Codice Civile art. 2626 - Indebita restituzione dei conferimenti (1).Indebita restituzione dei conferimenti (1). [I]. Gli amministratori che, fuori dei casi di legittima riduzione del capitale sociale, restituiscono, anche simulatamente, i conferimenti ai soci o li liberano dall'obbligo di eseguirli, sono puniti con la reclusione fino ad un anno. (1) V. nota al Titolo XI. InquadramentoIl reato di indebita restituzione dei conferimenti costituisce il primo dei reati elencati dal capo II, dedicato agli illeciti commessi dagli amministratori delle società. La previsione in commento, introdotta dalla riforma del diritto penale societario, di cui al d.lgs. n. 61/2002, ha sostituito il previgente art. 2623 n. 2 c.c., mantenendo in sostanza la stessa formulazione, ad eccezione del regime sanzionatorio, che risulta notevolmente attenuato rispetto al passato (la pena originaria della reclusione da sei mesi a tre anni e della multa da lire duemila a diecimila è stata modificata in quella della sola reclusione fino a un anno). L'art. 2626 c.c. contiene una norma generale con funzione di chiusura del sistema di tutela dell'integrità del capitale sociale, che si pone in relazione di sussidiarietà rispetto alle altre fattispecie in materia di reati societari che tutelano il medesimo interesse (artt. 2626,2627,2628 c.c.). In particolare, la fattispecie di indebita restituzione dei conferimenti o di liberazione dall'obbligo di eseguirli assolve una fondamentale funzione di tutela dell'integrità e dell'effettività del capitale sociale a garanzia dei diritti dei creditori e dei terzi (Antolisei, 238; Musco, 152) ed è finalizzata ad evitare ipotesi mascherate di restituzione dei conferimenti; essa è destinata a trovare applicazione in tutti quei casi in cui, attraverso insidiose condotte di aggiramento che vanno ad incidere sull'integrità del patrimonio sociale, non sarebbe possibile fare uso di specifiche disposizioni (Zannotti, 220). Il reato di indebita restituzione è limitato ai casi diversi dalla legittima riduzione del capitale sociale, punendo la norma la condotta degli amministratori delle società che «restituiscono, anche simulatamente, i conferimenti ai soci o li liberano dall'obbligo di eseguirli». In definitiva, la norma in questione tende alla conservazione di un'effettiva copertura del capitale nominale, in una prospettiva di tutela del capitale sociale nella fase ordinario-fisiologica (Rossi, 2002, 28). In tema di bancarotta fraudolenta impropria da reato societario, l'art. 223, comma 2, n. 1, l. fall. ha riprodotto tra i fatti-reato che possono essere causa o concausa di dissesto societario, quelli di cui all'art. 2626. Bene giuridico tutelato e natura del reatoIl bene giuridico tutelato dalla norma è l'integrità del capitale sociale. Il concetto di capitale sociale risente delle varie teorie formatesi in proposito nella dottrina e nella giurisprudenza commerciale, spesso non compiutamente sovrapponibili a quelle penalistiche. In dottrina si è posto l'accento sull'integrità del capitale sociale in senso ristretto, ossia sul capitale reale (Zannotti, 220) e segnatamente su quella parte del patrimonio della società (c.d. capitale di rischio) formato dai conferimenti promessi o versati dai soci e durevolmente vincolato all'esercizio dell'attività di impresa in forma associata (Graziani-Minervini, 120). La tutela penale, dunque, secondo tale tesi, avrà ad oggetto la somma dei conferimenti dei soci (all'inizio della società coincidente con il patrimonio) e, quindi, sia il capitale sottoscritto (ossia i conferimenti che i soci si sono impegnati a versare), sia il capitale versato. Alla contrapposizione di concetti in uso nel linguaggio tecnico (quali capitale di rischio e capitale di credito, capitale proprio e capitale di terzi, capitale azionario e capitale obbligazionario, capitale sottoscritto e capitale versato, capitale fisso e capitale variabile), è stato ritenuto preferibile, sotto il profilo giuridico, individuare un contenuto minimo concettuale, anche perché la legge, sia civile che penale, non di rado parla sic et simpliciter di «capitale», lasciando poi all'interprete il compito di individuarne di volta in volta lo specifico contenuto, come negli artt. 2327,2442,2446,2632 c.c. (Martiello, 34). Parlare di capitale sociale significa, dunque, alludere in via di prima approssimazione a quel complesso di risorse mediante le quali si intende esercitare una certa attività in forma societaria ed entro la quale ci si impegna a mantenere durevolmente investite le utilità inizialmente conferite. L'insieme delle risorse può essere, tuttavia, guardato da due diverse prospettive, ossia da quella formalistica del capitale nominale – quale valore espresso in moneta corrente al complesso dei conferimenti effettuati inizialmente dai soci – ovvero da quella sostanzialistica del «capitale reale», corrispondente alla quota ideale dei beni effettivamente sussistenti (Martiello, 35). La contrapposizione tra «capitale nominale» e «sostanziale/reale» perde valore sul piano della tutela, poiché è alla seconda dimensione che la legge sembra guardare con maggiore attenzione, là dove presidia l'integrità e l'effettività del capitale sociale. L'integrità del capitale è intesa appunto quale esigenza di salvaguardare durante societate il vincolo di indistribuibilità che grava su quella quota di patrimonio sociale corrispondente al capitale sociale nominale, laddove l'effettività è intesa quale esigenza che, nella fase di costituzione, ad ogni aumento alla cifra che figura come capitale nominale sottoscritto, corrisponda un valore reale di quanto conferito, non inferiore alla stessa (Martiello, 47). Dubbi sono stati avanzati, invero, circa l'applicabilità della fattispecie alle società cooperative, attesa la dubbia compatibilità tra il principio della variabilità del capitale di cui all'art. 2524 c.c. e la repressione penale dei fenomeni tesi a variare la consistenza di tale grandezza (Perini-Cerqua, 302). La natura giuridica del reato non appare unanime. La dottrina maggioritaria, infatti, ritiene preferibile ricostruire la fattispecie in commento come reato di danno (Sciumbata, 71; Napoleoni, 1763; Santoriello, 135); a tale tesi si contrappone quella minoritaria che configura il delitto come reato di pericolo presunto, coincidendo la sua consumazione col momento in cui la restituzione del conferimento o la liberazione dall'obbligo di effettuarlo espone a pericolo l'integrità del capitale sociale, a prescindere dall'effettiva diminuzione dello stesso o da un concreto danno per i soci o terzi creditori (Santamaria, 168). Soggetto attivoIl reato di cui all'art. 2626 c.c. è un reato proprio, essendo soggetto attivo l'amministratore della società, in quanto garante dell'integrità del capitale sociale. In virtù della clausola di estensione soggettiva di cui all'art. 2639 c.c. è assimilato all'amministratore chi (comma primo) è tenuto a svolgere la stessa funzione diversamente qualificata (ossia i componenti del consiglio di gestione, nelle società di capitali con sistema dualistico, ovvero i componenti del consiglio di amministrazione nelle società con sistema monistico), o chi esercita in modo continuativo e significativo i poteri tipici inerenti alla qualifica o alla funzione (es. amministratore di fatto), ovvero ancora chi (comma secondo) è legalmente incaricato dall'autorità giudiziaria o dall'autorità pubblica di vigilanza di amministrare la società o i beni dalla stessa posseduti o gestiti per conto di terzi (cfr. commento all'art. 2639 c.c.). I soci beneficiari della restituzione potranno essere puniti quali concorrenti eventuali nel reato commesso dall'amministratore, solo ove non si siano limitati a giovarsi della restituzione o della deliberazione, ma abbiano consapevolmente sollecitato, o in altro modo contribuito alla causazione della condotta degli amministratori (Mucciarelli, 335; Rossi, 2005, 256; Sciumbata, 69). In altri termini, la punibilità del socio beneficiario è subordinata al ricorrere dei requisiti generali previsti dalle norme sul concorso eventuale nel reato, ossia alla verifica del contributo materiale o psichico apportato alla condotta illecita dell'amministratore (Musco, 156; Mucciarelli, 334). Inoltre, se il delitto è commesso nell'interesse della società, troverà applicazione l'art. 25-ter, lett. l), del d.lgs. n. 231/2001, che in tema di responsabilità amministrativa delle persone giuridiche, delle società e delle associazioni, anche prive di personalità giuridica, prevede una sanzione pecuniaria. Fatto tipicoLa fattispecie integrante il reato di cui all'art. 2626 consiste nel restituire i conferimenti ai soci, anche simulatamente, o liberarli dall'obbligo di eseguirli, fuori dei casi di legittima riduzione del capitale, e cioè quando la riduzione è eseguita nelle forme e con le tutele di legge, di cui agli artt. 2306,2445 e 2482 c.c. (Musco, 154 ss.). Trattasi, dunque, di un reato di mera condotta con due azioni incriminate, per il quale l'ipotesi del tentativo è punibile solo nella forma del tentativo incompiuto. La restituzione dei conferimenti, anche simulata, si configura in ogni operazione che determina la riconsegna diretta o indiretta al socio di quanto versato a titolo di capitale (Rossi, 2005, 255). La nozione di conferimento all'interno di questa fattispecie assume per la dottrina prevalente un significato restrittivo, in conformità alla ratio di tutela e alla sua interpretazione logico-sistematica: fa riferimento cioè soltanto alle prestazioni in denaro, crediti e beni in natura che sono idonei a costituire il capitale sociale (Musco, 154). All'uopo, la restituzione può avvenire in qualsiasi modo, senza che sia necessario che l'oggetto della restituzione sia il medesimo che a suo tempo era stato conferito: ben può realizzarsi l'illecito in questione se, ad esempio, si restituisce in denaro il valore di un bene in natura conferito alla società all'atto della costituzione (Musco, 154). Seri dubbi sono stati posti, invero, quanto all'attribuzione di rilevanza penale alla restituzione di conferimenti di beni in semplice godimento (quindi della restituzione anzitempo del bene conferito) e di prestazioni di servizi in quanto ritenuti dalla dottrina prevalente inidonei ad assolvere la funzione di garanzia tipica del capitale sociale, essendo la tutela riferita ai soli conferimenti idonei ad incidere sul quantum di capitale sociale, mentre il conferimento di prestazioni di servizi e di beni in godimento non inciderebbe sull'entità del capitale sociale. Tuttavia, è stato osservato, che l'argomento letterale fondato sul generico riferimento ai «conferimenti» presente nella norma dovrebbe indurre verso una soluzione onnicomprensiva riguardo alla natura degli apporti tutelati, estesa anche all'apporto del socio d'opera, un tempo ammissibile nelle società di persone ed ora anche nelle s.r.l. (Perini — Cerqua, 307, 309). La fattispecie di cui all'art. 2626 c.c. trova applicazione anche in caso di condotte all'apparenza lecite che in realtà dissimulano un'operazione di restituzione di conferimenti (Rossi, 255; Santamaria, 169) e l'ipotesi del trasferimento indiretto è desumibile dalla norma attraverso l'uso dell'avverbio «simulatamente». In definitiva non importa che il precetto penale venga infranto direttamente, basta che sia raggiunto il risultato vietato dalla legge, anche se mediante atti apparentemente leciti (Sciumbata, 70). La simulazione può essere compiuta con mezzi ingegnosi che possono integrare altre figure di reato, come nel caso di distribuzione di acconti-dividendo o di utili fittizi, effettuata con somme prelevate dal capitale sociale. La restituzione punibile, invero, inizia nel momento in cui si intacca il capitale e non anche le riserve e si verifica con il trasferimento della proprietà del bene o del denaro (Musco, 154). L'inciso «al di fuori dei casi di legittima riduzione del capitale sociale» è stato ritenuto che implichi il solo caso di riduzione del capitale per esuberanza, in considerazione del ruolo residuale e sussidiario dell'art. 2626, anche perché un'incriminazione della condotta collegiale di irregolare riduzione del capitale sociale, cagionante un danno ai creditori, è prevista dall'art. 2629 c.c. (Giunta, 257; Rossi, 307; Zannotti, 222), nel caso in cui risulti rispettata la normativa sulla riduzione del capitale sociale (artt. 2306,2445,2482 c.c.). In definitiva è configurabile il reato di cui all'art. 2626 c.c. quando una delibera sulla riduzione del capitale sociale manchi del tutto, ovvero quando essa risulti affetta da vizi di nullità (Santamaria 170), mentre è da ritenersi applicabile la fattispecie di cui all'art. 2629 c.c. nella diversa ipotesi in cui, pur in presenza di una delibera assembleare autorizzativa, la riduzione sia avvenuta, comunque, in violazione delle disposizioni a tutela dei creditori. La liberazione dall'obbligo, presuppone che il socio non abbia ancora interamente versato quanto promesso nell'atto costitutivo e copre ogni negozio giuridico, che abbia l'effetto di svincolare il socio dall'obbligazione assunta con il contratto sociale. Pur nel silenzio della norma, si ritiene che sia penalmente rilevante anche la condotta di liberazione realizzata in forma simulata, come nell'ipotesi di una remissione del debito effettuata mediante compensazione con un credito inesistente verso la società (Santamaria, 170). In entrambi i casi suddetti (restituzione o liberazione), è stato rilevato, trattasi di reati di danno a rilevanza implicita: e ciò in quanto la restituzione del conferimento o la liberazione dall'obbligo di eseguirlo cagionano un danno al capitale sociale (Sciumbata, 71; Napoleoni, 1763; Santoriello, 135), automaticamente (implicitamente) (Giunta, 256; Mucciarelli, 335; Rossi, 2005, 256; Zannotti, 221). Il reato è a forma libera, non essendo predeterminata alcuna modalità specifica di esecuzione della condotta, ma è irrealizzabile in forma omissiva (Santamaria, 171; Antolisei 274). La giurisprudenza di legittimità, nella vigenza dell'art. 2623, n. 2 c.c., ha ritenuto integrato il delitto di illegittima restituzione di conferimenti, nella condotta dell'amministratore della società che restituisca somme di danaro ai soci che le abbiano versate in conto capitale, in seguito ad una deliberazione dell'assemblea, in assenza dei presupposti dell'esuberanza, in riferimento al conseguimento dell'oggetto sociale e del rispetto delle garanzie previste dall'art. 2445 c.c. (Cass. pen. V, n. 11210/1993). Il tema delle “restituzioni” è stato, tuttavia, più recentemente diversamente affrontato dalla giurisprudenza di legittimità, specie con riguardo all'incidenza sui reati fallimentari. Invero, il concetto di conferimento è stato interpretato in senso restrittivo, ritenendo integrato il reato di cui all'art. 2626 c.c. e, in sede fallimentare, il reato di bancarotta impropria da reato societario in relazione all'art. 2626 c.c., nel caso di illegittima restituzione dei conferimenti effettuati dai soci per comporre il capitale/patrimonio della società. La restituzione ai soci, invece, dei versamenti in conto capitale (o "in conto futuro aumento di capitale") integra la fattispecie della bancarotta fraudolenta per distrazione, ai sensi degli artt. 223, comma 1 e 216, comma 1, n. 1 l. fall., e non il delitto di bancarotta fraudolenta da reato societario, previsto dal combinato disposto degli artt. 223, comma 2, n. 1 l. fall. e 2626 c.c. (indebita restituzione dei conferimenti), in quanto detti versamenti, confluendo in un'apposita riserva, non incrementano immediatamente il capitale sociale e diversamente dai conferimenti, non attribuiscono alle somme che ne formano oggetto lo statuto penalistico proprio del capitale sociale (così Cass. pen. V, n.8431/2019, in senso diff. da n. 11210/93 cit.), con l'ulteriore precisazione per cui, al contrario, il prelievo di somme, quale restituzione di versamenti operati dai soci a titolo di mutuo, integra la fattispecie di bancarotta preferenziale. Siffatto più recente indirizzo si avvale dell'analisi della consolidata giurisprudenza delle Sezioni civili della Corte di Cassazione, secondo cui i versamenti operati dai soci in conto capitale (o con altra analoga dizione indicati), pur non incrementando immediatamente il capitale sociale e pur non attribuendo alle relative somme la condizione giuridica propria del capitale (onde non occorre che siano conseguenti ad una specifica deliberazione assembleare di aumento dello stesso), hanno tuttavia una causa che, di norma, è diversa da quella del mutuo ed è assimilabile a quella del capitale di rischio, sicché non danno luogo a crediti esigibili nel corso della vita della società, e possono essere chiesti dai soci in restituzione solo per effetto dello scioglimento della società, e nei limiti dell'eventuale residuo attivo del bilancio di liquidazione, fermo restando che tra la società e i soci può viceversa essere convenuta l'erogazione di capitale di credito, anziché di rischio, e che i soci possono effettuare versamenti in favore della società a titolo di mutuo (con o senza interessi), riservandosi in tal modo il diritto alla restituzione anche durante la vita della società (Cass. I, n. 7692/2006; Cass. I, n. 25585/2014; Cass. I, n. 2758/2012; Cass. I, n 21563/2008). In definitiva, l'erogazione di somme che a vario titolo i soci effettuano alle società da loro partecipate può avvenire a titolo di mutuo, con il conseguente obbligo per la società di restituire la somma ricevuta ad una determinata scadenza, oppure di versamento destinato ad essere iscritto non tra i debiti, ma a confluire in apposita riserva "in conto capitale" (o altre simili denominazioni), versamento, quest'ultimo, che non dà luogo ad un credito esigibile, se non per effetto dello scioglimento della società e nei limiti dell'eventuale attivo del bilancio di liquidazione, ed è più simile al capitale di rischio che a quello di credito, connotandosi proprio per la postergazione della sua restituzione al soddisfacimento dei creditori sociali (Cass. I, n. 24861/2015). Trasposti tali principi in sede penale, non ha trovato ulteriore seguito la tesi che interpreta estensivamente la nozione di "conferimento" con la conseguente sussumibilità del caso della restituzione dei conferimenti in conto capitale nella figura della bancarotta "da reato societario" ex artt. 223, secondo comma, n. 1, I. fall. in relazione, appunto, all'art. 2626 c.c., in considerazione del fatto che l'interpretazione estensiva dell'art. 2626 c.c. si risolve pur sempre in un'analogia in malam partem, alla luce della giurisprudenza civile che valorizza come i versamenti dei soci in conto capitale abbiano, di regola, causa diversa da quella del mutuo. L' "assimilabilità" al capitale di rischio dei versamenti in conto capitale conduce, sul terreno penalistico, a qualificare in termini di distrazione, la condotta “restitutoria”, nella prospettiva che assegna alla nozione di distrazione una funzione anche "residuale" (Cass. pen. V, n. 8755/1988). Quanto, poi, agli indicatori rilevanti al fine di distinguere le due diverse tipologie di versamenti, se a titolo di mutuo ovvero di apporto al patrimonio dell'impresa collettiva, soccorre in proposito l'interpretazione della volontà delle parti, secondo i criteri enunciati dalla giurisprudenza civile (Cass. I, 15035/2018), ribadendo la necessaria ricostruzione della natura del versamento il cui prelievo si contesta, al fine della corretta qualificazione del fatto. Non integra, poi, il delitto di bancarotta fraudolenta impropria in relazione all'art. 2626 c.c. la condotta dell'amministratore che «richiami» l'assegno privo di provvista, precedentemente versato in esecuzione della delibera di aumento di capitale, su conto corrente intestato alla società, considerato che, in tal caso, il patrimonio sociale non risulta impoverito, non avendo il versamento di detto assegno incrementato la dotazione liquida del patrimonio della beneficiaria; tale condotta, invece, poiché diretta ad esentare, o comunque ad ostacolare l'esecuzione della pretesa societaria verso il socio sottoscrittore della delibera di aumento di capitale, può astrattamente configurare l'autonomo reato di fattispecie (art. 223, comma secondo, n. 1, l.fall. in riferimento all'art. 2626) per l'indebita restituzione di conferimenti, sub specie di liberazione dei soci dall'obbligo di eseguire i conferimenti (Cass. pen. V, n. 27918/2009). Elemento soggettivoLa fattispecie delittuosa in commento prevede quale elemento psicologico il dolo generico, consistente nella rappresentazione e la volontà di restituire i conferimenti ai soci, o di liberarli dall'obbligo di eseguirli, in difetto del presupposto legittimante della riduzione del capitale. Qualificando la locuzione «fuori dei casi di legittima riduzione del capitale sociale», come elemento normativo giuridico della fattispecie, assumerà rilevanza l'errore sull'esatta rappresentazione, ex art. 47,3 comma, c.p. (Santamaria, 171). BibliografiaAntolisei, I reati fallimentari e societari, in Manuale di diritto penale. Leggi complementari, Milano, 1959; Campobasso, Diritto Commerciale, Torino, 2006; Graziani-Minervini, Manuale di diritto penale commerciale, Napoli, 1979; Martiello, La tutela penale del capitale sociale nelle società per azioni, Firenze, 2007; Mucciarelli, La tutela penale del capitale sociale e delle riserve obbligatorie per legge, in Il nuovo diritto penale delle società. D.lgs. 11 aprile 2002, n. 61, a cura di Alessandri, Milano, 2002; Musco, I nuovi reati societari, Milano, 2007; Napoleoni, Sub art 2626 c.c., in Codice commentato delle nuove società, a cura di Bonfante, Corapi, Marziale, Rodorf, Salafia, Milano, 2004; Perini, Cerqua, Indebita restituzione dei conferimenti, in Diritto penale delle società, Accertamento delle responsabilità individuali e processo alla persona giuridica, a cura di Canzio, Cerqua, Luparìa, Milano, 2016; Rossi, L'indebita restituzione dei conferimenti (art. 2626 c.c.), Reati societari, a cura di Rossi, Torino, 2005; Rossi, Indebita restituzione dei conferimenti, in Dir. pen. e proc. n. 6/2002; Santamaria, Indebita restituzione dei conferimenti, in Diritto penale dell'economia, a cura di Cadoppi, Canestrari, Manna, Papa, Torino, 2017; Santoriello, Il nuovo diritto penale delle società, Torino, 2003; Sciumbata, I reati societari, Milano, 2008; Zannotti, Il nuovo diritto penale dell'economia, Milano, 2008. |