Legge - 12/11/2011 - n. 183 art. 10 - Riforma degli ordini professionali e societa' tra professionisti (A)

Luigi Edoardo Fiorani

Riforma degli ordini professionali e societa' tra professionisti (A)

1. All'articolo 3, comma 5, alinea, del decreto-legge 13 agosto 2011, n. 138, convertito, con modificazioni, dalla legge 14 settembre 2011, n. 148, le parole: «Gli ordinamenti professionali dovranno essere riformati entro 12 mesi dalla data di entrata in vigore del presente decreto per recepire i seguenti principi:» sono sostituite dalle seguenti: «Con decreto del Presidente della Repubblica emanato ai sensi dell'articolo 17, comma 2, della legge 23 agosto 1988, n. 400, gli ordinamenti professionali dovranno essere riformati entro 12 mesi dalla data di entrata in vigore del presente decreto per recepire i seguenti principi:».

2. All'articolo 3 del decreto-legge 13 agosto 2011, n. 138, convertito, con modificazioni, dalla legge 14 settembre 2011, n. 148, dopo il comma 5 sono inseriti i seguenti:

'5-bis. Le norme vigenti sugli ordinamenti professionali in contrasto con i principi di cui al comma 5, lettere da a) a g), sono abrogate con effetto dalla data di entrata in vigore del regolamento governativo di cui al comma 5 e, in ogni caso, dalla data del 13 agosto 2012.

5-ter. Il Governo, entro il 31 dicembre 2012, provvede a raccogliere le disposizioni aventi forza di legge che non risultano abrogate per effetto del comma 5-bis in un testo unico da emanare ai sensi dell'articolo 17-bis della legge 23 agosto 1988, n. 400'1.

3. E' consentita la costituzione di societa' per l'esercizio di attivita' professionali regolamentate nel sistema ordinistico secondo i modelli societari regolati dai titoli V e VI del libro V del codice civile. Le societa' cooperative di professionisti sono costituite da un numero di soci non inferiore a tre2.

4. Possono assumere la qualifica di societa' tra professionisti le societa' il cui atto costitutivo preveda:

a) l'esercizio in via esclusiva dell'attivita' professionale da parte dei soci;

b) l'ammissione in qualita' di soci dei soli professionisti iscritti ad ordini, albi e collegi, anche in differenti sezioni, nonche' dei cittadini degli Stati membri dell'Unione europea, purche' in possesso del titolo di studio abilitante, ovvero soggetti non professionisti soltanto per prestazioni tecniche, o per finalita' di investimento. In ogni caso il numero dei soci professionisti e la partecipazione al capitale sociale dei professionisti deve essere tale da determinare la maggioranza di due terzi nelle deliberazioni o decisioni dei soci; il venir meno di tale condizione costituisce causa di scioglimento della societa' e il consiglio dell'ordine o collegio professionale presso il quale e' iscritta la societa' procede alla cancellazione della stessa dall'albo, salvo che la societa' non abbia provveduto a ristabilire la prevalenza dei soci professionisti nel termine perentorio di sei mesi3;

c) criteri e modalita' affinche' l'esecuzione dell'incarico professionale conferito alla societa' sia eseguito solo dai soci in possesso dei requisiti per l'esercizio della prestazione professionale richiesta; la designazione del socio professionista sia compiuta dall'utente e, in mancanza di tale designazione, il nominativo debba essere previamente comunicato per iscritto all'utente;

c-bis) la stipula di polizza di assicurazione per la copertura dei rischi derivanti dalla responsabilita' civile per i danni causati ai clienti dai singoli soci professionisti nell'esercizio dell'attivita' professionale4;

d) le modalita' di esclusione dalla societa' del socio che sia stato cancellato dal rispettivo albo con provvedimento definitivo.

5. La denominazione sociale, in qualunque modo formata, deve contenere l'indicazione di societa' tra professionisti.

6. La partecipazione ad una societa' e' incompatibile con la partecipazione ad altra societa' tra professionisti.

7. I professionisti soci sono tenuti all'osservanza del codice deontologico del proprio ordine, cosi' come la societa' e' soggetta al regime disciplinare dell'ordine al quale risulti iscritta. Il socio professionista puo' opporre agli altri soci il segreto concernente le attivita' professionali a lui affidate5.

8. La societa' tra professionisti puo' essere costituita anche per l'esercizio di piu' attivita' professionali.

9. Restano salve le associazioni professionali, nonche' i diversi modelli societari gia' vigenti alla data di entrata in vigore della presente legge6.

10. Ai sensi dell'articolo 17, comma 3, della legge 23 agosto 1988, n. 400, il Ministro della giustizia, di concerto con il Ministro dello sviluppo economico, entro sei mesi dalla data di pubblicazione della presente legge, adotta un regolamento allo scopo di disciplinare le materie di cui ai precedenti commi 4, lettera c), 6 e 77.

11. La legge 23 novembre 1939, n. 1815, e successive modificazioni, e' abrogata.

12. All'articolo 3, comma 5, lettera d), del decreto-legge 13 agosto 2011, n. 138, convertito, con modificazioni, dalla legge 14 settembre 2011, n. 148, le parole: «prendendo come riferimento le tariffe professionali. E' ammessa la pattuizione dei compensi anche in deroga alle tariffe» sono soppresse.

 

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(A) In riferimento al presente articolo vedi: Messaggio INPS - Istituto nazionale previdenza sociale 17 dicembre 2020, n. 4754Risoluzione Agenzia delle Entrate 04/03/2022 n. 10/E.

[1] Comma sostituito dall'articolo 33, comma 1, lettera a), del D.L. 6 dicembre 2011, n. 201, convertito, con modificazioni, dalla Legge 22 dicembre 2011, n. 214.

[2] Comma modificato dall'articolo 9-bis, comma 1, lettera a), del D.L. 24 gennaio 2012, n. 1, convertito, con modificazioni, dalla Legge 24 marzo 2012, n. 27.

[3] Lettera modificata dall'articolo 9-bis, comma 1, lettera b), del D.L. 24 gennaio 2012, n. 1, convertito, con modificazioni, dalla Legge 24 marzo 2012, n. 27.

[4] Lettera inserita dall'articolo 9-bis, comma 1, lettera c), del D.L. 24 gennaio 2012, n. 1, convertito, con modificazioni, dalla Legge 24 marzo 2012, n. 27.

[5] Comma modificato dall'articolo 9-bis, comma 1, lettera d), del D.L. 24 gennaio 2012, n. 1, convertito, con modificazioni, dalla Legge 24 marzo 2012, n. 27.

[6] Comma modificato dall'articolo 9-bis, comma 1, lettera e), del D.L. 24 gennaio 2012, n. 1, convertito, con modificazioni, dalla Legge 24 marzo 2012, n. 27.

[7] Per il regolamento in materia di società per l'esercizio di attività professionali regolamentate nel sistema ordinistico, di cui al presente comma, vedi il D.M. 8 febbraio 2013, n. 34.

Inquadramento

Volendo tentare una prima definizione del fenomeno delle società tra professionisti – sforzo definitorio reso oltremodo difficile dalla estrema frammentazione dei modelli, nonché dalla più parti rilevata insufficienza della disciplina a vocazione generale del fenomeno, introdotta con la l. n. 183/2011 – può richiamarsi quanto autorevole dottrina affermava in passato, definendo le S.T.P. come un fenomeno di collaborazione stabile tra professionisti, nel quale, pur rimanendo l'esercizio della professione un fatto individuale, si mettono in comune i mezzi o i risultati e si creano tra professionisti rapporti associativi nell'esercizio della professione.

Il fenomeno ha tradizionalmente faticato ad essere ricondotto al modello della società ex art. 2247 c.c., sia per le difficoltà a ricondurre l'attività professionale all'esercizio di un'attività imprenditoriale (sul tema si è sviluppato nel tempo un ricco e articolato dibattito, per un'efficace sintesi del quale si rinvia a Pavone La Rosa, 94), sia in ragione del chiaro disposto dell'art. 2 della l. 23 novembre 1939, n. 1815, che vietava ai professionisti iscritti in albi la costituzione di società (disposizione, questa, per la verità spiegabile non solo per ragioni di ordine sistematico, ma anche di tipo politico, legate alla temperie culturale concomitante all'emanazione della legge del 1939, in forza della quale l'utilizzo della forma societaria era vietato non solo in considerazione del carattere personale delle prestazioni rese dai professionisti, ma anche al fine di evitare che dietro lo schermo societario operassero soggetti privi di titolo abilitativo, o esclusi dall'esercizio professionale per motivi razziali: Salazar, 1151).

Verso un progressivo mutamento di rotta ha condotto senz'altro il contesto di una normativa comunitaria e interna in materia di liberalizzazioni, tesa ad assimilare le attività di produzione dei servizi intellettuali alle altre attività economiche anche imprenditoriali (Marasà, 2014, 432), che si è tradotta, dapprima, nell'abrogazione del richiamato art. 2 (l. 7 agosto 1997, n. 266) e quindi nel progressivo intensificarsi di modelli specifici di società tra professionisti (società di revisione, società di ingegneria, società di servizi previste dalla legislazione in tema di contratti pubblici), fra cui spicca, per importanza, quello della società tra avvocati disciplinata con il d.lgs. n. 96/2001 (modello, tuttavia, che ha faticato a imporsi nella pratica, anche per la mancanza di una specifica disciplina fiscale: osservava Sorci, 636, rinviando a rilevazioni statistiche, come, al 2014, le società tra avvocati di questo tipo fossero, in tutto il paese, 114, a fronte di migliaia di studi associati).

Occorrerà attendere, come si anticipava supra, il 2011 per un modello generalizzato di società tra professionisti (al quale si è affiancato quello disciplinato dalla l. 14 gennaio 2013, n. 4, relativo alle professioni non ordinistiche), che ha posto – sin dalla sua entrata in vigore – un duplice ordine di problemi.

Il primo attiene all’esegesi di un testo normativo frammentario e spesso impreciso (per un’ampia rassegna dei nodi irrisolti della disciplina di cui alla l. 183/2011: Montalenti, 2016, 437; cfr., altresì, Cian, 2012, 6).

Il secondo, riguarda il problema del raccordo tra disciplina «generale» delle società tra professionisti e «speciale» delle società tra avvocati, posto che la legge del 2011 e il suo decreto attuativo hanno fatto espressamente salva la disciplina allora vigente in tema di società tra avvocati, nonché le altre discipline specifiche già vigenti in tema di società fra professionisti.

A rendere oltremodo complessa la questione è stato, a quest'ultimo proposito, l'avvicendarsi delle fonti normative, posto che con la l. 31 dicembre 2012, n. 247, il legislatore ha delegato il Governo all'emanazione di un decreto legislativo recante la disciplina delle società tra avvocati (facendo salva la disciplina posta con la l. n. 96/2001), ma il termine previsto per detta delega è spirato infruttuosamente nel mese di agosto 2013: le società tra avvocati sono così rimaste per quattro anni in un incerto limbo normativo, nel quale l'interrogativo in ordine alla possibilità di integrare la disciplina del d.lgs. n. 96/2001 con le regole e i principî estrapolabili dalla disciplina generale di cui alla l. n. 183/2011, ovvero con quelli ricavabili dalla delega non esercitata dal Governo, ha visto emergere posizioni differenziate (efficacemente compendiate da Sorci, 637, nella seguente alternativa: se il vuoto normativo fosse colmabile sic et simpliciter attraverso l'estensione agli avvocati della disciplina generale dettata per le professioni ordinistiche dall'art. 10 della l. 12 novembre 2011, n. 183  e dal relativo regolamento attuativo, o se invece la legge delega, pur avendo perso – quanto al contenuto – carattere cogente, fosse comunque espressiva della volontà del legislatore di disciplinare ex novo la materia; soluzione, quest'ultima, alla quale ha a suo tempo aderito il Consiglio nazionale forense, con la circolare 18 C-2013), ponendo, alla fine, le stesse Sezioni unite della Corte di cassazione – chiamate a decidere della legittimità dell'istituzione di una società con compagine sociale composta da due avvocati e da un socio non professionista, nella contemporanea vigenza, da un lato, della l. n. 183/2011 e, dall'altro lato, del d.lgs. n. 96/2001 (nonché delle norme di principio non attuate dell'art. 5 della l. n. 247/2012) – di fronte all'opportunità di demandare all'Ufficio del Massimario una raccolta delle indicazioni provenienti in subiecta materia dalla dottrina e dalla giurisprudenza, al fine di poter attendere a una più ampia ricognizione dello stato dell'arte in vista della decisione (Cass. S.U., n. 15278/2017).

A seguito dell’ordinanza appena richiamata, il legislatore è nuovamente intervenuto sulle società fra avvocati con l’art. 1, comma 141, della l. 4 agosto 2017, n. 124 (legge annuale per la concorrenza e il mercato), il quale, previa abrogazione espressa dell’art. 5 della legge professionale (recante la delega legislativa al Governo, come visto, infruttuosamente scaduta) ha nuovamente modificato la disciplina dell’esercizio in forma societaria della professione forense inserendo nella l. n. 247 del 2012 l’art. 4-bis (che si esaminerà in conclusione del presente commento).

 Il problema del coordinamento tra le diverse discipline è stato quindi risolto, in esito alla rimessione a nuovo ruolo di cui al periodo che precede, come segue: a) prima dell’introduzione dell’art. 4-bis, unico consentito modello societario tra avvocati era quello di cui al d.lgs. n. 96 del 2001, artt. 16 e ss. (e ciò in virtù del principio regolatore del conflitto di norme di pari rango secondo il quale lex posterior generalis – i.e., la l. n. 183/2011non derogat priori speciali, e dunque il d.lgs. n.  96/2001), con conseguente divieto di STP tra avvocati regolate dalla l. n. 183 del 2011, art. 10; b) dopo l’introduzione dell’art. 4-bis, e in ragione del carattere speciale di tale norma, tale nuova disciplina prevale sulla (anteriore e) generale disposizione della l. n. 183 del 2011, art. 10 e sulla parimenti speciale, ma anteriore, disciplina di cui al d.lgs. n. 96 del 2001, artt. 16 e ss. (Cass. S.U., n. 19282/2018: tale sentenza si è misurata con il problema di sindacare la legittimità del diniego di iscrizione all’albo di una società  professionale in accomandita semplice, costituita da due avvocati e da una terza socia laureata in economia, con una partecipazione del 20%; diniego basato sulla ritenuta esclusiva vigenza del d.lgs. 96/2001. La sentenza delle Sezioni Unite, sulla base del percorso motivazionale sinteticamente riportato, ha cassato con rinvio la pronuncia del CNF che aveva negato tale iscrizione, rimettendo dunque a quest’ultimo l’accertamento in concreto della compatibilità della società in oggetto con il modello societario delineato dalla cit. l. n. 247 del 2012, art. 4-bis).

La società tra avvocati nel d.lgs. n. 96/2001

Con il d.lgs. n. 96/2001 – attuativo della Direttiva 98/5/CE – è stata prevista una prima disciplina organica delle società fra professionisti, la quale, a dispetto del nome, è riservata ai soli avvocati (problema che, a suo tempo, ha posto la dottrina di fronte al dilemma di stabilire se il legislatore avesse inteso predisporre un modello per tutti i tipi di società fra professionisti, ovvero solo per gli avvocati: Montalenti, 2001, 1169) e che si configura come un particolare modello di società di impronta personalistica (nel quale la presenza di non professionisti non è consentita né nella compagine sociale né nell'amministrazione della società), dotato di una disciplina articolata e caratterizzato, come fattispecie, dalla presenza di soli soci in possesso del titolo di avvocato (art. 21, comma 1, d.lgs. n. 96/2001) e da un oggetto sociale esclusivo, consistente nell'esercizio in comune della professione dei propri soci (art. 17, comma 2, d.lgs. n. 96/2001) – cioè della professione forense (attività di rappresentanza, assistenza e difesa in giudizio ex art. 16, comma 1, d.lgs. n. 96/2001) – ai quali soltanto può essere affidata l'esecuzione dell'incarico professionale assunto dalla società (art. 24, comma 1, d.lgs. n. 96/2001) (Marasà, 2014, 429).

In ordine ai dubbi circa la persistente vigenza o meno della disciplina in esame, a seguito dell’entrata in vigore dell’art. 4-bis, l. n. 247/2012, v. infra, sub par. 4.

La società deve essere iscritta sia in una sezione speciale del registro delle imprese (relativa alle società tra professionisti, con funzione di pubblicità notizia: funzione, tuttavia, che sopporta vistose, e non sempre comprensibili, deroghe, come nel caso della nullità, rispetto alla quale è prevista efficacia sanante alla modificazione dell'atto costitutivo, iscritta nella sezione speciale del registro delle imprese: Montagnani, 983) sia nella sezione speciale dedicata dell'albo degli avvocati.

La problematica dell'iscrizione in una sezione speciale, e del relativo regime di pubblicità, ha indotto la migliore dottrina a dubitare della possibilità del richiamo residuale alla disciplina della società in nome collettivo, ritenendo viceversa praticabile – per ragioni di coerenza del sistema, posto che per la s.n.c. è previsto un regime di pubblicità dichiarativa – solo quello alla società semplice (con conseguente applicazione, ad esempio, dell'art. 2270 c.c. in luogo del 2305 c.c., in punto di creditori particolari e dell'art. 2268 c.c., in luogo del 2304 c.c., in punto di beneficium excussionis: Montalenti, 2001, 1175).

I soci non possono partecipare ad altre S.T.P. e tale divieto, a differenza di quanto si dirà infra per gli altri modelli societari, è generalmente letto – per ragioni di coerenza sistematica – come divieto di esercitare la professione anche in altri studi o in proprio al di fuori della società: Montagnani, 984).

La legge prevede, ancora, che l'amministrazione spetta esclusivamente ai soci, disgiuntamente, salvo diversa previsione dell'atto costitutivo (regola che si porrebbe in coerenza con l'applicabilità dell'art. 2297 c.c. dettato per le società semplici: Montalenti, 1175) e non può essere affidata a soggetti terzi.

Quanto al profilo inerente allo svolgimento della prestazione professionale, la legge stabilisce che è rimessa al cliente la scelta del socio (o dei soci) a cui affidare l'incarico, gravando, in caso contrario, sulla società l'obbligo di individuarlo; obbligo presidiato dalla previsione della responsabilità illimitata e solidale di tutti i soci, in caso di mancata scelta, per le obbligazioni derivanti dall'attività professionale svolta da uno o più soci.

Operata la scelta, la legge distingue una responsabilità di tipo professionale da una di tipo patrimoniale, stabilendo, con riguardo alla prima, che il socio o i soci incaricati sono personalmente e illimitatamente responsabili per l'attività professionale svolta in esecuzione dell'incarico (senza che, a tale proposito, operi, in favore del socio, il beneficio della preventiva escussione del patrimonio sociale: G. Scognamiglio, 338, trattandosi non dell'adempimento di debiti sociali, ma del debito risarcitorio nei confronti del cliente, nascente da violazioni commesse in occasione dell'espletamento dell'incarico), mentre, con riguardo alla seconda, che la società risponde sempre e in ogni caso con il suo patrimonio e che, per le obbligazioni sociali non derivanti dall'attività professionale, rispondono solidalmente e illimitatamente tutti i soci, non avendo effetti, nei confronti dei terzi, l'eventuale patto contrario (Codazzi, 2014, 38).

Posto che il rapporto intercorre fra cliente e società, quest'ultima risponde delle violazioni delle norme professionali e deontologiche applicabili all'esercizio in forma individuale della professione forense (sul punto, Salazar, 1153, secondo cui si tratta della prima attuazione del principio della responsabilità amministrativa delle persone giuridiche – in ogni caso reso applicabile a tutte le società, anche, quindi, di professionisti, dal successivo d.lgs. 8 giugno 2001, n. 231).

La società tra professionisti «generale» nella l. n. 183/2011

L'art. 10 della l. 12 novembre 2011, n. 183 (legge di stabilità per il 2012) – nella formulazione risultante dalle modifiche introdotte con il d.l. 24 gennaio 2012, n. 1, convertito, con modificazioni, dalla l. 24 marzo 2012, n. 27 – stabilisce che la società professionale (che può essere costituita anche per l'esercizio di più professioni) può assumere la forma di società di capitali o di cooperativa di professionisti con almeno tre soci e che alla compagine sociale della stessa possono partecipare sia soci professionisti iscritti ad ordini, albi e collegi, anche in differenti sezioni, nonché sia i cittadini degli Stati membri dell'Unione europea, purché in possesso del titolo di studio abilitante, sia soggetti non professionisti, ancorché soltanto per prestazioni tecniche o per finalità di investimento, e a condizione che il loro numero, ovvero la loro partecipazione al capitale non faccia scendere al di sotto dei due terzi la maggioranza che inderogabilmente deve essere garantita ai soci professionisti nelle deliberazioni o decisioni dei soci.

Si tratta, secondo quanto affermato dal Consiglio di Stato (Parere del 22 maggio 2012, sullo schema di regolamento attuativo della legge, emanato con decreto del Ministro della giustizia 8 febbraio 2013, n. 47) di una regolamentazione del fenomeno societario fra professionisti intesa a rendere provviste le attività professionali di strutture organizzative e dotazioni di mezzi che le rendano idonee ad affrontare la concorrenza derivante dall'internazionalizzazione dei mercati (ma si tratterebbe, secondo Salazar, 1155, di una lettura parziale, posto che la legge consentirebbe anche l'utilizzo della società unipersonale), fondata sulla distinzione fra organizzazione dell'attività professionale, che può assumere forme associative e societarie, e il suo esercizio, che deve essere, viceversa, personale (Salazar, 1158, il quale rileva come la personalità della prestazione, sancita dall'art. 33 Cost., appare posta in pericolo dalla stessa presenza dei soci di investimento, e della loro possibilità di interloquire, seppure con i limiti posti dalla legge, sulla gestione sociale).

Il modello della l. n. 183/2011 sarebbe, dunque, di applicazione generalizzata, salvo quanto si dirà con riguardo alla professione forense e quanto, seppure con soluzione criticata (Marasà, 2014, 434), si tende ad affermare per la professione notarile, per la quale, attesa la sua natura pubblica, non sarebbe possibile, in forza dell'art. 82, l. n. 88/1913, nonché della stessa Relazione illustrativa alla legge n. 183/2011, accedere a moduli associativi della professione in forma societaria.

Nel caso in cui la società sia costituita per l'esercizio di più attività professionali, la stessa si iscrive nell'albo o collegio professionale relativo all'attività individuata come prevalente, laddove l'individuazione dell'attività prevalente è strumentale anche all'individuazione del regime disciplinare, che sarà, appunto, quello dell'ordine al quale la S.T.P. sia iscritta.

Assai problematica, in ogni caso, è l'individuazione dell'oggetto sociale della società che qui ci occupa, delimitato dalla legge all'esercizio in via esclusiva dell'attività professionale da parte dei soci: vi è chi (Marasà, 2014, 439) interpreta l'esclusività come riferita ai soci (che dunque non potranno svolgere la propria attività anche in proprio, ovvero in altri studi professionali), oppure alla società (concludendo nel senso che la società non possa svolgere attività ulteriori rispetto a quella professionale prevista nell'atto costitutivo: Salazar, 1165).

Di particolare rilievo, nell'architettura dell'istituto, è la previsione che consente la composizione «mista» della compagine sociale, e che apre la S.T.P. alla partecipazione di soci non professionisti «per prestazioni tecniche» (secondo la dottrina, erogabili necessariamente nei confronti dell'utenza e non della società: Salazar, 1160, il quale giunge a siffatta conclusione sulla base dell'interpretazione sopra richiamata della clausola di esclusività), ovvero per finalità di investimento.

Sul punto si è sottolineata una carenza della disciplina del modello in esame sotto il profilo dell'amministrazione: se è vero, infatti, che il regolamento attuativo ha previsto che il numero dei soci professionisti deve essere tale da determinare la maggioranza dei due terzi nelle deliberazioni o decisioni dei soci, nulla ha disposto sul piano gestorio e del controllo. A tale proposito, onde evitare situazioni paradossali, quali l'eterodirezione sul piano organizzativo della prestazione professionale da parte di soggetti non abilitati, la migliore dottrina (Cian, 10) ha suggerito di interpretare l'avverbio «soltanto» che accompagna la disposizione relativa ai soci non professionisti con riguardo alle finalità di investimento e alle prestazioni tecniche, come se la stessa inibisse ai soci non professionisti l'amministrazione della società, riservando il potere gestorio agli amministratori (ma in senso contrario, Salazar, 1177, secondo cui l'attuale disciplina, interpretata in modo letterale, potrebbe consentire casi limite come quello dell'amministratore unico, nella s.p.a. con modello di gestione tradizionale, non professionista, ovvero di un consiglio di gestione composto sempre da soci non professionisti nella s.p.a. che adotti il sistema dualistico).

 Non possono essere accolte le domande di iscrizione nella sezione speciale dell'albo dei dottori commercialisti formulate da società tra professionisti che non presentino congiuntamente la maggioranza dei due terzi dei soci professionisti per teste e per quote (così Trib. Treviso, 20 settembre 2018, secondo cui: “Il requisito della prevalenza dei soci professionisti sia nella partecipazione al capitale sociale che nel numero dei soci è prescritto dalla legge in via cumulativa senza possibilità di eccezione alcuna, stante la lettera della norma laddove statuisce che “in ogni caso” i soci professionisti devono sia possedere la maggioranza del capitale sociale che essere in numero tale da garantire la maggioranza dei due terzi nelle deliberazioni, a prescindere, quindi, dal metodo di voto (per quote o per teste)”).

Su molti altri aspetti della disciplina, con soluzione che non ha mancato, talvolta, di destare perplessità, la legge «generalista» del 2011 mutua le proprie soluzioni da quella «particolare» di cui al d.lgs. n. 96/2001, stabilendo, in primis, che l'incarico è conferito dal cliente al professionista in possesso dei requisiti per l'esercizio della prestazione richiesta, e che, in mancanza di scelta, provvede a tale individuazione la società (ma è essenziale sottolineare che il contratto di mandato non interviene tra socio e cliente, bensì tra quest'ultimo e la società: Cian, 2012, 20; sembrerebbe invece propendere, ancorché in senso critico, per la diversa soluzione di un rapporto diretto tra cliente e socio, Toffoletto, 6), comunicando per iscritto al cliente il nominativo prescelto (questione che pone l'ulteriore problema di stabilire se, una volta individuato, il professionista sia obbligato a svolgere la prestazione; problema risolto negativamente da Marasà, 2014, 434, il quale fa salvi i casi in cui, prescelto il modello personalistico, il professionista sia socio d'opera, oppure, nelle società di capitali, tenuto a tali adempimenti in forza di un patto parasociale, nonché della specifica disciplina del conferimento d'opera nella s.r.l. ovvero in base all'obbligo di eseguire prestazioni accessorie al conferimento nella s.p.a.).

Al contrario, sul piano della responsabilità, la legge del 2011 fa salvo il regime del tipo sociale prescelto, senza stabilire che società e socio rispondano solidalmente e illimitatamente per le obbligazioni risarcitorie derivanti dalla non corretta e non diligente esecuzione della prestazione (al contrario di quanto accade per le società tra avvocati, tanto nella disciplina posta nel 2001, che in quella di cui alla l. 247/2012: disparità criticata da Codazzi, 2014, 39, la quale sottolinea che apparirebbe più rispondente agli interessi della clientela un sistema di tutela imperniato sull'obbligatorietà della copertura assicurativa – previsto per le S.T.P. ex l. n. 183/2011 in seguito alle modifiche apportate dal d.l. n. 1/2012 – piuttosto che su un regime derogatorio della responsabilità dei soci rispetto ai modelli codicistici delle società di capitali).

Quanto al regime di incompatibilità, in base al quale un socio di una S.T.P. non può partecipare ad altre s.t.p., lo stesso pone il problema di evitare la disparità di trattamento che si verrebbe a creare ove, interpretato il divieto in maniera restrittiva, come impone l'art. 1, comma 2, d.l. n. 1/2012, conv. in l. 27/2012, lo stesso conduca all'ingiustificata disparità di trattamento di consentire la partecipazione contemporanea di un professionista a una S.T.P. e anche ad un altro studio professionale (non essendo questa ipotesi presa espressamente a riferimento dal divieto): detto esito può essere evitato ove si acceda all'interpretazione dell'esclusività dell'oggetto sociale sopra proposta, alla quale aderisce una parte degli interpreti (Marasà, 2014, 439), anche se detta esegesi renderebbe in ogni caso il divieto aggirabile, ove il socio professionista in una S.T.P. assuma la qualità di socio di investimento in altra S.T.P. (Salazar, 1160).

La violazione del divieto relativo al richiamato regime di incompatibilità dovrebbe comportare, come conseguenza, la nullità dell'atto costitutivo, ove la presenza del socio non legittimato sia prevista al momento della costituzione della società; ovvero la nullità dell'acquisto della partecipazione, nel caso in cui il socio incompatibile entri nella compagine sociale in un momento successivo alla costituzione della società (Salazar, 1162).

Sul piano della pubblicità, la disciplina risultante dal combinato disposto dell'art. 10 e del regolamento di attuazione stabilisce che la S.T.P. debba iscriversi anche in una sezione speciale del registro delle imprese (art. 7, comma 1, reg.), vale a dire nella stessa sezione speciale, istituita dall'art. 16, comma 2, d.lgs. n. 96/2001 (critico su tale aspetto della regolamentazione, Marasà, 435, il quale rileva come per le S.T.P. tra avvocati l'iscrizione nella sezione speciale del registro delle imprese ex d.lgs. n. 96/2001sostituisce l'ordinario regime pubblicitario – suscitando peraltro gravi problemi di coordinamento con la disciplina pubblicitaria delle s.n.c. secondo il diritto comune – mentre l'iscrizione nella sezione speciale prevista dal regolamento si aggiunge alla precedente iscrizione, doverosa in base alla disciplina codicistica che è richiamata dall'art. 10, comma 3, l. n. 183/2011, creando una superfetazione normativa di non agevole giustificazione).

Nel silenzio della legge sul punto, è controversa la questione dell'assoggettamento a liquidazione giudiziale: pur prevalendo la soluzione negativa (ma si v. sul punto la posizione di Marasà, 2014, 439, per il quale è possibile immaginare che, laddove la gestione sia affidata a soggetti che, siano gli stessi professionisti o meno, non prestano opera professionale per la società, ma si limitano a organizzare quella degli altri soci, dovrebbe trovare applicazione la disciplina dell'art. 2238 c.c., e con essa quella dell'impresa, anche in punto di assoggettabilità a procedure concorsuali) è del pari pacifico che la S.T.P. può accedere alle procedure alternative alla liquidazione giudiziale quali il sovraindebitamento, il concordato minore o la liquidazione controllata previste dal Codice della crisi di impresa di cui al d.lgs. 14/2019, nel cui ambito di applicazione rientra anche il professionista ex art. 1 (Codazzi, 2022, 1196).

G   Ad avviso di Trib. Forlì, 25 maggio 2017, sebbene la l. n. 183 del 2011 e il successivo regolamento di attuazione con d.m. n. 34 del 2013 non dettino alcuna specifica disposizione in merito all'assoggettabilità o meno al fallimento delle società tra professionisti, le S.T.P. costituite per l'esercizio in via esclusiva di attività professionale (nel caso specifico di commercialista con iscrizione nell'apposita sezione dell'albo) e che abbiano effettivamente svolto in via esclusiva tale attività, non possano essere assimilate alle altre società commerciali, non esercitando un'attività di carattere commerciale e non rivestendo la qualità di imprenditore, e che come tali non siano pertanto assoggettabili al fallimento.

La società tra avvocati nella l. n. 247/2012  (c.d. “società forense”)

  Come efficacemente sottolineato, la normativa sulla “società forense” (espressione utilizzata da Codazzi, 2019, 1196) di cui all'art. 4-bis della l. 247/2012, è da intendere come il frutto della volontà del legislatore di allineare l'esercizio in forma collettiva della professione forense (sino a quel momento disciplinato dal d.lgs. n. 96/2001) con il regime di maggior apertura di cui alla l. n. 183/2011.

  Si tratta di una società per la quale vige l'obbligo di iscrizione in un'apposita sezione speciale dell'albo tenuto dall'ordine territoriale nella cui circoscrizione ha sede la stessa società, avendo peraltro precisato il CNF, con sentenza 25 giugno 2022, n. 109, che l'inserimento della qualifica “società tra avvocati” all'interno della denominazione è condizione per l'iscrizione, trattandosi di un requisito essenziale rivolto a qualificare la società anche ai fini dell'affidamento dei terzi, come soggetto sottoposto alla disciplina della l. n. 247/2012.  

  È discusso se il modello introdotto dall'art. 4-bis, che consente il ricorso a società di persone, di capitali o a società cooperative, al di là delle questioni di diritto intertemporale affrontate e risolte dalla pronuncia delle Sezioni Unite del 2018 sopra richiamata, abbia abrogato la disciplina di cui al d.lgs. n. 96/2001: in tal senso si muove la dottrina (Guercio, 1250) che argomenta sulla base del criterio di soluzione dei conflitti normativi basato sulla successione delle leggi nel tempo, nonché sul raffronto tra il previgente art. 5 della l. n. 247/2012 e l'attuale art. 4-bis, dove solo il primo, a differenza del secondo, faceva salva l'applicazione del d.lgs. n. 96/2001, nei limiti della residualità e della compatibilità; in senso contrario si sono invece pronunciati gli interpreti che hanno sostenuto che il modello in esame si affianca ai due già esaminati nei paragrafi che precedono, in difetto di un'espressa abrogazione, ovvero di elementi che implicitamente depongano in tal senso (Codazzi, 2022, 1218).

È invece opinione comune, a seguito della più volte richiamata pronuncia S.U., n. 19282/2018, che l'esercizio dell'attività forense in forma societaria sia riservata in via esclusiva alle società tra avvocati ex art. 4-bis della legge n. 247/2012, non essendo, pertanto, consentito alle società multidisciplinari esercitare l'attività forense in forma societaria; ciononostante, è possibile, fermi i limiti correlati alle incompatibilità di cui all'art. 18 legge n. 247/2012, che un avvocato partecipi ad una società multidisciplinare exl. n. 183/2011, senza però poter comunque esercitare all'interno di tali società la tipica e riservata attività forense (C.N.F., parere del 15 dicembre 2022, n. 49).

Le società forense, come quelle tra professionisti, non rappresenta un tipo societario autonomo con una propria causa, ma una “sottospecie delle forme già conosciute dal Codice Civile” per la quale sono poste specifiche norme tese a coniugare interessi professionali con altri interessi di natura imprenditoriale (Testa, 192).

Tale ultima notazione prelude all'analisi di uno degli aspetti di maggiore rilevanza stabiliti con la riforma del 2017, in base al quale i soci debbono essere, per almeno due terzi del capitale sociale e dei diritti di voto “avvocati iscritti all'albo, ovvero avvocati iscritti all'albo e professionisti in albi di altre professioni” (art. 4 bis, comma 2, lett. a), così legittimando la partecipazione di soci non professionisti, sebbene nel limite di 1/3 dei diritti di voto e del capitale sociale, e di soci professionisti, ma non avvocati, senza limite alcuno (cfr. sul punto Codazzi, 2022, 1221).

La legge, in ogni caso, al fine di scongiurare al massimo il rischio che il governo della società cada nelle mani di soggetti che non svolgono attività professionale ma si limitano a coordinare ed organizzare le prestazioni professionali svolte dai soci professionisti (Marasà, 2018, 30) dispone, da un lato, che “la maggioranza dei membri dell'organo di gestione deve essere composta di soci avvocati” (art. 4 bis, comma 2, lett. b) e, dall'altro lato, che “i componenti dell'organo di gestione non possono essere soggetti estranei alla compagine sociale” (art. 4 bis, comma 2, lett. c).

Un'interpretazione coordinata degli articoli che disciplinano la composizione del capitale sociale, ovvero l'attribuzione del diritto di voto, e  di quelli che riguardano la composizione dell'organo gestorio, ha condotto taluni a concludere che la maggioranza numerica dei soci debba essere sempre composta di avvocati, se non altro perché un'eventuale partecipazione minoritaria non sarebbe agevolmente coordinabile con la denominazione necessaria di “società tra avvocati”: ne derivererebbe che in tale ipotesi di partecipazione minoritaria, la società transiterebbe nell'alveo di applicazione del comma 4 dell'art. 10 della l. n. 183/2010, come S.T.P. multidisciplinare, non potendo assumere la veste di società forense (Codazzi, 2022, 1226).

Pur ammettendosi, nel silenzio della legge, la multidisciplinarietà dell'oggetto sociale, tale possibilità – come è stato condivisibilmente sottolineato daGuercio, 1249 –  andrebbe coordinata con il disposto degli artt. 18,19 e 20 della stessa l. n. 247/2012, con la conseguenza che non sarebbe possibile prevedere nell'ambito dell'oggetto sociale, sia principale che accessorio, attività incompatibili con quella forense, cosicché la multidisciplinarità dovrà essere limitata alle sole professioni (protette) non in contrasto con la citata normativa.

In punto di responsabilità, occorre tener conto del disposto del quarto comma dell'art. 4-bis, ai sensi del quale “la responsabilità della società e quella dei soci non esclude la responsabilità de professionista che ha eseguito la singola prestazione”, nonché del comma terzo dell'art. 14 della medesima l. n. 247/2012, secondo cui “con l'accettazione dell'incarico, l'avvocato ne assume la responsabilità personale illimitata, solidalmente con l'associazione o la società”.

Il combinato disposto di tali norme comporterebbe, per un verso, che, a prescindere dalla veste societaria prescelta, il socio avvocato risponda sempre in via personale e illimitata della prestazione svolta personalmente (con sostanziale inutilità del ricorso al modello della s.p.a. o s.r.l. unipersonale; modello, del resto del quale è dubbia la stessa ammissibilità: se infatti non si pongono dubbi per le S.T.P. exl. 183/2011 unipersonali, come opinato dal CNDEC nel Pronto Ordini n. 14/2019, la posizione favorevole alla configurabilità di società forensi di capitali, nella forma di s.p.a. o s.r.l. unipersonali è stata esclusa, in quanto priva di causa, stante il descritto regime di responsabilità, dal COA di Roma con Delibera n. 18/2020; più di recente, tuttavia, il CNF, con parere n. 19/2021, ha concluso nel senso della possibilità di costituire Società tra avvocati ex art. 4-bis, nella forma di s.p.a. o di s.r.l. unipersonali), e, per l'altro verso che, nelle società di persone, a differenza di quanto previsto dall'art. 26 del d.lgs. n. 96 del 2001, sussiste una responsabilità sussidiaria di tutti i soci per le obbligazioni gravanti su colui che abbia svolto la prestazione.

Tale regime, proprio delle società di persone ex art. 4-bis della l. n. 247/2012, giustificherebbe, ad avviso della dottrina che sostiene l'intervenuta abrogazione della d.lgs. n. 96/2001, lo scarso ricorso al modello personale delle società di avvocati, in favore di quello di capitali, ovvero allo studio associato (così Masieri, 636), secondo altri, invece, rappresenterebbe un valido argomento a sostegno dell'ipotesi della non abrogazione del regime posto dal d.lgs. 96/2001 (Codazzi, 2022. 1228; Cian, 2017, 260).

Discussa, infine, è la questione dell'assoggettabilità o meno della società in esame alle procedure concorsuali: non riproponendo la norma in esame l'esclusione dal fallimento (oggi liquidazione giudiziale), viceversa prevista dalla lett. m) del previgente art. 5, l'ipotesi della soggezione a procedure concorsuali non sarebbe da escludere a priori, laddove si consideri che non vi è incompatibilità tra il modello in esame e lo svolgimento di attività di impresa (cfr., sul punto, Marasà, 2018, 33, il quale avverte che tale qualificazione potrebbe scattare tutte le volte che nel concreto agire della società si configuri la realizzazione della fattispecie dell'art. 2238, comma 1, c.c.) secondo altri, invece, i limiti all'attività esercitabile dalla società forense (con particolare riguardo all'art. 18 della l. n. 247/2012, ritenuto, come visto, applicabile anche alla società di cui all'art. 4-bis, secondo cui vi è incompatibilità tra professione di avvocato e l'esercizio di qualsiasi attività di impresa commerciale), renderebbe la stessa insuscettibile di andare soggetta alle procedure concorsuali.(Guercio, 1251)..

Bibliografia

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