I principi di certezza, affidamento e sicurezza giuridica impongono all'ANAC il rispetto del termine 180 giorni per concludere il procedimento sanzionatorio

09 Ottobre 2018

Pur in assenza di un'espressa previsione normativa che qualifichi come perentorio il termine di 180 giorni per la conclusione del procedimento sanzionatorio avviato dall'ANAC, i principi di sicurezza giuridica, certezza e affidamento impongono il rispetto di tale scadenza temporale, pena l'illegittimità del provvedimento adottato. Se interpretato attraverso tali principi, infatti, l'art. 8, comma 4, d.lgs. n. 163 del 2006, non impone all'ANAC solo la tempestiva comunicazione dell'apertura dell'istruttoria e della contestazione degli addebiti, ma anche il rispetto del «termine a difesa e del contraddittorio, nonché della comunicazione tempestiva con forme idonee ad assicurare la data certa della piena conoscenza del provvedimento».

Il caso. Una stazione appaltante comunicava all'ANAC di aver escluso un consorzio da una gara, per mancanza del requisito di cui all'art. 38, comma 1, lett. c), del d.lgs. n. 163 del 2006 (applicabile ratione temporis), e per la dichiarazione non veritiera resa in ordine al possesso dello stesso. A seguito della suddetta segnalazione, l'ANAC irrogava al consorzio una sanzione pecuniaria di 1.500,00, euro con iscrizione della relativa annotazione nel casellario informatico, comportante l'interdizione alla partecipazione alle gare per un mese, ex art. 38, comma 1-ter e comma 1, lett. h), dello stesso d.lgs. n. 163 del 2006.

Il giudizio di primo grado. Il consorzio impugnava i suddetti provvedimenti dinanzi al TAR Lazio, che, con sentenza, sez. III, 3 dicembre 2015, n. 13668, accoglieva il ricorso in ragione del mancato rispetto, da parte dell'ANAC, del termine di 180 giorni per la conclusione del procedimento sanzionatorio previsto dall'art. 29 del Regolamento unico dell'Autorità, 26 febbraio 2014. L'ANAC proponeva appello.

La soluzione del Consiglio di Stato: la perentorietà del termine di 180 giorni, nonostante l'assenza di un'espressa previsione normativa in tal senso. Il Consiglio di Stato, dopo aver preliminarmente richiamato l'orientamento giurisprudenziale secondo cui il carattere della perentorietà del termine può essere attribuito solo da un'espressa disposizione di legge, ha tuttavia evidenziato la particolarità del procedimento sanzionatorio rispetto al generale paradigma del procedimento amministrativo che, per la sua natura peculiare, trova il suo generale riferimento nei principi della l. 24 novembre 1981, n. 689 e non nella l. sul procedimento amministrativo, 7 agosto 1990, n. 241.

Il Collegio ha, in particolare, escluso la necessità di un'espressa previsione normativa che attribuisca la perentorietà al termine qualora la disciplina dello specifico procedimento sanzionatorio contenga una “norma primaria” in deroga alla disciplina della l. n. 689 del 1981.

Nel caso di specie la sentenza ha individuato tale “norma primaria” di riferimento nell'art. 8, comma 4, del d.lgs. n. 163 del 2006, laddove, pur rinviando al Regolamento unico predisposto dall'ANAC per la disciplina di dettaglio, impone non solo la “tempestiva comunicazione” dell'apertura dell'istruttoria e della “contestazione degli addebiti (rispetto ai quali anche la legge n. 689 del 1981 impone termini a pena di decadenza), ma anche il rispetto del «termine a difesa e del contraddittorio, nonché della comunicazione tempestiva con forme idonee ad assicurare la data certa della piena conoscenza del provvedimento».

La sentenza ha evidenziato, infatti, che «l'esercizio di una potestà sanzionatoria, di qualsivoglia natura, non può restare esposta sine die all'inerzia dell'autorità preposta al procedimento sanzionatorio, ciò ostando ad elementari esigenze di sicurezza giuridica e di prevedibilità in tempi ragionevoli delle conseguenze dei comportamenti» e che «la ratio della fissazione dei termini relativi non può essere rinvenuta, (…) nella sola esigenza di garanzia dell'efficienza dell'azione amministrativa», ma anche nella «necessità di evitare che i tempi dilatati del procedimento sanzionatorio divengano ragione di insicurezza giuridica per gli interessi degli operatori economici coinvolti, non solo nella fase iniziale (quando la vicinanza della contestazione al momento di commissione del fatto addebitato è indispensabile per consentire di apprestare al meglio la difesa), ma anche in riferimento alla durata complessiva del procedimento, e che diano luogo ad una condizione di incertezza in ordine all'esito del medesimo».

Il Collegio ha sottolineato che, in base ai principi di «certezza della sanzione e di affidamento», il procedimento sanzionatorio affidato all'ANAC, “quanto meno in riferimento alla specifica ipotesi dell'art. 48 del d.lgs. n. 163 del 2006”, si inserisce “nella categoria dei procedimenti autoritativi” e non tra “quelli meramente esecutivi” (come il “procedimento di applicazione delle sanzioni amministrative pecuniarie nel quale il tratto autoritativo concerne esclusivamente la formazione di un titolo esecutivo stragiudiziale - secondo il regime della c.d. “autotutela esecutiva” - con il conseguente effetto di assoggettamento dell'ingiunto a esecuzione forzata”).

In conclusione, in forza dei richiamati principi, pur in assenza di un'espressa previsione attributiva del carattere perentorio al termine di 180 giorni per la conclusione del procedimento sanzionatorio dell'ANAC, il Collegio ha annullato il provvedimento sanzionatorio per violazione dell'art. 8, comma 4, d.lgs. n. 163 del 2006, laddove «afferma espressamente l'obbligo di osservare il principio di tempestività sia nella fase di avvio, che in quella di conclusione del procedimento sanzionatorio».

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