Decreto legislativo - 1/09/1993 - n. 385 art. 11 - Raccolta del risparmio 1.Raccolta del risparmio 1. 1. Ai fini del presente decreto legislativo è raccolta del risparmio l'acquisizione di fondi con obbligo di rimborso, sia sotto forma di depositi sia sotto altra forma. 2. La raccolta del risparmio tra il pubblico è vietata ai soggetti diversi dalle banche 2. 2-bis. Non costituisce raccolta del risparmio tra il pubblico la ricezione di fondi connessa all'emissione di moneta elettronica 3. 2-ter. Non costituisce raccolta del risparmio tra il pubblico la ricezione di fondi da inserire in conti di pagamento utilizzati esclusivamente per la prestazione di servizi di pagamento 4. 3. Il CICR stabilisce limiti e criteri, anche con riguardo all'attività ed alla forma giuridica del soggetto che acquisisce fondi, in base ai quali non costituisce raccolta del risparmio tra il pubblico quella effettuata presso specifiche categorie individuate in ragione di rapporti societari o di lavoro 5. 4. Il divieto di raccolta del risparmio tra il pubblico non si applica: a) agli Stati comunitari, agli organismi internazionali ai quali aderiscono uno o più Stati comunitari, agli enti pubblici territoriali ai quali la raccolta del risparmio è consentita in base agli ordinamenti nazionali degli Stati comunitari; b) agli Stati terzi ed ai soggetti esteri abilitati da speciali disposizioni del diritto italiano 6; c) alle società, per la raccolta effettuata ai sensi del codice civile mediante obbligazioni, titoli di debito od altri strumenti finanziari; d) alle altre ipotesi di raccolta espressamente consentite dalla legge, nel rispetto del principio di tutela del risparmio 7. 4-bis. Il CICR determina i criteri per l'individuazione degli strumenti finanziari, comunque denominati, la cui emissione costituisce raccolta del risparmio 8. 4-ter. Se non disciplinati dalla legge, il CICR fissa limiti all'emissione e, su proposta formulata dalla Banca d'Italia sentita la CONSOB, può determinare durata e taglio degli strumenti finanziari, diversi dalle obbligazioni, utilizzati per la raccolta tra il pubblico 9. 4-quater. Il CICR, a fini di tutela della riserva dell'attività bancaria, stabilisce criteri e limiti, anche in deroga a quanto previsto dal codice civile, per la raccolta effettuata dai soggetti che esercitano nei confronti del pubblico attività di concessione di finanziamenti sotto qualsiasi forma 10. 4-quinquies. A fini di tutela del risparmio, gli investitori professionali, che ai sensi del codice civile rispondono della solvenza della società per le obbligazioni, i titoli di debito e gli altri strumenti finanziari emessi dalla stessa, devono rispettare idonei requisiti patrimoniali stabiliti dalle competenti autorità di vigilanza 11. 5. Nei casi previsti dal comma 4, lettere c) e d), sono comunque precluse la raccolta di fondi a vista ed ogni forma di raccolta collegata all'emissione od alla gestione di mezzi di pagamento a spendibilità generalizzata 12. [2] A norma dell'articolo 58, comma 1, della legge 23 dicembre 1998, n. 448 il divieto di cui al presente comma non si applica alle società cooperative per la raccolta effettuata mediante titoli obbligazionari. [3] Comma aggiunto dall'articolo 55 della legge 1° marzo 2002, n. 39 (Legge comunitaria). [4] Comma inserito dall' articolo 35, comma 4, del D.Lgs. 27 gennaio 2010, n. 11 [5] Comma sostituito dall'articolo 9.2 del D.Lgs. 17 gennaio 2003, n. 6, nel testo introdotto dall'articolo 2 del D.Lgs. 6 febbraio 2004, n. 37. Vedi la disciplina transitoria di cui all'articolo 6 del medesimo D.Lgs. 37/2004. [6] Comma modificato dall'articolo 1, comma 4 del D.Lgs. 16 novembre 2015, n. 181. [7] Comma modificato dall'articolo 64 del D.Lgs. 23 luglio 1996, n. 415, dall'articolo 2 del D.Lgs. 4 agosto 1999, n. 342, e successivamente sostituito dall'articolo 9.2 del D.Lgs. 17 gennaio 2003, n. 6, nel testo introdotto dall'articolo 2 del D.Lgs. 6 febbraio 2004, n. 37. Vedi la disciplina transitoria di cui all'articolo 6 del medesimo D.Lgs. 37/2004. [8] Comma inserito dall'articolo 64 del D.Lgs. 23 luglio 1996, n. 415, modificato dall'articolo 2 del D.Lgs. 4 agosto 1999, n. 342, e successivamente sostituito dall'articolo 9.2 del D.Lgs. 17 gennaio 2003, n. 6, nel testo introdotto dall'articolo 2 del D.Lgs. 6 febbraio 2004, n. 37. Vedi la disciplina transitoria di cui all'articolo 6 del medesimo D.Lgs. 37/2004. [9] Comma inserito dall'articolo 9.2 del D.Lgs. 17 gennaio 2003, n. 6, nel testo introdotto dall'articolo 2 del D.Lgs. 6 febbraio 2004, n. 37. Vedi la disciplina transitoria di cui all'articolo 6 del medesimo D.Lgs. 37/2004. [10] Comma inserito dall'articolo 9.2 del D.Lgs. 17 gennaio 2003, n. 6, nel testo introdotto dall'articolo 2 del D.Lgs. 6 febbraio 2004, n. 37. Vedi la disciplina transitoria di cui all'articolo 6 del medesimo D.Lgs. 37/2004. [11] Comma inserito dall'articolo 9.2 del D.Lgs. 17 gennaio 2003, n. 6, nel testo introdotto dall'articolo 2 del D.Lgs. 6 febbraio 2004, n. 37. Vedi la disciplina transitoria di cui all'articolo 6 del medesimo D.Lgs. 37/2004. [12] Comma sostituito dall'articolo 64 del D.Lgs. 23 luglio 1996, n. 415, dall'articolo 2 del D.Lgs. 4 agosto 1999, n. 342, e successivamente sostituito dall'articolo 9.2 del D.Lgs. 17 gennaio 2003, n. 6, nel testo introdotto dall'articolo 2 del D.Lgs. 6 febbraio 2004, n. 37. Vedi la disciplina transitoria di cui all'articolo 6 del medesimo D.Lgs. 37/2004. InquadramentoLa banca è l'impresa che esercita l'attività bancaria (art. 1, comma 1, lett. b, d.lgs. n. 385/1993). L'attività bancaria consiste nella raccolta di risparmio tra il pubblico e nell'esercizio del credito (art. 10, comma 1, d.lgs. n. 385/1993). L'attività bancaria è riservata dalla legge alle società per azioni od alle società cooperative (art. 14, comma 1, lett. a, d.lgs. n. 385/1993, peraltro con non poche deroghe: si veda l'art. 11 d.lgs. n. 385/1993). Una «banca», dunque, altro non è che una società commerciale od una società cooperativa che raccoglie il risparmio ed eroga il credito. La fondamentale importanza che l'esercizio di tale attività riveste ha fatto sì che, dal XIII secolo in poi, non v'è stato alcun ordinamento giuridico che non abbia disciplinato con norme ad hoc l'attività bancaria, distinguendola da quella di tutte le altre società commerciali [la letteratura sulla storia del diritto bancario è pressoché sterminata: a mero titolo d'esempio, si vedano Ramella, Contratto di contocorrente, in Bolaffio e Vivante (a cura di), Il codice di commercio commentato, VII, 3 e ss., ed ivi, in nota, gli ulteriori riferimenti bibliografici; nonché Colajanni, Storia della banca in Italia da Cavour a Ciampi, Roma, 1995; per le vicende successive all'Unità d'Italia si vedano altresì D'Ambrosio, Galanti, Guccione, Storia della legislazione bancaria, finanziaria e assicurativa, Bologna, 2012]. Nell'Italia postunitaria, dopo a la l. 30 aprile 1874, n. 1920, che disciplinò il potere di emissione riservandolo a sei banche (Banca Nazionale del Regno, Banca Nazionale Toscana, Banca Toscana di Credito, Banca Romana, Banco di Napoli e Banco di Sicilia), un primo abbozzo di legislazione organica sull'attività bancaria si ebbe col codice di commercio del 1882, il cui art. 177 qualificava come «atto di commercio» l'attività bancaria, ed in seguito col testo unico sulle Casse di Risparmio (l. 15 luglio 1888, n. 5546, che estese alle banche diverse dagli istituti di emissione alcuni strumenti di vigilanza già previsti per queste ultime). Negli anni successivi, dopo lo scandalo affaristico-politico della Banca Romana, e dopo il fallimento di due grandi banche come il Credito Mobiliare e la Banca Generale, ci si avvide della necessità di una più severa regolamentazione dell'attività bancaria: fu così che dapprima la l. 10 agosto 1893, n. 449, autorizzò la nascita della Banca d'Italia, realizzata attraverso la fusione fra la Banca Nazionale nel Regno d'Italia, la Banca Nazionale Toscana e la Banca Toscana di Credito; quindi il r.d. 9 ottobre 1900, n. 373 approvò il primo testo unico sugli istituti di emissione. Finalmente, col R.d.l. 7 settembre 1926, n. 1511 (e col relativo regolamento di esecuzione emanato con r.d.l. 6 novembre 1926, n. 1830) venne introdotta una legislazione generale ad hoc per le banche, e per la prima volta si creò un sistema organico di vigilanza. Legislazione, quest'ultima, che fu necessario ben presto rivedere, a causa della grande crisi economica del 1929. Ciò avvenne col nuovo testo unico del 1936 (r.d.l. 12 marzo 1936 n. 375, conv. con l. 7 marzo 1938 n. 141), che disciplinò l'attività bancaria nel nostro Paese per oltre mezzo secolo. Attualmente la disciplina dell'attività bancaria è contenuta (ma sarebbe meglio dire «dispersa») tra dozzine di provvedimenti normativi di vario tipo e gerarchia. Tra questi, però, tre ve ne sono che rappresentano l'ossatura dell'intero sistema, scanditi lungo tre livelli di gerarchia decrescente. Al primo livello troviamo la legislazione comunitaria, ed in particolare la Direttiva 2013/36/UE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 26 giugno 2013 («sull'accesso all'attività degli enti creditizi e sulla vigilanza prudenziale sugli enti creditizi e sulle imprese di investimento», pià volte modificata, da ultimo con la Direttiva n. 2022/2556). ). La Direttiva n. 2013/36 stabilisce le condizioni per l'accesso all'attività bancaria, la libertà di stabilimento delle banche nell'Unione e la libera prestazione dei loro servizi, il controllo prudenziale, le riserve patrimoniali addizionali, il governo societario delle banche. La Direttiva n. 2013/36 è anche detta – in ossequio al diffuso malvezzo di posporre la lingua di Dante a quella dei tabloid – «Capital Requirements Directive IV», ovvero «CRD IV», ed ha ricevuto attuazione col d. lgs. n. 72/2015. Il concreto svolgimento dell'attività di vigilanza sulle banche è invece disciplinato a livello comunitario non da una Direttiva, ma da un Regolamento, ovvero il Regolamento (UE) n. 575/2013 (c.d. «Capital Requirements Regulation», o «CRR»). Al secondo livello si colloca la legislazione nazionale, il cui corpus centrale è costituito, come già ricordato, dal testo unico 1 settembre 1993 n. 385, più volte modificato. Al terzo livello si colloca la normativa regolamentare emanata dall'autorità di vigilanza (ovvero la Banca d'Italia), e dal Comitato Interministeriale per il Credito Risparmio – CICR (art. 2 d.lgs. n. 385/1993). Il CICR è un comitato di sei ministri, presieduto dal Ministro dell'economia e delle finanze, e composto dal Ministro del commercio con l'estero, dal Ministro per il coordinamento delle politiche agricole, alimentari e forestali, dal Ministro dell'industria, del commercio e dell'artigianato, dal Ministro dei lavori pubblici e dal Ministro per le politiche comunitarie. Tra gli innumerevoli atti emanati dalla banca d'Italia e dal CICR, ai fini che qui rilevano va ricordata la Circolare 17 dicembre 2013 n. 285 della Banca d'Italia (recante «Disposizioni di vigilanza per le banche», più volte modificata, e giunta al 20° aggiornamento). L'attività bancariaL'attività bancaria, come accennato, per il d.lgs. n. 385/1993 consiste nella raccolta del risparmio tra il pubblico «e» nell'erogazione del credito. Tra banca ed attività bancaria esiste una corrispondenza biunivoca: solo le banche possono svolgere l'attività bancaria, e solo attività bancaria può essere svolte dalle banche. Né l'una, né l'altra di tali esclusività sono tuttavia assolute: da un lato, infatti, il credito e la raccolta del risparmio possono essere svolti anche da altri enti (ad esempio, le società commerciali attraverso l'emissione di titoli obbligazionari, oppure gli enti pubblici territoriali: art. 11, comma 4, d.lgs. n. 385/1993); dall'altro, alle banche la legge consente lo svolgimento anche di altre attività, oltre che la raccolta del risparmio e l'erogazione del credito: ad esempio l'emissione di «moneta elettronica» (art. 114-bis d.lgs. n. 385/1993) o l'effettuazione di «servizi di pagamento» (art. 114-sexies d.lgs. 385/1993; sui servizi di pagamento a distanza si vedano, ex multis, Mancini e Perassi (a cura di), Il nuovo quadro normativo comunitario dei servizi di pagamento. Prime riflessioni, in Banca d'Italia, Quaderni di ricerca giuridica, Roma, 2008; Merusi, Fra omissioni ed eccessi: la recezione della direttiva comunitaria sui servizi di pagamento, in Riv. it. dir. pubbl. comunit. 2010, 1171; Barillà, I servizi di pagamento «armonizzati» e l'addebito diretto nel panorama bancario italiano, in Giur. comm. 2014, 331). L'uso della congiunzione «e» tra le due attività consentite alle banche («la raccolta di risparmio (...) e l'esercizio del credito») ha indotto la dottrina a ritenere che per aversi attività bancaria debba sussistere un «nesso funzionale» tra queste due attività (per tutti, Colavolpe, La banca in generale, in Colavolpe e Prosperetti, Le banche, Milano 2012, 253 e ss., ma specialmente 262-263). La raccolta del risparmio è definita dalla legge come «l'acquisizione di fondi con obbligo di rimborso, sia sotto forma di depositi sia sotto altra forma» (art. 11 d. lgs. 385/93). La legge invece non definisce la nozione di «esercizio del credito», per la quale occorre dunque far riferimento al linguaggio comune. A tale stregua, la dottrina tradizionale definisce l'esercizio del credito come la stipula d'un contratto per effetto del quale la banca mette a disposizione del cliente di una somma di denaro, con obbligo di rimborso. L'esercizio del credito consiste dunque nella stipula d'un c.d. «contratto di credito», a prescindere dalla veste formale di volta in volta assunta (mutuo, anticipazione, apertura di credito, conto corrente con affidamento, e via dicendo: cfr. Porzio, Le imprese bancarie, Torino, 2007, in Trattato di diritto commerciale, diretto da Buonocore, III, tomo I, Torino, 2007, 175; Desiderio, L'attività bancaria. Fattispecie ed evoluzione, Milano, 2004, 59). La raccolta del risparmio tra il pubblico e l'esercizio del credito da parte di soggetti diversi dalle banche costituiscono attività delittuose (artt. 130 e 131 d.lgs. n. 385/1993). La giurisprudenza penale di legittimità ha tradizionalmente interpretato in senso molto ampio i divieti dalle due norme appena ricordate. È stato ritenuto sussistente il reato di esercizio abusivo di attività bancaria, ad esempio, nel caso d'una società cooperativa che raccoglieva il risparmio sotto forma di depositi da parte dei soci, ed erogava mutui in forma generalizzata, contestualmente o nei giorni immediatamente successivi alla presentazione della domanda di ammissione da parte dei soci stessi, senza rispettare le modalità previste dallo statuto (Cass. pen. 26642/2004); o nel caso di una associazione privata («sindacato antiusura») che attribuiva ai soci dei «buoni» spendibili presso vari esercizi commerciali aderenti all'iniziativa, coi quali era possibile acquistare merce per un valore doppio rispetto al valore di acquisto del titolo, con assunzione di obbligo di rimborso nei confronti degli esercizi commerciali aderenti (Cass. pen. n. 36051/2003). L'accessoLe società per azioni e le società cooperative che intendano svolgere l'attività bancaria debbono, prima di chiedere l'iscrizione nel registro dell'imprese, ottenere un'apposita autorizzazione dalla Banca d'Italia, ed iscriversi nell'apposito albo da questa tenuto (artt. 13 e 14 d.lgs. n. 385/1993). L'autorizzazione è subordinata al possesso di vari requisiti: la forma di società per azioni o di società cooperativa per azioni a responsabilità limitata; la sede legale e la direzione generale siano situate in Italia; il capitale versato sia di ammontare non inferiore a quello determinato dalla Banca d'Italia; la banca presenti un programma di attività iniziale; gli amministratori siano persone capaci. L'autorizzazione, anche in presenza dei suddetti requisiti, deve comunque essere negata quando non risulti garantita la sana e prudente gestione (art. 14 d.lgs. n. 385/1993). Vigilanza e controlli. Le partecipazioniLe società bancarie sono soggette ad una capillare vigilanza da parte della Banca d'Italia e, a determinati fini, della Banca Centrale Europea. Tale vigilanza investe tutti gli aspetti della vita sociale: l'ingresso nel mercato, lo svolgimento dell'attività, l'uscita dal mercato. L'ingresso nel mercato, infatti, come già detto, è subordinato al rilascio di un'apposita autorizzazione. Lo svolgimento dell'attività è soggetto a regole speciali sotto molteplici profili, che riguardano: le qualità personali degli amministratori e dei sindaci, che devono essere sempre tali da garantire una sana e prudente gestione; la redazione del bilancio; l'acquisto di partecipazioni in altre società o l'alienazione di proprie azioni a soggetti terzi che è soggetta all'autorizzazione della Banca d'Italia e, in determinati casi, della banca Centrale Europea su proposta della banca d'Italia; la conservazione delle garanzie patrimoniali; la decozione, che sfugge alle regole del fallimento, ed è soggetta alla procedura della liquidazione coatta amministrativa. Per i fini che qui rilevano, mette conto in special modo ricordare come la legge subordini ad autorizzazione preventiva l'acquisizione a qualsiasi titolo in una banca di partecipazioni che comportano il controllo o la possibilità di esercitare un'influenza notevole sulla banca stessa o che attribuiscono una quota dei diritti di voto o del capitale almeno pari al 10%, tenuto conto delle azioni o quote già possedute. Sono, altresì, soggette ad autorizzazione preventiva le variazioni delle partecipazioni quando la quota dei diritti di voto o del capitale raggiunge o supera il 20, il 30 od il 50% e, in ogni caso, quando le variazioni comportano il controllo sulla banca stessa (art. 19 d.lgs. n. 385/1993). Le banche cooperativeCome accennato, oltre che da società per azioni l'attività bancaria può essere svolta da società cooperative. Le cooperative bancarie possono essere di due tipi: le banche popolari e le banche di credito cooperativo. Le banche popolari sono società cooperative per azioni a responsabilità limitata. Le banche popolati non possono avere un attivo superiore ad 8 miliardi di euro; valicato tale limite, l'assemblea deve deliberare o la trasformazione in società per azioni, o la liquidazione (art. 29, comma 2-bis, d.lgs. n. 385/1993, come modificato dall'art. 1, comma 1, lett. b, numero 1), del d.l. 24 gennaio 2015, n. 3, convertito, con modificazioni, dalla l. 24 marzo 2015, n. 33). Nelle banche popolari ogni socio ha un voto, e non può detenere più dell'1% del capitale sociale (art. 30 d.lgs. n. 385/1993). Gli utili, infine, vanno destinati a riserva, legale in misura non inferiore al 10%. Le banche di credito cooperativo sono anch'esse, come le banche popolari, società cooperative per azioni a responsabilità limitata. Anche in esse ciascun socio ha un solo voto. Le differenze rispetto alle banche popolari consistono principalmente nel fatto che le banche di credito di cooperativo, per essere autorizzate all'esercizio, debbono appartenere ad un gruppo bancario cooperativo; debbono destinare almeno il 60% degli utili a riserva legale; non possono avere meno di 500 soci; ciascun socio non può possedere azioni di valore nominale complessivo superiore a 100.000 euro; debbono esercitare il credito «prevalentemente» a favore dei soci; ciascun socio deve «risiedere, aver sede od operare con carattere di continuità» nel territorio «di competenza della banca» (art. 34 d.lgs. n. 385/1993, come modificato dall'art. 1, comma 2, lettera a, del d.l. 14 febbraio 2016, n. 18, convertito con modificazioni dalla l. 8 aprile 2016, n. 49): formula, quest'ultima, sulla cui ambiguità ognun potrà da sé giudicare. 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