale (Cass. S.U.,n. 10068/2011).

In dottrina, nello stesso senso, di recente, Menna, 121 ss.

I vincoli di natura sostanziale, come stabiliti dall'art. 4, commi 1 e 2, d.lgs. n. 175, onde evitare possibili abusi, sono esplicitamente estesi, secondo una formulazione che, originariamente prevista anche dall'art.  3, comma 27, della l. n. 244/2007, era stata in seguito soppressa ad opera delle modifiche apportate dall'art. 18, comma 4-octies,  d.l. n. 185/2008, anche alle società indirettamente partecipate da un'amministrazione pubblica, vale a dire quando, ai sensi dell'art. 2, comma 1, lett. g) del d.lgs. n. 175 cit., la pubblica amministrazione partecipa ad una società per il tramite di società o di altri organismi soggetti a controllo da parte della medesima amministrazione pubblica.

Non è chiaro, tuttavia, se quest'ultimo tipo di controllo, in quanto testualmente imputato ad una singola amministrazione pubblica, coincida esclusivamente con la situazione descritta dall'art. 2359 c.c. ovvero si estenda, ai sensi dell'art. 2, b), anche al controllo condiviso, che sussiste quando, in applicazione di norme di legge o statutarie o di patti parasociali, per le decisioni finanziarie e gestionali strategiche relative all'attività sociale è richiesto il consenso unanime di tutte le parti che condividono il controllo.

Secondo l'opinione che sembra preferibile, in caso di controllo «condiviso», la limitazione della condizione di società partecipate indirettamente ai soli casi in cui il controllo appartenga a una singola amministrazione non pare coerente con la ratio della norma, dovendosi, quindi, accedere ad un'interpretazione di tipo sistematico, che includa in tale accezione anche le società partecipate da società o da altri organismi soggetti al controllo – anche condiviso – da parte di più amministrazioni pubbliche.

Conseguentemente, l'eventuale compresenza nel capitale di una pluralità di soci pubblici aventi identica natura (si pensi ad una società con partecipazione maggioritaria di enti locali) comporterà, da un lato, l'uniformità delle finalità istituzionali proprie dei soci e, dall'altro, la necessitata conformità ad esse dell'oggetto di attività della società, sicché la società partecipata diretta sarà considerata controllata e l'indiretta, a sua volta, partecipata.

Non mancano, peraltro, le norme che derogano ai limiti previsti dall'art. 4, commi 1 e 2.

Innanzitutto, l'art. 4, comma 3, stabilisce che, in deroga al limite generale di cui al comma 1, le amministrazioni pubbliche, al solo fine di ottimizzare e valorizzare l'utilizzo di beni immobili facenti parte del proprio patrimonio, possono acquisire partecipazioni in società aventi per oggetto sociale esclusivo la valorizzazione del patrimonio delle amministrazioni stesse, tramite il conferimento di beni immobili allo scopo di realizzare un investimento secondo criteri propri di un qualsiasi operatore di mercato. La norma, per la sua ampiezza applicativa, rischia di consentire la costituzione di innumerevoli società pubbliche che, mediante l'espediente del conferimento di beni immobili, possono indirettamente continuare a svolgere attività di impresa, in contrasto con l'intento del legislatore delegante che è quello di limitare e non di moltiplicare l'impiego degli strumenti societari in esame.

Altre norme derogatorie sono quelle previste: — dal comma 6, per il quale è fatta salva la possibilità di costituire società o enti in attuazione dell'art.  34 del Regolamento CE n. 1303/2013 del Parlamento europeo e del Consiglio del 17 dicembre 2013 (che prevede la costituzione di gruppi di azione locale per l'elaborazione e l'attuazione di strategie di sviluppo locale di tipo partecipativo) e dell'art.  61 del Regolamento CE n. 508/2014 del Parlamento europeo e del Consiglio 15 maggio 2014 (che prevede la costituzione di gruppi di azione locale nel settore della pesca); — dal comma 7, che prevede che sono altresì ammesse le partecipazioni nelle società aventi per oggetto sociale esclusivo la gestione di spazi fieristici e l'organizzazione di eventi fieristici, nonché la realizzazione e la gestione di impianti a fune per la mobilità turistico-sportiva in aree montane e per la produzione di energia da fonti rinnovabili; — dal comma 8, che ammette la possibilità di costituire, ai sensi degli artt. 2 e 3 del d.lgs. n. 297/1999, le società con caratteristiche di spin off o di start up universitari previste dall'art. 6, comma 9, della l. n. 240/2010, nonché quelle con caratteristiche analoghe degli enti di ricerca nonché la possibilità, per le università, di costituire società per la gestione di aziende agricole con funzioni didattiche; — dal comma 9, il quale prevede la possibilità che, con decreto del presidente del consiglio dei ministri (su proposta del ministro dell'economia e delle finanze o dell'organo di vertice dell'amministrazione partecipante), singole società a partecipazione pubblica possano essere sottratte, in tutto o in parte, all'applicazione dell'articolo in esame, sulla base di criteri inerenti alla misura e qualità della partecipazione e all'attività svolta, oltre che al relativo interesse pubblico, anche al fine di agevolarne la quotazione ai sensi dell'art. 18; — dal comma 9-bis, il quale prevede la possibilità per le amministrazioni pubbliche di acquisire o mantenere partecipazioni in società che producono servizi economici di interesse generale a rete, di cui all'articolo 3-bis del d.l. n. 138/2011, conv. con modificazioni dalla l. n. 148/2011, anche fuori dall'ambito territoriale della collettività di riferimento, in deroga alle previsioni di cui al comma 2, lettera a), purché l'affidamento dei servizi, in corso e nuovi, sia avvenuto e avvenga tramite procedure ad evidenza pubblica, ferma restando, in ogni caso, la disciplina dettata dall'art. 16 sulle società in house.

I profili procedurali.

La procedura per la costituzione di una società da parte di amministrazioni pubbliche (ovvero per l'acquisto di una partecipazione in una società già costituita) si articola, secondo un ben preciso ordine logico-temporale, nel compimento dapprima di un accertamento preventivo, adeguatamente motivato, e poi di un atto deliberativo di costituzione della società o di acquisto di una partecipazione.

L'art. 5 del d.lgs. n. 175 disciplina il procedimento di adozione ed il contenuto dell'atto deliberativo di costituzione di una società a partecipazione pubblica, anche nei casi di società miste, oppure di acquisto, anche indirettamente, di partecipazioni, introducendo analitici obblighi motivazionali, con salvezza dei (soli) casi in cui la costituzione o l'acquisto avvengano in conformità a espresse previsioni legislative, che, evidentemente, possono essere anche regionali.

La norma recepisce quanto già statuito dalla Corte dei conti che, in più occasioni, ha sottolineato la necessità che le delibere in questione forniscano una dettagliata ed approfondita motivazione circa la scelta di costituire una società o di acquisire nuove partecipazioni, dirette ed indirette (cfr. sul punto, C. conti, sez. reg. controllo Campania 24 aprile 2015, n. 143).

L'art. 5, infatti, dispone che l'atto con il quale uno o più enti deliberano la costituzione di una società a partecipazione pubblica, anche nelle forme della c.d. società mista, ovvero l'acquisto di partecipazioni, anche indirette, in società già costituite, dev'essere analiticamente motivato con riferimento, in particolare, alla necessità della società per il perseguimento delle finalità istituzionali dell'ente o degli enti che ne diventano soci, nonché alle ragioni ed alle finalità che giustificano tale scelta, anche sul piano della convenienza economica e della sostenibilità finanziaria, nonché di gestione diretta o esternalizzata del servizio affidato.

Si vedano, al riguardo: T.A.R. Abruzzo 30 marzo 2017, n. 152, per il quale l'obbligo di motivazione specifica è previsto non per il bando, indetto per la selezione del socio privato della società mista pubblico-privata, ma per la scelta discrezionale, operata “a monte”, dal Comune, del modello organizzativo della società mista per la gestione di determinati servizi pubblici locali; è quindi in questa fase che l'Amministrazione è tenuta a dar conto delle ragioni che rendono più conveniente, alla luce dei principî di efficacia, efficienza ed economicità, il modello del partenariato pubblico privato piuttosto che la completa esternalizzazione dei servizi pubblici locali a soggetti privati o la gestione in economia; C. conti Piemonte sez. contr. 28 aprile 2017, n. 48, per cui l'acquisizione di partecipazioni in società in perdita pluriennale, considerata alla luce dell'art.  5 d.lgs. n. 175/2016, presuppone, accanto alla motivazione delle relative ragioni e finalità, anche la compatibilità in termini di efficienza, efficacia ed economicità.

Ciò implica, ai sensi del successivo art. 14, comma 5, la preclusione di sovvenzionamenti di società in perdita reiterata, come già previsto dall'art.  6, comma 19, d.l. 31 maggio 2010, n. 78, convertito dalla legge 30 luglio 2010, n. 122, imponendo una valutazione a monte della convenienza economica del possesso della partecipazione medesima. La connessione di tale normativa con quella europea in materia di aiuti di Stato alle imprese ricorda altresì le previsioni introdotte dall'art. 21 ancora successivo, che, attraverso un articolato meccanismo di accantonamento di fondi vincolati a copertura dei rischi di perdite delle stesse società partecipate, risulta dissuasivo in tal senso.

Sotto questo profilo, l'ente deve illustrare, evidenziandone la «non convenienza», le diverse alternative alla costituzione o all'acquisto di partecipazioni, rispetto alla possibile destinazione alternativa delle risorse pubbliche richieste dall'investimento nella società, alla possibilità di gestione diretta (c.d. in economia) del servizio che svolgerà la società da costituire o della quale si intenda acquistare una partecipazione, ed alla esternalizzazione del servizio medesimo (D'Aries, 47).

La motivazione, inoltre, deve dar conto della compatibilità della scelta dell'ente con i principî di efficienza, di efficacia e di economicità dell'azione amministrativa, espressi dall'art. 97 Cost., in termini, quindi, di minor spesa possibile in relazione al risultato che si intende conseguire e di maggiore utilità ritraibile con la spesa da effettuare, nonché dare atto della compatibilità dell'intervento finanziario previsto con le norme dei trattati europei e, in particolare, con la disciplina europea in materia di aiuti di Stato alle imprese.

Una novità di rilievo, dal punto di vista procedurale, è quella prevista dall'ultimo periodo dell'art. 5, comma 2, il quale dispone la sottoposizione dello schema di atto deliberativo a forme di consultazione pubblica da parte degli enti locali, secondo modalità da essi stessi disciplinate, quali, ad es., la pubblicazione dello schema sul sito istituzionale dell'ente, e ciò sia riguardo alla costituzione di una società che all'acquisizione di partecipazioni, onde assicurare sia la partecipazione dei soggetti interessati, che la trasparenza delle scelte compiute dall'ente.

La costituzione di una società a partecipazione pubblica e le operazioni che, anche mediante sottoscrizione di un aumento di capitale o la partecipazione ad operazioni straordinarie, comportino l'acquisto da parte di un'Amministrazione pubblica di partecipazioni in società già esistenti, sono deliberate nelle forme stabilite dall'art.  7, commi 1 e 2, del d.lgs. n. 175, il quale, in particolare, stabilisce che «la deliberazione di partecipazione di un'Amministrazione pubblica alla costituzione di una società è adottata con: a) decreto del Presidente del Consiglio dei ministri, su proposta del Ministro dell'economia e delle finanze di concerto con i ministri competenti per materia, previa deliberazione del Consiglio dei ministri, in caso di partecipazioni statali; b) provvedimento del competente organo della Regione, in caso di partecipazioni regionali; c) deliberazione del consiglio comunale, in caso di partecipazioni comunali; d) delibera dell'organo amministrativo dell'ente, in tutti gli altri casi di partecipazioni pubbliche».

La norma individua la competenza sull'atto deliberativo in funzione della natura dell'ente procedente. Per quanto concerne gli enti locali, viene confermata la competenza consiliare, già affermata del resto nel nostro ordinamento in base a quanto disposto dell'art.  42, comma 2, lett. e), del d.lgs. n. 267/2000. Una più ampia prospettazione è quella rivolta alle Regioni, in relazione ai diversi gradi di autonomia loro riconosciuti, per le quali la deliberazione di partecipazione è adottata con provvedimento del “competente organo” della Regione. Per quanto concerne le città metropolitane, la relazione governativa precisa che esse risultano comprese nell'insieme di «tutti gli altri casi di partecipazioni pubbliche» di cui alla lett. d), in tal modo escludendo che l'interpretazione analogica della disposizione facesse, piuttosto, propendere per l'assimilazione della città metropolitana al Comune, con la conseguente attribuzione del potere deliberativo in argomento al Consiglio metropolitano.

Quanto al contenuto dell'atto deliberativo, il comma 2 dell'art. 7 del d.lgs. n. 175 si limita ad operare un rinvio, stabilendo che lo stesso dev'essere redatto in conformità a quanto previsto all'art. 5, comma 1, in tema di analiticità della motivazione. Non è, invece, operato un rinvio diretto al successivo comma 2 del medesimo articolo, il quale, come visto, richiede che l'atto deliberativo di costituzione o acquisto di una partecipazione debba dar conto, altresì, «della compatibilità dell'intervento finanziario con le norme dei trattati europei ed in particolare con la disciplina in materia di aiuti di Stato alle imprese». Tale mancanza sembra, tuttavia, superabile alla luce dell'espresso collegamento esistente tra lo stesso comma 2 ed il comma 1, cui fa testuale riferimento.

Le disposizioni di cui all'art. 7, commi 1 e 2, dettate in ordine alla costituzione di una società pubblica, sono estese agli atti sociali che comportano le modifiche di clausole dell'oggetto sociale che consentano un cambiamento significativo dell'attività della società, la trasformazione della società, il trasferimento della sede sociale all'estero ovvero la revoca dello stato di liquidazione (art. 7, ult. comma) nonché, attraverso il richiamo operato dal comma 1 del successivo art. 8, al caso dell'acquisto di partecipazioni in società già costituite, anche mediante sottoscrizione di un aumento di capitale o partecipazione ad operazioni straordinarie (fusione, scissione, trasformazione). Anche per tali atti, quindi, valgono le norme in ordine alla competenza all'approvazione dell'atto deliberativo, così come dovranno essere rispettati, nei termini anzidetti, gli stessi oneri motivazionali di cui all'art. 5, comma 1, richiamati dall'art. 7, comma 2. Ne consegue che, in tali ipotesi, l'eventuale mancanza o l'invalidità dell'atto deliberativo avente ad oggetto l'acquisto della partecipazione rende inefficace il contratto di acquisto della partecipazione medesima.

L'art. 7, al successivo comma 3, stabilisce «l'atto deliberativo contiene altresì l'indicazione degli elementi essenziali dell'atto costitutivo, come previsti dagli artt. 2328 e 2463 del codice civile, rispettivamente per le società per azioni e per le società a responsabilità limitata».

La norma del comma 5, infine, anticipa, in ottica di coordinamento con il nuovo Codice dei contratti, le successive disposizioni in materia di società miste, contenute nell'art. 17, stabilendo che, nel caso in cui sia prevista la partecipazione all'atto costitutivo di soci privati, la scelta di questi ultimi avviene con procedure di evidenza pubblica a norma dell'art.  5, comma 9, del d.lgs. n. 50/2016.

L'art. 7, comma 6, disciplina, invece, il profilo sanzionatorio, con riferimento al caso in cui una società a partecipazione pubblica sia costituita in mancanza dell'atto deliberativo di una o più amministrazioni pubbliche partecipanti ovvero quando l'atto deliberativo di partecipazione di una o più amministrazioni sia dichiarato nullo o annullato, prevedendo che, al verificarsi di una di tali condizioni, le partecipazioni sono liquidate secondo quanto disposto dall'art. 24, comma 5, vale a dire in base ai criteri stabiliti all'art. 2437-ter, comma 2, c.c. e seguendo il procedimento di cui all'art. 2437-quater c.c. Se, però, come precisa l'ultimo periodo del comma 6, la mancanza o invalidità dell'atto deliberativo riguarda una partecipazione essenziale ai fini del conseguimento dell'oggetto sociale, si applicano, secondo uno schema riconducibile all'art. 1420 c.c., le disposizioni di cui art. 2332 c.c. in tema di nullità della società, con la conseguenza, da un lato, che la dichiarazione di nullità non pregiudica l'efficacia degli atti compiuti in nome della società dopo l'iscrizione nel registro delle imprese e, dall'altro lato, che la sentenza che dichiara la nullità nomina i liquidatori.

Secondo quanto stabilito dall'art. 8, comma 3, le disposizioni in tema di acquisto di partecipazioni in società già costituite si applicano, come accennato nel commento all'art. 18, anche all'acquisto, da parte di pubbliche amministrazioni, di partecipazioni nelle società quotate, sempre che l'operazione comporti l'acquisto della qualità di socio. La relazione illustrativa, a riguardo, precisa che «sono soggette alla disciplina in esame, di conseguenza, le operazioni che comportino, per la prima volta, l'acquisto di partecipazioni di Pubbliche Amministrazioni in società quotate. Ne rimangono escluse, invece, successive operazioni, come la sottoscrizione di aumenti di capitale. L'applicazione della disciplina in esame alle operazioni che comportino l'acquisto della qualità di socio comporta l'applicazione alle stesse della procedura di cui all'art. 7, commi 1 e 2, e, quindi, dell'onere di motivazione di cui all'art. 5, anche con riferimento ai criteri di cui all'art. 4».

L'amministrazione, infine, una volta approvato nelle forme e con il contenuto in precedenza illustrati, deve trasmettere l'atto deliberativo di costituzione della società o di acquisizione della partecipazione diretta o indiretta, alla Corte dei conti, e, precisamente: per gli atti delle amministrazioni dello Stato e degli enti nazionali, sono competenti le Sezioni Riunite in sede di controllo; per gli atti delle regioni e degli enti locali nonché dei loro enti strumentali, delle università o delle altre istituzioni pubbliche di autonomia aventi sede nella regione, è competente la Sezione regionale di controllo; per gli atti degli enti assoggettati a controllo della Corte dei conti ai sensi della l. 21 marzo 1958, n. 259, è competente la Sezione del controllo sugli enti medesimi.

La trasmissione dell'atto deliberativo alla Corte dei conti è espressamente operata «a fini conoscitivi», e cioè a titolo meramente informativo: ma ciò, evidentemente, non esclude che la Corte, una volta ricevuto l'atto, possa tenerne conto per svolgere rilievi nell'ambito delle istruttorie di controllo sui singoli enti.

I rilievi che la Corte dei conti può eventualmente compiere riguardano, innanzitutto, il rispetto delle disposizioni di cui al comma 1, e, quindi, la necessità di adozione dell'atto rispetto al perseguimento delle finalità istituzionali dell'ente nonché le ragioni e le finalità che giustificano tale scelta, anche da un punto di vista economico-finanziario, ed in generale sulla «completezza» dell'atto rispetto a quanto riportato dallo stesso comma 1 dell'art. 5 (D'Aries, 48, 49).

Diversamente è a dirsi per la trasmissione, che la stessa norma impone, all'Autorità garante della concorrenza e del mercato, che può esercitare i poteri di cui all'art. 21-bis della legge 10 ottobre 1990, n. 287. In base a tale norma, l'Autorità è legittimata ad agire in giudizio contro gli atti amministrativi generali, i regolamenti ed i provvedimenti di qualsiasi amministrazione pubblica che violino le norme a tutela della concorrenza e del mercato (comma 1). Inoltre, se ritiene che una pubblica amministrazione abbia emanato un atto in violazione delle norme a tutela della concorrenza e del mercato, emette, entro sessanta giorni, un parere motivato, nel quale indica gli specifici profili delle violazioni riscontrate. Se la pubblica amministrazione non si conforma nei sessanta giorni successivi alla comunicazione del parere, l'Autorità può presentare, tramite l'Avvocatura dello Stato, il ricorso, entro i successivi trenta giorni (comma 2).

La norma non precisa il termine entro il quale tali comunicazioni devono essere effettuate, ma è senz'altro preferibile l'idea che l'invio debba essere effettuato subito dopo l'adozione dell'atto deliberativo, al fine di consentire alla Corte dei conti e all'Autorità di venire a conoscenza del relativo contenuto, quanto prima possibile.

I controlli

L'art. 3, comma 2, del d.lgs. n. 175, relativamente alle sole società a controllo pubblico – vale a dire, secondo la definizione contenuta nell'art. 1, comma 1, lett. m) e b), le società in cui una o più amministrazioni pubbliche esercitano poteri di controllo, là dove per controllo si intende la situazione descritta nell'art. 2359 c.c., ovvero quella situazione che ricorre quando, in applicazione di norme di legge o statutarie o di patti parasociali, per le decisioni finanziarie e gestionali strategiche relative all'attività sociale è richiesto il consenso unanime di tutte le parti che condividono il controllo – stabilisce, per un verso, che «nelle società a responsabilità limitata a controllo pubblico l'atto costitutivo in ogni caso prevede la nomina dell'organo di controllo o di un revisore» e, per altro verso, che «nelle società per azioni a controllo pubblico la revisione legale dei conti non può essere affidata al collegio sindacale», in tal modo imponendo una soluzione organizzativa più rigorosa rispetto alle società di diritto comune.

Ed infatti, nelle società a responsabilità limitata non assoggettate a controllo pubblico, l'art. 2477 c.c. impone la nomina dell'organo di controllo o di un revisore quando, per almeno due esercizi consecutivi, siano superati due dei parametri dimensionali dell'impresa (attivo patrimoniale, fatturato e numero dei dipendenti) stabiliti dall'art. 2435-bis c.c. ai fini della redazione del bilancio in forma abbreviata (art. 2477, comma 3, lett. c, c.c.). La nomina dell'organo di controllo o di un revisore è, poi, necessaria nei casi in cui la società sia tenuta alla redazione del bilancio consolidato e quando eserciti il controllo su società obbligate alla revisione legale dei conti: il legislatore ha così chiarito profili di disciplina che nel vigore del vecchio testo dell'art. 2477 c.c. avevano generato incertezze e dispute interpretative.

L'art. 3, comma 2, del d.lgs. n. 175, in deroga rispetto a quanto stabilito dall'art. 2447 c.c., stabilisce che, nelle sole società a responsabilità limitata a controllo pubblico (comprese quelle in house), e non anche le società a mera partecipazione pubblica, l'atto costitutivo in ogni caso prevede la nomina dell'organo di controllo o di un revisore. La necessarietà del controllo si collega probabilmente con l'obbligo del socio pubblico (degli enti locali) di redigere il bilancio consolidato d.lgs. n. 118/ 2011).

In tal senso, del resto, si era già espressa la Corte dei conti, ad avviso della quale, in particolare, per il prospetto debiti-crediti con le partecipate «l'asseverazione da parte dell'organo di revisione degli enti strumentali e delle società controllate e partecipate è sempre necessaria» (Corte dei conti sez. autonomie, 19 gennaio 2016, n. 2).

La norma è, dunque, diretta a porre rimedio a quelle situazioni, pure frequenti nella prassi, in cui società a responsabilità limitata a partecipazione pubblica, facendo leva sulla mera facoltatività dell'istituzione del controllo, abbiano operato senza che al loro interno vi fosse un organo di controllo societario ovvero un revisore che vigilassero sulla gestione e sulla contabilità sociale.

La deviazione rispetto al diritto comune è limitata solo alla deroga rispetto al regime ordinario di facoltatività del controllo previsto dall'art. 2477, comma 1, c.c., imponendo, nelle società a responsabilità limitata a controllo pubblico, un ulteriore presupposto di obbligatorietà della nomina dell'organo di controllo o di un revisore, senza però modificare la disposizione codicistica, la quale, pertanto, in mancanza di norme che ma depongano in senso contrario, trova applicazione per ogni altro aspetto.

In particolare, ove lo statuto non disponga nulla al riguardo, l'organo di controllo è costituito da un solo membro effettivo, scelto tra i revisori legali iscritti nell'apposito registro, e, come dispone l'art. 2477, comma 5, c.c. all'organo di controllo, anche monocratico, si applicano le disposizioni sul collegio sindacale previste per le società per azioni.

Nel caso della società per azioni a controllo pubblico, l'art. 3 del d.lgs. n. 175 dispone che la revisione legale dei conti non può essere affidata al collegio sindacale, in deroga rispetto all'art. 2409-bis c.c., per il quale, invece, nelle società per azioni che adottano il sistema tradizionale di amministrazione e controllo e che non siano tenute alla redazione del bilancio consolidato, lo statuto può prevedere che la revisione legale dei conti sia esercitata dal collegio sindacale può essere affidata: in tal caso, peraltro, l'intero collegio deve essere costituito da revisori legali dei conti, iscritti nell'apposito registro. Nelle società per azioni a controllo pubblico che adottino il modello tradizionale di amministrazione e controllo, invece, pur quando ricorrano le condizioni previste dall'art. 2409-bis, comma 2, c.c., la funzione di revisione legale non può essere affidata al collegio sindacale, dovendosi necessariamente nominare un revisore esterno.

L'organizzazione interna

L'art. 6, comma 3, dispone, infine, che, ferme restando le funzioni degli organi di controllo, le società a controllo pubblico possono fare ricorso (oltre che a regolamenti interni volti a garantire la conformità dell'attività della società alle norme di tutela della concorrenza, comprese quelle in materia di concorrenza sleale, nonché alle norme di tutela della proprietà industriale o intellettuale ed a codici di condotta propri, o adesione a codici di condotta collettivi aventi a oggetto la disciplina dei comportamenti imprenditoriali nei confronti di consumatori, utenti, dipendenti e collaboratori, nonché altri portatori di legittimi interessi coinvolti nell'attività della società, nonché al programmi di responsabilità sociale d'impresa, in conformità alle raccomandazioni della Commissione dell'Unione Europea) ad un ufficio di controllo interno strutturato secondo criteri di adeguatezza rispetto alla dimensione e alla complessità dell'impresa sociale che collabora con l'organo di controllo statutario, riscontrando tempestivamente le richieste da questo provenienti, e trasmette periodicamente all'organo di controllo statutario relazioni sulla regolarità e l'efficienza della gestione.

La norma è integrata dall'art. 11, comma 13, il quale dispone che «le società a controllo pubblico limitano ai casi previsti dalla legge la costituzione di comitati con funzioni consultive o di proposta» e che «per il caso di loro costituzione, non può comunque essere riconosciuta ai componenti di tali comitati alcuna remunerazione complessivamente superiore al 30 per cento del compenso deliberato per la carica di componente dell'organo amministrativo e comunque proporzionata alla qualificazione professionale e all'entità dell'impegno richiesto».

Nella vigenza dell'art. 3, commi 12 e 12-bis, della l. n. 244/2007, gli statuti delle società non quotate, direttamente o indirettamente controllate dallo Stato ai sensi dell'articolo 2359, comma 1, n. 1), c.c., potevano prevedere un apposito comitato, eventualmente all'interno dell'organo di amministratore, quale referente degli organi di controllo interno (art.  3, comma 12, lett. f). Era, inoltre, possibile, sia pur nei casi in cui era strettamente necessario, la costituzione di comitati con funzioni consultive o di proposta, con riconoscimento a ciascuno dei componenti di “una remunerazione complessivamente non superiore al 30 per cento del compenso deliberato per la carica di componente dell'organo amministrativo”, anch'essa demandata all'autonomia statutaria, nei soli “casi strettamente necessari” (art. 3, comma 12-bis).

La disciplina introdotta dal d.lgs. n. 175 ha confermato la possibilità di costituire, nelle società a controllo pubblico, uffici interni per il controllo, che collaborano con l'organo di controllo statutario, riscontrando tempestivamente le richieste da questo provenienti, e trasmettono periodicamente all'organo di controllo statutario relazioni sulla regolarità e l'efficienza della gestione, ed ha consentito la costituzione di comitati con funzione consultive o di proposta limitatamente «ai casi previsti dalla legge». In questo caso, peraltro, non può comunque essere riconosciuta ai componenti di tali comitati una remunerazione complessivamente superiore al 30% del compenso deliberato per i componenti dell'organo amministrativo, e va comunque proporzionata alla qualificazione professionale e all'entità dell'impegno richiesto. Gli strumenti eventualmente adottati ai sensi del comma 3 dell'art. 6 sono indicati, analogamente a quanto accade per le società quotate ai sensi dell'art. 123-bis d.lgs. n. 58/1998, nella relazione sul governo societario che le società controllate predispongono annualmente, a chiusura dell'esercizio sociale e pubblicano contestualmente al bilancio d'esercizio. Qualora le società a controllo pubblico non integrino gli strumenti di governo societario con quelli di cui al comma 3 cit., danno conto delle ragioni all'interno della predetta relazione (art. 6, commi 4 e 5).

Le società pubbliche sono, infine, obbligate a dotarsi dell'organismo di vigilanza previsto dal d.lgs. n. 231/2001 (Cass. pen. n. 28699/2010, per la quale gli enti pubblici che svolgono attività economica e le società commerciali a capitale "misto", pubblico e privato, che svolgono servizi pubblici rispondono dei reati commessi nel loro interesse o vantaggio ai sensi delle disposizioni del d.lgs. 8 giugno 2001, n. 231).

Per quanto riguarda l'obbligo, per gli amministratori, di predisporre specifici programmi di valutazione del rischio di crisi aziendale, ai sensi dell'art. 6, comma 2, si veda al commento all'art. 14 d.lgs. n. 175/2016.

Bibliografia

D'Aries, in Testo unico delle società partecipate, a cura di D'Aries, Glinianski e Tessaro, Santarcangelo di Romagna, 2016; Glinianski, in Testo unico delle società partecipate, a cura di D'Aries, Glinianski, Tessaro, Santarcangelo di Romagna 2016; Menna, L'organismo di diritto pubblico nella giurisprudenza (e nella dottrina), Procedure concorsuali e diritto pubblico, a cura di D'Orazio e Monteferrante, Milanofiori Assago, 2017; Nazzicone, La riforma delle “società pubbliche”: note di diritto societario, in giudicedonna.it, n. 4/2016.

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